La BCE vuole il sostegno degli investimenti privati e delle esportazioni, ma Renzi oppone autonomia in contrasto con le motivazioni storiche dell'entrata dell'Italia nella UE monetaria, mentre la Governance qui non è cambiata

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.Edizione  di febbraio 2014 - For translation in english, click on: http://translate.google.it/
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UNIVERSITAS  News
Foglio on line sull'università, con  Forum di politica generale aperto a tutti.
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NINO LUCIANI * - Direttore responsabile

   * Prof. Ordinario di Scienza delle Finanze, Università.

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Nino Luciani
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Comité de Patronage: F. Bonsignori, A. De Paz, Elena Ferracini, Dario Fertilio, Enrico Lorenzini, Nino Luciani, Bruno Lunelli, Marco Merafina, Gianni Porzi, Franco Sandrolini

PAESI VISITATORI:  Italy, United States, United Kingdom, Germany, France, Netherlands, Ukraine, Poland, Russian Federation, Belgium, Canada, Switzerland, Greece, China, Finland, Denmark, Morocco, Spain, Israel, Sweden, Luxembourg, Romania, Australia, Costa Rica, Latvia, Turkey, Brazil, Malta, Austria, Moldova, Republic of Korea, Republic of South Africa, Malaysia, Bulgaria, Slovenia, Tunisia, United Arab Emirates, San Marino, Czech Republic, Egypt, India, Netherlands Antilles, Indonesia, Slovakia, Hong Kong, Croatia, Georgia, Senegal, Vietnam, Brunei Darussalam, Japan, Colombia, Macedonia, Mexico, Peru, Ireland, Aruba, Uruguay, Albania, Belarus, Philippines, Algeria, Portugal, Lithuania, Cote D'Ivoire, Hungary, Europe, Kuwait, Norway, Bolivia, Pakistan, Chile, Togo, Venezuela, Kenya, Panama, Iran.

EDIZIONE DI OTTOBRE 2014

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La BCE è tornata a dirci che la via per
la ripresa del PIL è il sostegno degli
investimenti privati e delle esportazioni.

Con la svalutazione del cambio €/$,
DRAGHI qualcosa è riuscito a fare. Ma in
Italia chi dovrebbe dare il sostegno ?

  Ma Renzi rivendica autonomia decisionale su misura dell'Italia, dimentico della "motivazione storica" che accompagnò la rinuncia dell'Italia alla sovranità monetaria, ossia la carenza di Governance, tuttora immutata.

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UNIVERSITA' DI BOLOGNA:
Codice Etico: un testamento ?

. I peccati dei professori:
  molestie sessuali e morali,
   nepotismo,  favoritismo,
   abuso della propria posizione,
  conflitto di interessi, regalie.
  Il peccato del rettore Dionigi: :oscuramento della informazione  sugli Organi di Ateneo,

SCELTE PUBBLICHE

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RENZI: "E' finito il tempo dei furbi. Contro l'evasione, onore-disciplina".

PADOAN: "Lotta all'evasione per ridurre la pressione fiscale".

LUCIANI:  FONDAMENTO ECONOMICO ED ETICO DELLA EVASIONE FISCALE: Alta fiscalità in rapporto a basse prestazioni dello Stato nell'economia e nel sociale.

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Università del Salento

 

Dal "CORSERA: Gian Antonio Stella, Insegnavi a Yale? Mettiti pure in coda.
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All’Università del Salento più punti a chi ha avuto cattedre negli atenei italiani

Luciani: No comment, ma due domande

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Legge elettorale

Testo Camera. La Corte Costituzionale sul Porcellum.
Nuove proposte:1) Premio
di maggioranza al partito
con il 40% dei voti;
2) Ballottaggio, se nessun partito ha il 40% dei voti; 3) Soglia di sbarramento ai singoli partiti in coalizione;
4) Preferenze

 

SCELTE PUBBLICHE :

renzi-terza via.jpg (4660 byte) Renzi, La terza via della sinistra
e la mia ricerca di un nuovo cammino.
caponnetto  f.jpg (197565 byte) Francesco CAPONNETTO,
Democristiani non utopisti visionari,
ma pieni di ardimento
cantelli gabriele.JPG (42713 byte) Gabriele Cantelli, Prove di Renzi-Berlusconi oltre la terza via, tra
riconoscimenti e coperture ?

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FORUM2

Tribunale di Perugia, Sentenza n. 109/11, in data 27/1/2011, riammette il prof. Nino Luciani nel Cipur, Clicca su Tribunale di Perugia - Financial Times

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Tag: BCE, Draghi, investimenti privati, esportazioni, Renzi ribelle a UE, autonomia, Italia, motivazioni storiche entrata Italia in UE monetaria, evasione fiscale, Renzi gatto, Padoan volpe, giustificazione differenze fiscali paesi nel mondo, giustificazione economica e morale evasione fiscale, pagare tutti per pagare meno, bugie, come erano trattati i debiti a Roma antica, retta via per abolire evasione, d'Albergo, sicilia, convegno, scienza delle finanze italiana, ARS assemblea regionale siciliana, palermo, palazzo dei Normanni 2014-31-10, legge elettorale Italia, nuove proposte, premio di maggioranza, ballottaggio, soglia sbarramento partiti, voto di preferenza, tag: terza via di Renzi, Caponnetto, democristiani pieni di ardimento, Gabriele Cantelli, prove di Renzi e Berlusconi otre la terza via, Gian Antonio Stella, parodia su universita' del Salento, insegnavi a Yale, due domande

 

FORUM 2 - 2014

tag: terza via di Renzi, Caponnettl, democristiani pieni di ardimento, Gabriele Cantelli, prove di Renzi e Berlusconi otre la terza via,

 

SCELTE PUBBLICHE:  RIFORMA DELLA POLITICA IN ITALIA

Matteo RENZI: La terza via della sinistra e la mia ricerca di un nuovo cammino.
Francesco CAPONNETTO, Democristiani non utopisti visionari, ma pieni di ardimento
Gabriele CANTELLI, Renzi-Berlusconi: prove oltre la terza via, tra riconoscimenti e coperture  ?

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Matteo RENZI, La terza via della sinistra
e la mia ricerca di
un nuovo cammino.

(Testo ripreso da Il Sole 24 ORE, 28 nov. 2014 )

1.-  Per tutto il Novecento, il destino della sinistra che cambiava le cose è stato quello della incessante ricerca di una terza via. Una ricerca appassionata e critica che, avendo a cuore che gli ideali di libertà e giustizia continuassero a orientare una politica per i cittadini e per il cambiamento, sapeva districarsi tra il cieco affidamento alle ragioni del mercato della destra e l'ideologismo statalista della sinistra estrema.
  Oggi quel compito è diventato più arduo. Ai due vecchi conservatorismi di destra e di sinistra, si è difatti aggiunta l'inconcludenza di un populismo che, oltre a tentare di permeare chiunque dei suoi pregiudizi, s'è fatto istanza politica a sé e reclama a gran voce il suo spazio. In Europa, in particolare, questo populismo ha avuto più successo che altrove, facendosi vanto di non essere interessato alla comprensione dei problemi e alla pronta definizione delle soluzioni, quanto piuttosto alla compilazione dell'elenco di presunti colpevoli. Un elenco che, seppure di tanto in tanto lasci intravedere i nomi di qualche vero avversario del cambiamento, è composto in maniera convenzionale e gretta.  Così, nel nuovo secolo già carico di mutamenti tali da apparire inimmaginabili anche negli ultimi anni del vecchio, il futuro della sinistra che cambia le cose è diventato più complesso.
   Sommatasi la loquace balbuzie populista ai due vecchi conservatorismi, il nostro compito è divenuto quello della ricerca di un nuovo cammino, originale e tuttavia memore del percorso fin qui realizzato.
  Non è soltanto una questione di numeri. Quando, sotto la spinta della stagione clintoniana, la sinistra definì i contorni della propria Terza via, riuscì nel suo intento perché seppe disinnescare il determinismo della destra focalizzato sulla inviolabilità del mercato e quello di una certa sinistra - che vediamo all'opera ancora oggi - centrato sulla sacralità dello Stato.
   La sinistra delle riforme aveva allora solo due avversari da sconfiggere. Due avversari, per così dire, convenzionali.
   Ci riuscì proponendo un umanesimo liberal-democratico, costruito sulla dialettica nuova tra quanto al mercato andava concesso in termini di realizzazione delle libertà dei singoli e quanto allo Stato era richiesto in ragione di un'estensione delle opportunità per tutti. Quella lezione e le conquiste che ne seguirono valgono ancora oggi.
   Eppure non sono più sufficienti. Il populismo, nemico non convenzionale nell'agorà della politica, si è affiancato ai due vecchi avversari e impone la sua presenza urlando e spaventando. Unico modo per neutralizzarlo è rispondere a quella legittima invocazione di trasparenza, che viene alla politica trasversalmente da tutti.
  La globalizzazione impone alle democrazie del mondo non soltanto di essere più veloci nelle proprie dinamiche di rappresentanza e nei processi decisionali. Richiede anche di rendere le dinamiche di rappresentanza e i processi decisionali più trasparenti che in passato.
    Per ridurre così la distanza che i cittadini percepiscono tra se stessi e le istituzioni, utilizzando anche i nuovi strumenti di comunicazione della Rete. Più velocità e più trasparenza, insomma: una sfida inedita per la storia del pensiero e delle procedure democratiche. E tutta qui sta la difficile opera della ricerca di una nuova via per la sinistra che vuole ancora cambiare il mondo per farlo più libero e più giusto.
   È successo e succede alla sinistra di affezionarsi troppo ai cambiamenti che ha realizzato negli anni passati. Si affeziona a essi al punto di pretendere di difendere le conquiste del passato anche quando diventano il principale ostacolo per le conquiste future.
    Un enorme paradosso per chi è di sinistra e sa che solo la continua realizzazione degli ideali di libertà e giustizia conferisce, per ogni generazione, un senso storico all'essere di sinistra.

2.-  Nemmeno alla Terza via è oggi possibile affezionarci. Certo, tutti noi abbiamo in tasca una bussola per attraversare il tempo del nostro impegno politico. Un oggetto familiare che portiamo con noi ovunque: una guida, più che un semplice strumento di orientamento.
   E per molti di noi la Terza via è stata la bussola del cammino degli ultimi anni.
   Quando nel 1999 Bill Clinton e Tony Blair convocarono a Firenze i progressisti di tutto il mondo, avevo ventiquattro anni e avevo deciso che per me la politica, intesa come cambiamento in positivo, come partecipazione e scelta, come impegno e responsabilità, poteva essere qualcosa di buono, un orizzonte possibile per trasformare in meglio la realtà. Tuttavia nella stagione presente dei grandi mutamenti della globalizzazione, la nostra vecchia bussola può indicarci la direzione sbagliata.
   Oggi i grandi mutamenti in corso agiscono, difatti, come inattesi e improvvisi campi magnetici che fanno saltare l'ago della Terza via.
   Solo una bussola nuova, costruita dalle passioni e dalle intelligenze del presente e ispirata dai bisogni reali che richiamano oggi il nostro impegno - penso, ad esempio, agli sforzi di riforma che stiamo facendo in Italia, dagli 80 euro al cambiamento dell'architettura istituzionale, così come ad altre esperienze in Europa e nel mondo che si muovono nella stessa direzione - può indicarci la giusta direzione del futuro. Una nuova via che si faccia strada tra i tanti e diversi che agitano paura e diffondono sfiducia, per indicare un nuovo verso per un futuro più prospero e più felice.

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Francesco CAPONNETTO, Democristiani non utopisti visionari, ma pieni di ardimento

NEL QUADRO DEI TENTATIVI IN ATTO
PER LA RICOSTRUZIONE DI UN PARTITO
UNITARIO DEI CATTOLICI, IN POLITICA 

  Non è facile, in questo panorama politico italiano, ed in questi periodi di particolare crisi democratica, scrivere della Democrazia Cristiana.
   E un fatto, a tutti noto, che un insieme di politici, con astute mosse, atte ad ingannare con illusioni fantastiche l'opinione pubblica, aspirano a farsi riconoscere dal Parlamento Italiano «Legati Apostolici».
   Essi hanno, cioè, la pretesa di ottenere il diritto speciale di nominare, al posto degli elettori, i Deputatinazionali ed i Senatori' .

  Anche il grande Conte norrnanno Ruggero, con una bolla pontificia conferitagli dal Papa Urbano II, ottenne la prerogativa della Apostolica Legazia, per cui i Vescovi siciliani erano nominati direttamente dal Re.
  Questo privilegio, durato molti secoli, generò tante vicende dolorose.

   Non è facile scrivere della DC, anche perché, mentre due nostri eroici connazionali tirano avanti alla meglio per non'fare la fine di Attilio Regolo, milioni di famiglie faticano ad a,rnvare alla fine del mese.

   Ma quello che ci deve servire da ammaestramento, è l'opinione di Galileo Galilei, che scriveva in una sua lettera: " Oggi è invalso l'uso che meglio sia errar con I'universale, che essere singolare nel rettamente discorrere".  Infatti una gran quantità di persone, in modo particolare quelle che diedero al pavido Mino Martinazzoli il malvagio consiglio di sciogliere la D.C., si considerano dei furboni e pensano di essere forti, solo perché numerosi. Perciò, senza diventare rossi in viso, dopo avere ammainato la bandiera della Democrazia Cristiana, oggi espongono la bandiera di ogni vento.

   La ragione particolare per la quale hanno abiurato la propria fede politica, ed hanno morso la mano che Ii ha nutriti, è nata dalla brama di amare solo se stessi ed i1 portafogli gonfio.

   L'orgoglio ridicolo del quale, questi "sciocchi politici di mal talento pieni" vanno fieri, è la persecuzione della D.C.; i loro eroi sono i disertori, che reclutano milizie mercenarie per pugnalarla alle spalle; le loro divinità tutelari sono i volti velati dei ruffiani prezzolati, che nei momenti bui e pieni di affanni della disfatta, la spingevano verso gli scandali di tangentopoli per farla cadere nella palude, al fine di ridurre i suoi meriti ed il suo onore, ad un brandello di sogni.

   Ma il ricordo del Partito e degli uomini di valore che avevano dato vita alla D.C., ora torna ad esercitare un profondo fascino.

  Ecco perché, non uomini di valore, ma uomini qualsiasi, o come dice Leonardo Sciascia, mezzi uomini e quaquaraquà, con la forza delle pugnalate dei congiurati, tentano di spegnere Ia Vita de1la D.C. e la sua storia.

   Un Partito, che non ha bisogno di cambiare il nome, non ha bisogno di cambiare il simbolo perché rappresentano un pregio, una importanza morale che affonda le sue radici nell'etica cristiana e trae onore e vanto dal Magistero Ecclesiastico.

DEMOCRAZIA CRISTIANA,
in queste due parole sta tutta la grandezza e la maestà di questo Partito, al quale, se vuole avere un awenire, spetta la gravosa responsabilità di individuare
l'Agamennone della sua Iliade.

Francesco Caponetto

P.S.: E' del Manzoni il verso che, se non è bello, esprime però una grande verità: <l forti non sarem, se non siam uni ! ".

Roccella Valdemone (MESSINA)

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Gabriele CANTELLI, Prove di Renzi-Berlusconi, oltre la
terza via, tra riconoscimenti
e coperture  ?

  1.-   In prima pagina troviamo Napolitano: "Sul lavoro ci vuole più coraggio, basta conservatorismi".
  E' chiaro il riferimento alla tensione nel PD che suona come un intervento di mutuo soccorso della Presidenza della Repubblica, a sostegno del Presidente del Consiglio e che, dagli Usa, dove si trovava in viaggio promozionale fra i cugini democratici, con la solita delicatezza dell'elefante nella camera degli specchi, avvertiva l'irrefrenabile desiderio di affermare:"pronto allo scontro con i sindacati, se vogliono",

   Allora da una parte, Napolitano con Renzi,e dall'altra, quelli che sulla questione del superamento dell'articolo 18 si portano dietro un loro passato nel quale il sindacato era la cinghia di trasmissione del partito e viceversa anche in funzione della formazione del personale politico spesso intercambiabile.

  I ruoli a double face,  giocati da Cofferati ed Epifani bastino a rappresentare una serie infinita di casi a livello nazionale, regionale e comunale di esperienze politiche e sindacali animate da una comune convinzione dell'importanza dei consigli di fabbrica come avamposti della collettivizzazione dell'economia.

2.-  Si tratta ora di vedere se la questione della soppressione dell'articolo 18, per le sinistre catto-socialiste che fanno parte dell'opposizione interna al PD, costituisce solo un onorevole pretesto per perseguire un nuovo equilibrio nel partito o se, di fronte alla intransigenza sindacale, esse portino la tensione interna al PD oltre il limite della rottura, come la sottoscrizione e presentazione degli emendamenti al testo governativo farebbero ritenere .

  3.- Ma potrebbe essere il Renzi a cogliere buona la occasione per provocare le condizioni di una scissione a sinistra usando nei loro confronti la stessa delicatezza con la quale si mossero i giovani cattolici approdati nella DC per acquisirne sedi e simbolo e non la storia, facendoli sentire stranieri in patria nelle sezioni di un partito che comunque vadano le cose non è più il loro.

  In questo momento diviene particolarmente importante il ruolo di un Berlusconi che, volenti o nolenti, sta restituendo a Renzi il favore ricevuto quando l'astro nascente, dopo averlo dichiarato a legame overall, a fine partita per la condanna definitiva nella quale era incorso, lo ricevette in sede al Nazzareno riconoscendone la piena rappresentatività della maggior forza di opposizione, la piena capacità di sottoscrivere accordi politici.

  Ora è¨ Berlusconi col suo fido Brunetta a dire che ove Renzi mantenga la sua posizione sull'articolo 18 e le riforme concordate con la opposizione di centrodestra, potrà contare sui suoi voti fino alla costituzione di un governo delle larghe intese.

  L'arroganza con la quale il giovane leader del PD si sta muovendo in campo nazionale ed internazionale, dicendo anche quanto sa di non poter mantenere per gli stessi vincoli europei nei quali incepparono i suoi predecessori, fa ritenere che Renzi stia pensando alla costituzione di una nuova forza politica che, eliminata la sinistra catto-comunista (da Bindi a Bersani) comprenda sinistra cattolica e socialdemocratici ,un nuovo partito espressione di un moderato classismo, pronto a riconoscere l'impegno di quegli imprenditori illuminati, da sempre in grado di rapportarsi con tutti i tipi di maggioranza a livello nazionale e locale, (Mediaset compresa), purchè sia assicurata quella concertazione pubblico privato, che anche in Emilia Romagna ha dimostrato di essere determinante per la programmazione urbanistica del territorio.

   In tal caso sarà la grande cooperazione, in possesso degli agganci giusti per svolgere un ruolo e coagulo e di guida delle cordate di interessi trasversali, a rappresentare la sinistra sociale al posto di un sindacato i cui riferimenti culturali non corrispondono alla attuale dimensione elettorale del PD.

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SCELTE PUBBLICHE:  RIFORMA DEI PARTITI IN ITALIA

UNA CONVENTION DEI CATTOLICI TASSONE, FONTANA, ALESSI  E ALTRI

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On. Avv. Gianni Fontana

LA CONVENTION DI FONTANA E TASSONE
a Roma, Auditorium Domus Pacis, Via della Torre Rossa 94
il 10 ottobre 2014, ore 10,00


Verso la rianimazione di un partito "di" cattolici,
dopo il flop della UDC nelle elezioni del 2013 .


LE LETTERE DI FONTANA E TASSONE

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On. Avv. Mario Tassone

La sequenza delle mini-DC nelle elezioni politiche, dal 1994
ad oggi, prova che un partito di cattolici non è mancato mai.
Perchè tutte queste mini-DC sono rimaste "nane"?

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Nota. La DC, dopo il presunto scioglimento nel 1994, voluto da Martinazzoli, fu surrogata dal PPI, da cui scaturirono il CDU di Buttiglione e Tassone, e poco dopo il CCD di Casini. Poi, da questi ultimi scaturì  l'unione in UDC, con l'aggiunta di DE-Democrazia Europea di D'Antoni.
   Si direbbe che un partito di cattolici non sia mancato mai per l'elettorato, eppure il successo elettorale di questa presenza è rimasto "nano".
   Approfondire i motivi delle varie scissioni e del flop elettorale dell'UDC nel 2013 è un passaggio necessario per la "buona" CONVENTION.
   Va preso, poi, atto che nella primavera 2014 il CDU è uscìto dalla UDC, e ciò ha messo in minoranza CASINI dentro la UDC, la quale adesso aspira ad una "unione di fatto" con il NCD. Poi, ferve una discussione al centro e nel centro destra, per l'invenzione di un'alternativa al PD.

La lettera di Gianni Fontana

   Gentili amiche e cari amici,
insieme ad altri organismi associativi e politici, sulla linea dell’assemblea del 18-19 gennaio u.s. e degli ultimi incontri degli iscritti, venerdì 10 ottobre, dalle ore 10,00 alle 14,00, presso la Domus Pacis via di Torre Rossa 94 Roma, abbiamo convocato una riunione al fine di giungere ad una concreta e costruttiva intesa finalizzata a condurci alla fondazione di un nuovo soggetto politico entro il presente anno.
   E’ nostra convinzione che i tempi siano maturi per portare a termine quel tentativo che la nostra Associazione, sin dalla nascita, ha perseguito con tenacia, generosità e speranza: la costituzione di un partito popolare, riformatore, europeista, animato dal pensiero cristiano e dallo spirito dei costituenti.
  Un partito impegnato a testimoniare il radicale insegnamento di Papa Francesco e le virtù civili iscritte nella Carta: il partito della gente, delle donne e degli uomini di buona volontà che non si sentono rappresentati dall’attuale assetto politico o che vi aderiscono come malinconica scelta del male minore.
  Il partito che torna a riscaldare il cuore di chi, con la triste scelta dello astensionismo e del disimpegno, si è lasciato andare, per rabbiosa rinuncia o non curante indifferenza, ai margini della politica. L’appuntamento del prossimo venerdì avrà un senso se la chiarezza, la qualità, l’originalità del “progetto Paese” saranno supportate da una forte partecipazione, motivata e consapevole.
   Partecipazione convinta che la battaglia in cui dovrà spendersi è quella di tornare ad essere parte ed aver parte nella vita civile dell’Italia per la costruzione del “bene comune”.
   A tal fine sono a chiedere non solo la tua presenza ma di impegnarti a fondo per sollecitare l’adesione di quanti auspicano un cambiamento che trova la sua radice nella ricostruzione della persona umana disorientata e mutilata dalla superficialità, dall’egoismo dai fondamentalismi e dall’imperante relativismo etico e politico. Il 10 di ottobre, alla Domus Pacis, dovrà segnare la nuova aurora della politica italiana.
    Fraterni e benauguranti saluti.
                  Gianni Fontana

La lettera di Mario Tassone

               Caro amico,
sono lieto di invitarTi a partecipare alla manifestazione che il CDU, insieme ad altre associazioni e formazioni politiche ha organizzato per il prossimo 10 ottobre alle ore 10.00 all'Auditorium Michelangelo presso la Domus Pacis Torre Rossa Park in Roma.
    Questo fa seguito ad un impegno costante che il nostro Partito ha assunto, per favorire il coinvolgimento ad una aggregazione fra soggetti che intendono portare avanti un'azione tendente a recuperare il senso della politica, così come più volte abbiamo detto e così come è stato deciso anche dal nostro Congresso nazionale del 14 e 15 marzo.
   E' una grande occasione che dobbiamo cogliere, ecco perché chiedo la vostra presenza mobilitando anche gli amici.
    Dobbiamo dimostrare che la politica non è naufragata in una indistinta e dannosa omologazione, ma ci sono fermenti vitali su cui bisogna scommettere, perché i grandi ideali ed i grandi valori della democrazia e della libertà non siano messi in discussione attraverso operazioni che sono estranee alla storia politica e culturale del nostro Paese.
   Ti ringrazio per l'attenzione e Ti invio i miei più cordiali saluti.
                   Mario Tassone

Alberto Alessi, Il Commento e il buon viatico

  L’appello di Fontana e Tassone “Uniamoci” è un appello lanciato agli uomini di buona volontà, con un convegno a Roma il 10 ottobre 2014.
   Non è un richiamo ai cattolici, non è infatti questo il compito di un movimento che vuole ispirarsi ai valori cristiani, per formare un nuovo partito “dei” cattolici, ma anche “di” cattolici, cioè uniti intorno ad un programma con al centro l’uomo, che dovrebbe agganciarsi al Maritain umano e metafisico.
   Poiché l’incontro umano, tra coloro di uguale identità culturale, è una questione importante, dove lì si scopre la dignità, l’intelligenza, la sincerità dell’altro, e dove si può trovare una verità nuova, correndo forse il rischio di un fallimento, ma archiviando la tentazione del potere, perché non vi è maggior potere che servire.
    Saranno gli aderenti al progetto fontaniano-tassoniamo a tracciare il sentiero dove nessuno deve sentirsi escluso e nessuno privilegiato.

Nino Luciani, Una sintesi delle cose ... e dei perchè ...

1.- Deve tornare la DC ? Negli ultimi anni, è via via cresciuto, tra i cattolici a livello individuale, il fervore per il ritorno della DC storica, pensosi che solo attraverso l’unione si possa contare in politica, campo di grandi ideali ma anche di grandi interessi contrapposti.
   La tensione è massima, oggi, alla constatazione che l'Italia (dal 1994, vale dire dalla caduta della DC) si trova di fronte agli stessi problemi, da 20 anni, anzi aumentati e con pessimismo sul futuro: meno attenzione a famiglia, formazione, scuola; caduta dei posti di lavoro, caduta del PIL, oppressione dei partiti sulla società civile sotto forma di cattura del danaro pubblico per i partiti e per arricchimento personale.
   Ma anche la DC, pur benemerita della ricostruzione post-bellica dell'Italia e del suo straordinario progresso economico e sociale, negli ultimi 10 anni (vale dire negli anni '80) è risultata non immune dalla corruzione.  


Continua: LUCIANI:
   Questo fatto ha alimentato l'idea che c'è, per tutti i partiti, un problema di riscoperta dei valori profondi della politica, ma anche di revisione del sistema politico, alla luce delle grandi democrazie, dove la chiave appare l'alternanza tra i grandi partiti al potere (non fu così tra DC e PCI, ma anzi ci fu un "compromesso storico" per imbrigliare tutto.

2.- Per l’unità dei cattolici in politica. Solo questo ? Torno alla caduta dei grandi valori, nella politica.  Sia chiaro, innanzitutto, che i grandi valori non sono un monopolio dei cattolici (e basti ricordare le grandi culture del liberalismo e del socialismo, delle grandi religioni).
  Al tempo stesso, ricordato il ruolo dei cattolici nella storia d'Italia, appare una danno grave, per la Italia, l'assenza organizzata del mondo laico cristiano, e difatti una cosa è la forza politica delle proposte individuali, altra cosa è quella delle proposte unitarie.
   Tuttavia, come si vede dalla tabella sopra costruita, non è mai mancato un partito di derivazione DC nel parlamento italiano. E', dunque, dove sta il problema di riorganizzazione della DC storica?

3.- Non solo questo . Come mai a partire dal PPI, successore diretto della DC, si sono viste, via via, tante ulteriori scissioni, parziali ricomposizioni e nuove scissioni ? Evidentemente qualcosa è andato storto tra i "neo-DC", e forse prima di tutto i fallimenti elettorali.
   E come mai la UDC (il partito più simile alla DC) è risultato non solo fallimentare, a livello elettorale (2013), ma è anche incappato in una scissione a sua volta ? (Quella del CDU).
   Sento la responsabilità di non potere addurre motivazioni sicure. Qualcuna, forse, la vedrei:
  a) la prima è la sproporzione tra uomini come Casini e Berlusconi. L'ho visto da un fatto significativo, irripetibile: nel 2008, al momento della caduta in minoranza del Governo Prodi ( per venir meno in Senato dei tre voti di Mastella UDEUR), Casini avrebbe potuto salvare Prodi con i suoi 40 voti, divenendo determinante la nuova maggioranza e ricostruire la DC, e fors'anche aspirare alla Presidenza del Consiglio nella legislatura successiva.
    Ma Casini buttò via l’acqua e il bambino. Era una scelta troppo "grande" per un uomo "piccolo" come lui ?
   b) la seconda il ruolo primario del "lucro personale" nei politici di oggi, anche in quelli che si proclamano "cattolici".

4.- In cerca di un rimedio alle deviazioni dei politici. Questa anomalia (ruolo del lucro personale) non va demonizzata, ma presa realisticamente, come base per una giusta correzione di questa "anomalia".
  A livello della scienza delle finanze, precisamente di quella sezione che riguarda le "scelte pubbliche", è stato definitivamente acquisito il contributo di J. Buchanan (premio Nobel), secondo cui i politici sono dei comuni mortali e dunque, (come i comuni imprenditori) sono mossi primariamente dall’interesse personale, e solo in seconda luogo dall’interesse pubblico.
   Su questo, rinvio ad un mio libro, recensito da Sergio Quinzio (sul settimanale SETTE de Il Corriere della Sera), che ne ebbe scandalo. E difatti, per un cattolico come lui, la politica è solo e solamente un servizio alla società civile.
   Dobbiamo abituarci, invece, a prenderne atto, e regolamentarlo, perché il binomio interesse personale-interesse pubblico vadano insieme correttamente.
   Il punto è mai dimenticare che il bene e il male stanno in noi e che vanno realizzate le condizioni perché prevalga il bene.
  Nel caso del mercato, varie leggi hanno già dettato regole: divieto di limiti alla concorrenza, lotta ai monopoli, divieto di adulterazioni dei prodotti, obbligo di indicare la composizione dei prodotti e la loro origine geografica ….
  Nel caso della politica, quali solo le leggi ? Direi che ci sono solo le leggi penali. Proviamo a dare qualche indicazione:
   a) oggi i partiti sono associazioni private. Questo non può essere.
  Qui il punto più nero è un acordo tra alcuni gruppi riesca a trasformare il partito in una proprietà personale, attraverso la cattura del consenso degli iscritti (come avvenne nella DC) ;
   b) oggi la governance dello Stato è debolissima per eccesso di frammentazione (dualismo tra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio); precarietà temporale del governo e infatti, in qualunque momento durante il quinquennio della legislatura, una delle camere può revocare la fiducia; il parlamento è polverizzato tra molti partiti).
   In queste condizioni anche una persona per bene e piena di volontà non può fare nulla di significativo, e chiunque (mosso dall’interesse personale) ha potere di veto.

5: Ultimo, ma non ultimo: un limite allo statalismo. Lo statalismo a oltranza è la sede naturale delle "deviazioni", perché qui, quasi per definizione, i vari operatori pubblici non portano individualmente la responsabilità economica dei fallimenti.
   Qui, in caso di inefficienze, paga "Pantalone". La storia dell’URSS è stata molto illuminante. Il settore pubblico era governato dal PCUS e dalla burocrazia e, quando esso si allarga troppo, la società civile cade in ostaggio di queste due categorie. Gorbaciov l’aveva chiamata "NOMENCLATURA".
  In Italia constatiamo la stessa cosa, sia pur in proporzione al grado di socialismo (60% in Italia, 95% in URSS).
   E non c'è solo un fatto di aggressività politica dei partiti, ma anche sociale, e infatti le attività private nel sociale subiscono la concorrenza di quelle pubbliche (in quanto gratuite), pur se spesso inefficienti.

 

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Gabriele Cantelli

MENTRE CONTINUA LA DISCUSSIONE
SUL RITORNO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA


Gabriele Cantelli, Diffidare delle grossolane imitazioni della DC

  SINTESI. Con la vittoria del PD, per il detertminante contributo di forze estranee alla sua cultura e le dimensioni interclassite assunte da quel partito, il problema della rinascita della D.C diviene essenzialmente di natura religiosa. Si tratta di accertare,a breve scadenza se anche il divorzio breve e il matrimonio gay cui a breve o medio termine segurà il testamento della fine vita per una dolce morte morte a cura del S.S.N , verranno considerati rientranti in quel progressismo inarrestabile nel quale la Chiesa intenda svolgere il ruolo di onlus ospitaliera dei delusi e delle vittime ,o se vorrà sostenere la sacralità del creato , della nostra esistenza compresa, minacciata non tanto e non solo dalla provertà quanto da quel danichilismo progressista nato dall'identificazione della verità nella prova scientifica . La dimensione del problema non é certamenta al livello di un ragioniere che comunque ha voluto e dovuto comprendere ,a proprie spese,il processo politico della Democrazia Cristiana e delle altre forze politiche per conoscere la fisionomia dei propri interlocutori e finire vittima di giovani cattolici,forniti di quell' assistenza ecclesiastica che progressivamente ci é venuta a mancare, che della discontinuità dalla nostra esperienza politica,fecero l'arma per per definirla un incidente storico.Se Dio ci ha dato la forza d'animo per affrontare un confronto tanto più pesante quanto ristrette siano le dimensioni geografiche del nostro impegno, dove conoscendoci direttamente conosciamo le vere ragioni del cambiamento di umore e schieramento politico di amici in avversari , sta diventando assurda la continuità della nostra testimonianza politica avendo contro una parte del Clero e dell'associazionismo cattolico.
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Diffidare ...

  Una analisi del successo del PD alle Europee, confermato delle contemporanee amministrative, che si fermasse al contributo determinante dei terrorizzati dai proclami di Grillo sarebbe per lo meno superficiale ove non venisse collegato all'eterogeneità del corpo elettorale che già alle primarie indette per l'elezione del segretario di quel partito aveva concorso alla costruzione del fenomeno Renzi che dell'affermazione si è avvalso per la inarrestabile ascesa alla presidenza del Consiglio.

   Parziale anche se suggestiva pertanto è la tesi dei più noti commentatori politici che per consistenza ed eterogeneità dei consensi hanno assimilato la vittoria del PD di Renzi a quella della D.C alle elezioni del 1958 quando indubbiamente allora come nelle successive tornate elettorali ai voti dei democratici cristiani si aggiunsero si aggiunsero di quanti temevano il concreto rischio di una vittoria comunista.

   Purtroppo sostanzialmente all'interno dello schieramento di centrodestra l'analisi si è fermata alle ragioni dello scampato pericolo grillino quando di ben altro spessore sono le ragioni dell'umore di quell'elettorato che ha votato Renzi avendo capito che all'accanimento giudiziario nei confronti del suo leader si era aggiunto l'accanimento terapeutico per mantenerlo in sella nonostante il suo percorso politico fosse giunto al capolinea.

  E' purtroppo senz'altro vero che, lungo tutti i vent'anni dalla sua meritoria discesa in campo, nell'intero schieramento di centrodestra nessuno abbia voluto, saputo o potuto dimostrare le qualità necessarie e sufficienti a offrire un modello di leadership più consono a interpretare la serietà delle preoccupazioni degli italiani. Così particolarmente nella fase conclusiva della recente campagna elettorale Renzi ha potuto rivolgere all'Europa l'invito a cambiare registro per consentire col rilancio economico la ripresa occupazionale, sostanzialmente la stessa linea tenuta da Berlusconi,usata invece contro di lui in quanto definita antieuropea

per scalzarlo dalla presidenza del Consiglio e sostituirlo con un Monti più gradito alla masso-tecnocrazia finanziaria internazionale.

  Ma siamo proprio certi che basteranno la eliminazione delle Provincie,la soppressione del Senato e la riforma elettorale,l'istituzione di un commissariato anticorruzione a rendere l'idea della nostra volontà di cambiamento quando fino ad ora nessun partito ha avviato al suo interno una verifica della propria estraneità al sistema politica-affari più serenamente operante quanto più ampi e politicamente sostenuti siano i cartelli delle imprese(cooperazione compresa), di esso partecipi?

  La superficialità delle analisi dei partiti accompagnata dalla distrazione e dal vuoto culturale dei molti che periodicamente compiono lo sforzo di rispondere all'appello elettorale essendo essi sempre in tutt'altre faccende affacendati potrebbe consentire al PD,sull'onda del successo di Renzi, di collocarsi nello spazio che fu della Democrazia Cristiana della quale in tanti avvertono la nostalgia e il pudore di rivelarlo per la sua fine traumatica in tangentopoli.

   A rendere possibile questa evenienza potrebbe essere l'apporto di una componente interclassista determinante il successo che Renzi non lascerà disperdere alle prossime elezioni politiche.

    A impedire il cambiamento della identità originariamente classista non sarà la componente marxista dalla quale il lifting verrà ritenuto una operazione strategica necessaria a garantire l'egemonia politica del partito e, sul piano più propriamente economico,quell' incontro fra razionalismo marxista ed economicismo liberale che Croce,agli inizi del '900 preconizzò potesse avvenire.
    Come nessun ostacolo all'apporto delle diverse culture è rappresentato dalla diversa e contrapposta considerazione interna allo stesso partito dei valori definiti non negoziabili quando l'Autorità religiosa,ai suoi massimi livelli, dovesse dare l'impressione di consentire l' impostazione dei cristiani adulti che

ritenendoli appartenenti alla sfera religiosa, li hanno relegano alla sfera individuale assoggettata a tutela della privacy.
    Ove prevalesse la sensibilità pauperista sulle preoccupazioni per un progressismo che esclude Dio la Chiesa assumerebbe quel ruolo di Onlus di dimensioni mondiali che le merita il rispetto di quanti, non credenti,in quanto nei sacerdoti riconosce il duplice ruolo di assistenti sociali e custodi del patrimonio artistico del quale le chiese sono i pregevoli scrigni contenitori.

   La situazione politica che ho delineato é tutt'altro che fantascientifica: è esattamente quella che viviamo nelle realtà locali amministrate dalle sinistre dove sul piano propagandistico dai diversi amboni si predica contro il capitalismo mentre sui " tavoli di concertazione pubblico-privato" con gli imprenditori siedono i rappresentanti delle istituzioni politiche e sindacali per discutere interventi sul territorio altrimenti passibili di pericolose interpretazione di cartelli e comitati d'affari.

    Nell'attuale contesto che vede a livello locale la moltiplicazione delle liste civiche per lenire il risentimento popolare nei confronti dei partiti storici ritenuti complici della situazione di degrado in cui si trova il Paese, la ripresentazione della Democrazia Cristiana non avrebbe senso se non condividessimo l'esigenza di fare chiarezza sulle ragioni per le quali al momento della diaspora delle realtà correntizie della passata esperienza partitica prevalse la logica spartitoria dei beni materiali (immobili e mobili)e immateriali( il simbolo scudocrocaiato), sul dovere di difendere l' onorabilità degli iscritti al partito da chi, nello stesso ambiente cattolico, aveva tutto l'interesse a non separare il grano dal loglio per bruciare l'intera esperienza storica del nostro partito.

   Per ricandidare la Democrazia cristiana alla guida del Paese occorre la volontà di separare le ragioni del potere fine a sé stesso dalle ragioni dell'impegno politico dei cattolici quando chi ha condotto i reduci in schieramenti contrapposti ha finito per accreditare la tesi che il nostro partito con la fine del comunismo avesse esaurito il compito ad esso affidato dalla storia.

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NUOVI SCANDALI, LEGATI ALLA SPESA PUBBLICA


Gabriele Cantelli, La nuova Tangentopoli

  
TANGENTOPOLI A PUNTATE

Con tangentopoli1 la fine della prima Repubblica ! Con tangentopoli2 lo sconquasso dell'attuale sistema democratico ?

La sopravvenienza di un nuovo ciclone giudiziario in un contesto di grande sofferenza sociale quale l'attuale, accresce il rischio che sull'onda emotiva causata dal sapiente dosaggio delle notizie in cronaca,finisca per prevalere l'irrazionalita' del populismo giustizialista di Grillo che col suo il suo progetto sintetizzabile nella destituzione di Napolitano e nell'assunzione della guida del Governo, porterebbe il Paese allo conquasso istituzionale.

Questo certamente non significa che la Magistratura nell'attuale momento politico,non debba esercitare il suo ruolo in assoluta autonomia, ma certamente meglio sarebbe stato che la clamorosa emersione di una realta' sconvolgente, quale quella che si sta delineando, fosse avvenuta prima della presentazione delle diverse liste in gara alle prossime elezioni per consentire, con la verifica delle capacita' di penetrazione del potere corruttivo sugli equilibri interni ai partiti,la adozione delle misure necessarie a individuarne e colpirne i referenti politici .

Le pressoche' due settimane che ci separano dalle prossime elezioni infatti non bastano a mettere a fuoco le vere responsabilita' delle forze politiche implicate in una vera e propria crisi di sistema della quale le vicende giudiziarie di Berlusconi e la sua pretesa di risolverle a livello politico secondo una logica ricattatoria nei confronti della Presidenza della Repubblica e del Governo, non era che la punta dell'iceberg.

  Se la scissione di F.I da parte di una schiera di parlamentari guidata da Alfano e' frutto di una importante scelta fra detta logica e l'impegno di governo nell'interesse del Paese, nella situazione alla quale ci troviamo rischia di non bastare il tempo necessario alla sua componente politica per occupare lo spazio che intercorre fra F.I di Berlusconi e il PD di Renzi dal quale si autoescludono una destra e una sinistra incapace di uscire dalle suggestioni di antichi ricordi.

Certamente non basta a definire i contenuti di quest'area centrale l' accordo elettorale del NCD con la UDC raggiunto in funzione dell'esigenza di conseguire il quorum richiesto per rappresentanza delle forze politiche numericamente inferiori, quando l'appiattimento del partito di Casini nelle ragioni del potere concretizza il rischio che alla sommatoria degli indici di gradimento delle componenti non corrisponda, per

difetto, il risultato elettorale della loro unione.

La presenza dello scudo crociato ,singolo o associato che sia a quello del NCD, ha infatti un senso solo se ad essa venga dato il significato di un deciso rinnovato impegno politico dei cattolici in difesa di quei valori etici e morali dalla cui mortificazione e' dipesa la degenerazione dell'attuale sistema democratico; impegno, nell'area di sinistra, relegato alla sfera personale per favorire la confluenza nel PSE dell'ala classista cattolica con quello di derivazione marxista e, nell'area di centro destra, scivolato nel culto della personalita' di partiti ridotti a congregazioni di supporto del loro leader.

In considerazione di quanto avvenuto nella discontinuita' dall'esperienza delle Democrazia Cristiana la riorganizzazione di un Partito che ne voglia recepire il ruolo svolto nella ricostruzione del Paese non puo' non essere legata alla volonta' di aprire un confronto con l'intera area cattolica per una approfondita analisi dell'attuale situazione sociale anche alla luce del contributo, nel bene e nel male, degli appartenenti alle diverse realta' associative che fanno comune riferimento agli indirizzi della dottrina sociale cristiana. Questo e' la condizione dell'impegno di quanti fra le diverse opzioni del volontariato cattolico scelsero la azione politica nella Democrazia Cristiana incuranti sempre del prezzo della propria testimonianza.

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EDIZIONE PRECEDENTE

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Sentenza della Corte, Progetto Renzi-Berlusconi, Documento "alt" di 26 Costituzionalisti

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LA TESI DEI GIURISTI: "Riformulato il Porcellum, con pochi correttivi".

Nino LUCIANI:

1) La vera novità, rispetto al "Porcellum" è il premio di maggioranza su base nazionale anche al Senato, e questo eviterà diverse maggioranze tra le due camere. Circa il progetto di Renzi-Berlusconi, clicca legge elettorale
2) Rimane irrisolto il problema del frazionamento delle coalizioni, in più gruppi, dopo le elezioni, ossia il fenomeno dei "cambiacasacca" con caduta della maggioranza. Circa un rimedio, ripeschiamo il grande costituzionalista e membro dell'Assemblea costituente  COSTANTINO MORTATI
3) Pesa l'ipoteca della incostituzionalità, e Napolitano non potrà non rilevarla, data la sentenza fresca fresca della Corte Costituzionale sul vecchio Porcellum.
  
1.- Premessa. Personalmente ho sempre pensato che occorra una riforma costituzionale, che sottragga ai partiti il controllo del governo (partiti ladri, anche legalmente: vedi legge che aggirò il referendum costituzionale sul finanziamento pubblici dei partiti), e dunque permetta l'elezione del Presidente del Consiglio (per 5 anni) direttamente dai cittadini.
  Ed ho anche sempre pensato che, in assenza di una riforma costituzionale, l'unica via praticabile è una forzatura della interpretazione della attuale Costituzione (che è proporzionalista e sottopone il governo alla fiducia delle camere): ossia un nuovo porcellum, corretto.
   2.- I miglioramenti del "nuovo"porcellum. Il primo, più importante, è che il premio di maggioranza sarà su base nazionale anche al senato (oltre che alla camera), per cui è molto improbabile una diversa "maggioranza" tra le due camere.
   Il secondo miglioramento è la possibilità del ballottaggio tra i primi due partiti o le prime due coalizioni, se nessuna raggiunge il 35% dei voti totali delle elezioni.
  3.- Difetto rimasto: la possibilità dei cambiacasacca nel dopo elezioni. Qualora i due poli non siano partiti, ma coalizioni, non si può escludere il ripetersi di quanto ripetutamente avvenuto in passato, vale dire che la coalizione di maggioranza si frazioni in più gruppi, e in questo modo l'ostracismo ai piccoli partiti (disposto dalla nuova legge) non sarebbe estirpato.
   Sono convinto che questo fenomeno si potrebbe presentare anche se il premio andasse al partito maggiore, perchè Forza Italia non è un partito ideologico (ma un partito di affari) e il PD è una convivenza dell'anima liberale del PCI e dell'anima di sinistra della veccha DC. (Queste cose non
accadevano nella prima repubblica, quando c'erano due grandi partiti con un alto senso dello Stato, la DC e il PCI, a parte deviazioni gravi degli ultimi tempi, a causa del compromesso storico, anzichè della alternanza, tra loro, al governo).

4.- Quale rimedio al fenomeno dei cambiacasacca. Il rimedio al fenomeno comincia dalla valorizzazione dei piccoli partiti, non dal loro ostracismo. Questo li spinge a fare coalizioni forzate innaturali, ma che poi (nel dopo elezioni) si sciolgono. Il secondo rimedio consiste nel modificare la normativa costituzionale e questo ripropone la ineludibilità di riforme costituzionali e la insufficienza di riforme meramente elettorali. Vediamo meglio cominciando da questa, e riprendendo infine come aggregare i piccoli partiti.
  a) l'art. 67 della Costituzione dice che "ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". Dunque, la prima falla è nella Costituzione, per cui si ripropone il problema di modificare Costituzione, se si vuole evitare la polverizzazione della rappresentanza politica.
   L'art. 64 apre, però, alla possibilità di correttivi attribuendo alle camere il "potere regolamentare" per l'organizzazione interna. Ad es., in Senato il regolamento dispone che per la formazione di un gruppo occorrono almeno 10 membri. Alla Camera il minimo è 20.
   E' pacifico che l'autonomia organizzativa interna sia essenziale alla sovranità del parlamento, ma è anche evidente che la proliferazione dei gruppi potrebbe minare il corretto funzionamento del parlamento, e dunque ciò non attiene  ad un problema organizzativo, in senso stretto, perchè ha rilevanti effetti esterni.  

E'  possibile intervenire sulla formazione dei gruppi, senza minare l'autonomia organizzativa interna ?  La risposta non si trova facilmente nei testi di diritto costituzionale. La si trova, però, nelle lezioni del grande costituzionalista (e padre costituente) Costantino Mortati, di cui sono stato studente molti anni fa a Roma, e di cui riporto il paragrafo qui sotto.
In sintesi, per intervenire sul regolamento (circa la proliferazione dei gruppi), deve farlo la Costituzione direttamente o affidando alla legge il potere di regolazione, però nel rispetto nel diritto di auto-organizzazione interna, in senso stretto.
   5.- Le conseguenze benefiche per il problema della frammentazione. In premessa, evidenzio che la limitazione alla formazione del numero dei gruppi parlamentari è un modo alternativo per evitare la frammentazione dei partiti mediante sbarramenti alla entrata.

   Vediamo come. Ipotizziamo (come caso estremo) che la norma costituzionale disponga che in parlamento sono ammessi solo due gruppi, uno di maggioranza e uno di minoranza.
   Ipotizziamo anche (coma caso estremo) che la rappresentanza dei partiti sia ammesso con riparto proporzionale puro (senza alcun sbarramento).
   Come mettere d'accoro le conseguenze delle due ipotesi ? La soluzione sta nel disporre:
   -  che i due partiti maggiori costituiscano due rispettivi gruppi;
   -  che tutti gli altri siano tenuti ad afferire ad uno dei due, secondo la preferenza.
   In questo modo tutti sono vincolati a contribuire alla coesione, ma con forzature ragionevoli, meno pesanti della esclusione in partenza, propria degli sbarramenti all'entrata. Nino Luciani


TRE DOCUMENTI A CONFRONTO

CORTE COSTITUZIONALE: SENTENZA

N. 1 - ANNO 2014 nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalla legge n. 270 del 2005, promosso dalla Corte di cassazione nel giudizio civile vertente tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altro con ordinanza del 17 maggio 2013 iscritta al n. 144 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2013. 3.1.- La questione sollevata (dalla Corte di Cassazione) è fondata. Questa Corte ha da tempo ricordato che l'Assemblea Costituente, "pur manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno, il favore per il sistema proporzionale nell'elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul piano normativo, costituzionalizzando una scelta proporzionalistica o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria" (sentenza n. 429 del 1995). Pertanto, la "determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa" (sentenza n. 242 del 2014; ordinanza n. 260 del 2002; sentenza n. 107 del 1996). Il principio costituzionale di eguaglianza del voto - ha inoltre rilevato questa Corte - esige che l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizione di parità, in quanto "ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi" (sentenza n. 43 del 1961), ma "non si estende […] al risultato concreto della manifestazione di volontà dell'elettore […] che dipende […] esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni popolari" (sentenza n. 43 del 1961). Non c'è, in altri termini, un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest'ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico. Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell'ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 242 del 2014 e n. 107 del 1996; ordinanza n. 260 del 2002). Nella specie, proprio con riguardo alle norme della legge elettorale della Camera qui in esame, relative all'attribuzione del premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima di voti o di seggi, questa Corte, pur negando la possibilità di sindacare in sede di giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo profili di illegittimità costituzionale, in particolare attinenti alla ragionevolezza delle predette norme, ha già segnalato l'esigenza che il Parlamento consideri con attenzione alcuni profili di un simile meccanismo. Alcuni aspetti problematici sono stati ravvisati nella circostanza che il meccanismo premiale è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008). Successivamente, questa Corte, stante l'inerzia del legislatore, ha rinnovato l'invito al Parlamento a considerare con attenzione i punti problematici della disciplina, così come risultante dalle modifiche introdotte con la legge n. 270 del 2005, ed ha nuovamente sottolineato i profili di irrazionalità segnalati nelle precedenti occasioni sopra ricordate, insiti nell'"attribuzione dei premi di maggioranza senza la previsione di alcuna soglia minima di voti e/o di seggi" (sentenza n. 13 del 2014); profili ritenuti, tuttavia, insindacabili in una sede diversa dal giudizio di legittimità costituzionale. Gli stessi rilievi, nella perdurante inerzia del legislatore ordinario, non possono che essere ribaditi e, conseguentemente, devono ritenersi fondate le censure concernenti l'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. Tali disposizioni, infatti, non superano lo scrutinio di proporzionalità e di ragionevolezza, al quale soggiacciono anche le norme inerenti ai sistemi elettorali. In ambiti connotati da un'ampia discrezionalità legislativa, quale quello in esame, siffatto scrutinio impone a questa Corte di verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi "attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti" (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimità degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi. Nella specie, le suddette condizioni non sono soddisfatte. Le disposizioni censurate sono dirette ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale, ciò che costituisce senz'altro un obiettivo costituzionalmente legittimo.

IL DOCUMENTO DEI 26 GIURISTI*

G.Azzariti, M.Barberis, M.Bovero, E.Bettinelli, F.Bilancia, L.Carlassare, P.Caretti, G.Cocco, C.De Fiores, M.Dogliani, G.Ferrara, L.Ferrajoli, A.Musumeci, A.Pace, S.Rodotà, L.Ventura, M.Villone, E.Vitale, P.Adami, A.Falcone, G.Incorvati, R.La Valle, R.La Macchia, D.Gallo, F.Marcelli, V.Pazè, P.Solimeno.
(Fonte: IL MANIFESTO, 25 gen. 2014-01-27)

Nota. Per capire il Documento è forse utile leggere, prima, il progetto di legge.
Clicca su:

   La proposta di riforma elettorale depositata alla Camera a seguito dell'accordo tra il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi consiste sostanzialmente, con pochi correttivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale - il cosiddetto "Porcellum" - e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014.
  Questi vizi, afferma la sentenza, erano essenzialmente due.
  Il primo consisteva nella lesione dell'uguaglianza del voto e della rappresentanza politica determinata, in contrasto con gli articoli 1, 3, 48 e 67 della Costituzione, dall'enorme premio di maggioranza - il 55% per cento dei seggi della Camera - assegnato, pur in assenza di una soglia minima di suffragi, alla lista che avesse raggiunto la maggioranza relativa.
   La proposta di riforma introduce una soglia minima, ma stabilendola nella misura del 35% dei votanti e attribuendo alla lista che la raggiunge il premio del 53% dei seggi rende insopportabilmente vistosa la lesione dell'uguaglianza dei voti e del principio di rappresentanza lamentata dalla Corte: il voto del 35% degli elettori, traducendosi nel 53% dei seggi, verrebbe infatti a valere più del doppio del voto del restante 65% degli elettori determinando, secondo le parole della Corte, "un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente" e compromettendo la "funzione rappresentativa dell'Assemblea". Senza contare che, in presenza di tre schieramenti politici ciascuno dei quali può raggiungere la soglia del 35%, le elezioni si trasformerebbero in una roulette.

Il secondo profilo di illegittimità della vecchia legge consisteva nella mancata previsione delle preferenze, la quale, afferma la sentenza, rendeva il voto "sostanzialmente indiretto" e privava i cittadini del diritto di "incidere sull'elezione dei propri rappresentanti".
  Questo medesimo vizio è presente anche nell'attuale proposta di riforma, nella quale parimenti sono escluse le preferenze, pur prevedendosi liste assai più corte. La designazione dei rappresentanti è perciò nuovamente riconsegnata alle segreterie dei partiti. Viene così ripristinato lo scandalo del "Parlamento di nominati"; e poiché le nomine, ove non avvengano attraverso consultazioni primarie imposte a tutti e tassativamente regolate dalla legge, saranno decise dai vertici dei partiti, le elezioni rischieranno di trasformarsi in una competizione tra capi e infine nell'investitura popolare del capo vincente.

   C'è poi un altro fattore che aggrava i due vizi suddetti, compromettendo ulteriormente l'uguaglianza del voto e la rappresentatività del sistema politico, ben più di quanto non faccia la stessa legge appena dichiarata incostituzionale.    La proposta di riforma prevede un innalzamento a più del doppio delle soglie di sbarramento: mentre la vecchia legge, per questa parte tuttora in vigore, richiede per l'accesso alla rappresentanza parlamentare almeno il 2% alle liste coalizzate e almeno il 4% a quelle non coalizzate, l'attuale proposta richiede il 5% alle liste coalizzate, l'8% alle liste non coalizzate e il 12% alle coalizioni. Tutto questo comporterà la probabile scomparsa dal Parlamento di tutte le forze minori, di centro, di sinistra e di destra e la rappresentanza delle sole tre forze maggiori affidata a gruppi parlamentari composti interamente da persone fedeli ai loro capi.

   Insomma questa proposta di riforma consiste in una riedizione del porcellum, che da essa è sotto taluni aspetti - la fissazione di una quota minima per il premio di maggioranza e le liste corte - migliorato, ma sotto altri - le soglie di sbarramento, enormemente più alte - peggiorato. L'abilità del segretario del Partito democratico è consistita, in breve, nell'essere riuscito a far accettare alla destra più o meno la vecchia legge elettorale da essa stessa varata nel 2005 e oggi dichiarata incostituzionale.

   Di fronte all'incredibile pervicacia con cui il sistema politico sta tentando di riprodurre con poche varianti lo stesso sistema elettorale che la Corte ha appena annullato perché in contrasto con tutti i principi della democrazia rappresentativa, i sottoscritti esprimono il loro sconcerto e la loro protesta

   Contro la pretesa che l'accordo da cui è nata la proposta non sia emendabile in Parlamento, ricordano il divieto del mandato imperativo stabilito dall'art.67 della Costituzione e la responsabilità politica che, su una questione decisiva per il futuro della nostra democrazia, ciascun parlamentare si assumerà con il voto. E segnalano la concreta possibilità - nella speranza che una simile prospettiva possa ricondurre alla ragione le maggiori forze politiche - che una simile riedizione palesemente illegittima della vecchia legge possa provocare in tempi più o meno lunghi una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima, un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica onde sollecitare, in base all'art.74 Cost., una nuova deliberazione, con un messaggio motivato dai medesimi vizi contestati al Porcellum dalla sentenza della Corte costituzionale. Con conseguente, ulteriore discredito del nostro già screditato ceto politico.

Primi firmatari: Gaetano Azzariti, Mauro Barberis, Michelangelo Bovero, Ernesto Bettinelli, Francesco Bilancia, Lorenza Carlassare, Paolo Caretti, Giovanni Cocco, Claudio De Fiores, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luigi Ferrajoli, Angela Musumeci, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Luigi Ventura, Massimo Villone, Ermanno Vitale, Pietro Adami, Anna Falcone, Giovanni Incorvati, Raniero La Valle, Roberto La Macchia, Domenico Gallo, Fabio Marcelli, Valentina Pazè, Paolo Solimeno

Prof. Costantino Mortati, Corso di lezioni di diritto costituzionale italiano e comparato, A.A. 1957-58, Università di Roma “La Sapienza”, ed. Ricerche, Roma. (Le lezioni sulla riserva di legge sono state svolte dal prof. Sergio Fois, (pp. 233-237).

  La riserva dei regolamenti delle Camere del Parlamento,
   La nuova costituzione, all'art. 64, ha disposto che "ciascuna camera adotta il proprio regolamento, a maggioranza assoluta dei propri componenti”
Si chiede se da tali disposizioni si possa trarre argomento per l'esistenza di una "riserva" a favore del Parlamento, nel senso di escludere l'intervento della legge nella materia in essa rientrante.
A meglio intendere i termini del problema gioverà accennare al modo come storicamente si è affermata l'autonomia delle Camere.
L'esame comparativo dell'evoluzione subita dallo istituto in discorso mostra le diversità di manifestazioni secondo il grado dell'efficienza politica raggiunta dalle assemblee parlamentari. Così, mentre nelle monarchie germaniche si affermò la tendenza alla regolamentazione dell' attività interna delle Camere con legge, o addirittura con regolamento regio, viceversa in Inghilterra ed in Francia si verificò una netta affermazione di autonomia, pur con diversità di manifestazioni e di vicende.
Per quanto riguarda l'Inghilterra deve essere ricordato che il Parlamento era all'origine organo con competenza multipla, poichè, oltre a votare le leggi di imposta, aveva non solo funzioni amministrative di indole consultiva, ma anche giurisdizionali, in quanto formava la Suprema Corte di giustizia. Ed appunto nella qualità di organo giudiziario la Camera dei Lords rivendicò il privilegio della “lex et consuetudo Parlamenti”.
Tale privilegio importava anzitutto il potere di determinare in modo insindacabile la portata e l'ampiezza del modo d'esercizio delle proprie attribuzioni., ed inoltre quello di ottenere obbedienza dalle autorità amministrative con sanzione di punizione a carico dei disobbedienti per il reato di "contempt of Court".
Si giunse anche ad affermare l’efficacia dei regolamenti parlamentari pur se contra legem, desumendola dal carattere di giudicato che si attribuisce alle deliberazioni che li sancivano.
Le norme regolamentari, fondate in un primo tempo sulla consuetudine, vennero poi consacrate (all'epoca delle lotte del sec. XVII, ed allo scopo di rafforzarne la funzione che erano andate assumendo di arma contro il sovrano), in parte, nei Rolls of Parliament, distinguendosi negli "standing orders" (destinati a rimaner fermi fino ad esplicita abrogazione) e nei "sessional orders" con efficacia limitata alla sessione in corso.
In Francia, mancando una tradizione parlamentare, il potere di auto-organizzazione venne rivendicata dagli "Stati generali" sulla base della titolarità del potere costituente, di cui essi si proclamavano investiti. Così il Mirabeau assimilava il regolamento al "patto sociale", emergente all'origine dall'unanime consenso, e modificabile poi a maggioranza.
Da tale concezione si faceva altresì derivare il principio del carattere di organo nuovo assunto da ogni nuova assemblea, non vincolata perciò al regolamento emanato dalla Camera disciolta.
Con la Restaurazione si rivendicò alla legge il potere di regolare le attività delle Camere interferenti con quelle di altri organi, e con la legge 13-8-1814 si conservò tale differenziazione delle attività stesse, distaccandole da quel le fatte rientrare negli interna corpis, in senso stretto.
Il principio dell'autonomia delle camere si afferma in seguito in tutti i paesi, sembrando strumento necessario per l'esercizio della funzione di controllo sul governo affidato alle medesime.
Nella successiva evoluzione subita dal regime parlamentare, in senso "maggioritario" e con l'introduzione di elementi di accentuata eterogeneità  nella composizione delle assemblee, vengono ad affermarsi nuove esigenze che giustificano l'autonomia e che si esprimono, da una parte, nella tutela delle minoranze (o inversamente in quella della maggioranza contro 1'ostruzionismo" delle minoranze); e dall'altra nel bisogno di consentire 1"assolvimento dei maggiori compiti assunti dalla legge statale, meglio disciplinando (anche attraverso il sacrificio dell'autonomia dei singoli membri del parlamento, ormai legati alla disciplina dei gruppi parlamentari costituiti sulla base dei partiti) il lavoro affidato alle Camere.

5 Visto così lo svolgimento storico e la funzione attuale dei regolamenti parlamentari, occorre ora rendersi conto della loro posizione nell'ordine delle fonti.
E’ osservare come la Costituzione mentre, per una parte detta direttamente alcune norme relative all’attività delle Camere, (art. 62, 63, 64, 82), per un'altra parte affida alla legge la disciplina di rapporti attinenti ai membri del Parlamento (art. 69), ed infine rinvia al regolamento di disporre sul modo di esercizio delle altre funzioni.
Da quanto si è detto prima, si possono trarre argomenti sufficienti per ritenere che l'art. 64 sia solo "dichiarativo" di un potere appartenente in proprio, ed originariamente, alle Camere, perchè inerente alla loro posizione di organi sovrani, forniti di prerogative per la tutela degli speciali interessi che ad esse fanno capo e che importano una cornpetenza di autorganizzazione. diretta a sottrarre i propri membri a influenze estranee, ed a disporre dei mezzi personali e materiali necessari all'assolvimento dei propri compiti.
Risulta altresì confermato (sulla base delle premesse poste) il carattere £riservato" di tale competenza; sottratta ad ogni intervento del legislatore.
Si vedrà poi (sia pure fugacemente) se si possa ritenere sussistente anche la sottrazione, ad ogni sindacato, delle norme regolamentari.
Per quanto riguarda la riserva è da osservare come essa si desuma in modo decisivo dall’aggravamento di procedura per la formazione dei regolamenti dell’art- 64 e che rende insostituibile ad esse la fonte della legge ordinaria. Infatti, essendo quest'ultima validamente deliberata con il voto della metà più'' uno dei presenti, la disciplina, con essa dettata, degli interna corporis non offrirebbe la garanzia che il voto favorevole della metà più uno dei componenti offre; e pertanto verrebbe a contraddire all'esigenza, voluta tutelare, della costituzione.
Se problema vi è, esso si riferisce ai limiti entro cui deve ritenersi contenuta la materia propria degli interna corporis riservata al Parlamento.

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Questo obiettivo è perseguito mediante un meccanismo premiale destinato ad essere attivato ogniqualvolta la votazione con il sistema proporzionale non abbia assicurato ad alcuna lista o coalizione di liste un numero di voti tale da tradursi in una maggioranza anche superiore a quella assoluta di seggi (340 su 630). Se dunque si verifica tale eventualità, il meccanismo premiale garantisce l'attribuzione di seggi aggiuntivi (fino alla soglia dei 340 seggi) a quella lista o coalizione di liste che abbia ottenuto anche un solo voto in più delle altre, e ciò pure nel caso che il numero di voti sia in assoluto molto esiguo, in difetto della previsione di una soglia minima di voti e/o di seggi. Le disposizioni censurate non si limitano, tuttavia, ad introdurre un correttivo (ulteriore rispetto a quello già costituito dalla previsione di soglie di sbarramento all'accesso, di cui al n. 3 ed al n. 6 del medesimo comma 1 del citato art. 83, qui non censurati) al sistema di trasformazione dei voti in seggi "in ragione proporzionale", stabilito dall'art. 1, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957, in vista del legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili governi, ma rovesciano la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la rappresentatività dell'assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell'organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l'art. 1, secondo comma, Cost. In altri termini, le disposizioni in esame non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa dei voti; e ad essa assegnano automaticamente un numero anche molto elevato di seggi, tale da trasformare, in ipotesi, una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell'assemblea. Risulta, pertanto, palese che in tal modo esse consentono una illimitata compressione della rappresentatività dell'assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della "rappresentanza politica nazionale" (art. 67 Cost.), si fondano sull'espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di "una caratterizzazione tipica ed infungibile" (sentenza n. 106 del 2002), fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.): ciò che peraltro distingue il Parlamento da altre assemblee rappresentative di enti territoriali. Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l'assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all'assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.). Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961) ed assume sfumature diverse in funzione del sistema elettorale prescelto. In ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano, nei quali pure è contemplato detto principio e non è costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice costituzionale ha espressamente riconosciuto, da tempo, che, qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell'elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del "peso" del voto "in uscita", ai fini dell'attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell'organo parlamentare (BVerfGE,

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Come si e' visto, in Francia, ebbe ad affermarsi il principio dell'intervento della legge per quanto riguarda i rapporti fra i poteri delle Camere e quelli degli altri organi.
Non sembra che tale principio sia utilizzabile, ove si volesse dare al medesimo un significato estensivo e quindi farlo valere per escludere l’autonomia parlamentare tutte le volte che 1'attività di ogni camera si ricolleghi con il funzionamento di .altri organi.
Ciò sembra da escludere non solo nel caso di poteri di un ramo del Parlamento interferenti con quelli dell'altro ramo (come nell'ipotesi del procedimento di formazione delle leggi di revisione costituzionale) in cui occorre lasciare alla libera iniziativa dei due la scelta dei modi necessari ad armonizzare fra loro le procedure, ma altresì quando tali interferenze si abbiano nei confronti di organi diversi o anche di soggetti singoli.
Così non sembra che competesse alla legge (come invece è stato fatto con l'art. 3 della legge 11.3.1953 n. 87) dettare le modalità per l'elezione ad opera del Parlamento in seduta comune di 5 membri della Corte Costituzionale. Ogni limite, in questa sfera, dovrebbe venire disposto con legge costituzionale.
L'autonomia regolamentare delle Camere e'da ritenere fondata in ogni sua espressione sullo stesso titolo, e cioè sulla sua posizione di organo supremo, sicchè 'non sembra da seguire l'opinione del Martines (La natura giuridica dei regolamenti parlamentari, p. 70), che distinguendo le norme dei regolamenti parlamentari in tre gruppi: 
a) esecutive della costituzione; 
b) espressione del potere di supremazia speciale che si fa valere nei confronti dei propri mèmbri o degli estranei che vengono a contatto con le Camere;
c) di organizzazione degli uffici interni,
ritiene di dovere attribuire a ciascuno dei gruppi un proprio fondamento.
Naturalmente i regolamenti di cui si parla sono da ritenere assoggettati ai principi generali dell’ordinamento.
Non potrebbe però prendersi alla lettera l'affermazione formulata di recente dal Bon (Sui regolamenti parlamentari, p. 118), secondo cui essi incontrano il limite materiale costituito da tutte le materie che l’ordinamento assoggetta alla riserva di legge. Infatti vi è tutta una serie di attribuzioni delle Camere che incidono su situazioni giuridiche soggettive e dovrebbero in via generale, essere regolate dalla legge e tuttavia ricadono nell'ambito della sua normazione (così le procedure per la messa in stato d'accusa dei ministri o del Capo dello Stato, l'esame delle petizioni, l'accertamento dei titoli di ammissione alle cariche parlamentari, l'assunzione dei funzionari, il loro trattamento giuridico ecc.).
36. Le osservazioni fatte per ultimo conducono a far rientrare le norme, di cui si parla, nell'’ordinamento generale dello Stato, e quindi ad escludere che si possano considerare  quali "norme interne" (a parte la questione se in via ge-nerale siano ammissibili norme di ordinamenti pubblicistici da considerare interne).
L'ammissione che si è fatto del carattere di fonti di diritto oggettivo da attribuire ai regolamenti de quibus è del tutto indipendente da quello della loro sindacabilità da parte del giudice.
La possibilità di tale sindacato è vivamente discussa, ed anzi l'opinione dominante è nel senso di escluderla, anche se non vi sia concordanza fra coloro che partecipano ad essa in ordine alla ragione idonea a giustificare l'esclusione.
Non è qui opportuno (perché non conciliabile con l'economia del presente corso) fermarsi ad analizzare il punto. Se ne è tatto cenno solo per l'occasione che esso offre di riaffermare la possibilità di quella dissociazione fra forza di legge e valore di legge, di cui si è parlato, e che è stata contestata dal Sandulli. Una volta ammessa la insindacabilità, da parte del giudice, degli atti delle Camere (esecutivi dei rispettivi regolamenti, anche se vertenti su rapporti con terzi e che riescano lesivi di situazioni di vantaggio di costoro), si dovrebbe concludere per la sussistenza di atti aventi efficacia di legge, senza tuttavia il valore proprio della legge.

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sentenza 3/11 del 25 luglio 2014; ma v. già la sentenza n. 197 del 22 maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952). Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell'efficienza dei processi decisionali nell'ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell'assemblea, nonché dell'eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente. Deve, quindi, essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. 4.- Le medesime argomentazioni vanno svolte anche in relazione alle censure sollevate, in relazione agli stessi parametri costituzionali, nei confronti dell'art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993, che disciplina il premio di maggioranza per le elezioni del Senato della Repubblica, prevedendo che l'Ufficio elettorale regionale, qualora la coalizione di liste o la singola lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell'àmbito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, assegni alle medesime un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione. Anche queste norme, nell'attribuire in siffatto modo il premio della maggioranza assoluta, in ambito regionale, alla lista (o coalizione di liste) che abbia ottenuto semplicemente un numero maggiore di voti rispetto alle altre liste, in difetto del raggiungimento di una soglia minima, contengono una disciplina manifestamente irragionevole, che comprime la rappresentatività dell'assemblea parlamentare, attraverso la quale si esprime la sovranità popolare, in misura sproporzionata rispetto all'obiettivo perseguito (garantire la stabilità di governo e l'efficienza decisionale del sistema), incidendo anche sull'eguaglianza del voto, in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. Nella specie, il test di proporzionalità evidenzia, oltre al difetto di proporzionalità in senso stretto della disciplina censurata, anche l'inidoneità della stessa al raggiungimento dell'obiettivo perseguito, in modo più netto rispetto alla disciplina prevista per l'elezione della Camera dei deputati. Essa, infatti, stabilendo che l'attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l'effetto che la maggioranza in seno all'assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell'insieme sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l'esercizio della funzione legislativa, che l'art. 70 Cost. attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di vanificare il risultato che si intende conseguire con un'adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo. E benché tali profili costituiscano, in larga misura, l'oggetto di scelte politiche riservate al legislatore ordinario, questa Corte ha tuttavia il dovere di verificare se la disciplina legislativa violi manifestamente, come nella specie, i principi di proporzionalità e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. Deve, pertanto, dichiararsi l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993. 5.- Occorre, infine, esaminare le censure relative all'art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale, all'art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonché all'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l'art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che "Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su un'unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista"; l'art. 59 del medesimo d.P.R. n. 361, che "Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di lista"; nonché l'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che "Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta". Secondo il rimettente, tali disposizioni, non consentendo all'elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione e la collocazione in lista di tutti i candidati, renderebbero il voto sostanzialmente "indiretto", posto che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l'art. 67 Cost. presuppone l'esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori. Ciò violerebbe gli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 3 del protocollo 1 della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla "scelta del corpo legislativo", e l'art. 49 Cost. Inoltre, sottraendo all'elettore la facoltà di scegliere l'eletto, farebbero sì che il voto non sia né libero, né personale, in violazione dell'art. 48, secondo comma, Cost. 5.1.- La questione è fondata nei termini di seguito precisati. Le norme censurate, concernenti le modalità di espressione del voto per l'elezione dei componenti, rispettivamente, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, si inseriscono in un contesto normativo in base al quale tale voto avviene per liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957; art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati "secondo un determinato ordine", in numero "non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi assegnati alla circoscrizione" (art. 18-bis, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957 ed art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 533 del 1993). Le circoscrizioni elettorali, la cui disciplina non è investita dalle censure qui esaminate, corrispondono sempre, per il Senato, ai territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del 1993); per la Camera dei deputati (Allegato A alla legge n. 270 del 2005), le circoscrizioni corrispondono ai territori regionali, con l'eccezione delle Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali sono presenti due circoscrizioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) o tre (Lombardia). La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti è, inoltre, effettuata in ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di maggioranza (art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957), che è definito, per il Senato, "di coalizione regionale" (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 533 del 1993); e sono proclamati "eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima, secondo l'ordine di presentazione" nella lista (art. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957 ed art. 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993). In questo quadro, le disposizioni censurate, nello stabilire che il voto espresso dall'elettore, destinato a determinare per intero la composizione della Camera e del Senato, è un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell'elettore di incidere sull'elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall'ordine di presentazione dei candidati nella stessa, ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta dell'elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, che - in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie, come si è rilevato - contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili dall'elettore stesso. Una simile disciplina priva l'elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che "le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee - quali la "presentazione di alternative elettorali" e la "selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche" - non consentono di desumere l'esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell'ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost." (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati. Sulla base di analoghi argomenti, questa Corte si è già espressa, sia pure con riferimento al sistema elettorale vigente nel 1975 per i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, contraddistinto anche esso dalla ripartizione dei seggi in ragione proporzionale fra liste concorrenti di candidati. In quella occasione, la Corte ha affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di indicare l'ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino: a condizione che quest'ultimo sia "pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza" (sentenza n. 203 del 1975). Nella specie, tale libertà risulta compromessa, posto che il cittadino è chiamato a determinare l'elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell'ordine di presentazione, sì che anche l'aspettativa relativa all'elezione in riferimento allo stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature multiple e della facoltà dell'eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito. In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali). Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell'elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all'art. 48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978). Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati, al fine di determinarne l'elezione. Resta, pertanto, assorbita la questione proposta in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 3 del protocollo 1 della CEDU. Peraltro, nessun rilievo assume la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 13 marzo 2014 (caso Saccomanno e altri contro Italia), resa a seguito di un ricorso proposto da alcuni cittadini italiani che deducevano la pretesa violazione di quel parametro precisamente dalle norme elettorali qui in esame, sentenza che ha dichiarato tutti i motivi di ricorso manifestamente infondati, sul presupposto dell'"ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati in materia" (paragrafo 64). Spetta, in definitiva, a questa Corte di verificare la compatibilità delle norme in questione con la Costituzione. 6.- La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni sollevate dalla Corte di cassazione è "complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo", così come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2014). Le leggi elettorali sono, infatti, "costituzionalmente necessarie", in quanto "indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali" (sentenza n. 13 del 2014; analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del 2008, n. 13 del 1999, n. 26 del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29 del 1987), dovendosi inoltre scongiurare l'eventualità di "paralizzare il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica previsto dall'art. 88 Cost." (sentenza n. 13 del 2014). In particolare, la normativa che rimane in vigore stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l'attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate, sia per la Camera che per il Senato. Ciò che resta, invero, è precisamente il meccanismo in ragione proporzionale delineato dall'art. 1 del d.P.R. n. 361 del 1957 e dall'art. 1 del d.lgs. n. 533 del 1993, depurato dell'attribuzione del premio di maggioranza; e le norme censurate riguardanti l'espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto di preferenza. Non rientra tra i compiti di questa Corte valutare l'opportunità e/o l'efficacia di tale meccanismo, spettando ad essa solo di verificare la conformità alla Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad elezioni con la restante normativa, condizione, quest'ultima, connessa alla natura della legge elettorale di "legge costituzionalmente necessaria" (sentenza n. 32 del 1993). D'altra parte, la rimettente Corte di cassazione aveva significativamente puntualizzato che "la proposta questione di legittimità costituzionale non mira a far caducare l'intera legge n. 270/2005 né a sostituirla con un'altra eterogenea impingendo nella discrezionalità del legislatore, ma a ripristinare nella legge elettorale contenuti costituzionalmente obbligati (concernenti la disciplina del premio di maggioranza e delle preferenze), senza compromettere la permanente idoneità del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali", fatta salva "l'eventualità che si renda necessaria un'opera di mera cosmesi normativa e di ripulitura del testo per la presenza di frammenti normativi residui, che può essere realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha a disposizione". La presente decisione non può andare al di là di quanto ipotizzato e richiesto dal giudice rimettente. Per quanto riguarda la possibilità per l'elettore di esprimere un voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che comunque "non incidono sull'operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità dell'organo" (sentenza n. 32 del 1993), possono essere risolti mediante l'impiego degli ordinari criteri d'interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme già vigenti coerente con la pronuncia di questa Corte: come, ad esempio, con riferimento alle previsioni, di cui agli artt. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, e 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993, che, nella parte in cui stabiliscono che sono proclamati eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima "secondo l'ordine di presentazione", non appaiono incompatibili con l'introduzione del voto di preferenza, dovendosi ritenere l'ordine di lista operante solo in assenza di espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle modalità di redazione delle schede elettorali di cui all'art. 31 del d.P.R. n. 361 del 1957 ed all'art. 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che, nello stabilire che nella scheda devono essere riprodotti i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nella circoscrizione, secondo il fac-simile di cui agli allegati, non escludono che quegli schemi siano integrati da uno spazio per l'espressione della preferenza; o, quanto alla possibilità di intendere l'espressione della preferenza come preferenza unica, in linea con quanto risultante dal referendum del 1991, ammesso con sentenza n. 47 del 1991, in relazione alle formule elettorali proporzionali. Simili eventuali inconvenienti potranno, d'altro canto, essere rimossi anche mediante interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia e delle soluzioni interpretative sopra indicate. Resta fermo ovviamente, che lo stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga, "potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua" (sentenza n. 32 del 1993). 7.- È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere. Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell'art. 136 Cost. e dell'art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio "che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. "retroattività" di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida" (sentenza n. 139 del 1984). Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti. Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali. Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un'astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio - è appena il caso di ribadirlo - che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti "finchè non siano riunite le nuove Camere" (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, "anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni" per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.).

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati); 2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica); 3) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013. F.to: Gaetano SILVESTRI, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2014. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI

.* Per l'originale, clicca su: http://ilmanifesto.it/appello-dei-giuristi-non-ripristinate-il-porcellum-italicum/

 

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Corte  Costituzionale trasforma il "Porcellum" in legge proporzionalista

IL TESTO INTEGRALE
DEL COMUNICATO STAMPA
(clicca su: Corte)

 

LUCIANI: la proporzionalità della rappresentanza è un valore, e lo è il bipolarismo, e c'è un modo di incanalare l'una nell'altro, senza sbarramenti in entrata. Poi... il bipolarismo è sterile se non accompagnato da una Costituzione che obblighi a governi di legislatura, con premier eletto dal popolo, o dal parlamento, per 5 anni.   Matteo Renzi, attenzione: "Acqua e chiacchiere non fan frittelle".

 

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Traditori del Re o Servi di Dio ?

 

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G. Quagliariello

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Angelino Alfano

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Maurizio Lupi

 

    Nota. Mi valgo del riferimento alla nota vicenda di Tommaso Becket ( anche perchè ripresa da Jean Anouilh nella nota opera "Becket e il suo Re", da taluno rivisitata come "Becket o l'onore di Dio") , perchè vi trovo analogie (sia pur più terra a terra, e meno romanzate) con la vicenda di eroi del nostro tempo, e che non vanno lasciati soli, perchè mossi dall'interesse nazionale: tale la salvaguardia delle riforme costituzionali del Governo Letta, vero essendo che l'Italia è quasi in ginocchio (lo sono molte famiglie, in difficoltà del giorno per giorno), per mancanza di un governo forte, pari delle difficoltà.
   Becket fu fatto Arcivescovo di Canterbury perchè era amico del Re Enrico II, affinchè facesse (anche da vescovo di Dio) la volontà del Re.
  Ma a tutto c'è un limite, anche per il Re. E,  ad un determinato momento, la coscienza di Becket si risvegliò: "Come vescovo sono divenuto servo di Dio; non posso più essere ancora servo del Re ". Tommaso vescovo e servo di Dio finirà ucciso dal Re.
   Qui, per i "nostri tre" (e per altri, con loro)  la causa di Dio è di avere opposto il proprio corpo al Re d'Italia, per salvare il programma delle riforme costituzionali del Governo Letta, a costo di mettere a rischio sicuro la propria carriera politica.
   Qui c'è che l'Italia è da molto tempo una barca alla deriva, perchè (pur avendo fors'anche dei timonieri), è una barca senza timone: si tratta del fatto che la Costituzione vigente ammette solo governi soggetti alla fiducia della Camere. E  poichè, da 30 anni, le Camere sono occupate da partiti che sono bande senza il senso dello Stato, i governi sono soggetti a cadere in ogni momento, senza potere mai risolvere i problemi di fondo. Si pensi al Governo Letta, che potrebbe essere un buon governo, se non fosse che è già stato sottoposto a 5 voti di fiducia, e il giorno 11 dicembre ci sarà la sesta fiducia, in soli 7 mesi di governo.
   Non entro nelle questioni giudiziarie dello SFASCISTA di turno (nome Berlusconi, se ci fosse il dubbio), ma proprio lui a gennaio 2013, ospite della TV la7, vinse (10 a 0), il match con Santoro, per avere spiegato chiaramente, e con verità, agli Italiani che nessuno, con questa Costituzione, può governare l'Italia difficile di oggi, perchè il Premier conta pochissimo, essendo ricattato ogni giorno, in parlamento, da numerosi piccoli gruppi (quelli che sopra ho chiamati è partiti "bande"), che gli chiedono ogni genere di richieste, pena la sfiducia.

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  Il testo pubblicato dalla Corte

I motivi di incostituzionalità della Legge elettorale n. 270/2005

   "La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono:
-  l'assegnazione di un premio di maggioranza - sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica
-  alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
   La Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono:
- la presentazione di liste elettorali "bloccate", nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza.
  Le motivazioni saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti giuridici.
  Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali."

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SEGUITO DELLA NOTA DI NINO LUCIANI

1) Per governi di legislatura, con premier eletto dal popolo o dal parlamento;
2) Per un parlmento eletto proporziolmente, ma incanalato alla bipolarità ;
3) in subordine, per l'estensione al parlamento, della legge dei sindaci.

1.- Potrà tornare la DC ? Una legge proporzionalista privilegia di solito il centro moderato che, nella esperienza DC, aveva modo di mediare a destra e sinistra, ritardando l'evoluzione naturale del sistema politico verso l'alternanza tra due grandi partiti (allora DC e PCI), come avviene nelle grandi democrazie Ma adesso è venuto il momento di mandare insieme la proporzionalità con il bipolarismo e modificare la Costituzione per "obbligare" a Governi di legislatira. Ma andiamo per gradi.
   Sia anche chiaro che il sistema maggioritario non crea necessariamente il bipolarismo in parlamento
   E non si dimentichi che il bipolarismo puramente elettorale ha creato, negli scorsi anni, maggioranze obbligate "innaturali", create dalle leggi (compreso il mattarellum), che sono andate in frantumi, prima o poi, durante la legislatura.
   Ed è anche un fatto che la DC nel 1988, verso la fine della presenza in parlamento (avvenuto, poi, nel 1992), fece un seminario a Villa Miani, rimasto famoso (partecipanti Mino Martinazzoli, Leopoldo Elia, Giuseppe de Rita, Ciriaco de Mita, e altri), in cui si invocava un Governo di legislatura, la fine del bicameralismo perfetto, ...) , anche perchè l'opinione pubblica aveva cominciato a lamentarsi di governi che cadevano ogni 6 mesi.
  In conclusione il problema preoccupante non è mai stato, per la DC, la legge elettorale, ma il fatto che i governi vivessero sulla fiducia delle Camere, revocabile in ogni momento.
   Le cose funzionarono bene fino a quando non entrarono in crisi i due grandi partiti partiti storici (la DC e il PCI) che tradizionalmente avevano un alto senso dello Stato. Poi, in seguito al disfacimento della DC e del PCI, l'uso del meccanismo della sfiducia è divenuto un abuso ricorrente.
   Questa stessa evidenza l'abbiamo constatata perfino nei Governi Berlusconi, che (a inizio legislatura) pur avevano maggioranze di oltre 100 voti. Dopo la caduta della DC e del PCI, in parlamento sono subentrati dei partiti che sono delle vere a proprie bande organizzate,  per derubare lo Stato e i cittadini.
   Con i Goverrni Berlusconi, abbiamo anche capito definitivamente che non basta il bipolarismo. Occorre anche che chi governa abbia durata certa e ne risponda al popolo, e sia sostituibile alla scadenza, dopo un tempo adeguato per organizzarsi e fare, se vuole davvero.
  Questo implica che cambiare la sola legge elettorale non garantisce circa la responsabilizzazione del governo, verso il popolo.
  Ma voglio anche chiarire che il bipolarsimo, se origina il bipartitsmo, è il più vicino alla democrazia diretta. Il motivo è che di solito, se sono solo due i contendenti, la distanza di voti totali tra i due è piccola, per cui nelle successive elezioni uno spostamento di pochi elettori dall'un campo all'altro, può rovesciare la maggioranza. Questo vuol dire che in questo sistema anche un "pinco pallino" è tenuto in grande considerazione. E lo vediamo negli Stati Uniti, dove gli umili, i diseredati toccano quasi con mano la Casa Bianca.

2. La retta via per il Governo. La retta via è affrontare in primo luogo il problema della governabilità con governi di legislatura, come avviene nella grande democrazia americana e non solo colà. Le modalità possono essere:
  a) Elezione diretta del Premier, da parte del popolo ( sfiduciabile dal parlamento solo per determinati casi gravi, es. attentato alla Costituzione, ...);
  b) oppure elezione del Premier per 5 anni, da parte del parlamento (e sfiduciabile solo per determinati casi gravi, es. attentato alla Costituzione, ...). Inoltre il premier (non il presidente della Repubblica) nomina e revoca i ministri.
   Attenzione: la fiducia va attribuita al Premier, non al Governo, in quanto il Premier deve poter nominare e revocare i ministri, all'occorrenza.

3. La retta via per il Parlamento. La legge proporzionalista è la retta via perchè da rappresentanza al popolo in base alle varie idee e composizioni etniche.
   In passato, questa modalità privilegiava i partiti al centro, diciamo l'elettorato moderato, e questa è insufficiente a fare bene.
  Tuttavia va tenuto conto della possibilità di frammentazione, e di maggioranze ricorrenti instabili, incompatibili con governi di legislatura.
  E' noto che, una volta esclusi premi di maggioranza (tra l'altro, non visti di buon occhio dalla Corte Costituzionale), in teoria i rimedi sono:

  -  mettere degli sbarramenti in entrata (2%, 4%, 10% ?);
  - oppure elevare il numero minimo per ammettere la formazione dei Gruppi parlamentari: es., attualmente, alla Camera il minimo per fare un gruppo è 20 membri; al Senato, questo minimo è 20 membri).
  Personalmente sono un proporzionalista puro, e vorrei invece alzare significativamente il numero minimo per costituire un gruppo parlamentare (es.: un gruppo non possa avere meno del 40% dei membri della camera di appartenenza), in modo da ammettere due soli gruppi: uno di centro-destra e uno di centro-sinistra.
  Voglio chiarire che poco importa che ci siano accordi elettorali per fare grandi coalizioni, se il dopo dopo le elezioni le coalizioni si possono rompere e dare luogo a numerosi gruppi. Per questo preferirei lasciare libertà di candidatura in ingresso, e invece obbligare (nel dopo) gli eletti a mettersi assieme per trovare accordi per le scelte legislative.

4.- Il compromesso.
  In alternativa, ci sarebbe una soluzione che mette d'accordo capra e cavoli (vale dire il punto 2 e il punto 3): essa la legge comunale, da applicare al parlamento, come propone il Sindaco di Firenze,   vale dire:
-  elezione diretta del premier (che preannunci, possibilmente, la squadra) in due turni, e collegamento delle liste al candidato premier;
-  le liste collegate al candidato prendono il 60% dei seggi in entrambe le camere, il resto dei seggi va ripartito proporzionalmente tra le liste di  minoranza.
  Va, tuttavia, osservato che, in un buon sistema, non basta che la maggioranza sia forte. Dev'essere abbastanza forte anche la minoranza sia forte. Ma in questo sistema l'opposizione è frazionata tra tanti piccoli partiti. Un rimedio potrebbe essere di obbligarli a costitituire un solo gruppo, che decide a maggioranza, al proprio interno.

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EDIZIONI  PRECEDENTI

RISULTATI  del REFERENDUM CONSULTIVO DI BOLOGNA, 26 maggio 2013
SULLE SCUOLE DI INFANZIA PARITARIE A GESTIONE PRIVATA

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Maria Chiara Carrozza

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"Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali, che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole di infanzia paritarie a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all'istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell'infanzia?"

A) utilizzarle per le scuole comunali e statali:

SI' numero 54.517, pari al 18,3% dell'elettorato

B) utilizzarle per le scuole paritarie private :

SI' numero 35.160, pari a 11,8% dell'elettorato;

Non votanti: numero 208.849.

Totale elettorato (diritto al voto): numero 298.526

Nel frattempo si era inserito, in un quadro più generale, il nuovo ministro della scuola-università.

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Alessandra Nucci

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LE DICHIARAZIONI DEL NUOVO MINISTRO "PROF.SSA MARIA CHIARA CARROZZA
A Nove in Punto su Radio24 il 24 maggio 2013
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"O ci sono margini per un reinvestimento nella scuola pubblica oppure devo smettere di fare il ministro dell'Istruzione".....  .
" E' necessario per il futuro del Paese, non ci sono strade disponibili: siamo in una situazione drammatica, dobbiamo mettere in sicurezza le nostre scuole, dobbiamo metterle in grado di proteggere i nostri bambini. Abbiamo bisogno prima di tutto di un investimento nell'edilizia scolastica e poi abbiamo bisogno di più insegnanti.
"Credo che il futuro del nostro Paese si possa giocare con un esercito di nuovi insegnanti, che davvero ci permettano di migliorare la qualità del nostro servizio.
Sono rimasta colpita dal rapporto Istat che ci dice che siamo il Paese con la quota più alta in Europa di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non partecipano ad attività formative, questo per me è un dramma, che non mi fa dormire la notte. Dobbiamo lavorare su questo, altrimenti come facciamo a parlare di crescita".
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Il Commento:

IL REFERENDUM SULLE SCUOLE MATERNE A BOLOGNA Alessandra Nucci

1.-   In qualsiasi altra città il referendum  consultivo, tenuto domenica 26 maggio, a Bologna non avrebbe storia.
   Si tratta, come ha detto Romano Prodi, di semplice buon senso: votare "A", come vorrebbe il Comitato promotore del Referendum, significa voler caricare il Comune, e dunque i contribuenti, di oneri dieci volte più alti di quelli sopportati attualmente, oppure privare di un servizio quasi 1600 famiglie. Dunque non dovrebbero esserci dubbi: l'esito scontato dovrebbe dare la soluzione "B".
   Ma quello che è scontato da un'altra parte, a Bologna, ex-città vetrina del partito comunista, è tutt'altro che sicuro. Anzi. Il referendum è divampato in battaglia di schieramento all'interno della stessa sinistra, combattuta non sul merito ma in chiave ideologica.
   I numeri parlano chiaro: le scuole paritarie convenzionate accolgono il 21% dei bambini bolognesi e ricevono contributi pari ad appena il 2,9% delle risorse che il Comune destina alla fascia 3-6 anni. Trasferire quei soldi, un milione di euro, dalle paritarie alle comunali permetterebbe di creare non più di 160 posti, ovvero meno di un decimo dei 1.736 posti attualmente coperti dalle paritarie.
   Detto altrimenti: il costo per bambino alle paritarie è di 640 euro, il costo per bambino alle comunali è di 6900 euro. Il danno per le casse pubbliche a questo punto è palese e clamoroso, per cui solo una persona ideologizzata e priva di calcolatrice può arrivare a votare "A". Sul sito del comitato promotore si illustrano solo le cifre totali destinate alle paritarie, e il loro aumento nel tempo, ma non il rapporto costi-benefici per le casse pubbliche, tantomeno un raffronto dei i costi pro-capite fra privato e statale.
   Eppure il rischio che prevalga il disegno di azzoppare le scuole materne paritarie, mettendole al di là della portata di famiglie con pochi mezzi, è reale e consistente.
   Com'è possibile? E' passata molta acqua sotto i ponti da quando c'era la guerra fredda, e Bologna era sede del più grosso partito comunista, vetrina e laboratorio del partito per tutto il Paese e forse di tutto l'Occidente.
   Però qui più che altrove le cose sono rimaste come prima. Alle ultime politiche, sommando tutte le formazioni, la sinistra è arrivata a quasi il 70%, mentre in tutto, il centro-destra racimola uno scarno 18,1%. E allora è una partita che si gioca all'interno della sinistra, dove il Comune e il Pd, appoggiati da Epifani e dalla Camusso, stanno da una parte a difendere il sistema voluto dal Comune stesso negli anni Novanta, sindaco Walter Vitali; dall'altra stanno Sel (6,1% alle politiche), Rivoluzione civile di Ingroia (2,6%), i Grillini (19,1%), la Fiom e stakeholders che vanno dall'Unione atei e agnostici all'Arcigay, il tutto tenuto insieme nel comitati promotore presieduto da Stefano Rodotà, quello che i grillini volevano eleggere Presidente di tutti gli italiani.
   Per questo non stupisce che sia nata qui l'iniziativa di prendere di mira dei modesti contributi alle scuole materne private paritarie, che esistono anche in altre parti d'Italia, e segnatamente a Parma, governata dai grillini, e in Puglia, governata da Vendola e Sel.
   A sorprendere invece è la spaccatura nella sinistra stessa, che finora aveva continuato a essere monolitica. Sel e Pd sono infatti alleati in Comune, e se dovesse vincere la posizione dei referendari, il referendum semplicemente consultivo diventerebbe un'arma in mano a Sel che avrebbe buon gioco a minacciare la caduta della giunta al fine di imporre l'esito voluto.

  2.- Ma al di là delle alleanze locali, la posta in gioco consiste nell'effetto - imitazione che i referendari sperano di suscitare nelle altre città, a partire da quelle della stessa Emilia rossa. Ciò risulta evidente quando si contano le voci dei big che si sono paracadutati in città preoccupatissimi della cultura qui impartita ai bimbi piccoli, e che solo il giovane assessore Matteo Lepore ha avuto il coraggio di definire marziani: nomi come Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Gino Strada, Andrea Camilleri, Angelo Guglielmi, Sabina Guzzanti, Carlo Freccero, Moni Ovadia, Corrado Augias , Neri Marcorè, Michele Serra, Philippe Daverio, Amanda Sandrelli e Magherita HacK, a cui si aggiungono un paio di nomi bolognesi: Andrea Mingardi e Francesco Guccini.
    "Un attacco frontale alle scuole cattoliche", ha definito il piano referendario Stefano Zamagni, presidente del Comitato per il Piano B, "una trappola dei mozza-orecchi" sempre pronti a sostenere "scelte settarie e divisive", si è espresso Giuliano Cazzola, ex-sindacalista ed ex-parlamentare.
   Ma più che anti-cattolici, gli agguerriti referendari probabilmente sono piuttosto pro-omologazione, fautori della scuola dell'uniformità e dell'imprinting di massa, dove diffondere il relativismo religioso e soprattutto l'ideologia di genere, utile a produrre in serie la nuova umanità.
   Si tratta del tipo di scuola prefigurato nel documento pubblicato da Elsa Fornero, nella sua veste di Ministero delle Pari Opportunità del Governo Monti, intitolato "Strategia nazionale per la prevenzione delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere per il biennio 2013 -2015", che prevede "percorsi innovativi" che partano "dagli asili nido e dalle scuole dell'infanzia a costruire un modello educativo inclusivo" non solo per la comunità lesbiche-gay-bisex-trans "ma per tutti i bambini". Il progetto proseguirà anche col governo attuale, come attesta la circolare del MIUR del 17 maggio, in cui si specifica che "le scuole favoriscono la costruzione dell'identità sociale e personale da parte dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento sessuale."
   A tali indirizzi è probabile che le scuola paritarie, anche e soprattutto materne, non si adeguerebbero molto facilmente. Molto meglio metterle in condizione di chiudere (o magari limitare i "danni" ai soli figli dei ricchi?)

  Nino Luciani,  Questo Referendum è stato una guerra tra poveri, dato che la scuola privata trova spazi perchè lo Stato non aveva finanziato adeguatamente la scuola pubblica.  
  Nel caso della Università, addirittura lo Stato la ha definanziata deliberamente, per creare spazi a quelle private.
   Sarebbe stato, dunque, il caso di non fare la stessa cosa a Bologna, cercando spazi per la scuola pubblica, demolendo la scuola privata.

  1. Premessa. Presso il grande pubblico, l'art. 33, c. 3 della Costituzione italiana (secondo cui "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato") vive l'interpretazione, secondo cui lo Stato non "deve" finanziare le scuole private. E questo è molto sbagliato
   Ma, qui a Bologna, la prospettiva era tutta diversa: era il Comune ad avere bisogno, tant'è che il quesito sembra, invece, presupporre che sia tranquillamente possibile il finanziamento pubblico alle scuole di infanzia, se ritenuto "più idoneo" per dare la scuola a tutti i bambini.
   In altri termini, se il Comune spende meno dando la scuola a 500 bambini nelle scuole private (tanti sono gli attuali esclusi dalla scuola pubblica, perchè non c'è più posto), non si vede perchè il Comune dovrebbe addossarsi oneri, che non può sopportare.
  2.- Altro è basarci su pre-concetti ideologici: ritenere che la scuola privata, orientata al profitto, trascuri elementi educativi fondamentali: quali la serietà dei programmi, la qualità dei professori, l'agibilità degli spazi.
   Ma questo non è un problema di quattrini. Basta che lo Stato faccia il suo dovere e condizioni ogni genere di finanziamento pubblico (statale, comunale, ecc.) alla sussistenza dei dei requisiti.
   C'è, poi, anche un aspetto puramente ideologico: se la scuola privata infila (tra gli insegnamenti) conoscenze di tipo religioso, culturale specifico ...
   Effettivamente, dà molto fastidio anche a me venire a sapere di certe cose, diciamo di certi indottrinamenti, che spettano solo alle famiglie.
   Diverso è se i contenuti ideologici sono impartiti a-setticamente, in termini puramente culturali, oggettivi... 
   La scuola (sia pubblica, sia privata) dovrebbe essere laica, nel senso che apre spazio a tutti, senza alcun pregiudizio e con rispetto per l'altrui idea.

2.- Quanto di pubblico e quanto di privato, tra le scuole ?
   Personalmente sono convinto che il compito della scuola pubblica sia impartire a tutti, indipendemente dal reddito spendibile, la stessa base culturale, quale presupposto tecnico per la buona convivenza.
   E' un pò dare a tutti (aggiuntivamente al dialetto) la stessa lingua, in modo che i cittadini possano comunicare tra loro.
   Ma siamo oggi molto lontani da questo, anche dentro la scuola pubblica. Basta pensare a certo giornalismo quotidiano, che comunica concetti oggettivamente errati, in ragione di una scuola errata, avuta in origine. In questo senso, la libertà di giornalismo dovrebbe essere ammessa, subordinatamente al possesso di adeguato titolo di studio, avente "valore legale", nel senso di "laico oggettivo, dentro certi parametri".

3.- Sul metodo dei Governi recenti nel determinare lo spazio pubblico. Nell'ultimo decennio, tutti i Governi (anche di diverso orientamento) hanno agito in modo maldestro e scorretto verso la scuola pubblica: ridurre il numero dei professori, in modo da indurre le famiglie a passare a finanziare la scuola privata.
  Anche nel caso dell'università la cosa è stata drammatica. I Governi Berlusconi (con Moratti e Gelmini) hanno ecceduto, fino a bloccare le assunzioni dei professori e abolito i concorsi universitari statali: tutto su misura per lanciare le università private.
  Qualche cifra ? Nel 2007 (Berlusconi arriva nel 2008) i professori di ruolo erano 36.944, nel 2013 sono 29.204.
  Il danno scientifico alla università italiana è stato incalcolabile. Per orientarsi nel valutarlo, occorre sapere che nella università ci sono tante scuole scientifiche, ognuna delle quali si è specializzata in determinati campi, e ci sono voluti secoli per raggiungere certe scoperte e certi approfondimenti, con certi metodi ....
  Poichè in molte scuole è mancato il turnover, i maestri non hanno avuto modo di trasmettere agli allievi il patrimonio scientifico, via via accumulato, e così questo patrimonio è andato disperso.
  In compenso, molti nostri giovani ricercatori sono accolti all'estero..., ma certo per imparare le cose estere, ma se torneranno in Italia nulla più diranno del patrimonio scientifico italiano, che non conoscono...
  Vedremo se gli Italiani potranno valersi di nuove leggi elettorali per scegliere i nuovi Governi con maggiore oculatezza. Nino Luciani

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INIZIATIVE del MONDO UNIVERSITARIO per  "SALVARE L'UNIVERSITA' "

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1) DOCUMENTO DEL CUN SULLE "EMERGENZE UNIVERSITARIE"
   Necessità che il mondo universitario le esami attentamente
2) CONFERENZA  NAZIONALE  DELL'INTERSINDACALE  UNIVERSITARIA
   Partecipazione puntuale dei vertici e di parlamentari verso le elezioni politiche,
    ma minima presenza della base. Domande sul futuro dell'azione sindacale.
A gennaio hanno avuto luogo le elezioni di medio termine del CUN
che hanno portato alla conferma del prof. Andrea LENZI, come Presidente
e alla nomina della Prof.ssa Carla BARBATI, come VicePresidentre .

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Andrea Lenzi

Dal CUN - Consiglio Nazionale Universitario

1) Andrea LENZI  alla Presidenza del CUN.
In seguito alla elezione di medio termine di parte dei membri del CUN, il Regolamento prevede la elezione del Presidente. E' stato confermato A. Lenzi, Prof. Ordinario di Endocrinologia della Università di Roma "La Sapienza", nato a Bologna nel 1953.
Anche nominata, VicePresidente, Carla Barbati, Prof. Ordinario di Diritto Amministrativo alla Università IULM di Milano.

2) Nel mese di gennaio 2013, in prossimità delle elezioni politiche, il CUN aveva fatto un documento sulle emergenze universitarie, ripreso da tutta la stampa, per la sue evidente rilevanza elettorale.
   Tuttavia, come al solito, le "meraviglie" durano tre giorni. Anzi ,parte della quale è la medesima che ha dato man forte alla legge della Ministra Gelmini per demolire l'università italiana, durante l'iter parlamentare.
   In controtendenza lo giriamo, in versione integrale (clicca su: CUN ) nelle università italiane ed estere, e qui ne riportiamo il
SOMMARIO. 0.- Premessa; 1.- Il finanziamento del sistema universitario; 2.- La formazione universitaria; 3.- Formazione post-laurea; 4.- Reclutamento del personale universitario;  5.- Finanziamento della ricerca;  6.- Valutazione di ricerca e didattica; 7.- Accessibilità e trasparenza dei dati;  8. - Un’autonomia con confini e spazi da ridefinire.

BREVE COMMENTO. Il punto 1 evidenzia, con un grafico l'andamento del FFO - Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università (fondo statale) nel corso degli anni (1996-2013).

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Si nota, indirettamente, la "disinvoltura" con cui i vari governi (di diverso colore) hanno variato negli anni il finanziamento corrente delle università, come se la variazione del numero degli studenti fosse una variabile decisionale delle università.
Questo rilievo è ancora troppo leggero, se si tiene conto anche dei fatti rimasti nascosti. Infatti, da una analisi dettagliata dei bilanci di tutte le 60 università pubbliche italiane (e di cui si riferisce in altro servizio, clicca su:       ) emerge che la spesa corrente totale delle università è stata di € 11,4 miliardi nel 2009 (dato più recente, al momento dell'analisi), e pertanto (nel 2009) lo Stato (con i suoi 7,4 miliardi di €) ha finanziato solo il 65% della spesa totale.

  Nino Luciani, Sul significato della Conferenza della Intersindacale. Dmande sul futuro dell'azione sindacale.

 
1.- Traggo dal resoconto fatto, per tutti, da USB-Pubblico Impiego, coorganizzatrire della conferenza:
  -" Martedì 22 gennaio si è svolto a Roma in sala Congressi Cavour l'incontro tra le Organizzazioni sindacali e le associazioni dell'università, con i rappresentanti delle forze politiche candidate alle prossime elezioni. ( Per le proposte, clicca su documento unitario ).
   La quasi totalità degli esponenti politici e sindacali intervenuti hanno manifestato la necessità che il Sistema Universitario e la Ricerca abbiano in futuro maggiori investimenti e maggiori attenzioni da parte del prossimo Governo e del prossimo Parlamento, paradossalmente anche quelli che sono stati protagonisti dello smantellamento dell'Università pubblica o che poco o niente hanno fatto in questi anni per fermarlo.....
   Siamo fermamente convinti che l'attacco al sistema universitario si collochi nel più generale attacco a tutto ciò che è pubblico, con l'aggravante che si tratta di uno dei cardini dello sviluppo del nostro Paese.
  Per questo nel nostro intervento abbiamo ribadito, come fatto da pochi altri, la necessità di invertire tale impostazione alla sua radice, rigettando quindi le politiche di fortissimo ridimensionamento del settore pubblico che UE, BCE ed FMI stanno imponendo nel nostro Paese e che nessun partito candidato a governare dopo le prossime elezioni mette in discussione.
   Giudichiamo i vincoli imposti dall'Europa incompatibili con la difesa dell'Università, della sua funzione sociale, dei diritti dei lavoratori, dei precari, dell'autonomia della ricerca, del diritto allo studio.
   Su queste basi continueremo la nostra lotta insieme a tutte quelle componenti universitarie che con il Personale Tecnico-amministrativo sono maggiormente penalizzate dalle manovre in atto, imposte dalle lobby politiche e imprenditoriali.
   Abbiamo ribadito che una nuova strategia sociale dovrà considerare i lavoratori dell'Università, così come la totalità del Pubblico Impiego, non più un costo da tagliare ma un tassello fondamentale per costruire uno stato sociale degno di un paese civile."

   Sul futuro dell'azione sindacale. L'iniziativa della intersindacale si è collocata in apertura al ciclo politico che si prospetta con le elezioni politiche, ma anche in chiusura di un clico in cui i sindacati universitari (tutti, anche quelli non partecipanti, come l'USPUR) sono stati totalmente ignorati (neppure ascoltati in qualche straccio di ricevimento) dai vari ministri (Gelmini, Profumo).
   Questa totale sordità segna la inadeguatezza dei relativi governi nei confronti dei problemi fondamentali del Paese (Ricerca e Didattica).
   Penso, tuttavia, che sarebbe "riduttivo" fermarsi a questo giudizio, senza neppure adombrare che esso possa essere anche la seconda faccia di una medaglia: l'inesistenza di una "capacità di intendere e di volere" dei sindacati.
   Introduciamo altri elementi nello scenario.
   - La conferenza è stata partecipata da 90 persone circa. Se teniamo conto che le sigle sindacali 21, e ciascuna presente con tre persone, troviamo subito che 63/100 persone era dei vertici. Aggiungiamo una dozzina di parlamentari e di giornalisti. C'era qualcuno del CUN. Si arriva a 75-77 persone, il resto (fino a 90) erano professori e ricercatori semplici. Dunque, non solo i Ministri, ma anche la base non sente il Sindacato.
  - C'è dell'altro. La CRUI-Conferenza dei Rettori non ha partecipato.
  - C'è dell'altro. Da anni nessun sindacato (a cominciare da quelli con più iscritti) non fanno più assemblee locali di base. Pur con qualche iniziativa, il deserto degli iscritti è totale.
  Motivo ? Il Sindacato non dà risultati nè di carriera nè di retribuzione.
 
   CONCLUSIONE. Ritengo che i sindacati universitari debbano ripensare il loro modo di essere: come porre gli obiettivi e come organizzarsi.
   Beninteso, da anni ci sono incontri di vertice, unitari, seguìti da scissioni, e poi di nuovo a cercarsi reciprocamente. A questi incontri partecipano i 5-6 soliti "matti" incalliti, quelli che continuano a credere in un futuro migliore della università.
   Poi, di tanto in tanto, si svegliano gli studenti, e qualche stella torna a brillare politicamente, poi di nuovo il letargo prolungato.
   Direi che si debba fare tutti il necessario, per uscire di nuovo e per sempre da questa fase embrionale: servono obiettivi chiari e una "voce unica", seguiti da azioni sul campo. Essere o non essere..

 

EDIZIONI PRECEDENTI

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A proposito del funzionamento dell'organizzazione dell'Università
di Bologna, in applicazione della legge Gelmini, n. 240/2014
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Giliberto Capano



Giliberto Capano*, Una partita di croquet di ALICE,
nel Paese delle meraviglie



Il Commento, di Gianni Porzi

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Già Preside della Facoltà di Scienze Politiche di Forlì, Membro del Nucleo di Valutazione, Università di Genova.
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Gia membro del Consiglio di Amministrazione, Università di Bologna.

Giliberto CAPANO, Una partita di croquet di Alice

  Le università italiane sono un cantiere aperto a causa dell'attuazione della riforma Gelmini che comporta un riassetto del modo di organizzare le attività.

  Si tratta di una riforma che ha lasciato molto spazio alle scelte autonome degli atenei rispetto al ridisegno dei propri processi decisionali e ovviamente gli atenei si stanno sbizzarrendo.

  Per chi ha l'opportunità di seguire quello che accade in più università, l'attuale fase di transizione appare molto simile alla partita di croquet di Alice nel Paese delle meraviglie. Uno strano gioco in cui il terreno «era tutto a solchi e zolle; le palle erano ricci, i mazzapicchi erano fenicotteri vivi, e gli archi erano soldati vivi, che si dovevano curvare e reggere sulle mani e sui piedi».

  Un gioco assurdo, caotico e senza regole a cui però tutti i giocatori si appassionano, illudendosi che sia un gioco sensato, invece che fermarsi, dire basta e cercare di mettere ordine nel caos e nello sconclusionato correre dietro a palle che in realtà sono ricci vivi e vegeti.

  Non molto dissimile è la situazione che si vive all'interno della nostra Alma Mater, dove la riorganizzazione in Scuole e Dipartimenti sta causando non pochi inconvenienti.

  Nella gestione della didattica non si capisce chi è responsabile di che cosa; i vecchi coordinatori di presidenza (quelli che sapevano come si facevano le cose) sono stati spostati quasi tutti ad altro incarico e sostituiti con colleghi volonterosi ma con competenze, altre rispetto ai processi di gestione della didattica. Molti dipartimenti (che dovrebbero occuparsi anche di didattica) non sono stati dotati di personale amministrativo esperto in questa attività.

  I conti per la dotazione finanziaria 2013 delle Scuole e dei Dipartimenti sono stati fatti in modo così confuso che alla fine il Cda ha dovuto fare un'assegnazione «straordinaria» di 1 milione e duecentomila euro.

  I campus romagnoli dovrebbero avere, secondo il nuovo statuto, autonomia organizzativa, gestionale e regolamentare, ma le azioni dell'amministrazione centrale stanno di fatto trasformando le sedi decentrate in bracci esecutivi di via Zamboni (sede centrale). In questo contesto contraddittorio e caotico gli attori principali si muovono forsennatamente cercando risposte. Direttori di dipartimento, presidenti di scuola e coordinatori di corsi di studio si consultano freneticamente per capire chi deve fare che cosa e quando.

  Consiglio di amministrazione e Senato approvano molte delibere transitorie, mentre il rettore garantisce che «il prima possibile» tutto sarà a posto.

  Insomma tutti continuano a giocare, come nella partita di croquet di Alice, senza fermarsi e chiedersi il senso di quello che stanno facendo e, perché no, anche se non ci sia qualcosa di sbagliato in quello che stanno facendo.

  È davvero un peccato che uno spettacolo di questo tipo non sia fruibile nemmeno parzialmente da tutti i membri dell'Alma Mater. I quali, fra l'altro, sulla base di regolamenti approvati a luglio, sono stati privati dell'opportunità di capire in tempo reale di che cosa si occupano e che cosa fanno gli organi di governo dell'ateneo.

  All'università di Torino invece ciò è possibile: tutti i dipendenti possono seguire in diretta streaming le sedute del Senato accademico, osservando che cosa stanno facendo i loro rappresentanti con la possibilità di segnalare se stanno giocando al gioco sbagliato. Giliberto Capano

  Gianni PORZI, Il Commento

 
  Ritengo il corsivo del prof. Capano molto puntuale e condivisibile.
   La descrizione della situazione vissuta all’interno dell’Ateneo bolognese è quella che si sente da vari ex Colleghi che lamentano un’organizzazione e una gestione dell’Ateneo che lasciano a desiderare.
    A mio avviso questa situazione non è attribuibile alla Legge 240/2010, alla quale eventualmente vanno imputate altre colpe, ma ad altre cause.

  - Innanzi tutto al fatto che il Rettore Dionigi ha voluto dare attuazione alla Lg 240 ad una velocità decisamente superiore rispetto a quella di altri Atenei, senza cioè la dovuta gradualità e senza quindi preparare in modo adeguato sia le strutture che il personale, in particolare quello tecnico-amministrativo, al cambiamento.
   Le trasformazioni imposte dalla Legge implicavano un’attenta riflessione, decisioni non affrettate e in particolare il più possibile condivise. Basti pensare ad esempio all’accelerazione impressa nel redigere prima e nel far approvare poi il nuovo Statuto, nonché all’attuazione dello stesso. Fretta legata esclusivamente al fatto che l’interpretazione e quindi l’applicazione restrittiva della Legge 240, così come voluta dai Vertici (Rettore e Prorettori), consentiva di realizzare uno Statuto che dava al Rettore un potere praticamente assoluto.
   E per raggiungere tale scopo era necessario accelerare i tempi senza dare ascolto a chi era critico verso certe scelte, verso certi metodi autoritari e in particolare rinunciando, scientemente, a mettere in pratica quei principi elementari di democrazia partecipativa, fondamentali per governare una communitas quale l’Università.
   Ciò che sta accadendo in Ateneo è la naturale conseguenza di una governance centralistica e verticistica, cioè della mancata applicazione del criterio di democraticità delle scelte.

   - L’altro aspetto sconcertante è che da anni la trasparenza quantomeno latita.
   Con i regolamenti approvati pochi mesi fa, la situazione è addirittura peggiorata in quanto ora gli Organi di governo dell’Ateneo (Senato accademico e CdA) operano più che mai nelle segrete stanze senza che nulla trapeli e quindi il Personale, sia docente che non docente, non può sapere e capire cosa stanno decidendo.
    Si è instaurato un regime in cui vi è una totale assenza di qualsiasi contatto tra il Personale tutto che opera all’interno dell’Istituzione e gli Organi di governo.
  
    L’Alma Mater è lontana anni luce rispetto ad esempio all’Ateneo di Torino dove le sedute del Senato accademico vengono addirittura trasmesse in diretta e quindi possono essere seguite da tutto il Personale universitario.
   A Bologna invece nulla deve trapelare, il Personale non deve sapere cosa stanno facendo i loro rappresentanti in Senato accademico e il tema “trasparenza” resta ancora un vero tabù.

   Il prof. Sergio Brasini, in un articolo pubblicato il 30 agosto 2014 dal titolo “Ancora a proposito di trasparenza all’Alma Mater” (leggi Sergio Brasini), affermava giustamente che la tanto auspicata trasparenza degli atti decisionali (nei confronti dell’intera comunità accademica e più in generale dei cittadini essendo l’Istituzione pubblica e non privata), è stata totalmente disattesa.
   Io affermerei che è stata definitivamente sotterrata dopo l’approvazione dei sopra ricordati Regolamenti per il funzionamento dei due Organi accademici e il Regolamento in materia di pubblicità delle deliberazioni degli Organi stessi.
   Invece di fare un passo verso una “reale trasparenza”, l’Ateneo ha deciso di fare un passo indietro, rendendo tutto più opaco in modo che i Vertici, tramite il CdA, Organo nel quale è concentrato tutto il potere decisionale, abbiano libertà d’azione come in certi regimi di triste memoria che gestivano il potere usando formule quali “democrazia guidata” o “centralismo democratico”, antitetiche alla vera democrazia, cioè quella partecipata.
    Purtroppo, l’Ateneo di Bologna ritengo sia destinato a vivere un periodo di “oscurantismo” che non fa certo onore alle sue tradizioni né a quelle della Città.

                                                                                              Gianni Porzi

Fonte: Sergi Brasini, Ancora a proposito di trasparenza all’Alma Mater,
http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2014/08/ancora-a-proposito-di-trasparenza-allalma-mater/   
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EDIZIONE PRECEDENTE

.PUBBLICITA'  DEI  VERBALI  DEGLI   ORGANI  DELIBERANTI DELLE UNIVERSITA'

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Nuovo Regolamento dell'Università di Bologna
Per il testo integrale, clicca su: Decreto Rettorale n. 1035/2014

Luciani: Regolamento anti-trasparenza, involutivo rispetto alla tradizione,
          negativo  per un Ateneo che aspira all'internazionalizzazione

Nota. Tradizionalmente. nell'Alma Mater, i verbali del Consiglio di Amministrazione erano pubblici, e depositati in forma cartacea presso 4 biblioteche dell'Ateneo, tra le quali (per quanto ne so con certezza) la biblioteca Dore di Ingegneria e la Biblioteca Bigiavi di via Belle Arti.
  In seguito all'arrivo della digitalizzazione, i verbali erano consultabili presso le biblioteche medesime, tramite i PC locali. In particolare il Rettore Calzolari (vado ancora a memoria) fece un nuovo Regolamento nel 2002, nella continuità della trasparenza.

  Risulta che in una delle ultime sedute del Consiglio di Amministrazione, pre-riforma Gelmini, alcuni Consiglieri abbiamo proposto al Rettore modalità innovative di pubblicità dei verbali degli Organi, nel senso di agevolarne la conoscenza presso il grande pubblico
  Sopravviene adesso, in risposta, questo Regolamento del Rettore Dionigi, che (dal come ha reagito in aula a quelle proposte) è apparso probabilmente ignaro della situazione esistente.

  Riportiamo, del Regolamento, gli elementi essenziali qui sotto (colonna sinistra), e ne facciamo un confronto, sempre qui sotto (colonna a destra), con altre Università, tra cui Padova, consorella di Bologna, storicamente.

REGOLAMENTO

Articolo 2 (Ambito di applicazione)
1. Sono pubblicati gli atti adottati dal Senato Accademico e dal Consiglio di Amministrazione, dalla Consulta del Personale Tecnico Amministrativo, dalla Consulta dei Sostenitori, dal Consiglio degli Studenti e dal Consiglio di coordinamento dei Campus.
2. Il presente regolamento non si applica agli atti e provvedimenti emanati dagli Organi monocratici dell’Ateneo.

Articolo 3 (Oggetto della pubblicazione)
1. Sono consultabili in un formato atto a garantire la piena accessibilità alle informazioni, suddivisi per singoli Organi e raccolti in ordine cronologico, in base alla data della seduta:
a) le relazioni istruttorie formulate dalle unità organizzativa competenti;
b) le deliberazioni comprensive dell’espressione del voto nominativo ove reso in forma palese;
c) gli allegati.
2. Sono esclusi dalla pubblicazione:
a) i dibattiti;
b) le parti di verbale che non determinano l’assunzione di una deliberazione dell’Organo;
c) su indicazione dell’unità organizzativa competente, le deliberazioni per le quali norme di legge o di regolamento escludano o differiscano il diritto di accesso di cui agli Articoli 22 e seguenti della Legge 241/1990 e successive modifiche;
d) su indicazione dell’unità organizzativa competente, le deliberazioni assoggettate a pubblicità in base ad una normativa di settore;
e) le delibere contenenti dati sensibili e giudiziari;
f) le delibere contenenti dati attinenti al rapporto di lavoro di singoli dipendenti dell’Ateneo;
g) le delibere del Consiglio di Amministrazione assunte ai sensi dell’art. 10 (Competenza disciplinare) della Legge 240/2010.

Articolo 4 (Esclusioni e differimenti)
1. All’atto dell’adozione della delibera, l’Organo, su proposta motivata del Presidente, può riservarsi la facoltà di disporre l’esclusione, il differimento temporaneo della decorrenza del termine della pubblicazione ovvero la rappresentazione in forma sintetica della documentazione la cui diffusione possa recare pregiudizio agli interessi perseguiti dall’Ateneo.

Articolo 5 (Modalità della pubblicazione)
1. La pubblicazione avviene mediante le tecnologie più idonee, utilizzando la rete Intranet di Ateneo.
L’accesso è consentito a tutti i titolari di credenziali istituzionali abilitati all’accesso alla medesima rete.

L'opinione di Giliberto Capano
Fonte: CORRIERE DI BOLOGNA, 28.07.12
(Stralcio)

:::::::::::

  " Il complesso di queste regole getta una preoccupante atmosfera di opacità sui processi decisionali più importanti di Unibo.
   Il nuovo regolamento dispone che i membri del cda e del Senato, pur potendo interloquire con i membri della comunità universitaria prima delle decisioni, non possano divulgare (nemmeno seguendo le prassi informali che hanno sempre regolato tale questione in passato) alcun riferimento, documento, atto istruttorio prima che la decisione venga presa.   Tutto potrà essere letto solo al momento della pubblicazione degli atti.
  Ciò significa che gli organi di governo del nostro ateneo hanno deciso che non vogliono discutere con chi li ha eletti del contenuto, tecnico e perciò politico, delle decisioni partendo dalla documentazione ufficiale, ma solo sulla base di una interlocuzione orale. Scelta preoccupante.
   È stato inoltre deciso che i verbali non dovranno riportare i dibattiti tra i membri degli organi e le discussioni non correlate a una decisione. Dunque, i membri dei due organi collegiali hanno stabilito che i propri elettori non debbono sapere qual è stato il loro comportamento nel corso del mandato.
   Ma allora come faranno i membri della comunità universitaria a controllare che i loro rappresentanti/governanti facciano bene il proprio lavoro?    Si tratta di due questioni imprescindibili.
   Il futuro di Unibo deve basarsi su processi decisionali trasparenti e responsabili.
  Possiamo solo pensare che queste regole siano state decise senza riflettere troppo sul loro significato simbolico a causa del superlavoro di questi ultimi mesi.
  E di conseguenza non possiamo che augurarci che a settembre, quando la lucidità sarà maggiore grazie al riposo estivo, esse vengano emendate come necessario per il buon governo, e quindi per il buon futuro, di Unibo."

Nino Luciani, Il Commento, e confronto con Padova e Torino...

  1.- Limiti di accesso per il pubblico. Risulta dall'art. 5 che l'accesso agli atti è consentito solo agli appartenenti all'Ateneo (vale dire solo tramite rete Intranet).
   L'art. 3. 2 del nuovo Statuto, recita:
" Trasparenza:
a) L’Ateneo favorisce il dialogo all’interno della comunità universitaria e promuove il confronto con i soggetti esterni, anche attraverso il sito istituzionale o altri strumenti telematici di comunicazione e di consultazione.
b) L’Ateneo garantisce, secondo modalità da disciplinarsi con apposito regolamento, adeguata pubblicità delle deliberazioni assunte dagli Organi Accademici e degli atti che compongono i relativi riferimenti, fermo restando quanto previsto dalla legge in tema di riservatezza."

   Commento. La Legge Gelmini ammette in Consiglio di Amministrazione 3 soggetti esterni, in quanto evidentemente ritiene che il pubblico (famiglie, studenti, chiunque) possa prendere conoscenza del funzionamento delle università pubbliche, vale dire finanziate con le imposte di tutti e con le tasse degli studenti.
   Lo Statuto vuole la comunicazione con l'esterno.
   Dunque il Regolamento è doppiamente incoerente con la legge e con lo Statuto.

  2. Il caso di Padova. Nello Statuto, si trovano enunciazioni del tipo di Bologna, sopra riportato e poi, coerentemente, è consentito al pubblico l'accesso ai verbali, senza alcuna discriminazione.
   Qui sotto, a comprova * riportiamo l'indirizzo, cliccando sul quale si può constatare la possibilità dell'accesso a tutti i verbali dal 1998 al 2014.
   Questo è possibile anche a Torino Politecnico**, e Università degli Studi***.
   In particolare, presso quest'ultima, le Sedute del Senato Accademico sono visibili, on line in diretta streaming, a tutta la Comunità Accademica (professori, personale tecnico amministrativo, studenti etc).

  3.- Conclusioni. E' con vera amarezza il dover constatare che Bologna, pur aspirando alla all'internazionalizzazione, conserva una mentalità oscurantista, medievale in senso negativo (chiusa dentro le mura). Nino Luciani

* http://www.unipd.it/universita/organi-di-ateneo/consiglio-di-amministrazione/verbali

** http://www.swas.polito.it/services/docuff/Default.asp?id_documento_padre=10952

*** http://www.unito.it/unitoWAR/appmanager/istituzionale/ateneo1?_nfpb=true&_pageLabel=sedute3

 

Edizioni precedenti

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TAR - Tribunale Ammnistrativo Regionale del Piemonte
Le parti in lite: MIUR e Politecnico di Torino

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LA CAUSA AVEVA AVUTO LUOGO IL 14 GIUGNO 2014
IL MIUR AVEVA CONTESTATO LA ILLEGITTIMITA' DELLO STATUTO DEL POLITECNICO

  LADODVE ERA  DECIS O CHE  IL CDA  FOSSE ELETTIVO  DAL CORPO ELETTORALE

Gianni Porzi, Legittimando l'elezione dei membri interni del  CdA, anche il TAR
                     del Piemonte difende la scelta democratica fatta dal Politecnico

   A Bologna, un ricorso al TAR, contro la delibera del Senato, di designazione del CdA*

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prof. Gianni Porzi

  Nota. Il prof. Porzi, come membro del CdA, aveva sostenuto la "elettività" del CdA, e questo era conforme sensibilità dell'intero Ateneo che, in referendum consultivo, l'aveva approvato con il 98% dei voti.
   Frattanto sono pervenutre notizie circa l'applicazione locale degli Statuti, per il CdA. Palermo è in tilt per avere omesso le quote rosa. A Bologna, è stato fatto un ricorso al TAR contro delibera del Senato. Precisamente,  trattasi del fatto che uno dei concorrenti al CdA ha fatto ricorso contro l'esclusione, si presume per mancanza di motivazione da parte del Comitato di selezione.
   E siccome è giusto che la Comunità accademica conosca come è avvenuta la designazione del CdA, riporto qui la relativa delibera del Senato. NL

  Gianni Porzi, Anche il TAR del Piemonte difende la scelta democratica fatta dal Politecnico di Torino, legittimando l’elezione dei membri interni del CdA ad opera della Comunità universitaria.

   La sentenza del TAR Piemonte (n° 983 del 14/6/2014) dopo quella del TAR Liguria (n° 718 del 22/5/2014), ritengo sia di grande significato politico e molto importante per la vita democratica del Politecnico di Torino. Infatti, il TAR ha affermato che l’opzione fatta dal Politecnico di scegliere i membri interni del Consiglio di Amministrazione (CdA) attraverso l’elezione diretta da parte della Comunità accademica è legittima, cioè non è contra legem come invece sostenuto dal Ministero. Quindi il Tribunale Amministrativo ha rigettato il ricorso intentato dal MIUR che contestava l'eleggibilità, prevista dallo Statuto del Politecnico di Torino, non essendo in contrasto con la Legge 240. In sostanza, la “partecipazione democratica” del Personale universitario al governo dell’Ateneo non è, a giudizio della Magistratura Amministrativa, in contrasto col dettato della Legge e ciò rappresenta una vittoria di grande significato politico per tutti coloro che sono convintamente e profondamente democratici.

   Interessante è il seguente passaggio della sentenza del TAR Piemonte : “Anzitutto va ricordato che il termine “designazione” indica, in sé, solo l’atto con cui una determinata persona viene additata ad un ufficio, mentre nulla dice in ordine al soggetto che effettua tale indicazione né sui criteri e modalità seguiti a tale fine: esso quindi non esclude che il designante possa essere un organo collegiale né che l’individuazione possa essere effettuata all’esito di una procedura elettiva. In tal senso le procedure elettive costituiscono solo una delle modalità di designazione di un soggetto ad un ufficio”.

    Ciò è in sintonia con l’opinione espressa dal prorettore per gli Affari giuridici dell’Università di Pisa, professor Dal Canto, secondo il quale “una scelta può essere fatta in molti modi, dunque anche attraverso le elezioni: infatti, elezione deriva dal latino eligere, che significa scegliere”. A sostegno e a difesa del meccanismo elettivo per la scelta dei membri interni del CdA, il Rettore dell’Università di Trieste, professor Peroni, aveva affermato che “la Legge 240 non contiene elementi di incontrovertibile divieto, e noi abbiamo difeso questo ulteriore passaggio democratico che garantisce la partecipazione di tutti”. Il TAR del Piemonte, rigettando il ricorso intentato dal MIUR contro il Politecnico di Torino, legittima la scelta democratica fatta dall’Ateneo del quale, va ricordato, fino a novembre 2011 è stato Rettore l’attuale Ministro Profumo e sotto il cui rettorato fu adottata l’opzione dell’eleggibilità contro la quale il MIUR ha poi fatto ricorso.

    Si potrebbe dire che il Ministro Profumo ha ricorso contro l’ex Rettore Profumo (situazione un po’ kafkiana). Comunque, con le sentenze dei TAR del Piemonte e della Liguria sono stati garantiti quei principi elementari di democrazia partecipativa che altri Atenei, fra i quali quello bolognese, non hanno invece ritenuto importanti, evidenziando così un grado di sensibilità democratica notevolmente diverso

    Oltre ai due Atenei ricordati, anche quelli di Pisa, Firenze, Parma e Trieste hanno optato per la procedura elettiva dei membri interni del CdA e c’è quindi da augurarsi che anche le prossime sentenze dei Tribunali Amministrativi presso i quali il MIUR ha presentato ricorso riconoscano legittima l’opzione democratica basata sull’eleggibilità da parte del Personale universitario.

    A tale proposito va sottolineato che a fronte della volontà dell’Ateneo di Pisa di tener ferma la sua posizione, il MIUR aveva presentato ricorso al TAR Toscana chiedendo la sospensione in via cautelare delle norme contestate, opponendosi in particolare alla scelta di designare con il metodo elettivo alcuni membri del CdA. Ma il Tribunale Amministrativo, con ordinanza del 30 maggio, ha respinto la richiesta di sospensiva, con grande soddisfazione del Rettore Augello e del prorettore Dal Canto, in quanto "non appare sussistere il pericolo di un danno grave e irreparabile derivante dall'esecuzione dei provvedimenti impugnati".  Gianni Porzi

 

CORTE DEI CONTI,  DI NUOVO  PER   LE  RIFORME. QUELLE  DELLA  SIGNORA  MERKEL ?

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La Corte torna alla Camera per Rapporto
sul Coordinamento della finanza pubblica

e, con l'occasione,  per fare proposte
sul modo di superare la crisi economica

LUCIANI, Per la priorità alla crescita del PIL, nei 
prossimi tavoli "Europei", con chiarezze, quali :

1.- MONTI  ha motivo di restare, solo se è per sbloccare
     la spesa pubblica, perchè i sacrifici imposti vadano a
     frutto.  Meglio se con il consenso della U.E.  ;

2.- La spending revew ha un senso, se in una
     prospettiva di lungo periodo (non per subito) ;
3.- Urgono sgravi fiscali per i profitti reinvestiti (Laffer docet)

Presidente L. Giampaolino, Presentazione del Rapporto 2014. (Stralcio).  Roma 5 giugno 2014.
Per il testo integrale del rapporto, clicca su: http://www.corteconti.it/

:::::
1.-   "L’obiettivo di completare il percorso di adeguamento al benchmark europeo è essenziale per aprire prospettive di crescita, ma non appare né facile né semplice, tanto per le dimensioni dello sforzo da richiedere alla finanza pubblica, quanto per i limitati spazi di copertura disponibili.
   Sostanzialmente esauriti i margini finora offerti dalle entrate volontarie, a cominciare da quelle per giochi, e dall’efficientamento dell’attività di riscossione, si rafforzano, pertanto, le ragioni per puntare sulla soluzione dell’ampliamento della base imponibile, assegnando alla lotta all’evasione ed all’elusione ed al ridimensionamento dell’erosione il compito di assicurare margini consistenti per un riequilibrio del sistema di prelievo al fine di poter almeno in parte conciliare rigore, equità e crescita.
    Resta naturalmente fermo che l’opzione di fondo da perseguire non può non essere quella di una consistente riduzione della spesa corrente – sia primaria che per interessi sul debito.
   Riduzione della spesa primaria da ottenersi attraverso la reingegnerizzazione dei processi amministrativi, il ridisegno organizzativo delle amministrazioni pubbliche e la ridelimitazione dei confini del pubblico, ma anche innovando nelle modalità di erogazione dei servizi amministrativi, prevedendone - quando economicamente giustificata e tecnicamente fattibile - una gestione autonoma ed autofinanziata.
  Va in questa direzione la decisa accelerazione del Governo (decreto-legge n. 52 del 2014) verso il rafforzamento dei meccanismi di razionalizzazione e controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica (spending review).
   Il programma di revisione integrale della spesa pubblica, specie di quella corrente primaria rappresenta un’iniziativa particolarmente apprezzata, rappresentando un criterio di fondo della programmazione della spesa e dell’organizzazione dell’amministrazione idoneo a segnare un passaggio innovativo rispetto alla tecnica dei cd. tagli lineari.
   Va, infine, ripreso con maggiore continuità e convinzione il processo volto a realizzare un abbattimento significativo del debito, attraverso la dismissione di quote importanti del patrimonio mobiliare ed immobiliare in mano pubblica.
   Nelle recenti occasioni di confronto con il Parlamento, la Corte ha più volte sottolineato l’urgenza di soluzioni operative su un fronte, come quello delle dismissioni, finora carente nell’identificare dimensioni, condizioni e responsabilità realizzative.

  2.-  Passando al merito delle valutazioni svolte nel Rapporto vorrei evidenziare che gli andamenti del 2011, come già quelli del 2010, sono rivelatori del grado di disciplina della politica di bilancio italiana.
    Orbene, in virtù di riduzioni di spesa superiori alle attese, l’indebitamento è sceso lo scorso anno al 3,9 per cento del Pil, rispettando pienamente gli obiettivi fissati a inizio d’anno. Al contempo, i risultati del 2011 riflettono la difficoltà in cui incorre la gestione della finanza pubblica in un contesto di sostanziale assenza di crescita.
   Anche lo scorso anno, infatti, il gettito fiscale è rimasto al di sotto delle previsioni, penalizzato dalla mancata ripresa dell’economia. Un fenomeno non occasionale, ma destinato a protrarsi per alcuni anni, dal momento che il vuoto di prodotto apertosi dopo la crisi finanziaria è lungi dall’essere recuperato.
   Sono dunque esplose lo scorso anno le contraddizioni che accompagnano l’attuazione della politica di bilancio. Da una parte, l’efficacia delle misure di contenimento delle spese, che nei fatti si rivelano più stringenti di quanto sembri essere percepito dall’opinione pubblica nazionale e, soprattutto, internazionale; dall’altra, una dinamica di crescita asfittica, che rende difficile conseguire risultati migliori di quelli effettivamente realizzati.
   La percezione di una notevole e quasi inattesa efficacia dei provvedimenti di contenimento della spesa è confermata, in primo luogo, dall’esame dei risultati conseguiti nel controllo della dinamica delle spese delle amministrazioni centrali e, in particolare, dello Stato.
   Con riguardo al comparto statale, vi è da osservare che, nel 2011, si sono cumulati gli effetti dei robusti “tagli” delle spese dei ministeri, disposti, già nel 2008, con il ricordato DL n. 112 e di quelli integrativi derivanti dai DD.LL n. 78 del 2010 e n. 98 del 2011.
   Al netto degli interessi e dei trasferimenti alle amministrazioni locali, le spese dello Stato risultano diminuite, nel biennio 2010-2011, di circa il 6 per cento. Uno sforzo di contenimento di grande rilievo, anche se del tutto sbilanciato nella composizione: ad una riduzione di meno del 3 per cento delle spese primarie correnti fa, infatti, riscontro la caduta delle spese in conto capitale del 26 per cento.
   Nel solo 2011, la spesa primaria segna anche una diminuzione superiore di quasi 4 miliardi al livello previsto in sede di DEF nell’aprile 2010.
Nel quadro della generale compressione delle spese in conto capitale, risalta il taglio applicato ai contributi alle imprese che, sempre nel biennio, ha nettamente superato il 50 per cento.
   L’ultimo biennio segna una netta inversione di tendenza rispetto all’intero arco degli anni 2000, durante il quale la spesa primaria dello Stato era aumentata ad un tasso medio annuale di circa il 6 per cento.
Limitando l’attenzione ai consumi pubblici, gli ultimi anni – e non solo il 2011 – offrono l’evidenza di un vero e proprio cambio di rotta nelle dinamiche tanto delle spese di personale quanto degli acquisti di beni e servizi (i c.d. consumi intermedi) dello Stato.
    I redditi da lavoro dipendente segnano, nel 2011, una riduzione che risulta superiore alle attese e che fa seguito ad un rallentamento in atto già da anni, se si considera come, rispetto alle previsioni avanzate all’inizio della legislatura, le retribuzioni delle amministrazioni pubbliche si collochino ben 13 miliardi più in basso. Un risultato che evidenzia l’efficacia delle numerose misure di controllo della dinamica retributiva e di razionalizzazione e riorganizzazione degli organici (soprattutto nel comparto scolastico) adottate con il DL n. 112/08 e con il DL n. 78/10.
   La stretta impressa agli acquisti di beni e servizi dei ministeri si è tradotta, poi, nel triennio 2009-2011, in una riduzione complessiva degli impegni di bilancio dello Stato di oltre l’8 per cento. Una riduzione che è stata conseguita nonostante che, negli ultimi quattro anni, siano state regolate posizioni debitorie pregresse emerse presso le amministrazioni statali - e relative alla categoria dei consumi intermedi - per un ammontare di oltre 3,5 miliardi.
    Note senza dubbio positive si traggono anche dalla valutazione della disciplina di bilancio applicata al livello delle Amministrazioni locali, attraverso un progressivo affinamento degli strumenti di coordinamento.

   3.- Nel consuntivo del 2011, il contributo degli Enti territoriali all’obiettivo generale di indebitamento è stato, anche se di poco, migliore delle attese: il disavanzo si è arrestato allo 0,3 per cento del Pil. Per il secondo anno consecutivo si sono ridotte le uscite complessive. Un andamento dovuto ancora alla caduta della spesa in conto capitale, ma anche ad una spesa corrente che, per la prima volta dalla metà degli anni novanta, presenta un risultato in flessione dell’1,2 per cento. Un dato di rilievo se si considera che tra il 2005 e il 2010 si era registrato un aumento medio del 3,3 per cento, ben al di sopra del tasso di crescita medio del prodotto. Ma anche un risultato forzato dal progressivo inaridimento delle risorse disponibili per gli enti locali.
   Nel 2011 si è confermata, dunque, l’efficacia delle misure di consolidamento fiscale assunte, per le Amministrazioni locali, a partire dal DL 112/2008, almeno dal punto di vista degli obiettivi quantitativi. Le correzioni al quadro tendenziale di inizio legislatura, disposte dai provvedimenti che si sono succeduti nel triennio, era previsto producessero una riduzione della spesa del settore di circa 18 miliardi, accompagnata da minori trasferimenti per poco meno di 9 miliardi. A consuntivo la spesa complessiva è stata di 22 miliardi inferiore al dato tendenziale.
   Nonostante la crisi, le misure di consolidamento fiscale hanno quindi consentito di mantenere il contributo degli enti territoriali al disavanzo complessivo delle amministrazioni pubbliche sui livelli previsti a inizio legislatura. Non senza pagare, tuttavia, un prezzo in termini di una dequalificazione della spesa e di un, seppur moderato, aumento della pressione fiscale locale.
    Va aggiunto che se le regioni si sono mantenute nei limiti previsti dal Patto di stabilità interno per il 2011, il quadro finanziario si presenta più articolato per quanto riguarda i Comuni, che nel complesso non sono riusciti a conseguire l’obiettivo cumulato, con gli Enti inadempienti aumentati al 4,6 per cento, dal 2,2 per cento del 2010.
   Al di là dei risultati quantitativi ottenuti, gli strumenti di coordinamento applicati alle amministrazioni locali vanno considerati per alcuni fondamentali “aspetti evolutivi”, che ne stanno migliorando la “qualità”.
L’introduzione di meccanismi di compensazione regionale, oltre ad aver reso più sostenibili gli obiettivi dei singoli enti, ha avuto un effetto positivo sul livello dei pagamenti in conto capitale.
Pur nella generale flessione degli investimenti pubblici, proprio gli enti che hanno ottenuto spazi aggiuntivi di saldo dal Patto regionale, espongono standard di pagamenti di spesa in conto capitale più elevati e riescono a contenere la caduta rispetto ai livelli 2010 (-3,8 per cento) in maniera più significativa dei restanti enti (-9,2 per cento).
  
  4.- Piuttosto incerte, tuttavia, rimangono le prospettive di sviluppo se non saranno adeguatamente affrontate alcune problematiche. Innanzitutto il potenziamento dei meccanismi decentrati di controllo e di sanzione/penalizzazione, per evitare che il mancato conseguimento dell’obiettivo da parte di alcuni enti possa compromettere l’equilibrio dell’intero sistema regionale; in secondo luogo, il coordinamento con il meccanismo del Patto nazionale orizzontale, onde evitare un depotenziamento del già fragile mercato dei “diritti all’indebitamento”; infine, ma non di minore importanza, l’affinamento di un sistema di garanzie tra livelli di governo, affinché tale strumento possa effettivamente costituire l’asse portante per consentire, anche in futuro, il finanziamento degli investimenti in disavanzo compatibilmente con il vincolo costituzionale dell’obiettivo generale di pareggio.
   Anche la gestione della spesa sanitaria ha presentato, nel 2011, risultati migliori delle attese. A consuntivo le uscite complessive (112 miliardi) sono state inferiori di oltre 2,9 miliardi al dato previsto e riconfermato, da ultimo, lo scorso dicembre, nel quadro di preconsuntivo contenuto nella Relazione al Parlamento.
   Per la prima volta, la spesa sanitaria ha ridotto, seppur lievemente, la sua incidenza in termini di Pil, scendendo dal 7,3 per cento del 2010 al 7,1. Si sono ridotte di un ulteriore 28 per cento le perdite prodotte dal sistema (e che devono essere in ogni caso coperte dalle amministrazioni regionali). Un risultato frutto, soprattutto, della riduzione dei costi registrata in alcune regioni in piano di rientro. Nonostante i progressi evidenti nei risultati economici, tuttavia, il settore sanitario continua a presentare fenomeni di inappropriatezza organizzativa e gestionale che ne fanno il ricorrente oggetto di programmi di taglio della spesa."

NINO LUCIANI, Urge sbloccare la spesa pubblica, se i sacrifici fiscali devono servire a qualcosa. Sarebbero cosa buona anche sgravi fiscali ai profitti e svalutare l'Euro, ancora un pò.
POI ... BASTA BESTEMMIE CONTRO L'EURO. CON I VARI TRATTATI EUROPEI, CI PRESERVA DA NUOVE GUERRE IN EUROPA.

1.- La situazione, sei mesi fa. Quando Monti prese in mano la staffetta, da Berlusconi, la situazione finanziaria ed economica era grosso modo la seguente:
a) bilancio statale in disavanzo, da finanziare con ulteriore aumento del debito pubblico, e ciò incrementava l'aspettativa di insolvenza dello Stato.
  Questa aspettativa non era causata, in modo diretto, da una anomalia grave della situazione finanziaria statale (per l'ammortamento dell'attuale debito, basta una rata annuale, venntennale, pari al 10% del PIL, al tasso di interesse del 5%), ma da quella che sarebbe potuta diventare, se lo Stato avesse dovuto soccorrere le banche, per "salvare" il risparmio delle famiglie, di seguito a casi di flop delle banche. Infatti, le banche erano in grave stato di sofferenza, per avere ecceduto (nel passato decennio) nell'impiegare a rischio i depositi della clientela.;
b) C'era dell'altro. Pur dopo gli interventi della BCE, le banche non potevano, tout court, girare danaro (di genesi BCE) alle imprese, sia perchè esse dovevano ricapitalizzare se stesse, sia perchè era tutt'altro che attesa la ripresa delle vendite del settore produttivo (così da giustificarne il finanziamento, con un rischio bancario ragionevole). Motivo: non c'era ancora domanda "effettiva" sufficiente, vale dire sorretta da "potere di acquisto"

2.- Cosa è stato fatto.  Dobbiamo prendere atti che, allo stato attuale, non si può stare tranquilli, pur tenuto conto della liquidità messa a loro disposizione dalla BCE,. Vi nuoce la interdipendenza tra le grandi banche dell'intero sistema Euro (e dei loro rapporti con tutti gli Stati, dell'Euro).
   Storicamente la via maestra, per affrontare il grande debito pubblico, sarebbe stata la svalutazione monetaria. Ma si poteva puntare a un misto che e':
a)  la "parziale" svalutazione monetaria;
b) l'aumento delle entrate fiscali ;
c) la diminuzione della spesa pubblica ;
d) la vendita del patrimonio "non strategico" dello Stato.
e) In affiancamento, la possibilità dell'assistenza dell'Unione Europea sia sotto forma di "seconda firma" di propri Fondi, nella collocazione del debito pubblico (soprattutto per rifinanziare il debito in scadenza) sia sotto forma di ombrello della BCE, nel mercato secondario, per le obbligazioni statali.
f) abolire l'Euro e tornare alla Lira ?
  Di queste possibilità, il Governo Monti ha fruito delle soluzioni sub a), sub b), sub e) e qualcosa di quella sub c), e messo in Costituzione l'obbligo del pareggio del bilancio. Nell''insieme, tutto è risultato poco, soprattutto per carenze della BCE nel punto determinante, che è l'avere potere di deterrenza nei confronti dei mercati, in casi estremi, con interventi di ultima istanza a favore degli Stati.
  Per questo, l'idea di abolire l'euro ha raccolto qualche sostenitore, e di tornare la vecchia Banca dItalia, usa a fare da ombrello al Tesoro. Vediamo meglio.

3.- Svalutazione dell'euro ? Se consuderiamo il cambio euro/dollaro ed euro/yen oggi, rispetto a se mesi fa, troviamo:
a) a marzo 2014 il dollaro USA era 1,33 rispetto all'euro. Oggi il cambio è 1,25 (svalutazione 6%. Nello stesso periodo lo yen giapponese è passato da 1,10 a 1,00 (svalutazione 9%). Non è poco. Questo comporta un corrispondente minor valore del debito pubblico italiano, detenuto da residenti esteri (essi posseggono la metà del debito pubblico italiano), e aver aiutato le esportazioni verso le aree non-Euro.

  Sarebbe consigliabile una ulteriore svalutazione: fino al 20%, purchè con l'impegno di risarcire (quanto prima possibile) il reddito fisso.
  b) il debito greco è rimasto una mina vagante su di noi. Sarebbe saggio se la Germania lo caricasse su di sè (a intenditor poche parole), visto che la Grecia non è in conidizioni di pagare, e che la cifra è modesta.

4.- Sull'alternativa: "aumento entrate fiscali, minori spese pubbliche".
   Monti
ha preferito aumentare le entrate ficali. Era meglio diminuire le spese ?
   Nelle grandi difficoltà, lo Stato deve offrire i muscoli, esercitando il potere sovrano "fiscale" (la grande differenza, rispetto ai poteri del Mercato).
  Tuttavia, dal punto di vista strutturale avrebbe un senso ridurre le aliquote fiscali (quelle sui profitti) per aumentare il gettito fiscale, se avessimo in U.E. dei governanti meno "ragionieri" e più "economisti.
   Ce lo dice la curva di Laffer. Essa si fonda sulla legge economica (di Maffeo Pantaleoni) secondo cui, ipotizzando che si parta da un tempo "zero" (in cui c'è solo il mercato e non c'è lo Stato), ad un tempo n, (in cui c'è sia lo Stato sia il mercato), è verosimile che la spesa pubblica abbia una utilità marginale positiva e via via decrescente, via via che aumenta l saturazione crescente dei bisogni pubblici. Nello stesso tempo è verosimile che le imposte (che finanziano quella spesa pubblica) arrechino ai cittadini una penosità via crescente, al margine.

  L'incontro tra le due rispettive curve (decrescente e crescente) determina una soluzione ottimale. Fino a quel punto il PIL cresce, oltre quel punto, il PIL cala.

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  La curva di Laffer riassume il tutto. La pressione fiscale è una percentuale del PIL. Aumentando questa percentuale, il gettito arriva ad un massimo (Max), in corrispondenza a PIL crescente. Il gettito comincia, invece, a calare quando cala il PIL, pur se cresce l'aliquota. Nel grafico, una aliquota del 45% rende meno che il 30%. La situazione dell'Italia è, grosso modo, nel punto A, ossia a destra del gettito, corrispondenre al PIL massimo. Pertanto il calo della pression fiscale farebbe aumentare il gettito fiscale.
   Purtroppo, negli scorsi anni (da Padoa-Schioppa a Tremonti a Grilli) abbiamo avuto dei ministri "ragionieri", che non vedevano gli aspetti economici.

  Sempre dal punto di vista strutturale, non ho dubbi che vada tagliata fortemente la spesa pubblica (portarla dall'attuale 55% del del PIL al 45% del PIL). Questa è una evidenza saltata ai nostri occhi al momento (1991) della caduta del sistema comunista sovietico. In quegli anni l''Italia aveva gli stessi problemi economici dell'URSS, in proporzione al proprio grado di statizzazione (60%). Oggi siamo al 55%. Resta da fare molta strada.
   Ma va messo in conto che la Germania OVEST ha impiegato 20 anni per adeguare la Germania EST all'economia di mercato. Sbaglia la Signora MERKEL a pensare a repentine privatizzazioni, pur se bisognar cominciare, sia pure con gradualità. Ma si è visto che neppure la vendita del patrimonio immobiliare si può improvvisare (la Corte dei Conti ci ha ammonito in questi giorni) che le accelerazioni ci fanno "svendere", vale dire incassare pochi spiccioli.
   Diffido anche dalla "spending revew", se non è impostata sul medio-lungo periodo.
 

3. Invece, dal punto di vista congiunturale, serve  assolutamente la spesa pubblica (purchè non "in deficit). Se non ci sbrighiamo, rischiamo di smantellare il sistema produttivo pre-esistente la crisi, che non più aspettare una domanda che non arriva.
   Presso i classici prevaleva l'idea che "l'offerta crea la domanda". Di regola è così. Ma, poi, Keynes precisò che la domanda ha, in qualche modo, una sua autonomia (gli alti redditieri spendono meno del reddito, ed al crescere del reddito, spendono meno, in proporzione), e dunque non sempre la domanda è   "effettiva", vale dire "accompagnata da potere d'acquisto".
   Di più, nei periodi di pessimismo economico, le famiglie tendono a tesaurizzare, e le imprese a non investire, per cui l'unico modo di creare "domanda effettiva" è sbloccare la spesa pubblica.
   Sì, sbloccare. Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non è grandine che distrugge i raccolti, se al prelievo segue prontamente la spesa. Invece vediamo la spesa "tanto, quanto".
   E' noto che la spesa pubblica è lenta a causa del processo burocratico, ma il troppo stroppia (quei fornitori dello Stato, non pagati ...; quegli imprenditori suicidati, ...). La Corte dei Conti vada a vedere cosa succede al Tesoro, visto che questo ha la maggior responsabilità di spesa.
   Oggi c'è la aggravante che alcuni blocchi della spesa ci sono per decisioni europee (patto di stabilità). E' grave che Monti non abbia ancora buttato all'aria il tavolo.
  
  4.- Un ombrello anti-spread ? Per sua natura un prezzo pubblico va difeso con i poteri dello Stato: quelli di poter comunque coprire i costi in caso di disavanzo. Nel caso degli interessi per l'emissione di debito pubblico dovrebbe valere lo stesso principio. E se un singolo Stato vi è impotente, dovrebbe subentrare l'UE. Peccato che l'UE non conosca queste elementari regole della scienza delle finanze.
   Invece, in UE sembra voler prevalere l'idea (per creare "domanda effettiva") di mettere a disposizione (delle imprese) fondi europei per investimento privati.
   Per me questa idea è sbagliata, perchè al momento le imprese non investono, per pessimismo sul futuro. I Fondi europei per gli investimenti vadano agli Stati, in questa fase, purchè per pronta spesa.

5.- Abolire l'Euro e tornare alla Lira ? Ognun vede che, in una comunità di Stati diversi e con differente stuttura Stato-Mercato, e senza regole di Goverance pre-pattuite, gli Stati più "deboli" sono destinati a subire le decisioni di quelli più forti.
   Per l'Italia, il caso più eclatante è stato il cambio Lira/Euro, al momento dell'abbandono della lira. Infatti, solo pochi mesi dall'adozione dell'Euro, la Banca d'Italia dichiarava che il commercio estero dell'Italia aveva perduto competitività dell'8% e più tardi, del 40%.
   Non solo questo. I prezzi interni al consumo raddoppiarono. Era dunque palese che il cambio lira/euro era stato "imposto" dagli Stati più forti (il Premier era Prodi, e il Governatore di Bankitalia era Fazio). Ma al momento dell'entrata in vigore (2002) il Premier era Berlusconi. Il settore del reddito variabile fece affari d'oro (vale dire Berlusconi) ed il reddito fisso fu messo sul lastrico.
   Ci conviene tormare alla lira ? Quelle parole roboanti, di "qualcuno", secondo cui ll'Euro" è una specie di camicia di forza, che protegge la debole Italia dai venti del mondo globale, non mi hai scaldato più di un dente.
   Ritengo, però, anch'io che l'Euro deve restare, ma per motivi politici. Non dobbiamo mai dimenticare quante guerre abbiamo avuto, in Europa, per la regolazione dei differenti interessi, e che da quando abbiamo trovato forme di convivenza economica (CECA, CEE, ...., UE) non abbiamo avuto più guerre.
   Per questo, direi che è una bestemmia imprecare contro l'Euro.
   E' meglio continuare a scornarci, intorno a un tavolo, che tornare a guerre, ma anche farlo in modo adeguato, a cominciare da momenti di raccordo tra i Paesi deboli. Penso che la Federazione sarebbe il modo appropriato, centralizzando il minimo indispensabile. NINO LUCIANI

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Verso una nuova riforma fiscale ?  ATTESO  IL  DDL  DEL  GOVERNO  " MONTI "

Frattanto, sottoponiamo, non in contrapposizione,  ma come utile
riflessione preparatoria, una sintesi  della  riforma Cosciani del 1970.

E proponiamo anche  un  uso "deflazionistico" della riduzione dell'IVA,
per compensare il perduto potere sul cambio, a pro esportazioni

                         E lo Stato, se vuol tassare autorevolmente, impari ad essere serio per primo.  Ad es., tenga conto che :
.
- a) l'IVA è sui costi, nei casi (tanti) in cui, di fatto, non è trasferibile sul consumatore;
- b) il valore patrimoniale è sopravvalutato se è calcolato moltiplicando la rendita per 100 (peggio per 160), perchè ciò equivale a

   capitalizzare al tasso dell'1% (o meno), mentre il tasso effettivo è nell'intorno del 5% (per cui, il moltiplicatore realistico è 20);
- c) che il costo amministrativo del prelievo potrebbe superare il gettito (questo accade tassando imponibili bassi);
- d) va contro la crescita, se non spende tempestivamente il gettito fiscale (es.: se paga i fornitori con ritardi irragionevoli )

UNA  RIFORMA  FISCALE   EQUA,  E  PER  LA  CRESCITA   DELL'ECONOMIA ?

  Nota. Non desti meraviglia riandare ad una riforma di 42 anni fa. Il motivo è che fu la prima (e unica) riforma fiscale organica dell'Italia democratica, post-fascista, e che fu l'espressione della tradizione della scienza delle finanze italiana. Si tratta, dunque, di un viatico fondamentale per una nuova riforma.
  Non solo per questo motivo: i vari inserimenti successivi, a pezzettini (ICIAP, INVIM, IRAP, ..., poi ripensati), erano motivati dal fatto che (all'ultimo) la legge di riforma aveva eliminato la finanza locale (in attesa di rimetterla entro 4 anni...). Il motivo è che anche allora non c'era pace circa l'assetto federale dello Stato, e l'ordinamento regionale era ancora  in viaggio. Del resto, anche il recente  "federalismo fiscale" tale non è, perchè fatto con imposte locali meramente aggiuntive, non con un diverso riparto delle imposte tra Stato ed enti locali (a favore di questi ultimi), dentro un prefissato sistema fiscale nazionale unitario  (come richiedeva la riforma Cosciani).
   Ci sono, poi, fatti nuovi sopravvenuti (la perdita del potere monetario dello Stato; una evasione fiscale abnorne per eccesso di pressione fiscale; eccesso di ritardo dello Stato nel pagare i fornitori. Di questi mi occupo nella nota qui sotto.
   La tassazione ha, a sua volta, una autorevolezza se lo Stato è serio nel modo di attuarla. Rinvio ai punti a), b), c), d) più sopra. In particolare, il fatto che lo Stato spenda tempestivamente quanto autorizzato dalla legge di bilancio (il 50% del PIL, è tantissimo) è lo strumento più importante per la crescita. Monti lo sa ?

Ripartendo dalla riforma "C. Cosciani"
(
"Ministero del Bilancio, Progetto di programma di sviluppo economico per il quinquennio 1965-69,
cap. XXIII - Finanza Pubblica, p. 163 e ss.)

LA RIFORMA DEL SISTEMA TRIBUTARIO

" 20. - II nuovo sistema tributario, più aderente agli schemi vigenti negli altri Paesi della Comunità Economica Europea, dovrà rispondere a requisiti ben determinati.
  
a) In primo luogo, il sistema dovrà essere manovrabile, in modo da poter essere adattato, quando occorra, alle fondamentali esigenze e finalità di politica economica. Il sistema tributario deve, perciò, tendere ad una articolazione basata su pochi tributi di carattere fondamentale e su tassi relativamente moderati ma da applicarsi su una massa imponibile la più ampia possibile.
   A tal fine si rende necessaria: l'eliminazione di tutti quei tributi che creano distorsioni nell'impiego economico delle risorse e determinano inutili aggravi dei costi; la loro sostituzione con tributi efficienti non soltanto dal punto di vista fiscale, ma anche da quello della politica economica; la revisione e la razionalizzazione delle esenzioni.
 
b) In secondo luogo, il sistema tributario deve risultare chiaro, in modo che il contribuente possa rendersi facilmente conto dell'onere che gli viene addossato. Il contribuente ha diritto di esigere che le imposte siano trasparenti e che non si creino processi di illusione finanziaria, lasciando bassi i tassi di imposta formali e tuttavia aggravandoli - spesso in misura sensibile - con una serie di addizionali. A tal fine è necessario il conglobamento, in linea di massima, di tutte le imposte, sovrimposte e addizionali, a qualsiasi titolo prelevate e senza riguardo all'ente cui sono dovute, in un'unica imposta. Ciò significa l'abolizione di tutti i prelievi tributar! non statali e il conglobamento dei vari tassi in un'unica aliquota del tributo erariale.
 
c) In terzo luogo, il sistema tributario deve assicurare una progressività perequata e logica.

d) In quarto luogo, la struttura della finanza degli enti territoriali minori deve essere coordinata con quella della finanza statale, per evitare conflitti nelle politiche finanziarie ed economiche perseguite. (Nel rapporto del 1965, viene rimarcato il dualismo tra "più livelli di enti tassatori" e la "unica tasca" del contribuente, e pertanto la concorrenzialità degli enti nel pescare dalla "unica tasca" va subordinata al rispetto di un tetto alla pressione fiscale globale - N.d.R.).

21. - La vasta riforma del nostro sistema tributario richiede un adeguato scaglionamento nel tempo ed una attuazione per tappe successive debitamente coordinate tra loro, sia per consentire all'Amministrazione di adeguare un poco alla volta la propria attrezzatura ai nuovi compiti, sia per facilitare ai contribuenti la comprensione e la accettazione delle modificazioni introdotte, sia, infine, per agevolarne l'inserimento nell'equilibrio di mercato. Per quanto riguarda il prossimo quinquennio possono essere previsti per l'azione pubblica i seguenti obiettivi concernenti la riorganizzazione degli uffici, le imposte dirette, le imposte indirette, la finanza locale, l'allargamento della base imponibile.

a) riorganizzazione degli uffici (parte omessa)

b) Imposte dirette. Nel quinquennio 1965-69 potranno essere adottati, in conformità allo schema di riforma dianzi delineato, i seguenti provvedimenti:
  a) incorporazione nell'imposta personale sul reddito complessivo, con opportuni adattamenti, dell'imposta di famiglia, delle attuali cedolari (terreni, fabbricati, redditi agrari e ricchezza mobile) e di tutte le imposte addizionali comunque denominate e da qualsiasi ente percepite;
  b) istituzione di un'imposta reale, a tasso proporzionale ed uniforme, onde conservare l'attuale discriminazione tra i redditi di capitale e quelli di lavoro, da attribuire agli Enti locali, con tassi variabili entro limiti ristretti, e il cui accertamento verrebbe conservato allo Stato;
   c) assorbimento di tutti i tributi gravanti sulle società di capitali e sulle altre persone giuridiche in una unica imposta sulle società;
  d) revisione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni. Tali provvedimenti potranno essere emanati entro il 1966 ed entrare in vigore dal 1967.

c) Imposte indirette. II progetto di direttiva della Comunità Economica Europea prevede l'armonizzazione delle imposte sulla cifra di affari sulla base del valore aggiunto, da effettuarsi in due tappe: emanazione delle relative leggi nazionali entro il 31 dicembre 1967 ed entrata in vigore dal 1° gennaio 1970. Si tratta di un impegno al quale il nostro Paese non può sottrarsi. Sono d'altra parte evidenti le difficoltà di soddisfare tale impegno nei termini fissati, e le cautele che devono essere assicurate perché l'introduzione delle riforme non turbi l'andamento del gettito e la struttura dei prezzi. Inoltre, il successo della riforma è legato alla riduzione delle attuali aliquote delle imposte dirette, la cui elevatezza costituisce uno stimolo all'evasione. L'introduzione di un'imposta sul valore aggiunto implica un perfezionato accertamento contabile dei redditi delle imprese, che non può essere assicurato con gli attuali mezzi a disposizione del Ministero delle Finanze. Queste considerazioni hanno consigliato il Governo italiano a chiedere talune modifiche al progetto di direttiva della CEE, come la facoltà di istituire l'imposta monofase* sulla fase precedente il commercio al dettaglio, nonché la proroga di due anni dei termini previsti. Il Ministero delle Finanze, tuttavia, farà ogni sforzo per avviare la riforma alla fine del prossimo quinquennio. Contemporaneamente all'imposta sul valore aggiunto sarà istituita, come suo necessario complemento, l'imposta monofase da applicare prima del passaggio del prodotto al dettaglio, restando l'ultima fase riservata all'imposta locale sui consumi.
   Questa imposta monofase, a tassi discriminati, prima del passaggio al dettaglio, avrà anche la funzione di contenere l'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto in modo da ridurre gli stimoli alla evasione. L'assorbimento, previsto dallo schema di riforma, di altri tributi indiretti nell'imposta sul valore aggiunto formerà oggetto di successivi provvedimenti.
   Si potrà, tuttavia, procedere nel quinquennio ad una semplificazione dell'imposta di registro ed alla formazione di testi unici delle norme relative ad altre imposte di cui non sia prevista la radicale trasformazione.

d) Finanza locale. Per la finanza locale i provvedimenti da adottare sono di due ordini. I provvedimenti di riforma del sistema statale di imposizione diretta, che saranno adottati nel quinquennio, comporteranno la sostituzione dell'imposta di famiglia, delle imposte cedolari sui redditi e delle connesse sovrimposte ed addizionali con un'unica imposta uniforme sui redditi patrimoniali. Nello stesso tempo si provvederà alla revisione dell'imposta sulle aree fabbricabili alla luce dell'esperienza dei primi anni di applicazione. Sempre nel quinquennio dovrà essere riveduto, correlativamente alle modifiche introdotte, il sistema delle partecipazioni degli Enti locali alle entrate statali e dei contributi. Quanto alle imposte comunali di consumo, una riforma organica e completa non potrà essere attuata che ad avvenuta trasformazione dell'imposta generale sull'entrata.

e) Allargamento della base imponibile. La riforma da attuare, imperniata sulla semplificazione dei tributi e sulla riduzione delle aliquote globali, rende ancora più urgente l'allargamento della base imponibile attraverso l'esatto accertamento della materia tassabile ed il reperimento di quella che oggi sfugge, legalmente o illegalmente, all'imposizione.
   I provvedimenti saranno contemporaneamente rivolti alla riduzione delle esenzioni, alla prevenzione e repressione delle evasioni ed al perfezionamento della definizione legislativa di reddito imponibile e del suo accertamento, onde evitare rendite, salti e sperequazioni:
   a) la maggior parte delle esenzioni vigenti, rimaste prive di giustificazione, creano vuoti fiscali di rilievo, sono fonte di controversie e finiscono con l'essere un ostacolo ad una efficace politica degli incentivi fiscali. Il disegno di legge-delega, già presentato al Parlamento, dovrà essere opportunamente modificato ed approvato entro il 1966;
    b) il problema delle evasioni sarà, in parte, risolto attraverso la maggiore efficienza dell'amministrazione; saranno tuttavia indispensabili nuove disposizioni intese, da un lato, a perfezionare gli obblighi contabili dei contribuenti in genere e delle imprese, distinguendo le grandi dalle piccole e, dall'altro, al rafforzamento dei controlli e delle sanzioni. Queste norme potranno essere emanate parallelamente a quelle di riforma delle imposte dirette;
    c) l'accertamento della materia imponibile incontra notoriamente gravi difficoltà in conseguenza delle numerose controversie sulla nozione di reddito imponibile. È pertanto necessario, nel campo dei redditi mobiliari, rivedere anche il trattamento dei redditi saltuari in sede di imposta progressiva e la tassabilità di alcune plusvalenze.

   Nel campo, invece, dei redditi immobiliari si tratterà di ammodernare ed aggiornare il sistema catastale sia per i terreni sia per i fabbricati.
L'attuazione di detti provvedimenti richiede la preliminare meccanizzazione degli atti del catasto, a mezzo della quale si conseguirà anche la possibilità di fornire, 
per ciascun nominativo intestato, gli elementi da inserire nell'anagrafe tributaria ai fini dell'applicazione dell'imposta unica progressiva sul reddito. Le norme intese ad introdurre le descritte riforme potranno essere elaborate con una certa rapidità ed entrare in vigore entro il 1966. La loro attuazione pratica richiederà un periodo di anni abbastanza ampio, ma si potrà studiare la possibilità di un'applicazione graduale man mano che saranno state realizzate le premesse di ordine amministrativo."

Nino Luciani. Anche un "uso monetario" delle imposte per affrontare problemi nuovi (difficoltà del commercio estero ...)

1.- Quale impostazione per una riforma fiscale, equa socialmente e propizia alla crescita ? Tra le possibili impostazioni, applico la seguente:
- a parità di gettito tra le forme di imposta, applicare quella che ostacola meno lo sviluppo del PIL e dell'occupazione.
   Rispetto ad essa, ritengo che una base tuttora valida sia il rapporto della Commissione per la riforma tributaria del 1962, presieduta da C. Cosciani
   La sua attualità sta nel fatto che fu una "riforma organica" e che fu la prima riforma, in democrazia, in Italia, dopo quella fascista del 1923, e modificazioni.
   Per una ricognizione dei suoi aspetti innovativi, rinvio alla sintesi (qui a fianco) della riforma Cosciani, divenuta legge negli anni '70.

2. Problemi nuovi. Qui di seguito mi soffermo, invece, su alcuni problemi nuovi e  precisamente:  
- sulla perdita del potere monetario, da parte dello Stato, a cui si ricorreva di solito per sanare i disavanzi del commercio con l'estero. E' possibile usare la fiscalità per compiti "monetari" ?;
- sulla evasione fiscale abnorme, ma ben poco per “colpa” del contribuente.

a) Perdita del potere monetario. Dall’arrivo dell’euro, il commercio estero italiano è in tilt, per perdita di competitività internazionale.
  La questione qui esaminata è, pertanto, la seguente: “è possibile l'uso "monetario" di strumenti fiscali, per sostenere il commercio estero ?”
   Un tempo le difficoltà del commercio estero si affrontavano svalutando la lira (l'ultima è del 1992), e tutto si sbloccava. Adesso non è più così.
   Con l'arrivo dell'Euro, è scoppiata l'inflazione, e i prezzi interni (in €) sono risultati in forte aumento, rispetto ai prezzi in altre valute. Precisamente i prezzi, in dollari, delle esportazioni sono aumentati del 78%, e i prezzi in dollari delle importazioni sono aumentati del 96%.
   Vediamo qualche dato sui cambi (si  veggano i due grafici, più sotto).
   L'Euro è stato molto rivalutato rispetto allo Yen Giapponese e al Dollaro USA fino al 2009. Dopo il 2009 la situazione si è invertita verso lo Yen e, invece, rimasta ancora la tensione verso il Dollaro, ma meno. In questo periodo, le esportazioni e le importazioni sono rimaste, grosso modo, costanti in termini reali, e comunque importanti in termini di PIL: esportazioni, pari al 25,9% del PIL); importazioni pari al 27,% del PIL, così da mantenere il loro peso strategico, come  principale volano della economia italiana, notoriamente povera di materie prime.
    Concludiamo per la necessità di un intervento "monetario" della riforma fiscale pro-commercio estero.
   Risulta dalle statistiche che, pur in queste condizioni, i saldi sono stati quasi nulli, grazie a competitività recuperata con ristrutturazioni.
    Per il futuro prossimo, lo sblocco naturale può venire solo dalla soppressione del divario tra prezzi interni e prezzi esterni. Se non interverrà una svalutazione dell'Euro verso il Dollaro nell'ordine del 30%, il solo rimedio possibile va cercato in area fiscale, ferme le regole della concorrenza.
   Quali strumenti fiscali con effetti "monetari" ? R.A Mundell, economista premio - Nobel aveva fatto uno studio (nel 1967), in cui aveva "dimostrato la convenienza ad uno impiego specializzato delle leve monetarie e fiscali (dedicare all'equilibrio dei conti con l'estero, la leva monetaria, ed alla stabilità dei prezzi interni la leva fiscale). Io, poi, (Rivista Bancaria, 1974) avevo fatto uno studio in cui avevo dimostrato che la leva fiscale aveva anche effetti sui conti con l'estero.
  Abbassare l'IVA ? Tradizionalmente le imposte indirette sono ritenute scaricarsi sui prezzi (non le dirette, pur se è tesi semplificata). Dunque, se la riforma fiscale sostituisse parte dell'IRPEF con aumento dell'IVA, il commercio estero ne avrebbe ulteriore difficoltà.
    Veramente, il discorso è un pò più complicato, in quanto nel commercio vige il principio della tassazione del Paese di destinazione (trascuriamo la normativa in elaborazione all'interno dell'UE, e che prevede aliquote tra il 15% e 25%).   Pertanto l'IVA sull'export è restituita e quella all'import è caricata.
   Tuttavia, l'import - export non è un circuito a parte, e pertanto gli effetti interni (es. aumento del costo del lavoro, che non può non essere adeguato al nuovo costo della vita; parte delle importazioni maggiorate di IVA è destinato a usi interni, ...) avrebbero importanti effetti monetari sulle imprese esportatrici.
   (Ma c'è anche chi pensa a tutt'altro: aiutare l'export abbassando il costo del lavoro, con il taglio dei contributi sociali sul lavoro, e compensando il taglio con aumento dell'IVA,  M. Bordignon, Il Sole 24 ORE, 12.3.2014 ). Non concordo, perchè i "contributi sociali" a carico del datore di lavoro sono imposte speciali sui costi; e anche l'IVA è un'imposta sui costi di produzione, per la parte non trasferita, e quindi non cambia nulla, pro-quota.
   Concluderei per proporre il contrario: sostituire l'IVA con imposte sul reddito e sui patrimoni. Queste hanno anche il vantaggio di essere direzionabili in modo più equo.

3.- Evasione fiscale abnorme. L'abnormità della attuale evasione fiscale ha il suo primo fondamento  nello eccesso di pressione fiscale (45% del PIL).
   In termini complessivi, si direbbe che il fisco funzioni già troppo. In termini interpersonali, dal punto di vista dell'equità le imposte indirette sarebbero consigliabili perchè gli evasori fiscali (quelli che non pagano le imposte dirette, a parte che c'è anche evasione sull'IVA) pagherebbero. Siamo nella stessa situazione dell'Ancien Régime quando le imposte più eque erano quelle indirette, dato che clero e nobiltà non pagavano imposte dirette.
   Tuttavia questa tesi vive su una presunzione: che le imposte indirette siano totalmente trasferibili (come vorrebbe la legge).
   Ma questo non è, salvo per i beni a domanda rigida. Per questo, l'aspetto più negativo di queste imposte è che, in parte, colpiscono una capacità contributiva solo presunta, che in realtà non c'è, e restano largamente sui costi, nelle fasi di caduta della domanda "effettiva".
   A questo punto, se c’è chi si oppone a pagare l’IVA perché non ha capacità contributiva, è “costituzionalmente” nel giusto. Non dimentichiamo i suicidi di imprenditori, i tanti fallimenti di imprese nel 2011, le grandi difficolta' di credito in questa fase, che provano non esservi capacita' contributiva da tassare.   

   Più in generale, in un sistema fiscale "civile" la capacità contributiva di base dovrebbe essere cercata nei redditi. Considerata, tuttavia, la difficoltà di quantificare i redditi d'impresa (e dunque anche la relativa facilità di occultarli) si potrebbe tassarli indirettamente: vale dire sotto forma di tassazione del patrimonio produttivo di reddito ( immobiliare e mobiliare, escluse le obbligazioni), in quanto facili da rintracciare.
  Teoricamente, tassare il reddito o il capitale è solo un percorso alternativo, perchè il capitale è pari al valore attuale del reddito: dunque capitale e reddito sono due facce della stessa medaglia.
 
  Il Governo ammette l'eccesso di pressione, e ci illude con un trucco mediatico, sbandierato da anni: "pagare tutto, per pagare meno". Nel 1993 la pressione fiscale era al 39% e anche allora si sbandierava quella illusione, e adesso è al 45%.
   Ma tant'è che, in risposta ai reclami del pubblico, questo Governo aveva introdotto un "fondo salvatasse" (per abbassare le aliquote, via via al recupero dell'evasione) per poi toglierlo e poi, reintrodurlo, e di nuovo toglierlo, anche per obiettive difficoltà di separare il recupero dell’evasione dal maggiore gettito.
   A mio avviso, la denominazione (anche se imperfetta) di fondo salva tasse, va formalizzata in una legge, affinchè il concetto non cada nel dimenticatoio.
   Direi, tuttavia, che, per la sua credibilità, quel fondo andrebbe collegato ad obiettivi strutturali di rango costituzionale ( pareggio del bilancio, già approvato in Costituzione, e ammortamento del debito pubblico per un rapporto debito/PIL del 60%, da realizzare, come da Trattati Europei).

   Ho da ridire anche sulla rivalutazione delle rendite catastali. Le rendite catastali (terreni e fabbricati) sono ritenute (giustamente) sottostimate. Ma, poi, il valore dei fabbricati è calcolato moltiplicando le rendite con il coefficiente 100.
  Il capitale è pari alla rendita moltiplicata per l'inverso del tasso di interesse. Se questo è 1%, il suo inverso è 100. Un tasso di interesse dell'1% (per la capitalizzazione della rendita), è manifestamente irreale (quello reale è nell'intorno del 5%). Dunque, ben venga la rivalutazione delle rendite, ma anche la rettifica del moltiplicatore. Al tasso del 5% il moltiplicatore è 20.
    Andiamo avanti: per le prossime dichiarazioni dei redditi, il fisco farà una rivalutazione del capitale, del 5%, rispetto allo scorso (pur se l'aumento non c'è stato), e applicherà un moltiplicatore di 160 (equivalente ad un tasso di interesse dello 0,625%). Dunque, ancora si correggerà una scorrettezza con  una aggravante della scorrettezza.

 4.- Concluderei che la via per abbattere la grande evasione è che lo Stato sia serio di suo, e sia abbattutta la pressione fiscale (ridurla al 40% sul PIL), ma che passa per l'abbattimento della spesa pubblica (max 45% del PIL).
    Questo non è possibile con scorciatoie. Servono anni e anni. Era la missione storica di Berlusconi (clicca su: Forum di S. Vincent, 1995) ma non l'ha fatto.             NINO LUCIANI

____________________________________________________
  P.S. La Commissione per la riforma era stata istituita nel 1962. Il Prof. Cesare Cosciani (Vice-Presidente)  ne pubblicò i lavori nel 1965 (Milano, F. Giuffrè, 1965). Il documento riassuntivo fu recepito dal Governo Italiano nel "Progetto di programma di sviluppo economico per il quinquennio 1965-69, (Ministero del Bilancio,  Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1965) e diverrà legge (non tutto) nel 1970.  Il testo, riportato qui sotto, è preso dal cap. XXIII (Finanza Pubblica).
     Membri della Commissione per lo studio della riforma tributaria, nominata con D. M. del Ministro Trabucchi, che la Presiedeva,  8 agosto 1962:
   Prof. Cesare Cosciani, Vice Presidente
   Prof. Enrico Allorio
   Prof. Antonio BerliriDott. Benedetto Bernardinetti
   Prof. Sergio Casaltoli
   Dott. Carmelo Di Stefano
   Prof. Francesco Forte
   Dott. Angelo Gallizia
   Dott. Antonio Gianquinto
   Dott. GIuseppe Potenza
   Dott. Aristide Salvatori
   Prof. Aldo Scotto
   Prof. Gaetano Stammati
   Prof. Sergio Steve
   Prof. Bruno Visentini
   Dott. Lello Zappalà

* Questa imposta non fu mai introdotta formalmente, per presunta incompatibilità con le regole comunitarie. Nei fatti essa vivrà sotto forma di IRAP.
   Non si confondano le parole della legge (che la chiamò "imposta diretta"), con i fatti. Già la scienza delle finanze italiana la classicò come seconda IVA e correttamente (qui l'esenzione dei beni strumentali vive sotto forma di detrazione dello ammortamento, dal valore aggiunto). Ricordo poi che la somma dei valori aggiunti "parziali" (al netto dell'ammortamento) è uguale al valore finale dei beni: dunque l'IRAP è un'imposta sui consumi finali.

GRAFICI
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EDIZIONI PRECEDENTI


Dopo la bocciatura del Referendum elettorale
da parte della Corte Costituzionale

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Auspicabile un dibattito sul metodo e sui criteri per la riforma
della Governance, che dovrà riguardare Governo e Parlamento

LA RIFORMA ELETTORALE, SU QUALI BASI  ?

1) L'iniziativa dovrebbe venire dalle due maggiori forze politiche nazionali (PDL-PD), senza escludere l'apporto di una "forza terza" (il Governo Monti ? );
2) Nella riforma, va garantito per legge un orizzonte temporale medio-lungo per la Governance;

3) Il Premier potrebbe essere eletto dalle camere per 5 anni;
4) Il Parlamento di un Paese, dai mille campanili (come l'Italia) non può non avere una rappresentanza proporzionale, purchè unitaria sul piano nazionale e dunque con premio di maggioranza al partito di maggioranza relativa;

5) Va messo in Costituzione che i Gruppi parlamentari non possono avere un numero di membri minore del 30% dei membri della camera di appartenenza.

  
 1.-  Il bipolarismo, punto da cui ripartire per la riforma.
Cinicamente parlando, la storia mostra che la legge elettorale è un "prodotto" della parte politica più forte in parlamento, al di là dell'interesse generale. In teoria la parte politica più forte è il partito che ha vinto le ultime elezioni politiche e che si gioca tutto per salvaguardare la sua supremazia.
    In Italia, questa posizione "forte" del partito che ha vinto le elezioni, parrebbe confermata su determinati fatti (come la votazione parlamentare del 13 gennaio u.s. , a proposito del deputato Cosentino), ma non su altri in cui il governo Berlusconi è risultato eccessivamente inadeguato, e sicuramente se Berlusconi volesse andare ad elezioni anticipate, cosa che non è voluta da una parte rilevante dei deputati e senatori del PDL.

     Per questi motivi (vale dire, per il fatto che la "maggioranza di Berlusconi si è rifatta viva) assume rilevanza ripartire dalle dichiarazioni di Berlusconi, alla Camera il 14 dicembre 2010, in occasione del dibattito sulla mozione di fiducia.
   Egli, grosso modo, ha dichiarato: "Sono disponibile a discutere di tutto, fuorchè del sistema bipolare".

    E' noto, d'altra parte, che questa sua idea non è condivisa da altri importanti partiti in parlamento, che non vogliono il premio di maggioranza e vogliono il voto di preferenza.
   Ma è anche un fatto che l'idea bipolarista è un punto fermo, largamente maggioritario nel Paese, che non vuole più tornare ai Governi di 6 mesi, un anno ... degli ultimi tempi della DC - Democrazia Cristiana.

    Ed è altro fatto che, in Italia, il bipolarismo non è risuscito a darci "governi di legislatura", perchè poco dopo le elezioni, il Gruppo parlamentare di maggioranza ha cominciato a frazionarsi. Oggi alla Camera ci sono 8 gruppi parlamentari, di cui il Gruppo misto ha 8 sottogruppi.
    Su questa base, si concluderebbe che la legge bipolarista debba essere accompagnata da una norma di salvaguardia: ad es., non essere ammissibili in parlamento, dei Gruppi parlamentari con un numero minore del 30% dei membri della camera di appartenenza.

2.- Necessità di garantire per legge un orizzonte medio-lungo per la governabilità. Ma tant'è che, se le soluzioni elettorali migliori non albergano nel cuore degli uomini, nessuna mai (anche la più perfetta, tecnicamente) sarà applicata fedelmente.
    Nel cuore degli uomini c'è, in primo luogo, che l'interesse generale non possa vivere se ad esso non è agganciato l'interesse personale dei politici.
    Questa visione è oggi un "teorema" della scuola scientifica di public choice, "dimostrato", ormai anni fa, da J. Buchanan, premio Nobel, sostenuta in Italia da D. da Empoli (e anche da me), pur se non aliena dal suscitare scandalo, ad es. presso i Cattolici, secondo i quali lo scopo primario ed unico della politica è servire il bene comune. Se mi è consentito, rinvio ad una recensione, del 1993, di Sergio Quinzio ad un mio libro, sul settimanale SETTE del Corriere della Sera.
     Se posso insistere, la conferma di questo "teorema"  è sotto gli occhi di tutti,  in questi mesi, dacchè il il Governo MONTI è stato voluto da "tutti" per fare cose, che i grandi partiti non si sono sentiti di fare, perchè (facendolo) avrebbero certamente perduto le prossime elezioni.
     Il Presidente MONTI, a sua volta, ha ben rimarcato che questo criterio di comportamento dei politici costituisce il vero costo della politica (più che le retribuzioni, da loro carpite): precisamente il fatto che essi hanno un "orizzonte temporale" breve, per cui tutti i grandi problemi strutturali sono, di norma, continuamente rinviati. Perfino il Card. Bagnasco ha dichiarato, qualche mese fa, che in Italia, pur dichiarando tutti, da anni, di essere d'accordo su determinate riforme, si è sempre al punto di partenza.
    Per questo la riforma dovrà garantire per legge un orizzonte temporale medio-lungo per la Governance dello Stato, già all'inizio della legislatura.
    La Governance dello Stato è, forse, il maggiore dei problemi strutturali dell'Italia ma, di esso, quello della legge elettorale è solo una parte: vale dire un piede che resta zoppo, se non è associato ad altri piedi, riassumibili nel concetto di Governance costituzionale.
    La conclusione di questo secondo paragrafo è che per fare una legge ordinaria elettorale che funzioni serve, prima, una legge costituzionale per una nuova Governance dello Stato, e per questo serve una maggioranza qualificata.
    La ulteriore conclusione è che serve il dialogo diretto tra le due maggiori forze politiche nazionali (PDL-PD), a cui non dovrà mancare il contributo delle altre forze.

3. Quale Governance in Costituzione ? Per quanto riguarda il Governo  (per la cui riforma serve, prima, una legge costituzionale) mi verrebbe istintivo (guardando agli USA, alla Francia ...) che ci debba essere l'elezione diretta popolare del Premier.
   Personalmente ho fatto molte cose in questo senso (giungendo a fare un Comitato nazionale per le legge elettorale - si clicchi su http://www.impegnopoliticocattolici.bo.it/ ), ma devo dire che ho trovato uno zoccolo duro contrario, soprattutto tra gli anziani, ancora memori dell'esperienza fascista. C'è anche che  il temperamento latino porta i politici (appena acquistano potere) a collocarsi dall'altra parte della barricata, tra gli dei. Lo vedi, tra l'altro, dal repentino cambiamento di atteggiamento, per cui, appena "uno" diventa "qualcuno", si mette in bocca il sigaro toscano, in TV, e si gonfia il petto.
   Al tempo stesso è sotto gli occhi di tutti che, pur senza elezione diretta, noi in Italia abbiamo avuto dei grandi Presidenti della Repubblica (eletti dalle camere, come è noto), e dunque una buona soluzione potrebbe essere che il Premier sia eletto dalle camere per  un tempo prefissato (5 anni ?), rieleggile una seconda volta. E comunque, dovrebbe rimanere la figura del Presidente della Repubblica, con funzioni di controllo e garanzia costituzionale, come attualmente.
   Un'altra buona soluzione potrebbe essere quella di fare elezioni primarie nelle Regioni, ed ammettere a candidati Premier, con elezione diretta popolare, i candidati che hanno avuto più voti "primari" in almeno 3 Regioni.
    Per il Parlamento, in un Paese dai mille campanili, preferirei il riparto proporzionale senza sbarramento, ma col premio di maggioranza al partito di "maggioranza relativa"  (più che alla coalizione), caso mai col limite che la maggioranza relativa debba essere di almeno un terzo dei voti validi espressi. Vale dire dobbiamo spingere verso l'unità nazionale, ma senza sopprimere la nostra anima "locale".
   Metterei, inoltre, in Costituzione (non nel Regolamento delle camere), che non vanno ammessi Gruppi parlamentari con un numero di membri, inferiore ad un terzo dei membri della camera di appartenenza, e inoltre che il parlamentare che passa da un gruppo di maggioranza ad uno di minoranza, o viceversa, cessa dalla posizione di parlamentare.
    Riformulerei l'art. 67 dell'attuale costituzione nel senso che "ogni  membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mancato" , ma all'interno del Gruppo di appartenenza (aggiunta mia, quest'ultima). Vale dire uno è libero di dire e votare come vuole dentro il gruppo, ma fuori dal gruppo deve fare quello che la maggioranza ha deciso.
    Il voto di preferenza mi sembrerebbe una necessità, ma non perchè il popolo spiccio sappia scegliere candidati che non conosce, ma perchè possano farlo almeno le lobby, le associazioni ... , perchè le sole in condizioni di conoscere i candidati. Però, non più di una preferenza, se non si vuole che i parlamentari siano scelti da poche lobby, attraverso l'orientamento matematico delle preferenze, magari catturate a pagamento.
    Inoltre la possibilità di dare la preferenza serve a sottrarre il parlamentare dalla dipendenza stringente dal capo partito, e quindi a dargli qualche grado di libertà.  NL

 

 

        Anno 2014
       Direttore Responsabile del Foglio Indipendente on line: Prof. Nino Luciani  
          UNIVERSITAS Notizie - Organo del SUN - SINDACATO UNIVERSITARIO NAZIONALE on Line - SEDE IN BOLOGNA
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