La BCE vuole il sostegno degli investimenti privati e delle esportazioni, ma Renzi oppone autonomia in contrasto con le motivazioni storiche dell'entrata dell'Italia nella UE monetaria, mentre la Governance qui non è cambiata

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.Edizione  di febbraio 2014 - For translation in english, click on: http://translate.google.it/
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UNIVERSITAS  News
Foglio on line sull'università, con  Forum di politica generale aperto a tutti.
Sede in Bologna, via Titta Ruffo 7- Tel  347 9470152 - nino.luciani@libero.it
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NINO LUCIANI * - Direttore responsabile

   * Prof. Ordinario di Scienza delle Finanze, Università.

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Nino Luciani
http://scritti scelti

Comité de Patronage: F. Bonsignori, A. De Paz, Elena Ferracini, Dario Fertilio, Enrico Lorenzini, Nino Luciani, Bruno Lunelli, Marco Merafina, Gianni Porzi, Franco Sandrolini

PAESI VISITATORI:  Italy, United States, United Kingdom, Germany, France, Netherlands, Ukraine, Poland, Russian Federation, Belgium, Canada, Switzerland, Greece, China, Finland, Denmark, Morocco, Spain, Israel, Sweden, Luxembourg, Romania, Australia, Costa Rica, Latvia, Turkey, Brazil, Malta, Austria, Moldova, Republic of Korea, Republic of South Africa, Malaysia, Bulgaria, Slovenia, Tunisia, United Arab Emirates, San Marino, Czech Republic, Egypt, India, Netherlands Antilles, Indonesia, Slovakia, Hong Kong, Croatia, Georgia, Senegal, Vietnam, Brunei Darussalam, Japan, Colombia, Macedonia, Mexico, Peru, Ireland, Aruba, Uruguay, Albania, Belarus, Philippines, Algeria, Portugal, Lithuania, Cote D'Ivoire, Hungary, Europe, Kuwait, Norway, Bolivia, Pakistan, Chile, Togo, Venezuela, Kenya, Panama, Iran.

EDIZIONE DI OTTOBRE 2014

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La BCE è tornata a dirci che la via per
la ripresa del PIL è il sostegno degli
investimenti privati e delle esportazioni.

Con la svalutazione del cambio €/$,
DRAGHI qualcosa è riuscito a fare. Ma in
Italia chi dovrebbe dare il sostegno ?

  Ma Renzi rivendica autonomia decisionale su misura dell'Italia, dimentico della "motivazione storica" che accompagnò la rinuncia dell'Italia alla sovranità monetaria, ossia la carenza di Governance, tuttora immutata.

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UNIVERSITA' DI BOLOGNA:
Codice Etico: un testamento ?

. I peccati dei professori:
  molestie sessuali e morali,
   nepotismo,  favoritismo,
   abuso della propria posizione,
  conflitto di interessi, regalie.
  Il peccato del rettore Dionigi: :oscuramento della informazione  sugli Organi di Ateneo,

SCELTE PUBBLICHE

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RENZI: "E' finito il tempo dei furbi. Contro l'evasione, onore-disciplina".

PADOAN: "Lotta all'evasione per ridurre la pressione fiscale".

LUCIANI:  FONDAMENTO ECONOMICO ED ETICO DELLA EVASIONE FISCALE: Alta fiscalità in rapporto a basse prestazioni dello Stato nell'economia e nel sociale.

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Università del Salento

 

Dal "CORSERA: Gian Antonio Stella, Insegnavi a Yale? Mettiti pure in coda.
.
All’Università del Salento più punti a chi ha avuto cattedre negli atenei italiani

Luciani: No comment, ma due domande

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Legge elettorale

Testo Camera. La Corte Costituzionale sul Porcellum.
Nuove proposte:1) Premio
di maggioranza al partito
con il 40% dei voti;
2) Ballottaggio, se nessun partito ha il 40% dei voti; 3) Soglia di sbarramento ai singoli partiti in coalizione;
4) Preferenze

 

SCELTE PUBBLICHE :

renzi-terza via.jpg (4660 byte) Renzi, La terza via della sinistra
e la mia ricerca di un nuovo cammino.
caponnetto  f.jpg (197565 byte) Francesco CAPONNETTO,
Democristiani non utopisti visionari,
ma pieni di ardimento
cantelli gabriele.JPG (42713 byte) Gabriele Cantelli, Prove di Renzi-Berlusconi oltre la terza via, tra
riconoscimenti e coperture ?

FORUM4

FORUM1 - 2014

FORUM2

Tribunale di Perugia, Sentenza n. 109/11, in data 27/1/2011, riammette il prof. Nino Luciani nel Cipur, Clicca su Tribunale di Perugia - Financial Times

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Tag: BCE, Draghi, investimenti privati, esportazioni, Renzi ribelle a UE, autonomia, Italia, motivazioni storiche entrata Italia in UE monetaria, evasione fiscale, Renzi gatto, Padoan volpe, giustificazione differenze fiscali paesi nel mondo, giustificazione economica e morale evasione fiscale, pagare tutti per pagare meno, bugie, come erano trattati i debiti a Roma antica, retta via per abolire evasione, d'Albergo, sicilia, convegno, scienza delle finanze italiana, ARS assemblea regionale siciliana, palermo, palazzo dei Normanni 2014-31-10, legge elettorale Italia, nuove proposte, premio di maggioranza, ballottaggio, soglia sbarramento partiti, voto di preferenza, tag: terza via di Renzi, Caponnetto, democristiani pieni di ardimento, Gabriele Cantelli, prove di Renzi e Berlusconi otre la terza via, Gian Antonio Stella, parodia su universita' del Salento, insegnavi a Yale, due domande

 

 

FORUM 4 - 2014

Tag: storia uomini e fatti della dc, De gasperi, G. Dossetti, F. Marini, valori non negoziabili

MENTRE TUTTORA SI DISCUTE DEI DANNI ALL'UNIVERSITA' ITALIANA, DALLA  LEGGE  GELMINI

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Università del Salento

dal "CORRIERE DELLA SERA, 27 ottobre 2014"
Notizie sulla Università del Salento

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Gian Antonio Stella*,
Insegnavi a Yale? Mettiti pure in coda
All’Università del Salento più punti a chi ha avuto cattedre nei nostri atenei

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*
Nato ad Asolo nel 1953. Per gli studi di base, risulta aver "frequentato" il Liceo Ginnasio Antonio Pigafetta di Vicenza.
    Giornalista e scrittore italiano. Inviato speciale del Corsera. Ha numerose pubblicazioni.

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Gian Antonio Stella

.  
   Nota.
No comment alle considerazioni del noto giornalista, in omaggio alla libera informazione.
  Gli faccio, invece, due domande e aggiungo alcune notizie "notorie",  per chi vive nell' università.
   1) La prima domanda: "Si è informato se il "presunto"   professore di Yale è disponibile a insegnare all'università del Salento ?

   2) La seconda domanda: "Dato che fa riferimento ad un problema della reputazione" dell'università italiana, quale università ha frequentato ?
   3) Alcune notizie "notorie".
       a)  Circa le classifiche cosiddette "internazionali", mi sono occupato più volte di conoscere e capire i parametri sui quali si basano le valutazioni, comprese le datazioni delle statistiche su cui essi sono calcolati. Ma i classificatori non erano mai generosi circa il metodo impiegato, per cui non ne sono mai venuto a capo, in modo veramente profondo. Grosso modo, ho anche dedotto che tra i parametri delle varie classifiche non ci sia omogeneità, e dunque confrontabilità.
  In generale, poi, i dati statistici, forniti dalle università italiane sono poveri, per cui mi sono anche sempre domandato come i classificatori internazionali abbiano fatto certi miracoli per accedere alle statistiche locali. Qualcosa c'è all'Ufficio statistico del Miur, dell'ANVUR (da poco), del CINECA. Nulla c'è, neppure all'ISTAT, non sulla contabilità nazionale delle università, da alcuni anni.
  Uno sforzo di informazione è in atto, in seguito alla introduzione della abilitazione scientifica nazionale, con la legge n. 240/2010, che obbliga gli atenei a dare le necessarie informazioni per calcolare parametri simili a quelli usati nei paesi anglosassoni.
Invece, in passato i giudizi avevano luogo solo sulla base dei testi originali.
  Tuttavia, in seguito ai vari ricorsi ai TAR, dei candidati alle abilitazioni, risulta che le Commissioni giudicatrici, volendo dare giudizi fondati, hanno visionato i parametri, ma senza poterne conto più di tanto, per giudizi seri.
    b) Circa l'uso privilegiato delle abilitazioni nazionali italiane, da parte della università del Salento, personalmente avrei anzi privilegiato i nativi del Salento. I motivi sono:
  - le commissioni giudicatrici sono nazionali, e pertanto (in generale) gli abilitati sono tutti ad un buon livello;
  - quelli del nord, se chiamati al sud, fanno i pendolari e scappano definitivamente alla prima occasione;
    Ne deriva che le università del sud sono continuamente in cerca di professori di ruolo, e non riescono a costruire scuole scientifiche stabili.
   c) Circa l'importanza di ottenere al Salento professori di Yale, sono convinto che, in generale, l'internazionalità dei rapporti sia utile, ma anche da parte di Yale (reciprocamente), nei confronti del Salento.

   Ciò rientra largamente nella tradizione storica italiana. E' notorio, del resto, che la città di Bologna conserva, tuttora, delle vie intestate a studenti universitari e docenti stranieri (es.: Via degli Alemanni).  Nino Luciani
FONTE, http://www.corriere.it/scuola/14_ottobre_27/insegnanti-yale-mettiti-pure-coda-concorso-contrario-professori-d384cb76-5db8-11e4-8541-750bc6d4f0d9.shtml, 27.10.14
Gian Antonio STELLA, Insegnavi a Yale? Mettiti pure in coda. All’Università del Salento più punti a chi ha avuto cattedre nei nostri atenei

  Cattedre autarchiche - bando al contrario all’università del salento: più punti per chi ha insegnato nei nostri atenei rispetto, a chi può vantare curriculum internazionali.

1.- Vale di più una cattedra ad Harvard o all’ateneo di Villautarchia?  Dipende. Alla Università del Salento, pare impossibile, il concorso per assumere 16 professori riconosce più punti a chi ha già insegnato nelle nostre aule piuttosto che ai docenti di Berkeley o Yale.
  Che gli atenei italiani possano essere sottovalutati dalle classifiche mondiali, come sospirano i rettori, è possibile. Anche l’ultimissimo «World University Ranking» del Times Higher education vede nelle prime 200 addirittura 74 università statunitensi, 29 britanniche, 12 tedesche, 11 olandesi, 8 canadesi, 8 australiane, 7 svizzere, 7 francesi, 5 giapponesi, 4 turche (quattro!) e una sola italiana: cioè la Normale di Pisa che si piazza al 63º posto e, nella classifica pro capite, tenendo conto del numero degli studenti, starebbe molto più in alto.
   Seguono, nella seconda fascia, l’ateneo di Trieste e la Bicocca di Milano: nelle prime 250, a dispetto di tutte le vanità sulla «patria della cultura», non abbiamo altro.

2.- Domanda: "Allora come mai, se le università italiane sono così scarse, i nostri ragazzi appena mettono il naso al di là della frontiera fanno spessissimo un figurone in tutto il mondo?
  Risposta: perché evidentemente, nonostante tutti i difetti, tutti i concorsi truccati, tutte le Parentopoli, nelle nostre aule si insegna e si impara meglio di quanto si pensi. Il problema della reputazione,
però, resta
.

3. Ed è pesante: come possiamo rassegnarci ad avere tra le prime 400 università d’Europa solo 17 italiane? Fatto sta che, non contentandosi di contestare la sacralità di queste classifiche, l’Università del Salento ha deciso di andare oltre. E di valutare di più i curriculum «caserecci» che non quelli di profilo internazionale. Lo dice il bando di selezione «per la copertura di 16 posti di professore universitario di ruolo di 2ª fascia» firmato dal rettore Vincenzo Zara.
::::::::
  Già alla prima delle cattedre messe in palio, infatti, quella di Archeologia, il massimo riconosciuto per l’«attività di docenza svolte in Italia» è di 20 punti, quello per le «attività di docenza e attività di ricerca all’estero» compresi gli «incarichi o fellowship ufficiali presso atenei e centri di ricerca esteri di alta

qualificazione» e la «partecipazione a convegni internazionali in qualità di relatore»,   solo di 4. Cinque volte di meno. Col risultato, ad esempio, che se un fuoriclasse celebre nel mondo come Andrew Stewart, specializzato in «Ancient Mediterranean Art and Archaeology», volesse prendersi lo sfizio di lasciare l’Università di Berkeley per venire a Lecce (ammesso che fosse accettato nonostante il passaporto straniero) avrebbe per la sua esperienza didattica 4 punti rispetto ai 20 riconosciuti a un ipotetico professor Tizio Caio che abbia insegnato in un’università telematica di Rocca Cannuccia. Assurdo. Tanto più di questi tempi, coi docenti delle «telematiche» che paiono (ma ci torneremo) moltiplicarsi miracolosamente.
  E se può essere spacciato come una scelta sensata lo squilibrio (16 punti agli «italiani», cinque agli «stranieri») per la cattedra di letteratura italiana contemporanea, anche se ci sono fior di stranieri che la conoscono meglio di tanti italiani, appare folle la sproporzione, ad esempio, per la cattedra di Econometria (20 punti a 10), di «Meccanica applicata alle macchine» (30 punti a 10), di Botanica (20 punti a 5) o di «Misure elettriche ed elettroniche» dove lo squilibrio è ancora quintuplo: 10 punti ai «casalinghi», 2 agli eventuali acquisti dall’estero. Un terzo del punteggio che l’aspirante professore potrebbe guadagnare dimostrando di sapere l’inglese! E non è tutto. Un ricercatore ha generalmente un punteggio uguale a quello del capo-ricerca e in alcune discipline perfino più alto. Peggio: a «Progettazione industriale» chi ha avuto la «responsabilità scientifica di progetti di ricerca, nazionali e internazionali ammessi al finanziamento sulla base di bandi competitivi» ottiene un punto. Chi ha solo partecipato ne ottiene nove! Che razza di criterio è?

4.- Per carità: evviva l’Italia ed evviva gli italiani! Ma se all’estero vanno a cercarli apposta gli stranieri (compresi moltissimi dei nostri, soprattutto giovani) per dotare il proprio ateneo di una classe accademica più variegata e internazionale e multiculturale possibile, perché mai noi dobbiamo fare il contrario?
   A Flavia Amabile che ne ha scritto nel blog de La Stampa , il direttore del dipartimento di fisica leccese ha spiegato che era importante «avere personale docente con esperienza didattica in Italia che possa da subito svolgere al meglio i corsi e, eventualmente, ricoprire cariche accademiche» (testuale!) e che c’era da «valorizzare i ricercatori (italiani e non) che in questi anni di blocco dei concorsi hanno consentito il normale svolgimento delle attività didattiche».
  Per carità, sarà anche vero... Ma all’estero come la vedranno, questa faccenda? Ci farà guadagnare o perdere altri punti nelle classifiche?

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Vincenzo Zara

La voce della Università
del Salento

(a prescindere

dal caso
sollevato

dal Corsera)

Messaggio del Rettore

  La comunità accademica è formata dai docenti, dai ricercatori, dal personale tecnico-amministrativo e dagli studenti.
  Come le membra di un corpo umano ognuno di questi elementi non può fare a meno degli altri.

  I docenti e i ricercatori, coloro che hanno la difficile missione di trasmettere i loro saperi, i magistri, che devono saper essere giusti e severi, magnanimi e propositivi;

   ma anche coloro che hanno il compito di dubitare, di porsi sempre nuove domande, di ricercare risposte, di esplorare ciò che non è noto, cercare nuove soluzioni a vecchi problemi;
   a loro è dedicato il mio invito a mantenere alto il nome dell'ateneo salentino, a fare loro la missione di mantenere viva la cultura della qualità dell'insegnamento e della ricerca, di base e applicata.

  Il personale tecnico e amministrativo, la linfa, il sangue che scorre nelle vene dell'università, coloro che rendono possibile, ogni giorno, con il loro lavoro, il loro impegno e la loro dedizione, il funzionamento della macchina amministrativa e tecnico scientifica, senza la quale tutto sarebbe immobile; a loro il mio invito a considerare l'università come un organismo di cui si è parte integrante.

  Gli studenti, coloro a cui è dedicata la missione di diffondere il sapere, di creare cittadini consapevoli, colti e preparati ad affrontare il futuro, dotati di spirito critico e costruttivo; il mio invito per loro è quello di aderire alla nostra missione, di sentirsi coinvolti in prima persona in essa, di portare il loro prezioso e vitale contributo perché si possa continuare a essere orgogliosi di essere studenti dell'Università del Salento.

  A tutti voi va il mio ringraziamento per avermi fatto scoprire l'esistenza di una comunità di persone che credono nella bellezza di un “fare”, animato da sane passioni, sincere emozioni e costruttivo entusiasmo.

Vincenzo Zara

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MENTRE SI DISCUTE DELLA RIFORMA DEI PARTITI IN ITALIA

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             RIPERCORSO CRITICO DI UOMINI E FATTI DELLA DC

Gabriele Cantelli*, Pensieri intorno a A. De Gasperi,  G. Dossetti, F. Marini:
        
       PER DIFENDERE VALORI NON NEGOZIABILI

     * Già dirigente locale della DC

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Gabriele Cantelli

1.- Alcide De Gasperi. L’azione cattolica, con la costituzione dei Comitati Civici, diede un contributo determinante alla vittoria della Democrazia Cristiana nel confronto col " il Fronte progressista", passato alla storia come Fronte Popolare, che raggruppava movimenti e partiti di ispirazione marxista e il modello di organizzazione sociale sovietico, e che individuavano nella religione uno dei principali ostacoli a un analogo percorso della rinata democrazia italiana.
     Chi riteneva inconciliabile con le proprie idee di umano consorzio le teorie che per la loro realizzazione presupponevano l’utilizzo della violenza per la assunzione del potere da parte della classe operaia , diede vita ad una alleanza di forze politiche e movimenti che fecero perno sul partito che si qualificò Democrazia Cristiana per un chiaro riferimento all’ esperienza politiche del PPI di Sturzo e all’associazionismo cattolico mobilitato in difesa di valori in gioco.  

   Dagli ambienti cattolici quindi pervenne un aiuto pari al pericolo di una predicazione del campo avverso che face intravvedere al Clero e per chi era schedato solo in quanto frequentatore della messa domenicale la stessa fine riservata agli sfortunati confratelli dei Paesi caduti sotto il dominio sovietico, martirizzati nella guerra civile spagnola e, venendo in Emilia Romagna, assassinati nel triangolo della morte nella lotta liberazione versione PCI.
    La vittoria della Democrazia Cristiana (1948) , la sua partecipazione all’ impegno unitario nella stesura della Carta Costituzionale , il suo contributo alla realizzazione delle idee ricostruttive elaborate da De Gasperi e da autorevoli esponenti del pluralismo associativo cattolico, dai popolari ai rappresentanti del mondo universitario, ha certamente contribuito a smentire le ricorrenti campagne allarmistiche su possibili svolte autoritarie del partito che aveva conseguito il consenso della maggioranza dell’elettorato italiano .
    Basti per tutte quella contro la "legge truffa" che la DC propose per assicurare la governabilità del paese attraverso la assegnazione di un premio di maggioranza al partito che avesse conseguito la maggioranza relativa nelle consultazioni elettorali politiche.
  La politica delle alleanze democratiche delineò sempre i confini dell’azione politica di una DC fedele alla sua concezione interclassista lungo una cinquantennale esperienza di governo che ha portato l’Italia fra le potenze economiche mondiali passando da paese prevalente agricolo a paese industriale nella libertà.  

   Sarebbe troppo lungo elencare e trattare adeguatamente il processo storico che ha condotto clero e laicato della sinistra cattolica al sostegno alla Democrazia Cristiana col PD nel PSE .  Non è nemmeno producente farlo quando la stessa politica, definita l’arte del possibile, induce ad accantonare quanto non convenga trattare.
   Ma quelle che in tale ottica potrebbero essere considerate reminiscenze partigiane divengono necessarie quando il cambiamento di umore politico venga fatto rientrare nel luogo comune della fine della guerra fredda per la caduta del muro di Berlino o attribuita alla fine ingloriosa sui banchi dei tribunali di "tangentopoli", facendoci ritenere, nel primo caso, vittime del crollo e nel secondo una specie di consorteria del malaffare dalle più diverse connotazioni.  

  Ciò, perché non furono queste le vere ragioni per le quali noi vedemmo provenire dagli stessi ambienti parrocchiali che avevano sensibilizzati all’impegno sociale , giovani religiosi e laici che orientati alle ideologie di Marcuse a Mao Tse-Tung e Che Guevara, che contestavano il sistema capitalista del quale noi eravamo considerati la struttura portante .  

  Allora sbagliammo attribuendo alla contestazione orientamenti ideologici incompatibili con la loro formazione cattolica come sbagliammo successivamente, aiutati in questo da Rossana Rossanda, nel riconoscere nel terrorismo rosso solo le stesse motivazioni che animarono personaggi dell’album di famiglia del PCI.  

   Dall’ampia pubblicistica riguardante stagione del terrorismo che vide il momento più buio nell’assassinio dell’onorevole Moro, abbiamo infatti appreso della formazione cattolica di alcuni fra i fondatori delle BR e degli appartenenti al gruppo strategico delle formazioni terroristiche e della loro decisione di passare alla lotta clandestina maturata nel"gruppo dell’appartamento" cioè a casa di Corrado Corghi a Reggio Emilia.
  A casa sua, lui, dirigente nazionale e regionale della Democrazia cristiana, riuniva giovani cattolici e comunisti infervorandoli delle notizie dei suoi contatti con le formazioni guerrigliere dell’America Latina che, sulla base interpretativa del messaggio evangelico, avevano elaborato la teologia della liberazione, e delle strategie della lotta clandestina.  

   Questo è particolarmente grave quando, dalla ricostruzione storica di quel tragico periodo incontestabilmente emerge che il principale obbiettivo delle BR fu proprio la Democrazia Cristiana in quanto fautrice di uno modello di sviluppo incentrato

sull'interclassismo e che con l'assassinio di Moro si è inteso annientare sul nascere il progetto di compromesso storico fra DC e PCI del quale, con Berlinguer, lo statista democristiano fu ideatore, in quanto aveva come presupposto il riconoscimento della pari dignità delle forze politiche allo avvicendamento democratico alla guida del paese. Corghi nel 1968 lasciò la DC.  Quali le origini di tanto livore contro la Democrazia Cristiana maturato all?ombra dei campanili?   

2.- Giuseppe Dossetti. La fine della Democrazia Cristiana avrebbe rappresentato un fatto liberatorio per quella parte del mondo cattolico che con Dossetti non ne aveva condiviso la impostazione interclassista degasperiana, che inserì l’Italia nel sistema economico occidentale e all’alleanza atlantica, che ebbe come primo passaggio la rottura dell’alleanza con le sinistre nel governo delle forze che avevano partecipato al Comitato di liberazione nazionale.
   Per Dossetti invece il governo tripartito (DC,PCI,PSI), aveva dato un significato ben diverso da quello del contingente stato di necessità accettato da De Gasperi. Il tripartito era concepito come la prima fase della costruzione di un blocco storico , alla cui direzione non fossero i marxisti ma i cattolici, in quanto la sinistra cattolica rappresentata da lui e La Pira scorgeva una maggior contrapposizione dei valori cristiani alla società capitalistico-borghese, che non ai valori "popolari" espressi da tradizione marxista italiana.  

  La opzione per la vita religiosa del leader della sinistra cattolica , al quale il professor Ardigò, idealmente molto vicino,  diede la definizione "C’era in Dossetti il monaco nel politico, e il politico nel monaco". Lo avvicinamento di autorevoli esponenti della sua corrente alla posizione dello statista trentino (probabilmente in considerazione della inconciliabilità del modello di socialismo reale attuato in Unione sovietica , al quale il PCI a lungo ha fatto riferimento, coi rischi conseguenti ove fosse stato importato, la sapiente distribuzione del potere fra le diverse correnti) consentì la coesistenza nello stesso partito di anime inconciliabili.  

   Le stesse battaglie referendarie contro la applicazioni delle leggi sul divorzio e sull’aborto furono dalle sinistre cattoliche considerate negative in quanto avrebbero finito per turbare le prospettive della alleanza a sinistra e fu in tale frangente che venne da esse sancito il principio della privatizzazione delle convinzioni religiose che costituì l’inizio della fine dell’unità politica dei cattolici nella Democrazia Cristiiana.  

   Non so se nel PD con Renzi sia avvenuto quanto si determinò nel periodo agonico della DC nelle cui sedi entrarono giovani a frotte provenienti dalle diverse espressioni dell’associazionismo cattolico, che all’insegna della discontinuità dalla nostra storia diedero assoluta prova di mancanza di rispetto per le persone che li avevano preceduti nell’impegno politico e dei luoghi ai quali accedevano.
   Si trattò di una situazione allucinante nella quale chi aveva dato testimonianza specialmente nei momenti più difficili della storia del nostro paese, si sentì "straniero in patria" .
   Motivai il mio rifiuto di aderire al PPI di Martinazzoli con la mancanza delle condizioni politiche ed ambientali per una mia adesione .  

   Con la liquidazione della D.C.  e la diaspora delle sue correnti immediatamente si avviò quello che tecnicamente viene definito processo di despecificazione caratterizzato dal disconoscimento dei rapporti anche di amicizia intessuti nel partito originario per la giustificazione delle nuove scelte politiche.
   Per la sinistra democristiana l’approdo al PD, e la adesione al PSE ha costituito il traguardo di un lungo percorso che, in funzione classista, aveva tratto impulso dalla stessa esperienza dell’unità sindacale e delle centrali della cooperazione.
    Per quanto riguarda l’area centrale, la costituzione del CCD di Casini, del CDU di Buttiglione e per la restante parte la confluenza in Forza Italia , complessivamente non ha saputo andare oltre la tecnica di gestione del potere di stampo doroteo e l’ossessione del culto della personalità dei rispettivi leader dove il richiamo all’esperienza politica degaperiana ha reso più stridente il contrasto delle qualità e dello stesso stile di vita del grande statista trentino con la fisionomia di chi ha avuto l’ardire di dichiarare la continuità del percorso da lui tracciato nell’interesse complessivo della società italiana.  

Alla luce della Sentenza di Cassazione che ha dichiarato la continuità della Democrazia Cristiana in quanto mai legittimamente sciolta, interessante sarà vedere la conclusione della vicenda giudiziaria tesa a far luce sulla legittimità dei comportamenti dei rappresentanti i diversi settori della diaspora che, dichiaratosene eredi, se ne divisero i bani mobili ed immobili, come interessante è poter conoscere i percorsi che hanno condotto quegli esponenti politici che con la fine della DC dichiararono la fine del loro impegno politico alla guida di istituti e fondazioni bancarie, associazioni di categoria e quant’altro nel campo economico e finanziario.

   Così si sono create le condizioni ideali per le prosecuzione dei fenomeni degenerativi ai quali, si si volle far credere fosse stata posta fine con la eliminazione della DC e del PSI per via giudiziaria.
  Dalle inchieste in corso sta emergendo l’importante ruolo di capo fila esercitato dal movimento cooperativo per il buon esito delle gare di appalto in una sorta di capovolgimento del rapporto che vedeva i partiti legiferare in difesa di una cooperazione improntata alla elevazione economica e morale delle classi più deboli, ora sono le cooperativ

 

 

 

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MENTRE SI DISCUTE DELLA RIFORMA DEI PARTITI IN ITALIA

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             RIPERCORSO CRITICO DI UOMINI E FATTI DELLA DC

Gabriele Cantelli*, Pensieri intorno a A. De Gasperi,  G. Dossetti, F. Marini:
        
       PER DIFENDERE VALORI NON NEGOZIABILI

     * Già dirigente locale della DC

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Gabriele Cantelli

1.- Alcide De Gasperi. L’azione cattolica, con la costituzione dei Comitati Civici, diede un contributo determinante alla vittoria della Democrazia Cristiana nel confronto col " il Fronte progressista", passato alla storia come Fronte Popolare, che raggruppava movimenti e partiti di ispirazione marxista e il modello di organizzazione sociale sovietico, e che individuavano nella religione uno dei principali ostacoli a un analogo percorso della rinata democrazia italiana.
     Chi riteneva inconciliabile con le proprie idee di umano consorzio le teorie che per la loro realizzazione presupponevano l’utilizzo della violenza per la assunzione del potere da parte della classe operaia , diede vita ad una alleanza di forze politiche e movimenti che fecero perno sul partito che si qualificò Democrazia Cristiana per un chiaro riferimento all’ esperienza politiche del PPI di Sturzo e all’associazionismo cattolico mobilitato in difesa di valori in gioco.  

   Dagli ambienti cattolici quindi pervenne un aiuto pari al pericolo di una predicazione del campo avverso che face intravvedere al Clero e per chi era schedato solo in quanto frequentatore della messa domenicale la stessa fine riservata agli sfortunati confratelli dei Paesi caduti sotto il dominio sovietico, martirizzati nella guerra civile spagnola e, venendo in Emilia Romagna, assassinati nel triangolo della morte nella lotta liberazione versione PCI.
    La vittoria della Democrazia Cristiana (1948) , la sua partecipazione all’ impegno unitario nella stesura della Carta Costituzionale , il suo contributo alla realizzazione delle idee ricostruttive elaborate da De Gasperi e da autorevoli esponenti del pluralismo associativo cattolico, dai popolari ai rappresentanti del mondo universitario, ha certamente contribuito a smentire le ricorrenti campagne allarmistiche su possibili svolte autoritarie del partito che aveva conseguito il consenso della maggioranza dell’elettorato italiano .
    Basti per tutte quella contro la "legge truffa" che la DC propose per assicurare la governabilità del paese attraverso la assegnazione di un premio di maggioranza al partito che avesse conseguito la maggioranza relativa nelle consultazioni elettorali politiche.
  La politica delle alleanze democratiche delineò sempre i confini dell’azione politica di una DC fedele alla sua concezione interclassista lungo una cinquantennale esperienza di governo che ha portato l’Italia fra le potenze economiche mondiali passando da paese prevalente agricolo a paese industriale nella libertà.  

   Sarebbe troppo lungo elencare e trattare adeguatamente il processo storico che ha condotto clero e laicato della sinistra cattolica al sostegno alla Democrazia Cristiana col PD nel PSE .  Non è nemmeno producente farlo quando la stessa politica, definita l’arte del possibile, induce ad accantonare quanto non convenga trattare.
   Ma quelle che in tale ottica potrebbero essere considerate reminiscenze partigiane divengono necessarie quando il cambiamento di umore politico venga fatto rientrare nel luogo comune della fine della guerra fredda per la caduta del muro di Berlino o attribuita alla fine ingloriosa sui banchi dei tribunali di "tangentopoli", facendoci ritenere, nel primo caso, vittime del crollo e nel secondo una specie di consorteria del malaffare dalle più diverse connotazioni.  

  Ciò, perché non furono queste le vere ragioni per le quali noi vedemmo provenire dagli stessi ambienti parrocchiali che avevano sensibilizzati all’impegno sociale , giovani religiosi e laici che orientati alle ideologie di Marcuse a Mao Tse-Tung e Che Guevara, che contestavano il sistema capitalista del quale noi eravamo considerati la struttura portante .  

  Allora sbagliammo attribuendo alla contestazione orientamenti ideologici incompatibili con la loro formazione cattolica come sbagliammo successivamente, aiutati in questo da Rossana Rossanda, nel riconoscere nel terrorismo rosso solo le stesse motivazioni che animarono personaggi dell’album di famiglia del PCI.  

   Dall’ampia pubblicistica riguardante stagione del terrorismo che vide il momento più buio nell’assassinio dell’onorevole Moro, abbiamo infatti appreso della formazione cattolica di alcuni fra i fondatori delle BR e degli appartenenti al gruppo strategico delle formazioni terroristiche e della loro decisione di passare alla lotta clandestina maturata nel"gruppo dell’appartamento" cioè a casa di Corrado Corghi a Reggio Emilia.
  A casa sua, lui, dirigente nazionale e regionale della Democrazia cristiana, riuniva giovani cattolici e comunisti infervorandoli delle notizie dei suoi contatti con le formazioni guerrigliere dell’America Latina che, sulla base interpretativa del messaggio evangelico, avevano elaborato la teologia della liberazione, e delle strategie della lotta clandestina.  

   Questo è particolarmente grave quando, dalla ricostruzione storica di quel tragico periodo incontestabilmente emerge che il principale obbiettivo delle BR fu proprio la Democrazia Cristiana in quanto fautrice di uno modello di sviluppo incentrato

sull'interclassismo e che con l'assassinio di Moro si è inteso annientare sul nascere il progetto di compromesso storico fra DC e PCI del quale, con Berlinguer, lo statista democristiano fu ideatore, in quanto aveva come presupposto il riconoscimento della pari dignità delle forze politiche allo avvicendamento democratico alla guida del paese. Corghi nel 1968 lasciò la DC.  Quali le origini di tanto livore contro la Democrazia Cristiana maturato all?ombra dei campanili?   

2.- Giuseppe Dossetti. La fine della Democrazia Cristiana avrebbe rappresentato un fatto liberatorio per quella parte del mondo cattolico che con Dossetti non ne aveva condiviso la impostazione interclassista degasperiana, che inserì l’Italia nel sistema economico occidentale e all’alleanza atlantica, che ebbe come primo passaggio la rottura dell’alleanza con le sinistre nel governo delle forze che avevano partecipato al Comitato di liberazione nazionale.
   Per Dossetti invece il governo tripartito (DC,PCI,PSI), aveva dato un significato ben diverso da quello del contingente stato di necessità accettato da De Gasperi. Il tripartito era concepito come la prima fase della costruzione di un blocco storico , alla cui direzione non fossero i marxisti ma i cattolici, in quanto la sinistra cattolica rappresentata da lui e La Pira scorgeva una maggior contrapposizione dei valori cristiani alla società capitalistico-borghese, che non ai valori "popolari" espressi da tradizione marxista italiana.  

  La opzione per la vita religiosa del leader della sinistra cattolica , al quale il professor Ardigò, idealmente molto vicino,  diede la definizione "C’era in Dossetti il monaco nel politico, e il politico nel monaco". Lo avvicinamento di autorevoli esponenti della sua corrente alla posizione dello statista trentino (probabilmente in considerazione della inconciliabilità del modello di socialismo reale attuato in Unione sovietica , al quale il PCI a lungo ha fatto riferimento, coi rischi conseguenti ove fosse stato importato, la sapiente distribuzione del potere fra le diverse correnti) consentì la coesistenza nello stesso partito di anime inconciliabili.  

   Le stesse battaglie referendarie contro la applicazioni delle leggi sul divorzio e sull’aborto furono dalle sinistre cattoliche considerate negative in quanto avrebbero finito per turbare le prospettive della alleanza a sinistra e fu in tale frangente che venne da esse sancito il principio della privatizzazione delle convinzioni religiose che costituì l’inizio della fine dell’unità politica dei cattolici nella Democrazia Cristiiana.  

   Non so se nel PD con Renzi sia avvenuto quanto si determinò nel periodo agonico della DC nelle cui sedi entrarono giovani a frotte provenienti dalle diverse espressioni dell’associazionismo cattolico, che all’insegna della discontinuità dalla nostra storia diedero assoluta prova di mancanza di rispetto per le persone che li avevano preceduti nell’impegno politico e dei luoghi ai quali accedevano.
   Si trattò di una situazione allucinante nella quale chi aveva dato testimonianza specialmente nei momenti più difficili della storia del nostro paese, si sentì "straniero in patria" .
   Motivai il mio rifiuto di aderire al PPI di Martinazzoli con la mancanza delle condizioni politiche ed ambientali per una mia adesione .  

   Con la liquidazione della D.C.  e la diaspora delle sue correnti immediatamente si avviò quello che tecnicamente viene definito processo di despecificazione caratterizzato dal disconoscimento dei rapporti anche di amicizia intessuti nel partito originario per la giustificazione delle nuove scelte politiche.
   Per la sinistra democristiana l’approdo al PD, e la adesione al PSE ha costituito il traguardo di un lungo percorso che, in funzione classista, aveva tratto impulso dalla stessa esperienza dell’unità sindacale e delle centrali della cooperazione.
    Per quanto riguarda l’area centrale, la costituzione del CCD di Casini, del CDU di Buttiglione e per la restante parte la confluenza in Forza Italia , complessivamente non ha saputo andare oltre la tecnica di gestione del potere di stampo doroteo e l’ossessione del culto della personalità dei rispettivi leader dove il richiamo all’esperienza politica degaperiana ha reso più stridente il contrasto delle qualità e dello stesso stile di vita del grande statista trentino con la fisionomia di chi ha avuto l’ardire di dichiarare la continuità del percorso da lui tracciato nell’interesse complessivo della società italiana.  

Alla luce della Sentenza di Cassazione che ha dichiarato la continuità della Democrazia Cristiana in quanto mai legittimamente sciolta, interessante sarà vedere la conclusione della vicenda giudiziaria tesa a far luce sulla legittimità dei comportamenti dei rappresentanti i diversi settori della diaspora che, dichiaratosene eredi, se ne divisero i bani mobili ed immobili, come interessante è poter conoscere i percorsi che hanno condotto quegli esponenti politici che con la fine della DC dichiararono la fine del loro impegno politico alla guida di istituti e fondazioni bancarie, associazioni di categoria e quant’altro nel campo economico e finanziario.

   Così si sono create le condizioni ideali per le prosecuzione dei fenomeni degenerativi ai quali, si si volle far credere fosse stata posta fine con la eliminazione della DC e del PSI per via giudiziaria.
  Dalle inchieste in corso sta emergendo l’importante ruolo di capo fila esercitato dal movimento cooperativo per il buon esito delle gare di appalto in una sorta di capovolgimento del rapporto che vedeva i partiti legiferare in difesa di una cooperazione improntata alla elevazione economica e morale delle classi più deboli, ora sono le cooperative e le cordate di imprese di riferimento ad influire sulla politica dei partiti avvalendosi del" plusvalore" conseguito coi prezzi gonfiati delle opere forniture effettuate.  

   L’attuale quadro politico quindi stride con l’entusiasmo che ha accompagnato giovani cattolici alla festa de   l’Unità per ascoltare Renzi, come risulta dalle foto pubblicate su facebook , che li rende del tutto simili ai boy scout che hanno accolto il premier al loro raduno ; è lo stesso entusiasmo col quale é stata diffusa per internet la locandina della festa parrocchiale di una frazione del mio paese dove , fra le varie manifestazioni , è pubblicizzata la inaugurazione di una mostra nella quale con i parroci succedutisi dal medio evo ad oggi , uno dei i quali beatificato, vengono ricordate le benemerenze di due apostoli socialisti, omettendone l’anticlericalismo che giunse ad impedire nella socialista Molinella i cortei funebri nei funerali religiosi, l’accesso di un vescovo e del parroco al cimitero per la benedizione delle tombe il 2 novembre, le processioni del Corpus Domini , alle suore della confinante Vedrana di Budrio, che ospiterà la mostra, di recarsi alla vicina chiesa per assistere alla Messa mattutina , fino a che non intervenne una "squadraccia" a ristabilire l’ordine.
    Per chi nei momenti di più accesa contrapposizione politica con me aderì all’invito all’impegno politico in difesa dei valori cristiani , allora solo più apertamente in gioco rispetto ad oggi , è doloroso constatare che dagli stessi ambienti nei quali venimmo sensibilizzati a farlo è provenuta l’intera gamma delle propensioni politiche dei giovani cattolici , dai maoisti,ai DS, al PD ai grillini unita nella valutazione negativa dell’esperienza democratica cristiana ritenuta il perno del sistema politica-affari, quando esso ha dimostrato la sua maggiore tranquilla vitalità dove la sinistra , nelle sue poliedriche espressioni ed alleanze, è sempre riuscita a rimanere al potere.
   Certamente i contenuti della riflessione e ricordo non aprono nuovi ampi spazi di simpatia per il suo estensore.
   Chi mi conosce comunque sa quanto per me sarebbe assurdo aderire alla nuova Democrazia Cristiana per sostenere valori non negoziabili e la massima correttezza e trasparenza gestionale per il perseguimento del bene comune senza la elaborazione di idee ricostruttive adeguate alla attuale situazione politica e una precisa strategia politica in grado di difenderci dal fuoco amico.
    Con queste premesse la cosa più assurda sarebbe che la Nuova DC riprendesse il cammino della vecchia traumaticamente interrotto facendo finta che nulla sia accaduto a interromperne il percorso come sarebbe assurdo rilanciare l’alleanza di centrodestra sulle rovine della casa delle libertà senza riscoprire ragioni e obbiettivi della alleanza.

3.-  Franco Marini e LA SINISTRA CATTOLICA NEL PSE. Qui si inserisce il compito della Democrazia Cristiana Nuova per la individuazione delle ragioni profonde della crisi e la promozione di un confronto con tutte le componenti sociali( cultura, politica, capitale imprese, lavoro) per una generale riassunzione di responsabilità che scongiuri il latente rischio di una avventura rivoluzionaria.
   Se l’approdo al PSE della sinistra cattolica se non altro semplifica l’interpretazione del quadro politico, non possiamo non osservare che nonostante il cambiamento delle sigle permanga la tradizione del vecchio P.C.I.,  di assorbire ogni formazione politica con la presunzione di riuscire a mantenere la propria identità originaria.
   Come l’esperienza del "fonte popolare", definito "fronte progressista", il l patto di unità d’azione, l’alleanza sindacale nella CGIL e nelle Camere del Lavoro, costituirono le tappe dell’ascesa del P.C.I  a scapito del PSI, la convergenza della sinistra cattolica con la Margherita nell’Ulivo e nel PD ne rivela la permanenza di un vizio pari all’ ambizione di un segretario che ha ampiamente dimostrato di saper trasformare le sue scelte politiche in gradini della sua ascesa personale.
   L’ affermazione di Renzi di giocarsi la faccia nella attuale esperienza di governo, quasi che nessuno fosse più in grado di comprendere quanto , con la espugnazione della segreteria del suo partito e la apertura della crisi extraparlamentare per la assunzione della Presidenza del Consiglio, lui la faccia se la sia già giocata, non dovrebbe tranquillizzare quanti stanno seguendo le evoluzioni di una fulminante carriera. 

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PROSPETTIVE DI GOVERNABILITÀ DELL'ITALIA DOPO LE ELZIONI EUROPEE

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FORTE PASSO VERSO IL BIPOLARISMO

I risultati, se si trascura il PARTITO DEI NON VOTANTI (voti 20.348.165):
-
Primo partito: PARTITO DEMOCRATICO (voti 11.172.861);
-
Secondo partito: MOVIMENTO 5 STELLE (voti 5.792.865);
- Altri partiti : Forza Italia e tanti altri in area di CENTRO-DESTRA (voti 8.495.627)

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Nino Luciani

  LUCIANI: Adesso dovrebbe essere compito della legge elettorale accelerare il passo verso il traguardo finale bipolare, ma
   guai se questo avvenisse con sbarramenti all'entrata, per escludere i piccoli partiti.
   La polarizzazione dei partiti eletti puo' essere ottenuta in sede parlamentare mediante la incisiva modifica del Regolamento
   delle Camere, che alzi drasticamente la soglia minima per costituire i gruppi parlamentari.

ELEZIONI EUROPEE
(25 maggio 2014)

VOTI ESPRESSI
e voti non espressi

 Elezioni 25 maggio 2014 – Voti in Italia

Numero
dei voti espressi

In %

PARTITO DEMOCRATICO 11.172.861 40,81
MOVIMENTO 5 STELLE 5.792.865 21,16
FORZA ITALIA 4.605.331 16,82
LEGA NORD 1.686.556 6,16
NUOVO CENTRO DESTRA - UDC 1.199.703 4,38
L'ALTRA EUROPA CON TSIPRAS 1.103.203 4,03
FRATELLI D'ITALIA - AN 1.004.037 3,66
VERDI 245.443 0,89
SCELTA EUROPEA 196.157 0,71
ITALIA DEI VALORI 179.693 0,65
SVP 137.448 0,5
IO CAMBIO MAIE 48.450 0,17
Totale voti attribuiti
27.371.747

100,00
VOTANTI:
NON VOTANTI:
28.908.004   (59%)
20.348.165  (41%)
TOTALE aventi diritto 49.256.169 (100%)

Fonte: Ministero dell'Interno

Nino Luciani, Per un bipolarismo, quale strumento vicino alla democrazia diretta
( non quale strumento per escludere i piccoli partiti, alzando la soglia di sbarramento).

1.- Premessa. I risultati elettorali del PD sono il frutto della fiducia che il Partito Democratico ha conquistato nel popolo italiano.
   E' poco il dire che il PD ha conquistato il quasi 41% dei voti espressi. Il PD aveva preso  8.646.034 di voti un anno fa, nelle elezioni politiche, e dunque ne ha guadagnati 2.526.827.
   L'arrivo dei Grillini al secondo posto premia i loro meriti etici e morali.
    Risulta, infine, lo spappolamento del centro destra, considerato evidentemente una costellazione di partiti  in cerca di vantaggi personali a carico dello Stato, salvo forse il NCD-Nuovo Centro Destra, di cui diremo poi.
  La posizione di Forza Italia appare molto deteriorata dalla perdita della bussola del suo leader, convinto di contare quanto basta per "scambiare" il proprio appoggio al governo Letta,  ma solo in cambio della grazia di Napolitano... circa una condanna da parte della magistratura, confermata in tre gradi indipendenti di giudizio.
  Ahimè saremmo già molto avanti verso le riforme costituzionali, se il 28 sett. 2013, alla Camera, Berlusconi avesse confermato la quarta votazione in favore della riforma dell'art.138 della costituzione, che prevedeva la istituzione di un comitato bicamerale per la riforma veloce della governance.
  
   
2.- Prospettive per il bipolarismo, in Italia.   Il fatto che l'80% dei voti espressi sia ripartito fra soli tre partiti (PD, M5S, FI) è un passo avanti importante, ma solo numericamente. Il nodo da sciogliere è se il fatto è una scelta consapevole verso la governabilità dell'Italia, o un modo dei grandi parititi di appropriarsi del controllo della cosa pubblica.
   Nelle esperienze fatte,  l'aggregazione dei partiti ha avuto luogo per superare le soglie di sbarramento in ingresso, ma poi la coalizione vincente, alla prima occasione in parlamento si frazionava in molti gruppi parlamentari.
  Quello che serve al Paese è, invece, una bipolarismo che dia governabilità di durata pari alla legislatura e la faccia determinare direttamente al popolo.
  E' il sistema elettivo più prossimo alla
democrazia diretta.
  La spiegazione semplice è che, di solito, quando i poli (o i partiti) sono solo due, il numero dei

voti si ripartisce quasi alla pari tra i due partiti (o coalizioni): l'uno ottiene poco più del 51%, e l'altro poco meno del 49%. In queste condizioni, è facile prevedere che, nelle successive elezioni politiche, un piccolo spostamento dell'elettorato (tra i due) inverte la maggioranza. E' quanto vediamo da anni negli USA.
   La conseguenza è che chi sta al governo è "costretto" a rispettare il popolo e anche l'uomo della strada conta molto.

  
  3. Quali poli per il futuro ? Il polo di centro sinistra, incardinato nel PD, mi parrebbe in buon stato di progresso.
   Circa il polo dei Grillini, la partita è rinviata al momento in cui essi sceglieranno di divenire classe governante, cosa che va anticipata (ora per allora) con convergenze sulle grandi scelte, ma non unilateralmente, bensì con contrattazione.
   In termini di avvenuta maturazione politica, le prospettive più realistiche mi parrebbero stare nell'area di centro destra.
   Qui conterà molto  la nuova legge elettorale, ma prima cominciamo da Alfano.
   Direi che la scelta di Alfano di fare la scissione da FI è benemerita per il Paese in quanto ha salvato il Paese da un baratro elettorale improvviso, ma (a riguardo della formazione del secondo polo) essa è tutt'altro che una strada in discesa.
  C'è lo dice la storia che, infatti, ha sempre castigato i riformatori (perchè odiati dai propri, che si sentivano traditi; e non accolti dagli oppositori, per una questione di bandiera). E' stato così con Tommaso Bechet, Gorbaciov, Mario Segni ..., perfino con Gesù Cristo, ai suoi tempi .
   Per questo la conduzione del progetto di polarizzazione al centro destra dovrà essere affidata ad un mediatore "terzo".
  Circa i ritardi, molto dipenderà dai tempi necessari a Berlusconi per rendersi conto che la sua stagione è finita, anche solo per l'età.
   Ci sono, poi, nell'area di centro, i molti diseredati, tuttora in cerca di una casa, della diaspora della DC, ma di cui la gran parte pensa a ritrovare un posto al sole, senza privilegiare la governabilità del Paese.
   Circa la legge elettorale bipolarista, la vedo bene se include i piccoli, e per fare questo è sufficiente la modifica dei Regolamenti delle Camere, mediante una drastica elevazione del numero per fare un gruppo parlamentare. Per una spiegazione clicca su: Porcellum .

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PADOAN PUNTERÀ A RIFORMARE L'EURO, DURANTE IL SEMESTRE ITALIANO PRESSO LA UE ?

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Domande dopo la Intervista a Padoan, dal Financial Times
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Secondo il Ministro:
la ripresa economica equilibrata passa attraverso
un
aumento dell'inflazione e un euro più debole.
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LUCIANI: dato il Trattato attuale, la ricetta non è applicale .

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Nino Luciani

Quel concetto è associato da Padoan a quello seguente, che ne è strumento, che applicherebbe  durante il semestre italiano presso la UE :"Completare il processo di aggiustamento ", che "comprende un approfondimento del mercato unico e delle riforme per ottenere maggior
credito che scorre per le piccole e medie imprese del continente".

          FONTE: http://www.ft.com/cms/s/0/b552d8bc-d057-11e3-af2b-00144feabdc0.html#axzz30S4YLgry
INTERVISTA al ministro Padoan
di Ferdinando Giugliano and Tony Barber su Financial Times, 30 aprile 2014, Londra (stralcio)

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   Il Ministro delle finanze d'Italia ha criticato l'UE per il sostegno solo " a parole " alla crescita e all'occupazione in Europa , dicendo che il percorso di una ripresa economica equilibrata passa attraverso un aumento dell'inflazione e un euro più debole
. ….
Il signor Padoan obietta che, al contrario di quanto sostenuto dalla UE, l'Italia non vuole rinegoziare il cosiddetto fiscal compact , che obbliga l'Italia a raggiungere e mantenere un equilibrio strutturale di bilancio ma anche di ridurre il debito pubblico, ma solo a farlo ad una velocità più lenta ", anzi essa vuole attenersi a un obiettivo di disavanzo del 2,6 per cento del reddito nazionale già nel 2014. ….
L'Italia vorrebbe utilizzare il suo semestre di presidenza dell'Unione europea , a partire dal mese di luglio, per completare questo " capitolo incompiuto del processo di aggiustamento " , ha detto. Ciò comprende un approfondimento del mercato unico e delle riforme per ottenere maggior credito che scorre per le piccole e medie imprese del continente . … Il sig Padoan ha detto ha detto che Bruxelles dovrebbe ampliare il "focus" degli indicatori economici che ha scelto di guardare , per esempio prestando maggiore attenzione alla composizione di tagli alla spesa e aumenti delle tasse.
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Il ministro delle finanze ha anche avvertito che le pressioni deflazionistiche della zona euro , nonché la forza dell'euro potrebbero rivelarsi pietre d'inciampo sulla via di una ripresa . " Un tasso di cambio più basso sarebbe utile nello stesso modo che i tassi di inflazione più elevati sarebbero utili ", ha detto.
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Nino Luciani, Cerchiamo di capire i misteri di Padoan, visto che la BCE non può ....
1.- Premessa. Quelle parole di Padoan (la ripresa passa per l'inflazione e per un euro debole) sarebbero una verità quasi ovvia (nel senso che Keynes ci ha insegnato), se la BCE fosse una banca centrale normale, come la FED americana o la Banca d'Inghilterra.
  Ma non è così. La BCE è vincolata per statuto a dare stabilità ai prezzi, e men che meno può sognarsi di fare da ombrello al Tesoro di un qualche Stato: vale dire non può operare sul mercato finanziario primario come "prestatore di ultima istanza (ma solo su quello secondario, e solo per le forzature di DRAGHI, che notoriamente hanno indotto ricorsi presso la Corte Costituzionale tedesca.
   Se, dunque, prescindiamo da questo potere di una banca centrale normale (non della BCE) l'applicazione della ricetta di Padoan ha un significato ben diverso e anche pericolosissimo, perchè significhebbe che egli vuole finanziare i disavanzi correnti del bilancio dello Statoi (sia pure inferiori al 3%), emettedo titoli sul mercato finnziario.
   Giovi ricordare, in proposito, che questo ricorso al mercato finanziario potrebbe essere benedetto, ma nel pieno della crisi, quando i privari operatori non investono, per solo lo Stato potrebbe muoversi avendo un orizzonte temporale di lungo periodo.
   Ma oggi si notano segni di risveglio degli operatori, e lo Stato non deve fare a loro la concorrenza nella ricerca dei fondi, facendo pressione sui tassi di interesse.
2. Ma forse Padoan tiene un asso nella manica. Ad un certo punto della intervista, Padoan ha sfoderato  il pensiero sul semestre italiano pressoi la UE, dal prossimo luglio e il collegato proposito di
"completare (in quella occasione) il processo di aggiustamento " , che comprendebbe " un approfondimento del mercato unico e delle riforme per ottenere maggior credito che scorre per le piccole e medie imprese del continente".
  Questo vuol dire che Padoan vuole mettereall'ordine del giorno della UE la rinegoziazione del Trattato di Maastricht, da cui discende quella tipologia mutilata di BCE , banca centrale "incompiuta" ? Se così fosse, il proposito di Padoan sarebbe che la BCE divenga prestatore di ultima istanza e sia
indipendente dagli Stati, ma con potere di intervento differenziato in taluno di essi, al bisogno.
  Voglio chiarire, qui, che la fabbricazione di moneta aggiuntiva, ma cum grano salis, non dovrebbe avere impatti inflazionistici apprezzabili in Italia,  (in Inghilterra la svalutazione della sterlina è rimasta sotto il 30%), perchè abbiamo rilevanti risorse inutilizzate e bilancia commerciale passiva (i due casi, previsti dai Keynesiani, in cui non dovrebbe derivare inflazione).
   Non va anche trascurato che, pur fermi nel nostro europeismo, oltre certi limiti di sacrificio potremmo vacillare.

3. La retta via, al momento. In attesa che Padoan riesca a fare accettare la sua agenda, suggerireidue operazioni di breve termine (a parte la scelta di fondo, ma che richiede anni, di riportare la spesa pubblica e la pressione fiscape sotto il 45% del PIL):
a) accelerare la tempistica della spesa pubblica, in modo che al prelievo segua prontamente spesa (cosa che oggin c'è solo per pagare gli stipendi, come risulta da documenti della Ragioneria Generale dello Stato).
   Ricordo che c'è un teorema (di Haavelmo), secondo cui, in caso di pronta spesa (finanziata da entrata di eguale ammontare), il moltiplicatore del reddito monetario è pari alla unità (vale dire si crea un reddito monetario aggiuntivo pari alla spesa).
   Io, poi, ho scoperto che si ha un moltiplicatore del reddito monetario, pari alla unità, anche in caso di sgravio da imposta indiretta, bilanciato da aggravio di imposta diretta di uguale ammontare (rinvio a ... pag. 702) .

   b) estendere il criterio adottato dal governo per dare gli 80 Euro ai percettori di reddito € 24.000. Consiglierei, ma una sola volta , di aumentare l'IRPEF sui redditi sopra i 100.000 Euro (perchè con relativa alta propensione al risparmio), e di ridurre l'IRPEF (per un pari ammontare) sui redditi sotto i 50.000 Euro (perchè con relativa alta propensione al consumo).

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EDIZIONI PRECEDENTI

Blog frettolosi diffondono sfiducia verso l'Italia
strumentalizzando impropriamente la London School of Economics

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Roberto Orsi

Leggiamo da mesi ... e tuttora sui blog.
Es. :
"www.quifinanza.it" : London School of Economics, Londra choc:
"Fra 10 anni dell'Italia non resterà nulla".
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Ma guardando dentro, si trova che è la esternazione ragionata di un ricercatore italiano (33 anni, associato alla London School), ma non supportata dall' "analisi causa-effetti", la sola ideonea ad un supporto scientifico, a parte che una proiezione decennale è impossibile.

Nino LUCIANI,  Pur tra tante cause ostative del risollevamento dell'Italia, il ritorno della Fiat (clicca qui), la nuova macchina della Ferrari (clicca qui),l'interesse degli Arabi per l'Italia (" IQ Made in Italy", "Alitalia" ...) non dicono nulla ? Ma cominciamo  dalla lettura del testo originale, qui sotto a sinistra.

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Giuseppe Pietro Grillo

Nota. Titolo originario : Roberto Orsi,  "The Demise of Italy and the Rise of Chaos". Laureato in Giurisprudenza a Torino, PhD in relazioni internazionali alla LSE, professore a contratto nell'Università di Tokyo.
Testo integrale in  inglese: http://blogs.lse.ac.uk/eurocrisispress/2013/10/08/the-demise-of-italy-and-the-rise-of-chaos/
Traduzione in italiano: R. Orsi, Il collasso dell'Italia e l'ascesa del caos. Fonte: http://www.beppegrillo.it/2013/10/la_caduta.html

   Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all'Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent'anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale.
   Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%.
  Peggiorerà. Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma per il momento è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento estremamente miope dell'IVA (un incredibile 22%!), che deprime ulteriormente i consumi, e a vacui proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie.
    Le probabilità che questo accada sono essenzialmente trascurabili. Per tutta l'estate, i leader politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi di una ripresa imminente. In effetti, non è impossibile per un'economia che ha perso circa l'8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio positivo.
   Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo "ripresa" è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione.
    Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l'immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce.
   Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell'élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione.
   L'Italia non avrebbe potuto affrontare l'ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l'apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell'Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori.
   Ha firmato i trattati sull'Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell'UE sapendo perfettamente che l'Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini.
    Di conseguenza , l'Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa.
    L'Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell'UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d'Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese .
    Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo, come in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di aziende italiane si riversa nella vicina Svizzera e in Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende troveranno un vero e proprio Stato a collaborare con loro, anziché a sabotarli.
   A un recente evento organizzato dalla città svizzera di Chiasso per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino hanno partecipato ben 250 imprenditori italiani. La scomparsa dell'Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale.
    Coloro che producono valore, insieme alla maggior parte delle persone istruite è in partenza, pensa di andar via, o vorrebbe emigrare. L'Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri Paesi più organizzati che hanno l'opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente, addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia.
   L'Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale.     Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi - collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall'ufficio del Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d'Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell'UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo.
   Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell'ordine repubblicano.
    L'interventismo del Presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. L'illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d'Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese.
   Saranno amaramente delusi. L'attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l'intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione.

Nino Luciani, I giovani hanno antenne speciali, per cui non vanno mai ignorati. Ma un vero economista fa l'analisi causa-effetti (non basta annotare statisticamente gli "effetti"). Poi, in termini di etica del comportamento, sarebbe stato appropriato allertare i blog-lettori che il blog del ricercatore è ospite di uno dei siti della propria università, e non ne impegna la responsabilità scientifica.

1. Il significato fondamentare del testo di R. ORSI. Secondo me, esso rivela in primo luogo  la profonfa sfiducia personale di un giovane significativo (è un  ricercatore apprezzato ovunque, ma non accolto in Italia) e questa è una grave responsabilità non dell'Italia, ma di tutti noi anziani, che abbiamo pensato molto a noi e poco a loro, quando potevamo.
   Nel merito dei suoi argomenti, essi sono tutti validi in termini descrittivi di effetti. Manca, invece, una totale percezione delle cause di tanto "collasso" per il nostro Paese.
   Non ho una sicurezza piena, nè una contezza esaustiva, delle cause del collasso, ma su tre cause so dire fondatamente (ma anch'io, a titolo personale).

  a) L'euro ha declassato la concorrenzialità dell'Italia. Nel 2002 l'Euro fece raddoppiare i prezzi, nel giro di un anno. Questo non era avvenuto in Germania, e in nessun altro Paese dell'Unione. Motivi ? Era stato sbagliato il calcolo el cambio, nella conversione della Lira in Euro.
  Se andiamo a vedere l'andamento del commercio estero dell'Italia, troviamo che dal 2002  al 2014 (sono ricerche che ho fatto l'anno scorso) troviamo che in termini reali la quantità dell'import e dell'export non è amentata.
   Visto che abbiamo perduto il potere monetario, potremmo valersi del potere fiscale. Es. ridurre l'IVA al minimo (16%), e questo è coerente con Orsi. Ricordo che l'IVA non grava sulle esportazioni, ma sulle importazioni.
  Dunque: non c'è futuro per l'Italia?
  Circa le responsabilità ( e serietà) della UE ho poca fiducia.
  Circa la rimozione della caduta di concorrenzialità dell'Italia, in questi mesi e in questi giorni sono avvenuti alcuni fatti molto significativi:
-  La Fiat, con Crysler, ha conquistato uno scenario commerciale mondiale ( Stati Uniti, in Asia, oltre che in Euopa, e altro). Questo fatto è fondamentale per dare coraggio a tutti gli imprenditori.
- La  Ferrari ha fatto un motore di assoluta avanguardia per velocità e basso consumo di energia. Anche queso fatto è molto "in".;
  - Gli Arabi stanno venendo in Italia. Non è da adesso che da quella parte (Arabi e Turchi) si aspira ad entrare in Europa. Li abbiamo fermati militarmente a Tolosa (721), a Poitiers (732), a Lepanto (1572), definitivamenta a Granata (1614), a Vienna (1683).
   Ma adesso vogliono venire in pace. Ho sempre pensato che una Europa vera è "romana", vale è  mediterranea e continentale.

   b) L'eccesso di socializzazione del sistema economico, ha messo un macigno al piede alle imprese. La socializzazzione dell'Italia fu avviata nel 1961 (con il centro-sinistra: il PSI entrò al governo, e fu espulso il PLI) e portata molto avanti negli anni 1970-80. Siamo passati da una pressione fiscale del 30% nel 1960 al 55% del 2014 (pressione in senso stretto + grado di inflazione).
    I motivi iniziali erano molto validi. L'Italia aveva fatto il "miracolo economico" a fine anni '50, ma le diseguaglianze sociali erano aumentate.  Serviva portare le scuole e gli ospedali uniformemente nel Paese. Serviva fare le grandi autostrade e ammodernare la rete ferroviaria.
   Ma si è dato troppo oltre: non occorreva fare le Regioni a statuto ordinario, non occorreva nazionalizza e municipalizzare le imprese.
  Non solo questo. Sfortunatamente l'eccesso di socialismo (a scapito del mercato) si accompagna di solito a fenomeni degenerativi: i partiti si impadroniscono dello Stato.
   Sono rimaste famose le denunce di Gobarciov. La "nomenlclatura" (intendi: il partito e, sotto il partito, la l'alta burocrazia e la polizia politica) si era impadronita della ricchezza del Paese, ma portando  il PIL al declino.
   Torniamo in Italia. E' sotto gli occhi di tutti il ladrismo e la furfanteria dei partiti (non le persone), e ciò ha portato lo Stato all'impotenza finaziaria (tutti i soldi sono impegnati per loro, e  lo Stato non paga le imprese fornitrici, il massimo della disonestà e impunità pubblica). Le voci criminali stanno all'interno di denominazioni nobili, quali "spese generali della Pubblica Amministrazione", le Regioni, i cosiddetti "Enti pubblici" non territoriali .
  E' possibile riportare l'Italia dal socialismo al mercato, ferme le fondamentali conquiste umane e sociali del nostro popolo ?
  Su questa palla al piede dell'Italia (vale dire eccesso di spesa pubblica) sarà una gara dura (servono 20 anni). Qui c'è di mezzo anche la incapacità di decisione del Governo. Vediamo il punto seguente
 
   c) Da anni si invoca la riforma costituzionale della Governance, visto che le leggi elettorali non sono bastate, ma non si vede la via.
  
Torno qui su concetti che espresso in altri servizi.
   
ll Governo non riesce a prendere decisioni importanti, impopolari, perchè è sottoposto al voto di fiducia dei partiti in parlamento
   Potrebbero, mai, i partiti-ladri sostenere a un Governo che vuole privarli   dei loro privilegi ? Dunque la via di uscita è far dipendere il governo direttamente dal popolo (come in USA, in Russia)
   Nel dopo elezioni 2013, il Governo Letta si era impegnato per la riforma costituzionale e, solo dopo, per una nuova elettorale.
  Così pareva quando, poi, arrivò Renzi, che si impegnò per una legge dei sindaci, da applicare al Governo.
   Ma ultimamente c'è stata la virata di Renzi-Berlusconi, verso la   legge elettorale, e che ha abbandonato la legge dei Sindaci.
   Questo vuole dire lasciare il Governo nelle mani dei partiti (sia pure quelli grandi e quindi non cambierà nulla.
   Qui tornano i motivi di sfiducia sulla rimozione delle cause.
   Ma ORSI  se la prende con Napolitano, andato oltre i poteri legittimi costituzionali, in realtà giustificato dalla "necessità" (come fonte del diritto), di colmare un vuoto lasciato dal Governo.
   Dunque, la responsabilità va caricata sui partiti, e qui pare che Renzi ci sia dentro tutto, se ama più il partito che l'Italia. Nino Luciani

Continua: Roberto Orsi
     
    Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese.
    Sono in realtà i garanti della scomparsa dell'Italia.
   In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell'Italia nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare. I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l'Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all'interno del mondo occidentale, che il Paese aveva occupato solo nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento.
   Quel progetto ora è fallito, insieme con l'idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l'Italia.
                                   Roberto Orsi, London School of Economics

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EDIZIONI   PRECEDENTI

Unione Europea: Il TESTO INTEGRALE del COMUNICATO sull'ITALIA
FONTE: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-1082_en.htm

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Olli Rehn

Ricominiciando dalla audizione del commissario europeo OLLY REHN,
alla commissione bilancio del 17 sett. 2013
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Il Commissario parlò a "nuora" perchè "suocera" intenda:
"La FERRARI, come l'Italia, incarna una grande tradizione di stile e di capacità tecnica, ma per vincere nella gara della crescita globale bisogna avere il motore più competitivo ed essere sempre pronti a modificare, a cambiare e ad adeguarsi".

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Enrico Letta

LUCIANI: Tutti sanno che la Ferrari rientra sempre nelle prime posizioni delle gare, e quindi il motore non c'entra per niente. Non si capisce come ragioni questo Rehn... . Quanto al rapporto debito/PIL, bisogna capire che l'aumento della tassazione permette di ridurre il numeratore,
ma fa cadere il denominatore, col rischio di trovarci intrappolati in una spirale senza fine, e aumento del rapporto. Ne parliamo qui sotto.

                                                 COMMISSIONE EUROPEA - Il COMUNICATO STAMPA del 15 nov. 2013
                                                Parere sul documento programmatico di bilancio dell'Italia (legge di stabilità):
  " 1) Vi è il rischio che il documento programmatico di bilancio per il 2014 non sarà conforme alle regole del patto. In particolare, il punto di riferimento la riduzione del debito nel 2014 non è rispettata.
  2) Il piano di bilancio Progetto dimostra progressi limitati per quanto riguarda la parte strutturale delle raccomandazioni fiscali emanate dal Consiglio nel contesto del semestre europeo.
  3) La Commissione invita le autorità a prendere le misure necessarie nell'ambito del processo di bilancio nazionale, al fine di garantire che il bilancio 2014 sarà pienamente compatibile con il PSC e in particolare per affrontare i rischi individuati nella valutazione.
  4) La Commissione ha concluso che l'Italia non può usufruire della clausola di investimento nel 2014 in quanto, sulla base della Commissione 2013 previsioni d'autunno, non avrebbe l'aggiustamento minimo strutturale necessario per portare il rapporto debito-PIL su un sentiero abbastanza in declino."
 
FONTE: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-1082_en.htm


 

 

Audizione del Vicepresidente della Commissione europea,
Olli Rehn.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto delle Comunicazioni della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio «Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita – Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività»
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OLLI REHN, Vicepresidente della Commissione europea. Grazie e buongiorno onorevole presidente e onorevoli colleghi. Il dialogo con i parlamenti nazionali è un elemento chiave della nuova governance economica europea. Pertanto, sono davvero lieto di essere qui con voi oggi per parlare del cammino verso la ripresa in Italia e in Europa e delle sfide comuni che dobbiamo affrontare insieme.
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1-   Prima di entrare nelle noiose questioni economiche, so che un mio connazionale è ultimamente salito agli onori della stampa italiana e spero che l'ingaggio di Kimi Raikkonen da parte della Ferrari sarà fonte di ispirazione non solo per la Ferrari, ma anche per l'Italia nel suo complesso.
   Per essere chiari, purtroppo, il talento non basterà. La Ferrari, come l'Italia, incarna una grande tradizione di stile e di capacità tecnica, ma per vincere nella gara della crescita globale bisogna avere il motore più competitivo ed essere sempre pronti a modificare, a cambiare e ad adeguarsi.
   L'Italia è la terza economia dell'Eurozona in ordine di grandezza e, quindi, non può permettersi di far andare a singhiozzo il motore della crescita. Il motore dell'economia italiana ha bisogno di un'urgente revisione e non può perdere tempo in dispute ai pit stop. Spero, quindi, che l'Italia guidi con due mani sul volante e che rimanga fermamente in pista.
   La situazione della pista sta migliorando, perché l'estate ci ha portato alcuni segnali incoraggianti, secondo cui le economie dell'Eurozona si stanno avvicinando al punto di svolta che da tanto tempo attendevamo.     È in corso l'inizio di una graduale ripresa nell'area dell'euro, che speriamo si consolidi nei prossimi mesi e acquisti slancio durante l'anno prossimo, in cui dovremmo vedere anche un miglioramento dei dati sull'occupazione. Ciò dimostra che la nostra strategia di consolidamento di bilancio differenziato e di riforme economiche a sostegno della competitività, una volta applicata, ha successo, funziona e apre la strada a una ripresa sostenibile della crescita, dello sviluppo economico e dell'occupazione.

2.- Ci sono, però, ancora differenze considerevoli tra i diversi Stati membri. In alcuni Paesi, tra cui l'Italia, i dati recenti sulla crescita economica sono stati, purtroppo, deludenti. Sono dolorosamente consapevole del fatto che in alcuni Stati membri la disoccupazione è ancora troppo elevata.
   Le condizioni di credito troppo rigide, specie per le piccole e medie imprese, seguitano a rappresentare un collo di bottiglia molto grave, che ostacola la crescita.
   Sono consapevole anche delle difficoltà di molte famiglie italiane e di molte piccole e medie imprese nell'ottenere prestiti a tassi accettabili.
Dichiarare, quindi, che la crisi è finita sarebbe prematuro. Tutti noi sappiamo che questa crisi non è un normale rallentamento ciclico, ma affonda le sue radici negli insostenibili squilibri macroeconomici che abbiamo lasciato accumularsi nell'ultimo decennio.
    Nel caso italiano questi squilibri assumono la forma di un elevato livello del debito e un lungo declino della competitività, in particolare di quella legata ai prezzi, che ha sofferto moltissimo.
   I costi unitari della manodopera sono aumentati più rapidamente rispetto al resto dell'area dell'euro, situazione che risale già al 1998. Per questo motivo sia in Europa, sia in Italia noi dobbiamo avviare le riforme economiche. Ci vorrà una forte volontà, ma, lo ripeto, non c’è margine di manovra per indulgere in forme di autocompiacimento.
   L'Unione europea ha perseguito con coerenza una strategia globale per risolvere la situazione delle finanze pubbliche mentre attuava le riforme economiche per la crescita. Questo ha rafforzato la fiducia nell'economia europea tra gli operatori del mercato e l'opinione pubblica.
    Per conseguire un ulteriore miglioramento della fiducia degli investitori e dei consumatori e rafforzare la domanda interna, un fattore fondamentale è ovviamente la stabilità politica. Nel caso dell'Italia, dove l'economia mostra ancora segni di debolezza e stiamo ancora attendendo la crescita, l'incertezza politica frena gli investimenti e la ripresa tanto necessari.
    Questo è il contesto in cui l'Unione europea ha chiesto collettivamente all'Italia di adottare azioni e interventi urgenti. Mi riferisco alle raccomandazioni del Consiglio.

3.- Nel mese di luglio, all'unanimità, il Consiglio ha espresso una serie di raccomandazioni dirette a tutti gli Stati membri, ivi inclusa l'Italia.
  a)  Specificamente, nelle raccomandazioni del Consiglio dirette all'Italia si parlava della riduzione del debito pubblico, dell'attuazione di riforme del mercato del lavoro e dei prodotti e di migliorie al funzionamento della Pubblica amministrazione e del sistema giudiziario.
   L'onere fiscale sul lavoro in Italia è elevatissimo, tra i più alti in Europa, ragion per cui il Consiglio ha raccomandato all'Italia di spostarlo, togliendolo dai fattori di produzione, per incoraggiare la crescita economica.
   Sono passati tre mesi da luglio. Qual è adesso la posizione dell'Italia ? Si stanno realizzando passi in avanti per migliorare il contesto economico, affrontare gli annosi problemi della giustizia civile e combattere la disoccupazione giovanile, per esempio attraverso il programma di garanzia per i giovani, ma sono fondamentali anche alcune riforme strutturali protratte per valorizzare il potenziale di crescita italiano e per affrontare in maniera decisiva una disoccupazione che è arrivata al 12 per cento in luglio e che è elevatissima tra i giovani. Si è attestata, infatti, al 39 per cento, sempre a luglio.

Nino Luciani, Il debito pubblico aggiuntivo è l' "ultima risorsa" per alimentare subito in Italia una adeguata  "domanda effettiva", prima che la metà delle imprese vada perduta. Vediamo perchè.

1. Partire dalla corretta diagnosi, quale presupposto per una terapia idonea. Il sistema economico italiano è oggi quasi impotente a reagire alla crisi economica per il fatto che lo Stato (incluse le Regioni) .
   Il nodo della crisi sta nel fatto che è una forte caduta della "domanda effettiva" (parola di J.M. Keynes, che sta a significare una domanda accompagnata da potere d'acquisto in moneta), pur se c'è ancora in Italia una struttura produttiva importante, ma che rischia di sparire sempre più se l'assenza di domanda effettiva si protrae.
   Questo pone il problema della indifferibilità della creazione di domanda effettiva, ma da affrontare sulla base di una chiara distinzione tra problemi congiunturali (vale dire del subito) e problemi strutturali (vale dire da programmare in 5-10 anni), che si possono risolvere solo con governi di legislatura ( la quale cosa rinvia alle riforme costituzionali della governance, del governo Letta, più che alla legge elettorale, pur utile).
  Sia chiaro che tra le due tipologie di problemi c'è un legame: nel senso che, teoricamente, le questioni congiunturali possono essere affrontate adeguatamente solo dallo Stato, ma lo può fare solo in stretti limiti, perchè lo Stato oggi è divenuto un lungo vecchio treno, difficile da controllare, quasi senza freni e quasi senza acceleratore.
  Pertanto, quando OLLI REHN ci dice di abbattere la spesa pubblica (se non possiamo sostenere l'attuale pressione fiscale), ci domandiamo con chi stiamo parlando. Non puoi tagliare la coda al cavallo, mentre giace a terra con il febbrone.
   Ma andiamo per gradi. Qui discuto i problemi di congiuntura. Tratto dei problemi di struttura in altra pagina. Clicca su: FORUM 2-2013.htm.

  2.- Perchè manca una domanda effettiva ? Come conseguenza delle ultimi due grandi guerre (IRAQ e AFGHANISTAN), complice il sostegno finanziario delle grandi banche, si è venuta a creare una grande modifica della distribuzione del reddito tra i cittadini (in Italia e all'estero), con molte somiglianze a quanto avvenuto nel 1929. Come allora molte persone sono divenute povere, e altre sono divenute ricche e super-ricche, in Italia e fuori.
    Ma i ricchi hanno una relativa alta propensione al risparmio (e invece, bassa per la spesa in consumi) e questa propensione aumenta tantissimo in caso di crisi (perchè le persone vi trovano motivi aggiuntivi per chiudersi in casa e proteggere la ricchezza conquistata). Questa è una prima ragione, sul lato domanda effettiva, della caduta delle vendite e quindi della crisi delle imprese.
   In queste condizioni cadono anche gli investimenti privati, perchè gli operatori privati hanno un orizzonte temporale breve e si muovono in base alle aspettative di ottimismo.
   Poco importa che Draghi aumenti la liquidità alle banche, e questo per due motivi:
  - anche se i tassi di interesse sono bassi, ma le aspettative sono di tassi di rendimento del capitale negativi, il denaro non interessa;
  - ci sono operatori in difficoltà, che tentano di prendere tempo, chiedendo credito, ma le banche non sono "benefattori" e non fanno credito a chi è messo male.
Teoricamente, solo lo Stato ha i requisiti per salvare la situazione, perchè ha un orizzonte temporale molto lungo.
  Ma abbiamo visto quanto avvenuto col governo Monti. Non il fatto di tassare per salvare lo Stato dalla bancarotta, ma il fatto di non spendere in tempo reale quanto prelevato, e dunque di creare recessione.

   Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non è grandine che distrugge i raccolti, perchè alla imposta segue poi la spesa del prelievo (quello che lo Stato toglie a te, lo da a un altro, che spende al posto tuo). Il presupposto è che lo Stato spenda in tempo reale, quanto spendibile .
   L' economista norvegese T. Haavelmo, premio Nobel, ci aveva insegnato che una spesa pubblica, bilanciata da imposta di eguale ammontare, crea un PIL monetario aggiuntivo pari all'ammontare della spesa, in un determinato tempo. Il presupposto è che lo Stato spenda, in tempo reale, lo spendibile e che la propensione alla spesa, dello Stato, sia il 100%, mentre quella dei privati tassati sia minore del 100%.
   Quanto a Monti, dai documenti della Ragioneria dello Stato risultava che lo Stato riusciva a spendere (causa lentezza burocratica) grosso modo il 70% di quanto spendibile. Di più, aveva l'opposizione della UE, causa il patto stabilità.  
   Adesso Letta fa qualcosa in più di Monti, perchè (con la legge di stabilità)  modifica la distribuzione dei redditi a favore dei redditi medio-bassi, ma ancora poco rispetto a quanto serve, e tuttavua il massimo fattibile da un governo, dove la destra (che rappresenta le classi di reddito medio-alte) è determinante per fare maggioranza.
   Vale, in ogni caso, anche per Letta, quanto detto per Monti: causa lentezza burocratica la elevata pressione fiscale continuerà ad avere effetti recessivi, prevalenti.

3.- Per sbloccare domanda effettiva, può andare bene un debito pubblico aggiuntivo, purchè in un quadro di bilanci di competenza in pareggio. Va chiarito che la lentezza del procedimento burocratico dello Stato italiano non è nuova. E' stato sempre così, ma in passato provvedevano le banche a fare le anticipazioni di cassa alle imprese, in attesa che arrivasse il danaro statale.
   Ma adesso le banche sono in tilt di loro, e questo evidenzia il buco nero statale.
   Come risolvere ? Se la legge di stabilità è veritiera e dunque se il bilancio di competenza è in pareggio ( meglio dire, se il saldo rispetta il tetto del 3% del PIL), grosso modo la previsione dovrebbe essere recuperata in un orizzonte di 2-3 anni, a parte effetti positivi sul PIL.
   Il problema è come coprire il buco di bilancio in corso d'opera, e questo è possibile se c'è la possibilità di anticipazioni di cassa di qualcuno.
   Questo qualcuno non può che essere il grande pubblico, mediante sottoscrizione di Buoni del Tesoro di due-tre anni. Si tratterebbe grosso modo di un debito fluttuante, almeno come concetto, in quanto assorbibile nel triennio.
E dietro questo qualcuno, c'è la BCE sul mercato secondario.
  Torniamo a OLLY REHN. Mi pare che continuare a battere il chiodo sul lento rientro del debito pubblico (cosa diversa dal rapporto deficit/PIL, ma che ne è il risvolto), non vada bene. E' come mettere la testa dentro il sacco.
  E' anche vero che OLLI REHN dice: se non potere aumentare le imposte, abbassate le spese.
  Ma anche questo non va bene. Non puoi tagliare la coda al cavallo, mentre giace a terra col febbrone.
   Con questo sono tornato alle parole iniziali, più sopra.
   Per quanto, invece, riguarda gli aspetti strutturali della crisi italiana, rinvio alla pagina    NINO LUCIANI

    Inoltre, la recente decisione di abolire l'IMU sulle prime case per il 2013 ha suscitato e suscita preoccupazioni per quanto riguarda lo spostamento dell'onere fiscale dai fattori di produzione verso altri cespiti.
    Valuteremo, come è nostro dovere, l'impatto della programmata service tax sotto questi profili, una volta che in seno al Governo italiano saranno convenuti i dettagli concreti della proposta e questa sarà trasmessa alla Commissione europea e all'Eurogruppo.
   
    4.- All'inizio dell'anno noi avevamo raccomandato al Consiglio di sospendere la procedura per il disavanzo eccessivo per l'Italia, ragion per cui l'Italia è uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo.      La procedura è chiusa, dunque, ma l'Italia dovrà essere all'altezza degli impegni assunti, come il Governo italiano ha più volte dichiarato.
    Rilevo ciò perché la stabilità di bilancio è fondamentale per consentire all'Italia di avviare il proprio altissimo debito pubblico, pari a circa il 130 per cento del PIL, sulla strada di una riduzione costante e intraprendere un percorso sostenibile a favore della crescita e dell'occupazione.
   Sono fiducioso che le autorità italiane nel loro lavoro sul bilancio questo autunno terranno presenti tali priorità. Per la prima volta il bilancio italiano sarà poi oggetto di valutazione approfondita da parte della Commissione europea e, in una fase successiva, dell'Eurogruppo.
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Ci potremmo chiedere che cosa significhi concretamente tutto ciò. Cercherò di spiegarlo.
a) Entro il 15 ottobre tutti i Paesi membri dell'euro dovranno presentare i progetti di bilancio per il 2014 alla Commissione europea e all'Eurogruppo.
b) A novembre la Commissione europea procederà a una valutazione dei progetti di bilancio per valutare se gli interventi proposti siano conformi alle regole di bilancio europee e alle pertinenti raccomandazioni del Consiglio.
   Il nostro parere verrà reso pubblico e potrà essere considerato come una voce indipendente che concorrerà al dibattito sui bilanci nazionali, i quali, però, in ultima analisi, sono deliberati a livello nazionale.
   Se il progetto di bilancio non è conforme agli impegni assunti, la Commissione europea ha il dovere di chiedere alcune correzioni, mantenendo la vigenza delle normali regole di bilancio.
   Se uno Stato membro viola i valori di riferimento del Trattato per quanto riguarda il disavanzo e/o il debito, la Commissione dovrà adottare i passi necessari e aprire la procedura per disavanzo eccessivo.
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  Dagli Stati membri siamo criticati molto spesso, e in pari misura.
   Fintantoché però gli Stati membri non si rendono pienamente conto che le riforme sono fondamentali per il coordinamento delle politiche economiche nell'area dell'euro, secondo il dettame del trattato, io temo che l'Europa non andrà molto avanti sulla strada di un'integrazione economica e di bilancio più profonda e autentica.
   Un'Unione di bilancio più autentica e approfondita può essere creata soltanto con una profonda dinamica democratica a livello nazionale ed europeo. Ogni passo compiuto verso una maggiore solidarietà e verso la messa in comune dei rischi economici deve accompagnarsi con un'assunzione di maggiore responsabilità e prudenza di bilancio, con un'ulteriore condivisione della sovranità, nonché con un'integrazione più approfondita dei processi decisionali. Questo è il principio che ispira la Commissione europea nel suo tentativo di costruire un'Unione economica e di bilancio che sia forte quanto già lo è l'Unione monetaria.

   5.- Dobbiamo anche affrontare i punti deboli che ancora permangono nel settore bancario e che rappresentano un problema che riguarda anche l'Italia. Per esempio, i passi avanti nell'attuazione dell'Unione bancaria sono fondamentali per rafforzare la fiducia dei mercati e attribuire un fondamento alla stabilità finanziaria di lungo periodo in Europa.
   Al proposito abbiamo adottato la settimana scorsa il Meccanismo unico di vigilanza per le banche dell'area dell'euro, un passo significativo dopo il voto del Parlamento europeo, con una grande e ampia maggioranza. Il passo successivo è la creazione del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie, che comprende sia un'Autorità, sia un fondo.    Su questo la Commissione ha presentato una proposta in luglio. L'obiettivo sarà quello di garantire che i soldi dei contribuenti siano utilizzati in casi eccezionali e in modo limitato.
    I fondi per la risoluzione delle crisi bancarie dovrebbero provenire in linea primaria dal settore bancario stesso, ragion per cui noi abbiamo proposto di accompagnare l'Autorità europea di risoluzione delle crisi bancarie con un fondo comune finanziato dal settore.
   L'Unione bancaria necessita di un avvio solido e forte, con una revisione rigorosa della qualità degli attivi. I test previsti per l'anno prossimo sono una componente fondamentale della nostra strategia complessiva per una crescita sostenibile e per un miglioramento dell'occupazione.
    Ricorderete, non più tardi dell'anno scorso, le speculazioni e i timori delle forze di mercato rispetto a una crisi dell'euro iniziata in Grecia, una Grecia travolta dall'instabilità politica.
    Invece di perdere vecchi membri, stiamo, in realtà, per acquistarne uno nuovo, la Lettonia, che ha condotto in maniera determinata riforme economiche e una linea di rigore di bilancio.
    Attraverso un processo molto impegnativo ma relativamente breve, la Lettonia si è lasciata alle spalle il suo programma di aggiustamento ed è tornata a forti dati di crescita economica, più o meno al 4 per cento per quest'anno e per l'anno prossimo, con la disoccupazione in calo dal 13 per cento a meno del 10 per cento. Il 1 gennaio 2014 la Lettonia aderirà, quindi, all'area dell'euro. Il paese ha dato prova di quella capacità di adeguamento e quella cultura della stabilità che sono vitali per la partecipazione all'Eurozona.
     6.- Complessivamente, quindi, i recenti dati positivi sull'economia europea dimostrano che la nostra strategia economica comune funziona e può aprire la strada a una ripresa sostenibile e al miglioramento dell'occupazione.
    Le nostre strategie si fondano sulla riforma e l'ammodernamento del modello economico e sociale europeo, senza aggrapparci a nostalgie per lo status quo che porterebbero soltanto al declino economico permanente dell'Europa, facendo di noi un pezzo da museo per il resto del mondo, e senza smantellare il modello europeo.
    Noi crediamo infatti nella combinazione tra cultura della stabilità, impulso imprenditoriale e giustizia sociale, ma vogliamo riformare in maniera autentica, ammodernando l'economia sociale di mercato a beneficio della crescita sostenibile e della creazione di posti di lavoro in Europa. Grazie.
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Omesse domande (e rispettive risposte) di BOCCIA FRANCESCO, GIAMPAOLO GALLI. ANDREA ROMANO. ROCCO PALESE. GUIDO GUIDESI. GIULIO MARCON. PAOLA CARINELLI, GIANFRANCO LIBRANDI.

La seduta termina alle 13.10.

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EDIZIONI PRECEDENTI

In margine al Seminario della Banca d'Italia, Palazzo Koch,
Roma 16 sett. : " Dal T.U.B. -Testo unico bancario all'Unione bancaria "
http://www.bancaditalia.it/media/notizie/convegno-giuridico-160913/Programma.pdf

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Renzo Costi

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DUE RELAZIONI  SOTTOPOSTE ai nostri lettori

  Dott. S. Rossi, Direttore della Banca d'Italia;
" Regolamentazione e vigilanza sulle banche"

. Prof. R. Costi, Ordinario di  diritto dei mercati finanziari:
" Il Testo unico bancario, oggi "

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Salvatore Rossi

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  Nota. Questo seminario ha voluto "avviare una riflessione su quali parti del nostro Testo unico bancario (1993) debbano ritenersi obsolete, superate dalla nuova legislazione europea; quali parti siano invece ancora attuali e vadano conservate".
   Delle 10 relazioni presentate si focalizza l'attenzione solo sulle due più direttamente chiamate a rispondere al quesito,anche perchè solo l'una è già pubblicata sul sito della Banca d'Italia e la seconda ci è stata data generosamente dal prof. Costi.
   Llimito il commento alla introduzione del Direttore Generale, perchè più politica e di tono economico, più vicina alla mia formazione, ma anche dopo aver studiato la seconda, un testo  magistrale per documentazione e considerazioni.


 

 

Salvatore Rossi , Il Testo unico bancario

1.- Premessa.
I vent'anni dall'emanazione in Italia del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ricorrono quasi in contemporanea con il varo del regolamento dell'Unione europea che istituisce il Meccanismo di vigilanza unico. Con questo Convegno ci siamo proposti di avviare una riflessione su quali parti del nostro Testo unico bancario debbano ritenersi obsolete, superate dalla nuova legislazione europea; quali parti siano invece ancora attuali e vadano conservate e suggerite come modello per l'Unione bancaria.

2.- Banca come impresa e sua sfera di attività. Il Testo unico bancario razionalizzò la normativa preesistente nel nostro paese; non introdusse precetti radicalmente nuovi, ma disegnò linee di politica legislativa volte a guidare le autorità creditizie nell'applicazione della legge.
  Il Testo unico diede innanzitutto un segnale chiaro di riconoscimento delle ragioni del mercato, in un tempo e in un campo ancora segnati da forti pregiudizi dirigisti.
  Un mercato regolato, certo, ma in un sistema che riconosce centralità all'iniziativa privata: lo testimonia il bisogno sentito dall'estensore del Testo di statuire espressamente che l'attività bancaria "ha carattere d'impresa" (art. 10, comma 1).
   In altri passaggi, il Testo unico intese sprigionare le forze del mercato, come nel rendere possibili - all'art. 31 - trasformazioni e fusioni di banche popolari non solo a fini di rafforzamento patrimoniale ma anche di "razionalizzazione del sistema", purché dal processo risultassero società per azioni. In generale, la società per azioni veniva scelta come il modello di governance più adatto a stimolare l'efficienza gestionale e il ricorso al mercato dei capitali, anche in funzione di una maggiore capacità di erogare credito, date le regole di Basilea I che già legavano tale capacità alla dotazione patrimoniale.
   Si sancì anche un notevole ampliamento delle possibilità operative delle banche: queste potevano svolgere, oltre all'attività bancaria vera e propria, oggetto di riserva, anche "ogni altra attività finanziaria" (art. 10, comma 3); si superavano definitivamente le diverse specializzazioni creditizie tradizionali e si ponevano le premesse normative per la banca universale, che gli intermediari potevano scegliere in alternativa o in combinazione con la struttura di gruppo, secondo criteri di efficienza affidati alla scelta del mercato.
   Al tempo stesso, quel corpus di norme riaffermò una salda fiducia nella capacità del diritto di promuovere le riforme. Ad esempio, l'art. 151 assoggettò alla disciplina comune le "banche pubbliche residue": l'aggettivo chiaramente evocava il processo di privatizzazione allora in corso e implicitamente indicava l'obiettivo di completarlo.

3.- Una vigilanza tecnica e indipendente.     Affermare che una banca è un'impresa aveva a quel tempo una portata quasi eversiva in vasti settori di opinione pubblica; implicava un ripensamento profondo dei controlli pubblici sulle banche.
   Il senso ultimo di quel ripensamento stava nel sottrarre l'attività bancaria alla longa manus della politica.
   Quest'ultima aveva avuto gioco facile sino a quando le banche erano rimaste quasi tutte in mano pubblica, ma influenze e pressioni restavano possibili in presenza di controlli pubblici ampiamente discrezionali, sebbene iscritti in un quadro di finalità finalmente esplicite e chiare.
   Si comprende così lo sforzo che fu fatto negli anni successivi di valorizzare le regole "prudenziali" di vigilanza, quelle fondate sostanzialmente su indicatori oggettivi dello stato di salute dell'impresa bancaria. Ma sarebbe illusorio credere di poter eliminare la discrezionalità nei controlli, oggettivandoli totalmente.
    Chi fa impresa bancaria deve godere della più ampia autonomia imprenditoriale, purché siano rispettati i principi della "sana e prudente gestione" (art. 5): se quei principi non vengono rispettati è chiamata in causa la responsabilità propria dell'imprenditore o del manager bancario.
   Da questo punto di vista, è indicativo che il Testo unico abbia conservato e valorizzato la possibilità per l'Autorità di vigilanza di adottare provvedimenti di gestione coattiva dell'impresa bancaria anche solo per "irregolarità", non solo per specifiche violazioni normative (artt. 70, 78 e 80).
   Specularmente, le autorità di vigilanza sono responsabili delle decisioni discrezionali che devono comunque prendere. Ne discende la necessità che quelle decisioni siano fondate su analisi tecniche approfondite e motivazioni chiare.
   La natura prettamente tecnica dell'attività di vigilanza è al tempo stesso presupposto e conseguenza dell'indipendenza dell'autorità che la svolge.
    L'indipendenza della Banca d'Italia, suo tratto distintivo pur nelle temperie che ha attraversato nella sua storia ultra-secolare, è stata da ultimo esplicitamente ribadita dalla legge (l. 262/2005, cosiddetta Legge sul risparmio).   Il contraltare dell'indipendenza è il dover rendere conto, l'accountability.
   La Banca d'Italia ha innalzato in questi anni i livelli di estensione e di dettaglio dei rendiconti della sua azione in ogni campo, a iniziare dall'attività di vigilanza: nei confronti del Parlamento e del Governo con una relazione che da quest'anno è stata ulteriormente arricchita di contenuti e meglio articolata; nei confronti di ogni portatore d'interesse e di tutta l'opinione pubblica attraverso il suo sito Internet, che dall'anno prossimo sarà anch'esso arricchito e migliorato nella funzionalità.

4.- Una vigilanza integrata. La vigilanza della Banca d'Italia ha la caratteristica, non sempre riscontrabile in altri ordinamenti, di essere integrata: ricomprende, e fa interagire, l'attività di regolazione, quella di supervisione (macro e microprudenziale), quella sanzionatoria e la gestione delle crisi bancarie.
  Il Testo unico bancario ha fatto proprio questo approccio integrato. Ad esempio, lo art. 53 è rubricato "vigilanza regolamentare", a sottolineare quanto l'attività normativa sia considerata parte integrante della vigilanza.
  Il Testo unico, come modificato dalla Legge sul risparmio del 2005, delinea poi l'attività sanzionatoria a carico degli esponenti bancari responsabili di violazioni normative quale naturale prosecuzione della vigilanza, assegnando conseguentemente alla Banca d'Italia quel compito (art. 145, comma 1).
   Nella gestione delle crisi, pur lasciando al Ministro dell'economia e delle finanze la decisione finale, è l'Autorità di vigilanza che propone i provvedimenti di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa, sulla base di sole considerazioni di ordine tecnico-prudenziale (artt. 70 e 80).

5.- La tutela dei clienti delle banche e degli altri intermediari finanziari. Il Testo unico bancario copre un'area più vasta della vigilanza bancaria: vi trovano disciplina, ad esempio, la raccolta del risparmio da parte di soggetti non bancari, i controlli sui sistemi di pagamento.
   Attraverso emendamenti recenti, approvati nel 2010, il Testo unico ha anche recepito in modo compiuto le crescenti istanze di tutela della clientela delle banche. L'art. 127 stabilisce ad esempio che la Banca d'Italia deve aver "riguardo, oltre che alle finalità indicate nell'articolo 5 (sana e prudente gestione), alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la
clientela"; l'art. 128-ter dà alla Banca d'Italia penetranti poteri inibitori in caso di irregolarità nei rapporti con la clientela.
   L'insieme delle norme cerca di assicurare che nei rapporti negoziali vi siano trasparenza, equilibrio, consapevolezza. Nella sensibilità sociale e politica dei nostri giorni la correttezza dei rapporti banche-clienti - ma il tema abbraccia tutti gli intermediari finanziari - occupa un posto di grande rilievo.
   La crisi finanziaria globale iniziata nel 2007- 2008 ha d'altro canto acuito l'attenzione di tutto il mondo sulle possibili degenerazioni della finanza e sui danni che esse causano innanzitutto ai piccoli risparmiatori. 
    La regolazione e la supervisione esercitate dalla Banca d'Italia hanno seguito l'evoluzione di questa sensibilità, innalzando l'attenzione alla tutela della clientela delle aziende bancarie e finanziarie, dedicando via via più risorse a questo aspetto, ritenuto anch'esso parte integrante della vigilanza.
  La costituzione dell'Arbitro Bancario Finanziario, con i suoi tre collegi di Milano, Napoli e Roma, è stato uno snodo importante. Il processo è in corso, intendiamo accrescere il nostro impegno in questo campo.  Se la fiducia del pubblico nei confronti della correttezza dei comportamenti dell'industria finanziaria è incrinata, come a volte è accaduto in questi anni, è messa a repentaglio la sana e prudente gestione di singoli intermediari, è minacciata la stabilità dell'intero sistema finanziario. L'azione di vigilanza prudenziale e la tutela dei clienti si rafforzano l'un l'altra.

6.- Le riforme europee
  6.1- Il cammino verso la vigilanza europea.

Renzo COSTI, Il Testo Unico Bancario, oggi

1. Il Testo Unico e il "nuovo ordinamento bancario".  Il Testo Unico Bancario del 1993 rappresenta il momento di complessiva sistemazione del nuovo ordinamento del mercato bancario e finanziario che si era venuto sviluppando nel nostro paese dalla metà degli anni Ottanta, a partire cioè dall'attuazione nel nostro ordinamento delle norme comunitarie che ponevano fine alla vigilanza strutturale su quel mercato, nel momento in cui veniva preclusa all'Autorità di Vigilanza la possibilità di tener conto delle "esigenze economiche del mercato" nell'assumere i propri provvedimenti relativi all'esercizio dell'attività bancaria.
  L'accesso al mercato bancario cessava di essere subordinato ad un'autorizzazione discrezionale dell'Autorità di vigilanza per diventare un atto dovuto, nel momento in cui fossero stati presenti i necessari requisiti oggettivi e soggettivi; requisiti oggetto di un mero accertamento tecnico da parte della stessa Autorità. Risultava così rovesciata la prospettiva della legge bancaria del 1936 che attribuiva all'Autorità di vigilanza il potere di disegnare il piano regolatore del credito.
    La banca cessava di essere considerata un'impresafunzione, manovrabile dall'Autorità di Vigilanza, per diventare esercizio di un diritto di iniziativa economica, protetto dalla riserva di legge dettata dall'art. 41 della Carta Costituzionale. In questa nuova prospettiva assumevamo poi grande rilievo due provvedimenti legislativi del 1990.
   a) La legge 30 luglio 1990, n. 218 (e il d. lgs. 20 novembre 1990, n. 356) che consentiva l'adozione, da parte delle banche pubbliche (per lo più in forma di fondazione), della forma della società per azioni, con la possibilità di ricorrere a nuovo capitale di rischio, e
    b) la legge 10 ottobre 1990, n. 287 che rendeva applicabile anche al mercato bancario la tutela della concorrenza; concorrenza non più considerata un pericolo, come nel vigore della legge bancaria del 1936, ma come uno strumento capace di assicurare una maggiore efficienza alla intermediazione bancaria.
    Nella stessa direzione sollecitava anche l'attuazione della seconda direttiva bancaria (direttiva 15 dicembre 1989, n. 646) che, dando attuazione al principio del mutuo riconoscimento, esponeva alla concorrenza delle banche degli altri paesi della comunità il nostro sistema bancario, rendendo indispensabile la rimozione delle tante forme di specializzazione che lo caratterizzavano e rendendo urgente l'adozione del modello della banca universale, già accolto negli altri ordinamenti comunitari.
   Queste, in estrema sintesi, le caratteristiche dell'ambiente nel quale vide la luce il Testo Unico Bancario del 1993.

2. Le scelte di fondo del Testo Unico. Mi pare necessario, per verificare cosa sia rimasto oggi del Testo Unico del 1993 e che cosa sia stato cancellato, ricordare, ancora in estrema sintesi, alcune delle più importanti scelte di politica legislativa che lo stesso ha effettuato. Ne ricorderei soltanto due, anche se su molti altri punti (penso ai crediti speciali) le scelte del Testo Unico furono di particolare spessore.
   La prima concerne la concezione della impresa bancaria e la seconda riguarda i fini che possono e debbono essere perseguiti dalle Autorità creditizie.
   A) A norma dell'art. 10 del Testo Unico l'attività bancaria "ha carattere d'impresa" e "le banche esercitano oltre all'attività bancaria, ogni altra attività finanziaria". Viene così fissato, a chiare lettere, che
  a) l'attività bancaria è attività di impresa anche ai sensi dell' art. 41, 1° comma della Carta Costituzionale e
  b) che il tipo di banca che viene consentito è quello della banca universale, ossia che può raccogliere depositi ed erogare crediti senza alcuna distinzione fra breve, medio e lungo termine e che può svolgere oltre all'attività bancaria anche le altre attività finanziarie, quando non riservate, e, in particolare, quelle di mercato mobiliare, anche investendo per proprio conto. Annoto qui, anche se non concerne tanto l'esercizio dell'attività, quanto piuttosto la struttura proprietaria della banca, che il Testo Unico del 1993 sanciva la separatezza fra banca e industria, almeno nel senso che non permetteva all'industria il controllo della banca (art. 19, comma 6) e, sotto questo profilo, non consentiva la banca mista.
   B) La seconda scelta di politica legislativa di segno sistematico è quella contenuta nell'art. 5 del Testo Unico che individua le "finalità" della vigilanza, stabilendo che le Autorità creditizie esercitano "i poteri di vigilanza" "avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario". Non v'è dubbio che il linguaggio utilizzato consenta di rilevare che i fini della Vigilanza sono individuati con formule piuttosto generiche, ma è certo, tuttavia, che lo stesso fissa un limite alla discrezionalità delle Autorità creditizie nell'adozione dei propri provvedimenti. Le Autorità creditizie non potrebbero esercitare i loro poteri per finalità diverse da quelle fissate dalla norma appena ricordata.
   E sotto questo profilo il Testo Unico segna una netta distinzione nei confronti della legge bancaria del 1936 che attribuiva alle Autorità creditizie una delega di potere sostanzialmente in bianco.

3. Le fonti normative esterne al T.U. .  Prima di passare ad un esame analitico di ciò che è rimasto e di ciò che è caduto del Testo Unico, a seguito dei ben 39 provvedimenti legislativi che hanno apportato alle sue disposizioni modificazioni e integrazioni, credo possa essere utile riflettere sul ruolo che il T.U. ha svolto e svolge nell'ambito dell'ordinamento bancario e finanziario.
   A) Negli anni successivi al 1993 sono intervenute molte norme che hanno interessato capitoli importanti dell'ordinamento bancario, ma che non sono state inserite nel Testo Unico Bancario. Basti in proposito ricordare
  1) il d.lgs. 30 maggio 2005, n. 142, che ha disciplinato la vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari, e
  2) la legge 28 dicembre 2005, n. 262,
     a) che ha inciso profondamente sull'ordinamento della Banca d'Italia e
     b) che ha spostato la competenza in materia di tutela della concorrenza nel mercato bancario da quest'ultima all'autorità antitrust.
   B) Ma non è soltanto questo tipo di produzione normativa che incide sulla centralità del Testo Unico nell'ordinamento bancario; mi pare che sia soprattutto la normativa comunitaria che occupa sempre nuove province dell'ordinamento, affiancandosi con crescente rilevanza alle disposizioni del Testo Unico. E questa incidenza delle norme comunitarie passa attraverso due strade: quella dei regolamenti comunitari (come quelli che hanno dato vita alle autorità di settore e al comitato per il rischio sistemico) e quella delle direttive selfexecuting, la cui applicazione prescinde dalle norme di attuazione dei paesi membri.
   C) La rilevanza, in concreto, delle disposizioni legislative del Testo Unico risulta poi, come è ovvio, fortemente limitata dal processo di delegificazione che ha continuato a caratterizzare l'ordinamento del settore: così ad es. in materia di governo societario delle banche non v'è dubbio che abbiano un ruolo determinante le disposizioni della Banca d'Italia, che, per altro, fonda la propria competenza su una delega specifica da parte della norma primaria del Testo Unico.
   Anche se spesso il recepimento, da parte dell'ordinamento primario è puramente formale, come è accaduto per le "nuove disposizioni di Vigilanza per le banche" dettate lo stesso giorno nel quale fu adottato il D.L. 27 dicembre 2006, n. 297 che dava attuazione alle direttive comunitarie 2006/48 e 2006/49.

4. Il mutamento di due scelte fondamentali operate dal T.U. Passo ora all'esame di alcuni profili di ciò che resta e di ciò che è caduto del Testo Unico del 1993, partendo da quelle che mi sembrano le due scelte di politica legislativa più importanti: a) la concezione dell'impresa bancaria e b) le finalità della Vigilanza. Sotto entrambi i profili qualcosa è cambiato rispetto alle scelte del 1993. 
    1) La banca continua ad essere considerata un'impresa e lo svolgimento della relativa attività
l'esercizio di un diritto; inoltre viene tenuto fermo il modello della banca universale, anche se non mancano le proposte dirette ad imporre la separazione societaria per alcune attività, come il trading in proprio.
    Viene invece abbandonato il divieto per l'industria di acquisire partecipazioni rilevanti nelle banche, divieto stabilito dall'art. 19, commi 6 e 7 del Testo Unico del 1993; commi abrogati dall'art. 14, 1° comma del D.L. 29 novembre 2008, n. 185. La possibilità per l'industria non finanziaria di assumere partecipazioni anche di controllo in una banca è rimessa alla disciplina generale dettata per l'autorizzazione della Banca d'Italia, che condiziona l'assunzione di partecipazioni rilevanti in una banca.
   2) Anche per quanto concerne le finalità che possono essere perseguite dalle Autorità creditizie è intervenuta una integrazione importante delle finalità fissate dall'art. 5 del Testo Unico del 1993. L'art. 127, riscritto dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, stabilisce infatti che "le Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal presente titolo" (ossia il Titolo VI, dedicato alla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti) "avendo riguardo oltre che alle finalità indicate nell'art. 5, alla trasparenza e alla correttezza dei rapporti con la clientela".
    Come è noto, la trasparenza dei rapporti con la clientela, è una delle condizioni per l'efficienza e la competitività di un sistema finanziario ed è quindi uno strumento indispensabile per assicurare il raggiungimento delle finalità di cui all'art. 5 del testo originario del TUB. Oggi la trasparenza e la correttezza dei rapporti con la clientela cessano di essere considerate soltanto come obiettivi intermedi e indiretti, per diventare un obiettivo diretto ed esplicito della Vigilanza con riferimento ai rapporti della banca con la propria clientela.

Nino Luciani, In margine al testo di  Rossi.

1. Premessa. Questo seminario, come introduce il direttore della B.d'I, ha voluto "avviare una riflessione su quali parti del nostro Testo unico bancario (1993) debbano ritenersi obsolete, superate dalla nuova legislazione europea; quali parti siano invece ancora attuali e vadano conservate".
   Il commento, che qui segue, è limitato alla introduzione del Direttore Generale.
   In estrema sintesi, il Direttore ha, prima, esaltato l'impresa bancaria orientata al profitto (ma limitata dalla concorrenza tra banche) ed esaltato  la banca universale (eliminazione della differenziazione tra banche a breve e banche a medio-lungo termine), una innovazione  fatta anche negli USA, come noi, nei primi anni '90, seguiti da altri Paesi).
   Ma, poi, date le innegabili deviazioni delle banche, dall'interesse pubblico (vedi: crisi mondiale in corso), e non volendo farla derivare dalle leggi permissive del 1993 in Italia (e, nello stesso periodo, anche negli USA), ha ripiegato velocemente  verso la giustificazione del suo sì alla vigilanza bancaria su base larga europea, dunque saltando a pié pari il collegamento tra la vigilanza e la diagnosi della crisi.
   Questo fatto dell'allargamento del quadro territoriale della vigilanza va visto positivamente (ma che, pur divenendo europeo, dunque oltre il suolo nazionale, è ancora impari rispetto al necessario quadro planetario). Ma mi parrebbe dare troppo per scontato che i burocrati europei siano dei marchingegni onniscienti e onnipotenti nell'inserirsi nei meandri bancari, per fermarne le deviazioni in tempo reale.
    Soprattutto, mi parrebbe che la vigilanza ex-post sia insufficiente se non è accompagnata da filtri ex-ante, che sono quei tali noiosi filtri burocratici, che il TUB del 1993 ha tolto deliberatamente. Ma andiamo per gradi, a partire dalla diagnosi della crisi, per poi riprendere i punti chiave del Direttore.
  a) la diagnosi della crisi. In estrema sintesi, la mia diagnosi è la seguente (e che è, poi, la stessa fatta dagli economisti per la analoga crisi del 1929). 
   Negli ultimi 10 anni ( dall'avvio delle grandi guerre, in Iraq, ecc. ) le banche hanno creato molta moneta bancaria (vale dire hanno fatto credito, accompagnato da emissioni di blocchetti di assegni bancari,...) assumendo grandi rischi, nella illusione che fare credito crei sempre valore (anche a prescindere da puntuali garanzie reali : vedi mutui sub prime).
   Nel fare credito, esse hanno goduto della complicità degli Stati, bisognosi di finanziamenti per le guerra; ma, poi, con la decelerazione delle guerre, la domanda pubblica di prodotti per la guerra è calata, e grandi imprese debitrici non hanno restituito il danaro.
   Ciò ha a creato una serie di sofferenze, a domino: sulle banche, e poi sui creditori delle banche, sfociate in crisi di illiquidità in tutta l'economia. Da qui i fallimenti di imprese e disoccupazione, per mancanza di domanda "effettiva" (vale dire accompagnata da potere di acquisto, termine inventato da Keynes).
     Non solo questo. La guerra ha anche foraggiato super-profitti, nei vari Stati , a favore di cittadini operanti per la guerra che, tuttavia, data la crisi sopravvenuta, hanno trattenuto presso di sè la liquidità, e questo ha aggravato la crisi.
    Torniamo al Direttore. Egli, dando per scontato che una vigilanza europea sia sufficiente ad  evitare nuovi eccessi di creazione di moneta bancaria, non ha potuto che confermare la validità del TUB. Ma  riprendiamo i punti da lui esaltati.
   a) La banca universale, come impresa orientata al profitto, e solo limitata dalla concorrenza tra le banche.
  Egli ha esaltato, già in premessa, questo concetto. Ma, per quanto ne so, il mercato di concorrenza presuppone:  
  - moltissime banche grosso modo di piccola dimensione
- libertà di entrata e uscita dal mercato;
omogeneità del prodotto e relativa sostituibilità di un prodotto con un altro.
 
  Ricordo solo:
-   che, in Italia, solo 9 banche private hanno il 53% del capitale della Banca d'Italia, vale dire controllano Bankitalia.;
  -  che le banche sono coalizzate dentro l'ABI-Associazione Bancaria Italiana che, di tanto in tanto, ha almeno il pudore di limitare le commissioni (%) che le banche applicano alle operazioni dei clienti;
   -  che ogni contratto cliente-banca di deposito o giro ha un diverso tasso di interesse (ma non diverso da banca a banca);
  - che la moneta è un bene praticamente insostituibile.
   Questi fatti reclamano a gran voce la riforma del TUB.
   Sono, anzi, sorpreso che il direttore abbia ignorato che gli USA e il Regno Unito stanno tornando alla separazione tra banche commerciali e istituti finanziari (propri della legge bancaria italiana del 1936, abolita nel 1993 dal Testo Unico bancario, oggi in vigore).
   b) Patrimonializzazione. Questa parola c'è nella relazione del Direttore, dando per scontata la validità di Basilea 3.
   Ma una cosa è la ragioneria, una cosa è l'economia. Per la ragioneria i punti di riferimento primari sono i dati contabili, storici (non solo questo). Per l'economia il capitale è il valore attuale del reddito atteso.
   In contesti di mercato normali, il conto torna. In contesti di gravi crisi, la liquidabilità del capitale è molto a rischio.
   Dunque Il patrimonio è una garanzia di larga massima, per gli obbligati con la banca, ma lo è direttamente solo il patrimonio liquido.
   Negli scorsi mesi, negli USA, si è discusso se portare al 5% il capitale liquido, rispetto al totale delle attività patrimoniali.
   Ma l'ipotizzare che una autorità esterna determini il capitale liquido, a cui obbligare una banca, è assurdo perchè prescinde da un calcolo benefici/costi nel medio-lungo periodo, che un vigilante esterno non è capace di fare.
   Diverso è se la vigilanza prende a riferimento la gestione corrente, dove può censurare, già in origine, le eventuali piccole patologie. Questo ci porta, in primis, alla riserva obbligatoria bancaria.
    Attualmente c'è una percentuale del 2% (dei depositi e obbligazioni con scadenza inferiore a 2 anni) che le banche devono depositare presso la BCE; e c'è una percentuale dei depositi (di norma non superiore al 10%, ma anche 0%), che le banche locali devono depositare presso la B.d'I. (anche una % maggiore per  determinate patologie di clientela).
   Il parametro della riserva obbligatria non serve solo a garanzia diretta del risparmiatore-depositante, ma anche per determinare la creazione di moneta bancaria (aggiuntivamente alla moneta legale) per il controllo dei prezzi.
   E' noto che la quantità di moneta bancaria che una banca può creare è pari alla moneta legale, moltiplicata per l'inverso della percentuale di riserva obbligatoria.     Es., se questa percentuale è 5%, e la moneta legale è € 1.000, la moneta bancaria che una banca puà creare è : 20*1000=20.000.
   Direi che, anche sotto il profilo morale, vada impedita la connessa possibile ruberia della ricchezza privata, in caso di eccessi di creazione di moneta bancaria e derivati. Ciò ricorda gli abusi dei principi e re, a suo tempo, nel battere moneta legale.
   c) Partecipazioni delle banche al capitale delle imprese private e viceversa.  Andrebbe rivisitata la possibilità di incroci di partecipazione reciproca, al capitale, tra banche e imprese produttive di grandi dimensioni..   
  d) Ultimo, ma non ultimo. La fiducia del Direttore nel mercato (come regolatore delle banche), è oggettivamente coerente con il fatto che la Banca d'Italia è di fatto, dal 2006 (col governo Prodi, alla faccia delle sinistra), un istituto privato, da cui Rossi è dipendente.
    Infatti, il D.P.R. del 12 dicembre 2006  ha cancellato l'articolo 3 dello Statuto della Banca d'I., che così recitava: " In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici".
    Dallo Statuto della B.d'I., risulta che i partecipanti al capitale sono 60, di cui 52 sono banche (419 voti, su totali 535, dell'Assemblea dei partecipanti); e 8 sono enti assicurativi e previdenziali, di cui due sono enti pubblici, INPS e INAIL (totali 116 voti).
    Troviamo anche che 9 banche e assicurazioni  hanno da sole la maggioranza assoluta 285/535 voti, pari al 53% del capitale.
   Queste banche sono: Intesa Sanpaolo S.p.A. UniCredit S.p.A. Assicurazioni Generali S.p.A. Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. Banca Carige S.p.A. Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. Monte dei Paschi di Siena Cassa di Risparmio di Biella e V. .
   Questa situazione suggerisce che il legislatore italiano riveda presto il TUB, inserendovi criteri di utilità pubblica. Per subito, chiederei che nella Assemblea dei partecipanti  entri il Direttore generale del Tesoro con diritto di veto. Nino Luciani

Mentre in Italia veniva elaborato il Testo unico bancario, si compivano in Europa i primi  significativi passi verso l'armonizzazione minima delle regole del mercato finanziario di quella che oggi è l'Unione europea.
   L'espansione del mercato unico europeo ha innescato un processo di osmosi fra gli ordinamenti nazionali del credito e il diritto europeo, che veniva a disciplinare settori sempre più ampi.
   Il Testo unico del 1993, pur avendo un respiro europeo (art. 6), era tuttavia incentrato sulle autorità creditizie nazionali.
   D'altro canto, fino alla crisi degli ultimi anni non c'era un vero centro organizzativo capace di formulare politiche di vigilanza in una prospettiva globale o europea, distinta da quella propria delle singole autorità nazionali.
    Sull'onda della crisi veniva dapprima riaffermato e consolidato il ruolo del Financial Stability Board - che per l'occasione cambiava il nome pre-esistente di Forum - e del Comitato di Basilea come sedi di definizione tecnica della regolazione bancaria e finanziaria su scala globale.
   Alla fine del 2010 nasceva il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (European System of Financial Supervision - ESFS). Questo Sistema ha segnato in Europa un primo vero cambiamento, non tanto per i poteri attribuiti - che riflettono ancora un modello tributario della centralità delle competenze nazionali - quanto perché ha rappresentato il primo tentativo di superare il mero coordinamento di interessi nazionali e ricercare una sintesi genuinamente europea.
    Oggi il nascituro Meccanismo unico di vigilanza (Single Supervisory Mechanism - SSM) amplia notevolmente la strada, imprimendole al contempo una direzione diversa: la amplia perché dà alla Banca Centrale Europea (BCE) , coadiuvata dalle autorità nazionali, poteri incisivi, idonei all'esercizio effettivo della vigilanza; le imprime una direzione diversa in quanto coinvolge, almeno nella sua fase di avvio, soltanto gli Stati dell'area dell'euro, in risposta alla crisi dei debiti sovrani.
   Quasi contemporaneamente al raggiungimento del consenso politico sull'SSM è stato emanato il pacchetto legislativo europeo sui requisiti di capitale delle banche, composto da una direttiva (n. 36 del 2013) e da un corposo e dettagliato regolamento (n. 575 del 2013), al fine di ottenere quel Single Rulebook per il sistema bancario di tutta l'Unione europea a lungo vagheggiato.
   Un corpo omogeneo di disposizioni regolerà l'attività bancaria nell'Unione; nell'area dell'euro, la BCE vigilerà direttamente sulle banche più significative, con la collaborazione delle autorità nazionali; queste ultime conserveranno la responsabilità di vigilare, con la guida della BCE, sulle banche meno significative.
   Sarà essenziale che regole e prassi di vigilanza siano uniformate in tutta l'area, senza allentare gli standard rispetto alle esperienze nazionali più significative, come quella italiana.

   7.- Si conferma l'indipendenza della vigilanza . Nell'SSM la BCE verrà a trovarsi in una situazione non dissimile da quella della Banca d'Italia al tempo dell'entrata in vigore del Testo unico bancario, unendo poteri di politica monetaria e di vigilanza prudenziale, vantando una piena indipendenza in entrambi i campi.
   L'indipendenza delle banche centrali dell'Eurosistema è assicurata dal Trattato (art. 130 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
    L'indipendenza nell'esercizio dell'attività di vigilanza è sancita, sia per la BCE sia per le autorità nazionali appartenenti all'SSM, dal regolamento del Consiglio dell'Unione europea istitutivo del Meccanismo unico (art. 19), in via di approvazione.

   7.1- Regolazione e supervisione nell'SSM . Il nuovo quadro di regole europee separa la funzione normativa da quella di supervisione.
   La produzione delle regole prudenziali in materia bancaria spetta infatti all'Autorità Bancaria Europea (European Banking Authority - EBA) e alla Commissione Europea, nel rispetto delle norme stabilite per l'intera Unione nel pacchetto legislativo sui requisiti di capitale.
    Alla BCE spetta - oltre a un potere normativo in materia macroprudenziale concorrente con quello delle autorità nazionali - la vigilanza microprudenziale e la definizione delle sole regole organizzative e applicative del Meccanismo stesso.
    E' bene ricordare come e perché si è arrivati a questa separazione. Il Rapporto de Larosière prevedeva un'architettura istituzionale basata, oltre che su un organismo per la sorveglianza del rischio sistemico, su tre autorità europee di vigilanza microprudenziale, che avrebbero dovuto unire, come nel caso italiano, la vigilanza sui singoli intermediari alla preparazione di atti normativi, che la Commissione avrebbe poi fatto propri sotto forma di technical standards.
   La crisi dei debiti sovrani nell'area dell'euro ha fatto precipitare gli eventi e ha indotto i Governi a trovare urgentemente una soluzione specifica per l'area, accentuando gli elementi di unitarietà della supervisione prudenziale e creando il Meccanismo unico di vigilanza incentrato nella BCE.
   L'eventuale assegnazione alla BCE, per la sola eurozona, anche dei poteri normativi di completamento del Single Rulebook avrebbe interferito con la produzione per l'intera Unione di regole di funzionamento del Mercato interno nel settore bancario. Si è quindi fatta la scelta di conservare all'EBA il potere di concorrere con la Commissione nella produzione di regole.
   Non è stata estranea a questa decisione la preoccupazione di bilanciare i vasti poteri di vigilanza esercitabili su scala europea. Bisognerà ora che l'azione regolatoria dell'EBA e quella di supervisione della BCE trovino un raccordo efficiente; proprio come avviene in quelle Autorità, come la Banca d'Italia, in cui esse albergano nella stessa struttura.
L'SSM non modifica regole e competenze in materia di risoluzione delle crisi bancarie. L'Unione bancaria resterà zoppa fintantoché non disporrà anche di un sistema unico di risoluzione delle crisi e di uno per la tutela dei depositanti, come le proposte legislative della Commissione indicano chiaramente.

8.- Dal Testo unico bancario alla nuova vigilanza europea.
   Il Testo unico che ha disciplinato in questi vent'anni il settore bancario nel nostro paese può considerarsi un esempio di buona regolamentazione: esso fu il risultato di un grande sforzo per rendere più razionale la legislazione che si era andata stratificando nel tempo, più semplici e chiare le regole.
    Le prassi amministrative che ne sono discese sono state coerenti con quei principi. Ci piacerebbe che anche la nuova legislazione europea in materia bancaria raggiungesse quei risultati.
   Del Testo unico abbiamo potuto apprezzare nel tempo tanti aspetti: innanzitutto la visione unitaria della vigilanza, su cui mi sono già soffermato e che non è tuttavia al momento accolta nel disegno europeo; ma anche gli strumenti giuridici per la gestione delle crisi bancarie.
   Alcuni, come l'amministrazione straordinaria o l'affidamento alle sole autorità tecniche del potere di proporre misure di gestione e risoluzione delle crisi, possono essere indicati a modello in sede europea.
   L'Unione bancaria disegna un'architettura istituzionale che avrà necessariamente bisogno del puntello di norme nazionali. Su almeno un tema, quello dei rapporti degli intermediari con la clientela, il Testo unico continuerà ad avere piena e diretta rilevanza.
    Altre sue parti sono però superate dall'evoluzione del quadro legale. Ad esempio, l'alta vigilanza ancora attribuita al Comitato Inter- ministeriale per il Credito e il Risparmio è evidentemente incompatibile con la cornice d'indipendenza totale assicurata dall'SSM alle Autorità di vigilanza.

*** Rispetto a venti anni fa, ma anche solo a cinque anni fa, abbiamo imparato una grande lezione: la stabilità finanziaria è la piattaforma su cui poggiano le prospettive di sviluppo di ogni economia nazionale; ma il sistema finanziario è interconnesso su scala globale e lo è ancor più su scala continentale per noi europei. Dunque, regole e prassi di controllo pubblico dell'attività bancaria e finanziaria sono essenziali; devono almeno in parte trascendere l'ambito nazionale restando coerenti ed efficaci. Vi si gioca il successo dell'Unione bancaria, forse della stessa Unione europea. FINE

   E  quando si pensa che le norme che disciplinano tali rapporti sono sì dirette ad assicurarne, per lo più, la trasparenza, ma non mancano quelle che invece si propongono la tutela del cliente, pensato come contraente debole, anche con interventi di merito, appare di tutta evidenza l'importanza di questa norma che detta per la vigilanza l'obbligo di perseguire anche finalità che vanno oltre quelle previste dall'art. 5 del testo originario del Testo Unico (come del resto emerge dalla lettera della norma che tale ampliamento prevede).

5. Le modificazioni del sistema delle autorità creditizie
  a) I poteri delle Autorità creditizie nazionali disegnati dal Testo Unico del 1993 sono destinati ad essere profondamente modificati nel momento in cui verrà istituita la vigilanza della BCE, sia per quanto concerne i provvedimenti rimessi alla stessa per tutte le banche (accesso al mercato e acquisizione di partecipazioni) sia per quelli per i quali si pone un problema di coordinamento fra la vigilanza comunitaria e quelle nazionali. Di questo futuro assetto che si realizzerà probabilmente al di fuori del Testo Unico, non posso occuparmi in questa sede.
  b) È invece ordinamento vigente quello che prevede la costituzione dell'Eba (Regolamento 1093/2010) alla quale viene attribuito non solo il potere di rendere omogenee le regole di vigilanza vigenti nei paesi membri, ma anche un potere di intervento sulle autorità nazionali che non si adeguino alle regole uniformi e mettano così a repentaglio il regolare funzionamento del sistema finanziario.
  c) È stato costituito anche il Comitato europeo per il rischio sistemico, ma non mi pare che lo stesso incida sulla struttura e sui poteri delle Autorità creditizie nazionali, dal momento che ha soprattutto la funzione di monitorare il rischio sistemico e di emettere le conseguenti segnalazioni e raccomandazioni alle autorità nazionali e comunitarie.
  d) A me pare che la costituzione e l'operatività delle Eba non determinino mutamenti strutturali delle Autorità di controllo e che tali mutamenti strutturali saranno marginali anche con l'attuazione dell'Unione bancaria. Risulteranno invece condizionate le competenze e la discrezionalità della Banca d'Italia e del CICR nell'esercizio dei poteri agli stessi attribuiti. Il che, sia detto per inciso, rende sempre più difficile pensare che il CICR sia un organo politico e sempre più ragionevole procedere alla sua eliminazione.
   e) Dalle disposizioni che hanno modificato il T.U. non mi pare invece che sia stato stravolto il sistema dei rapporti reciproci e delle competenze, rispettivamente della Banca d'Italia e del CICR fissato dal Testo del 1993 con l'attribuzione di una funzione eminente, alla prima, in materia di vigilanza sulle banche e al secondo in materia di risparmio non bancario.
    f) Mette piuttosto conto, per il suo significato sistematico, ricordare l'abrogazione, nella sostanza, del potere, che l'art. 129 del T.U. riconosceva alla Banca d'Italia e al CICR, di controllare, allo scopo di "assicurare la stabilità del mercato dei valori mobiliari", le emissioni, appunto di valori mobiliari, superiori ad un certo ammontare. Potere che aveva una lunga e travagliata storia e che il d.lgs. 415/1996 ha sostanzialmente eliminato, riducendolo ad uno strumento meramente conoscitivo della Banca d'Italia (e non più anche del CICR).
   g) Un cenno meritano anche gli "organismi" preposti alla gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (128, undecies) e degli organismi di Microcredito (art. 113) non previsti dal Testo Unico del 1993; strutture dichiarate di diritto privato con funzioni di autodisciplina ma sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia.
   h) Nell'ambito degli organismi di vertice del settore, può ricomprendersi anche l'Arbitro Bancario Finanziario (art. 128, bis), ignoto al T.U. del 1993, introdotto nel T.U. dal d.lgs. 141/2010, e chiamato a risolvere stragiudizialmente alcune specie di controversie fra le banche e la clientela.

6. La raccolta del risparmio non bancaria. Le norme successive al T.U. del 1993, pur ribadendo il divieto, per i soggetti diversi dalle banche, di raccogliere risparmio tra il pubblico, hanno in qualche misura limitato la portata del divieto, a) da un lato, non considerando raccolta quella effettuata dagli istituti di moneta elettronica e quella inserita nei conti di pagamento per la prestazione del relativo servizio e, b) dall'altro, consentendo la raccolta effettuata dalle società di capitali, anche non quotate, attraverso la emissione degli strumenti finanziari disciplinati dal codice civile; strumenti finanziari previsti dalla riforma societaria del 2003 in termini più liberali nei confronti del previgente diritto societario.

7. Autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria e all'assunzione di partecipazioni nelle banche. Su entrambi i versanti, ovviamente connessi, mi pare che, da un lato,
   a) sia stato tenuto fermo il principio che le relative autorizzazioni sono atti dovuti quando ricorrano i presupposti fissati dalla legge e dalla Banca d'Italia, anche se i criteri ai quali quest'ultima deve attenersi (art. 19, 5° comma) consentono un notevole grado di discrezionalità, e
  b) che, dall'altro, siano stati concessi gradi di libertà maggiori di quelli fissati dal Testo Unico del 1993. Infatti
      b1) è caduto il divieto per i soggetti che svolgono attività non bancaria o finanziaria di acquisire in una banca partecipazioni superiori al 15 per cento del capitale con diritto di voto e
     b2) la soglia della partecipazione per la cui acquisizione è richiesta l'autorizzazione della Banca d'Italia è stata elevata dal 5 al 10 per cento del capitale della banca.
   A questa maggiore libertà di ingresso nel mercato bancario si accompagna l'imposizione di un obbligo di trasparenza degli assetti proprietari anche più accentuato di quelli previsti dal Testo Unico del 1993 (v. acquisto di concerto disciplinato dal 2° comma dell'art. 22).

8. Vigilanza informativa e regolamentare. Sia la Vigilanza informativa sia quella regolamentare, previste dal T. Unico del 1993, sono state rafforzate dalle norme successive, anche se l'impianto di base disegnato da quel testo ha sorretto efficacemente i vari provvedimenti di vigilanza che la Banca d'Italia è andata via via adottando:
   a) La vigilanza informativa ha visto estendersi il proprio ambito alle vicende relative ai soggetti incaricati della revisione legale dei conti (art. 51, comma 1 bis) e ha imposto agli stessi il medesimo obbligo di informare l'organo di vigilanza delle vicende che possono costituire irregolarità nella gestione della banca previsto per i sindaci (art. 52, 2° comma).
   b) Particolarmente rafforzati, ampliati ed articolati sono i poteri di vigilanza regolamentare:
       a) è stato esplicitamente ricompreso nell'ambito della Vigilanza regolamentare il "governo societario", attribuendo così alla Banca d'Italia il potere di dettare le regole di governo delle società bancarie, anche intervenendo sulle norme codicistiche non inderogabili (e la Banca d'Italia l'ha fatto soprattutto attraverso il provvedimento del marzo 2008;
      b) è stato imposto, dando attuazione al terzo pilastro di Basilea 2, che le banche forniscano al pubblico le informazioni relative alle
      c) sono stati legislativamente fissati i metodi (rating, sistemi interni) di misurazione dei rischi;
      d) ha avuto una specifica consacrazione nel Testo Unico la necessità che vengano fissati i limiti e le condizioni per le operazioni con parti correlate e per la gestione dei conflitti di interessi (art. 53, 4° comma);
     e) è stato rafforzato il potere nella Banca d'Italia di adottare provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, potere che concerne sia l'attività della banca sia la vita della società bancaria (distribuzione di utili e livello delle  remunerazioni degli esponenti aziendali (art. 53, comma 3, lett. d).
    L'ampliamento e la precisazione delle basi legislative, recepite nell'art. 53 del T.U., soprattutto in forza del d.lgs. 27 dicembre 2006, n. 297, ha offerto una legittimazione primaria più sicura di quella reperibile nel Testo Unico del 1993 all'imponente contemporanea produzione normativa, da parte del CICR, ma nella sostanza della Banca d'Italia, che ha disegnato tutti i momenti più  importanti

della Vigilanza regolamentare (Nuove disposizioni di vigilanza per le banche).
    Il modello adottato è quello della better regulation: la legge fissa i principi generali la cui attuazione è rimessa alle Autorità di Vigilanza che, a loro volta, dettano, piuttosto che regole puntuali, disposizioni ancora di carattere generale, rimettendo ai soggetti vigilati il compito di dar specifica attuazione alle regole generali dettato dell'Autorità di Vigilanza.

   9. Gruppi bancari e vigilanza consolidata. Le norme successive al T.U. del 1993 hanno apportato una serie di piccoli ritocchi alla disciplina di quel testo, ad es.: a) estendendo la nozione di società finanziaria alle società di gestione del risparmio, b) ricomprendendo nella categoria delle società strumentali le società che si limitano a possedere ed amministrare immobili (art. 59), c) precisando la stessa nozione di gruppo bancario quando capogruppo sia una finanziaria, d) introducendo, per la vigilanza consolidata sul gruppo, le stesse innovazioni adottate per la vigilanza sulle banche e già ricordate.
    Queste norme non hanno intaccato le linee di fondo della disciplina del gruppo e soprattutto non hanno detto nessuna nuova parola sui poteri di direzione e coordinamento della capogruppo sulle società del gruppo. Sul punto forse offre ragioni per ripensare quel problema e, con tutta probabilità per rimuovere molte delle perplessità che la norma del T.U. aveva sollevato, l'art. 2497 c.c., introdotto dalla riforma societaria e che costituisce oggi il quadro normativo generale nell'ambito del quale si colloca il gruppo bancario.
   In altri termini, il dettato del Testo Unico del 1993 può essere reinterpretato alla luce del nuovo 2497, al quale, del resto, quel dettato ha fatto da battistrada.

  10. Disciplina della crisi e garanzia dei depositanti
      a) Un'osservazione preliminare: il nostro paese, già sulla base dell'ordinamento precedente il Testo Unico, aveva dettato, in deroga al diritto comune, una disciplina specifica che consentiva un forte potere di intervento delle Autorità creditizie nelle crisi bancarie. Il Testo Unico ha adottato la stessa linea di politica legislativa; linea che non solo non è stata modificata dalle norme interne successive, ma che sta costituendo un modello anche per la prossima direttiva comunitaria in materia di gestione e di risoluzione delle crisi delle banche e anche delle imprese di investimento; direttiva che sostanzialmente prevede soluzioni analoghe a quelle adottate dal nostro ordinamento quando disciplina l'amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta. Gli interventi operati sul Testo Unico sono prevalentemente diretti a risolvere alcuni dei problemi che la pratica aveva posto, ma non cambiano le linee delle scelte del 1993.

    b) Su un punto, per altro, l'impianto del Testo Unico del 1993 è stato modificato, in conformità con la direttiva 94/19 (attuata nel nostro ordinamento dal d.lgs. 659/1996), ossia quello relativo ai Sistemi di garanzia dei depositanti. Il Testo Unico aveva previsto sistemi di garanzia e ne aveva fissato lo stretto legame con le procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta, ma considerava facoltativa la loro costituzione. Sulla scia della direttiva comunitaria l'adesione ad un sistema di garanzia, "riconosciuto" dalla Banca d'Italia, costituisce oggi condizione necessaria per poter esercitare l'attività bancaria.

  11. Soggetti operanti nel settore finanziario . Il Testo Unico, già nel dettato del 1993, aveva preso atto, correttamente, che nel mercato finanziario operano soggetti diversi dalle banche e aveva ritenuto che la loro disciplina, a) da un lato, non potesse essere abbandonata al diritto comune ma, b) dall'altro, che la stessa dovesse essere meno stringente di quella delle banche, non raccogliendo, questi soggetti, depositi e comunque fondi con obbligo di restituzione.
    Il Testo Unico aveva ricompreso (art. 106), indistintamente, in questa categoria gli enti che esercitano nei confronti del pubblico le attività "di assunzioni di partecipazioni, di concessione di finanziamenti, sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cam
    Le norme successive, pur muovendosi in una logica sostanzialmente analoga a quella adottata nel 1993, hanno profondamente modificato il relativo dettato legislativo, anche sotto l'impulso delle direttive comunitarie. Hanno così disegnato a) uno statuto speciale per gli Istituti di moneta elettronica (artt. 114-bis, 114-quinques), b) uno statuto speciale per gli Istituti di pagamento (d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141), c) ed uno per gli operatori di microcredito (art. 111), resti-tuendo al diritto comune l'assunzione di partecipazioni.
    E in questa prospettiva si colloca anche la disciplina dei mediatori creditizi (art. 128-sexies) e degli agenti in attività finanziaria (art. 128-quater).
   Ha poi delineato uno statuto generale per tutti i soggetti che esercitano nei confronti del pubblico l'attività di "concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma", definiti come "intermediari finanziari". Questo statuto generale, pur non essendo stringente come quello delle banche, è stato tuttavia redatto in termini che solo in piccola parte lo differenziano da quello.
   Credo che il nuovo ordinamento dei "soggetti operanti nel settore finanziario" debba essere apprezzato in quanto capace di adeguare, meglio del dettato originario del T.U., la disciplina alle caratteristiche economiche dei diversi operatori.

  12. Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti . Ho già ricordato che il Testo Unico del 1993 considerava la trasparenza dei rapporti con la clientela un momento importante per assicurare l'efficienza dell'intermediazione bancaria, ma non ne faceva un obiettivo diretto dall'azione di vigilanza e che questa emancipazione della trasparenza è stata realizzata dal d.lgs. 141/2010, in coincidenza con l'attuazione, nel nostro ordinamento, della direttiva 2008/48 del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori.
    Le norme oggi vigenti, per altro, non si limitano ad imporre la trasparenza delle condizioni contrattuali ma, abbastanza spesso, intervengono sul merito dei rapporti contrattuali (come ad es.: nel computo dei giorni valuta, sulla possibilità di modificazioni unilaterali del rapporto, o sulla fissazione di un tetto alle commissioni di massimo scoperto (art. 117-bis, 1° comma); il che è soprattutto vero per i contratti di credito al consumo. E non v'è dubbio che queste norme se non possono essere considerate come un ritorno al controllo amministrativo del credito, forse consentito dalla legge bancaria del 1936, non possono neppure con troppa facilità essere considerate soltanto come uno strumento per favorire l'efficienza del mercato e la sana e prudente gestione della banca.
    E sotto questo profilo si potrebbe dubitare della appartenenza di quelle norme al capitolo della Vigilanza bancaria, anche se non si deve dimenticare che la trasparenza e la correttezza dei rapporti con la clientela sono un elemento importante della Vigilanza, potendo contenere il rischio reputazionale che, a sua volta, può avere notevoli ricadute patrimoniali.

  13. Un cenno di conclusione . Ho cercato di individuare le modificazioni e le integrazioni che il Testo Unico ha subito in questi venti anni.
    Il Testo Unico Bancario, così rivisitato, merita di essere conservato o si deve fare, in proposito, un discorso, analogo a quello che si sviluppò negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso? Allora si segnalava la progressiva affermazione di un nuovo ordinamento del mercato bancario che, a) da un lato, rendeva obsoleta la legge bancaria del 1936 e, b) dall'altro, richiedeva una sistemazione organica delle norme che si andavano introducendo; sistemazione organica che fu realizzata dal T.U. del 1993.
    A me pare che non stiamo vivendo una stagione analoga: non vedo in formazione un nuovo ordinamento che imponga l'abrogazione del Testo Unico del 1993 per preparare la redazione di un nuovo futuro e diverso Testo Unico. Certamente l'ordinamento comunitario è destinato ad avere un ruolo sempre più importante, ma a me pare che le relative norme, pur incidendo profondamente sui poteri delle Autorità Creditizie, non attribuiscano alle Autorità del settore fini diversi da quelli oggi fissati dal Testo Unico e, soprattutto, non vedo all'orizzonte l'avvento di una concezione dell'impresa bancaria diversa da quella fatta propria dal Testo Unico.  RENZO COSTI

°°

EDIZIONI PRECEDENTI

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Ignazio Visco, Governatore

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Le "CONSIDERAZIONI FINALI  del Governatore"
in merito al "le Banche e al Credito"

COMMENTO: a) La via che tradizionalmente ha sbloccato l'economia; b) Cosa sono le "riforme" che tutti chiedono, ma senza dire nome e cognome; c) La via fiscale "non convenzionale" per risolvere.

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laffer.jpg (10524 byte)

L'Italia, in recessione, si trova in un punto B (a destra del punto Max). Dunque, per aumentare il gettito fiscale,
serve ridurre la pressione fiscale. Vista la curva di Laffer, si smetta di dire sciocchezze, con la sola ragioneria

Considerazioni finali Assemblea Ordinaria dei Partecipanti.
Anno 2014 - centodiciannovesimo esercizio. Stralcio del punto 4
(NOTA. Le evidenziazioni in grassetto sono della Redazione).

Le banche e il credito

   Le prospettive della domanda interna dipendono anche, in ampia misura, dalle condizioni di accesso al credito. I prestiti alle imprese hanno rallentato nettamente nella seconda parte del 2011 e si sono contratti di circa 60 miliardi dall'inizio di dicembre dello stesso anno. La flessione, inizialmente particolarmente brusca per effetto delle gravi difficoltà di raccolta delle banche sui mercati internazionali conseguenti all'inasprimento del rischio sovrano, è proseguita a ritmi più contenuti nel corso del 2014; nei primi quattro mesi di quest'anno il calo si è di nuovo accentuato, avvicinandosi al 4 per cento su base annua.
   Sono diminuiti, in misura minore, anche i prestiti alle famiglie.
   Il costo del credito alle imprese, salito nel corso del 2011, è sceso per larga parte dello scorso anno; la flessione si è interrotta dall'autunno. I tassi bancari attivi rimangono superiori a quelli medi dell'area: di circa un punto percentuale per i prestiti alle imprese e di mezzo punto per i mutui alle famiglie. Il canale bancario costituisce la fonte principale di finanziamento della nostra economia.
   Alla fine del 2014 i prestiti erogati dalle banche a imprese e famiglie ammontavano a poco meno di 1.500 miliardi, il 94 per cento del PIL; gli investimenti in titoli di Stato erano pari a circa 350 miliardi. La congiuntura assai sfavorevole comprime oggi la domanda di credito.
   La contrazione dei prestiti riflette la flessione degli investimenti delle imprese, la caduta degli acquisti di beni durevoli e la debolezza del mercato immobiliare. Ma alla diminuzione degli impieghi contribuisce, in misura significativa, l'irrigidimento dell'offerta, legato al deterioramento del merito di credito della clientela e ai suoi riflessi sulla qualità degli attivi bancari.
   Le condizioni di offerta del credito incidono a loro volta negativamente sull'attività economica, in una spirale negativa che bisogna spezzare.
   Le restrizioni all'offerta, acute alla fine del 2011 come riflesso delle diffi- coltà di raccolta, venivano attenuate dall'Eurosistema mediante l'offerta illimitata di liquidità a tre anni e l'ampliamento delle attività stanziabili nelle operazioni di rifinanziamento.
   La Banca d'Italia ha consentito alle controparti italiane di utilizzare garanzie illiquide e con merito di credito meno elevato, assumendo in questo caso integralmente nel proprio bilancio i relativi rischi.
  Attualmente il collaterale stanziato presso la Banca d'Italia basato su prestiti bancari ammonta a circa 180 miliardi di euro, poco meno di un terzo del complesso delle attività stanziabili per il rifinanziamento presso la banca centrale, metà di quelle depositate a garanzia. Grazie a queste misure i rischi immediati di liquidità sono oggi rientrati.
   I fondi ottenuti con le operazioni di rifinanziamento triennali non sono però una risorsa permanente. Le tensioni sui mercati dei titoli di Stato non sono del tutto sopite; rimangono incertezze sulla capacità delle banche di riconquistare pienamente l'accesso ai mercati internazionali, soprattutto nei segmenti a lunga scadenza.
   Stiamo lavorando, confrontandoci con gli intermediari e in collaborazione con la BCE, per ampliare il novero di attività potenzialmente utilizzabili a garanzia.
   L'aumento del rischio di insolvenza delle imprese spinge al rialzo i tassi sui prestiti. Dalla metà del 2014 esso ha compensato gli effetti della riduzione dei tassi ufficiali e, più recentemente, della diminuzione dei rendimenti dei titoli pubblici. Le tensioni nell'offerta di credito sembrano riguardare, seppure con minore intensità, anche imprese con condizioni finanziarie equilibrate. Le difficoltà sono accentuate per le aziende medie e piccole, meno in grado di ricorrere a fonti di finanziamento alternative al credito bancario.
   Le emissioni lorde di obbligazioni delle imprese, pari lo scorso anno a circa 35 miliardi, sono quasi interamente riconducibili a grandi gruppi.
   Nel 2014 il differenziale di tasso tra i prestiti bancari fino a un milione di euro e quelli di importo superiore è stato pari in media a 160 punti base, circa il doppio del valore osservato nel triennio precedente la crisi.
   Alla fine del 2014 la consistenza dei prestiti in sofferenza è salita al 7,2 per cento degli impieghi complessivi, dal 3,4 del 2007; quella degli altri crediti deteriorati al 6,3 per cento, dall'1,9. Per le imprese, il flusso delle nuove sofferenze in rapporto agli impieghi ha recentemente superato, su base annua e al netto di fattori stagionali, il 4 per cento, un livello non toccato da venti anni. In base agli indicatori prospettici, il flusso di sofferenze rimarrebbe elevato nella restante parte del 2013.
    Per mitigare le difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese e soddisfarne le esigenze di liquidità, negli ultimi anni sono state adottate numerose iniziative da parte sia del Governo, sia delle associazioni di categoria, con il potenziamento di misure già sperimentate e nuovi interventi.     Tra il 2009 e il 2014 sono stati pari a poco meno di 60 miliardi i benefici finanziari per le piccole e medie imprese derivanti dalle moratorie e dagli interventi della Cassa depositi e prestiti e del Fondo centrale di garanzia. Le risorse del Fondo possono essere aumentate, avendo cura che alle garanzie da prestare corrispondano prestiti addizionali e condizioni più favorevoli, con piena informazione alle imprese beneficiarie.
  A fronte del deterioramento dei prestiti, la Banca d'Italia ha intensificato il vaglio sull'adeguatezza delle rettifiche di valore effettuate dagli intermediari. 
  Sono state condotte verifiche a distanza e in loco, chiedendo alle banche di vagliare nel continuo l'adeguatezza del tasso di copertura dei prestiti deteriorati e, quando necessario, sollecitando interventi correttivi. Questa azione continuerà, anche in collegamento con gli analoghi esercizi concordati in sede internazionale, in vista della vigilanza unica europea.
   Per i 20 gruppi bancari grandi e medi sin qui sottoposti ad accertamenti i tassi di copertura hanno smesso di ridursi, registrando nel secondo semestre del 2014 un miglioramento di due punti percentuali, al 44 per cento.
   Incrementi si sono registrati anche per le altre banche.

  Se la Vigilanza fosse stata meno incisiva, i rischi per le banche e per l'economia sarebbero stati ingenti. La tempestività e la credibilità dell'azione di supervisione hanno rassicurato gli investitori internazionali sulla qualità dei bilanci delle banche italiane, evitando l'ondata destabilizzante che ha colpito altri sistemi europei, consentendo agli intermediari di continuare a fornire credito a famiglie e imprese. È necessario mantenere, in alcuni casi accrescere, i livelli di copertura raggiunti. Al fine di minimizzare gli effetti pro-ciclici degli interventi abbiamo chiesto alle banche di aumentare le risorse generate internamente, contenendo ulteriormente costi operativi, dividendi, remunerazioni di amministratori e dirigenti, in coerenza con la situazione reddituale e patrimoniale.
   Per gli intermediari che dovranno intraprendere azioni correttive più ampie, un contributo dovrà venire dalla cessione di attività non strategiche. È opportuno correggere l'attuale penalizzazione fiscale delle svalutazioni sui crediti. La diluizione nel tempo della loro deducibilità, assente nei maggiori paesi dell'Unione europea, disincentiva gli impieghi alle imprese in fasi di congiuntura negativa.

   Muovendo da condizioni di partenza solide, il sistema bancario italiano ha comunque resistito, nell'ultimo quinquennio, alla crisi finanziaria globale, all'instabilità del mercato del debito sovrano, a due profonde recessioni.
   Dall'avvio della crisi il capitale di migliore qualità è salito dal 7,1 al 10,7 per cento delle attività ponderate per il rischio per il complesso del sistema, dal 5,7 al 10,9 per cento per i cinque maggiori gruppi. La solidità del sistema, la sua resistenza sono state di recente confermate dal Fondo monetario internazionale, al termine del periodico programma di valutazione del sistema finanziario italiano. In base alle prove di stress sin qui condotte dal Fondo, nel loro insieme le nostre banche appaiono in grado di fronteggiare shock avversi grazie alla loro patrimonializzazione e alla liquidità fornita dall'Eurosistema.
   Il Fondo ha sottolineato il contributo fondamentale alla stabilità del sistema fornito dall'azione di vigilanza. Il divario negativo di capitalizzazione dei nostri intermediari rispetto alla media europea, sceso a circa due punti percentuali, riflette in ampia misura le massicce ricapitalizzazioni bancarie effettuate con fondi pubblici in altri paesi.

   Lo scorso dicembre il sostegno dello Stato alle banche ammontava all'1,8 per cento del PIL in Germania, al 4,3 in Belgio, al 5,1 nei Paesi Bassi, al 5,5 in Spagna, al 40 in Irlanda. In Italia l'analoga quota è pari allo 0,3 per cento includendo gli interventi per il Monte dei Paschi di Siena. Questi ultimi, ora al vaglio della Commissione europea, sono stati resi necessari dalla raccomandazione dell'Autorità bancaria europea alle banche dell'Unione di dotarsi di mezzi patrimoniali addizionali, straordinari e temporanei, per fronteggiare le oscillazioni di valore dei titoli di Stato posseduti; varranno anche a facilitare l'attuazione del piano di ristrutturazione varato dalla nuova dirigenza.
   Lo Stato italiano ha concesso un finanziamento a condizioni onerose per la banca; il piano di ristrutturazione ha obiettivi ambiziosi; il suo successo dipenderà anche dall'evoluzione del contesto economico e finanziario del Paese.
   La leva finanziaria delle banche, misurata dal rapporto tra attività di bilancio e capitale, è pari a 14 da noi e a 20 in media nel resto dell'Unione europea.
   Nell'ultimo biennio le banche italiane che partecipano al monitoraggio periodico coordinato dal Comitato di Basilea hanno fortemente ridotto, da 35 a 9 miliardi, il fabbisogno di capitale che si registrerebbe se i nuovi requisiti di "Basilea 3" (incluso il capital conservation buffer) fossero già oggi pienamente in vigore. Il rafforzamento patrimoniale, la trasparenza contabile, il rigore nei criteri di valutazione dei rischi sostengono la fiducia degli investitori e contribuiscono a contenere il costo dei finanziamenti esterni per le banche in una congiuntura particolarmente avversa.

NINO LUCIANI, Le “considerazioni” sono un pò contraddittorie e reticenti, per quanto riguarda le banche. Sarebbe stata utile una ferma indicazione della via per sconfiggere il credit cranch. Anche autoreferenziale (troppo) l'esaltazione della bravura della "Vigilanza della Banca d'Italia" sulle banche, come se l'entità delle sofferenze bancarie non ne sia la smentita, oggettivamente.
Si consideri la curva di Laffer, passando dalla ragioneria all'economia
.

1.- Le contraddizioni. Esse emergono nel fatto che le banche traggono, per definizione i loro utili dalle differenze tra tassi attivi e tassi passivi. E siccome il Governatore rileva una "caduta della redditività delle banche", evidentemente il motivo è che il deposito e il giro ( compito tipico delle banche) funzionano poco.
  Ma il punto veramente notevole, che manca nelle considerazioni (una caratteristica comune a tutte le autorità monetarie, anche internazionali: BCE, FMI), è il non avere mai fatto una diagnosi "veritiera" delle ragioni delle grande crisi finanziaria (ed economica) mondiale.
  Nessuno dice ... di certe assonanze tra la crisi del 1929 e quella del 2008, e che la dicono lunga, pur se queste cose (che evochiamo) le sentiremo solo tra 20, 30 anni.
   Trattasi del fatto che la crisi del 1929 veniva dopo la prima guerra mondiale e le varie mini guerre susseguite in quegli anni, sono state finanziate, da sempre, dai banchieri impiegando a rischio fuori limite i depositi dei risparmiatori. A loro volta gli Stati si indebitavano verso i banchieri, e alla fine (causa il mancato “ritorno” del denaro) la domanda aggregata si trovava a secco di potere acquisto.
  Anche la crisi del 2008 è venuta dopo la guerra "mondiale" contro l'IRAK, e dopo quella "minore" contro l'AFGHANISTAN...  .
   Questi fenomeni hanno creato un capovolgimento totale dei tradizionali circuiti del denaro, infine andato ad accumularsi nelle casse dei controllori dei giri di affari collegati con le guerre (i fallimenti bancari connessi con i mutui sub prime sono stati solo le prime avvisaglie del cambiamenti dei circuiti monetari). Alla fine è risultato: in date mani, troppo denaro, e in altre mani poco denaro.
   Via via verso la fine della guerra, tutto è diventato critico: la domanda effettiva (vale dire accompagnata da potere d'acquisto va a secco) cessa, il sistema produttivo non vende più, subentrano aspettative pessimiste estese all'intero sistema. A sua volta, chi ha accumulato denaro a iosa non lo investe in attesa di nuovo chiarore.  Gli Stati si trovano pieni di debiti verso le banche; le banche si   trovano piene di debiti verso i risparmiatori depositanti, ma il denaro prestato non ritorna ed entrano in sofferenza.

2.- La via che tradizionalmente ha sbloccato. La cancellazione del grande debito è stato, da sempre la via maestra, pagando i creditori con fabbricazione di nuova carta moneta, ma al tempo stesso introducendo severe regole bancarie, a tutela del risparmio. Così fu con la legge bancaria del 1936, ma che abbiamo demolito nel 1993 (anche gli USA) fino a ridefinire le banche come comuni imprese.
   Gli Stati Uniti hanno fatto la stessa cosa, in qualche modo, sia pure fabbricando dollari aggiuntivi in modo contenuto. E invece, noi, NO: noi non abbiamo più il potere sovrano sulla moneta (LIRA).
  Quanti premono in queste settimane sullo sforamento autonomo (vale dire, solo dell'Italia) del rapporto deficit/PIL hanno idee di questo tipo, ma senza rendersi conto che, nella nuova situazione, faremmo un disastro. Infatti, nella situazione odierna noi non possiamo sanare il debito pubblico con fabbricazione di moneta aggiuntiva. Anzi, sforare nuovamente il 3% del rapporto deficit/PIL implica aumento del debito pubblico, vale dire deviare verso ulteriori  impieghi pubblici (la cosa peggiore, in questa fase)  il risparmio privato, anzichè in impieghi privati (ciò di cui c'è molto urgenza).
  Dunque, se via monetaria ci deve essere, la sola possibilità seria è marcare visita in UE ? Ad es., la BCE potrebbe comprare il 50% del debito pubblico italiano, fabbricando Euro; e poi potrebbe farlo convertire in debito trentennale a tasso simbolico. Cosa sono le "misure non convenzionali" a cui accenna DRAGHI ?

3.- Torniamo a VISCO e alle vie nuove per sbloccare. Per risolvere i problemi della moneta e dell'economia, Visco si allinea con quanti chiedono "riforme", quelle di cui tutti si riempiono la bocca, in Europa, ma senza chiamarle con nome e cognome.
   [Non si tratta della riforma della legge bancaria (del 1993) che definì (art. 10) le banche come imprese orientate al profitto, in un quadro concorrenziale, che non esiste; vale dire di quella legge, troppo permissiva, che ha reso oggettivamente “debole” la Vigilanza, inibendola, pro quota. Men che meno si tratta del ritorno alla legge precedente, sorta sulle ceneri della crisi del 1929, che vedeva l'attività bancaria come servizio orientato all'interesse pubblico, e alla tutela del risparmiatore depositante].
   Si tratta della destatalizzazione dell'economia, ma che è una cosa strutturale ..., non anticongiunturale. Vediamo meglio.
   - La destatalizzazione, come via per riprendere la via della crescita, è apparsa in Europa una necessità inconfutabile dopo la caduta del muro di Berlino e della intera URSS. Il "socialismo reale" era risultato burocratico ed autodistruttivo: perchè non aveva salvato il PIL, il presupposto per la distribuzione della "torta" sociale. Nel caso nostro, nel 1988 fu subito chiaro che quella diagnosi valeva anche per noi, in proporzione al grado di statizzazione del sistema economico (55%-60%).
   Ma, a tuttora, avendo fatto poco per tornare verso il mercato, non c'è spazio per usare lo Stato in senso congiunturale, seguendo Keynes (alimentare la domanda col deficit spending, finanziato da moneta aggiuntiva). Anzi lo Stato è diventato un elefante talmente pesante, che  non riesce neanche a spendere quanto di suo già "autorizzato" e finanziato con nuove entrate (questo è il motivo del fallimento del governo Monti). Lo vediamo nel fatto che lo Stato paga con ritardi biblici i propri fornitori.
   Sia chiaro che è stato così da sempre, ma con la differenza che in passato il compito dell'anticipazione monetaria era svolto dalla banche, cosa che oggi non avviene perchè le banche sono in tilt. Questo ci riporta a VISCO.
    Se non capiamo cosa sono i reali poteri bancari, non capiremo mai il "credit cranch" (la B.d'I. ci ha informato ultimamente, che i prestiti alle imprese sono ulteriormente diminuiti, aprile: -3,7%, rispetto a un anno fa).     Una banca vive su aspettative di reddito, e dunque accetta il deposito (in questo caso, della BCE) se vede rosa nel giro di quella moneta. Ma in questa fase, il sistema produttivo è in crisi ... e, poichè la banca non è "un benefattore dell'umanità", non può fare credito. Dunque, per sbloccare le banche, non basta pensare di riempirle con gli Euro di Draghi.

4.- La sola via d'uscita. Se è vera la diagnosi della crisi monetaria (troppa moneta presso alcuni, poco moneta presso altri), la sola via d'uscita (preso atto che la spesa pubblica è paralizzata di suo) è fare il travaso forzato tra le due categorie.
  Il mezzo è quello fiscale, non nel senso tradizionale (prelievo e spesa pubblica), ma nel senso di incrementare le aliquote dell'IRPEF sui redditi medio-alti (includendo i "paradisi fiscali), e il corrispondente sgravio dei redditi medio-bassi. E’ uno strumento , immediatamente operativo ed equo, in Italia, ed è coerente con la ricetta Keynesiana, sia pur sviluppata dai suoi continuatori (Lerner, E. d’Albergo, per l’Italia).:
  Va benissimo anche il "DECRETO del fare", di questi giorni, ma siamo ancora al livello delle carezze ...

5.- Torniamo alle riforme, chieste dall’Europa. Siamo consapevoli che l’eccesso di Statalismo è la causa primaria (causa eccesso di pressione fiscale, improduttività della spesa pubblica, a partire da una determinata soglia della spesa medesima) della crisi economica italiana (in primis, la non concorrenzialità delle nostre imprese, verso l’estero). Dunque l'aumento della pressione fiscale genera la caduta del gettito (vedi sopra, la curva di Laffer) se l'economia si trova in un punto B (a destra del punto Max), e si direbbe che questa sia la situazione attuale.
   Siamo anche consapevoli che la transizione dallo Stato al Mercato richiederà tempo (10 anni, per essere ottimisti). Dunque l'UE smetta di dire sciocchezze, all'insegna della pura ragioneria.
  Al tempo stesso, almeno fosse chiaro subito che, pur se alla fine dovremo forse tagliare parte dei servizi sociali (scuola, sanità, pensioni), il costo dei nostri servizi sociali è elevato perché la politica ci mangia sopra. E dunque la prima cosa da fare è semplificare è l’organizzazione dello Stato (Stato centrale, Regioni, Province, Comuni, varie imprese pubbliche ombelicali). Potremmo cominciare da qui ?
   Le Regioni costano il 16% di pressione fiscale: servono davvero, tolta la parte sanitaria, da loro gestita per delega statale, e che sarebbe opportuno tornasse allo Stato, sicuramente più economico come gestione.
  Tutti i quattro livelli di enti territoriali sono “enti a fini generali”, vale dire potenzialmente fanno le stesse cose, pur se varie leggi tentano di delimitare ma anche a vuoto (è il caso di un ente che non provvede per mancanza di soldi, per cui, alla fine, deve provvedere l’altro).
   Il caso delle Province è piuttosto strano. Invocata l’abolizione da anni…, ma poi Monti (che ci ha provato) non c’è riuscito: per farlo davvero, serve una legge costituzionale e, poi, le strade provinciali rimangono, gli edifici scolastici di II grado rimangono …
   Non sarebbe il caso di rivedere, con legge costituzionale, la struttura organizzativa dello Stato. Perché non trasformare le regioni in enti amministrativi, con i compiti delle Province (abolite) ? Perchè le Regioni dovrebbero continuare a legiferare, se il Parlamento della Repubblca basta e avanza ?
   (Continua: VISCO)
   Ma la garanzia ultima della stabilità delle banche è la loro capacità di generare reddito. In prospettiva, la caduta della redditività rischia di indebolirne il patrimonio e di comprometterne la capacità di finanziare il rilancio dell'economia reale. Dal 2007 al 2014 il rendimento del capitale e delle riserve è peggiorato; nel 2014, al netto delle poste straordinarie connesse con la svalutazione degli avviamenti, è stato pari allo 0,4 per cento. Il rischio di un'evoluzione sfavorevole nei prossimi anni deve essere contrastato, in primo luogo mediante incisivi interventi sui costi. In un'industria ad alta intensità di lavoro, come quella bancaria, vanno considerate misure, anche di natura temporanea, per ridurre le spese per il personale in rapporto ai ricavi.
  Gli accordi a livello aziendale volti a coniugare flessibilità e solidarietà, contenuti nel contratto nazionale firmato nel 2011, muovono nella giusta direzione. Per far fronte alle difficoltà contingenti degli intermediari, per salvaguardare la stessa occupazione, è necessario proseguire con determinazione lungo queste linee. Il cambiamento nell'impiego dei fattori produttivi e dei canali distributivi va favorito, sfruttando appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Negli ultimi quindici anni è cresciuta l'importanza del canale telematico nei rapporti con la clientela. Modeste sono state, tuttavia, le implicazioni sulla rete tradizionale.
   La differenziazione nell'utilizzo di questi canali, rispettivamente per la distribuzione di servizi standardizzati e per l'offerta di prodotti e servizi più complessi e personalizzati, potrebbe contribuire a invertire la tendenza alla crescita del rapporto tra costi e ricavi registrata nell'industria bancaria italiana negli ultimi dieci anni.
   Resta comunque centrale il rapporto di fiducia con la clientela. Su questo fronte sono stati compiuti progressi, ma si deve ancora migliorare, per accrescere la qualità e la completezza delle informazioni, per garantire la piena rispondenza tra le condizioni contrattuali pubblicizzate e quelle effettivamente applicate, per evitare l'imposizione di oneri indebiti alla clientela.
   La Banca d'Italia ha stabilito regole incisive; ne verifica il rispetto anche attraverso apposite ispezioni, comminando sanzioni quando rileva irregolarità. Da alcuni anni per le controversie individuali opera l'Arbitro bancario finanziario, organizzato in tre collegi territoriali e indipendente dalla Banca d'Italia. Si è rivelato uno strumento efficace e apprezzato. Intendiamo rafforzarne le strutture, prendendo in considerazione un incremento del numero dei collegi. La prontezza nell'adeguarsi alle sue decisioni è un elemento di valutazione delle banche da parte della Vigilanza.

Le difficoltà nel finanziamento delle imprese devono stimolare una riflessione sull'assetto complessivo del sistema finanziario italiano, sullo scarso sviluppo dei mercati obbligazionari e azionari e sulla conseguente eccessiva dipendenza delle imprese dai prestiti bancari.  Come abbiamo sottolineato in altre occasioni, tale assetto riflette in parte la riluttanza ad aprirsi delle aziende italiane. Ma le banche non hanno spinto a sufficienza le imprese ad avvicinarsi ai mercati.

   La situazione odierna richiede a entrambe le parti di superare queste esitazioni. Per le aziende solide, con buone prospettive di crescita, le difficili condizioni sul mercato del credito bancario costituiscono uno stimolo potente ad accedere al mercato dei capitali. Per le banche, un sistema finanziario sviluppato permette di diversificare le fonti di ricavo, di mantenere un rapporto equilibrato tra impieghi e depositi, di condividere con i mercati i rischi insiti nel finanziamento alla clientela. Anche se occorre fare attenzione ai potenziali conflitti di interesse, le banche possono favorire il ricorso delle imprese al mercato avvalendosi dei vantaggi nella valutazione del merito di credito derivanti dalle relazioni di lungo periodo che con esse intrattengono.

  Il rafforzamento patrimoniale delle imprese e la loro apertura al mercato dei capitali richiedono anche profondi cambiamenti nell'intero sistema finanziario: è indispensabile che si ampli il ruolo dei fondi pensione e degli investitori con orizzonte di lungo periodo; l'accumulo del capitale di rischio deve essere opportunamente incentivato.

    In questa difficile fase congiunturale e nella prospettiva di una profonda revisione del modello di attività delle banche, gli azionisti svolgeranno un ruolo cruciale; dovranno essere in grado di sostenere finanziariamente le banche, rinunciando ai dividendi quando necessario, di vagliare la gestione senza interferire con essa, di accettare la diluizione del controllo favorendo all'occorrenza l'aggregazione con altri istituti. Saranno ricompensati dalla redditività nel più lungo periodo.
   Negli anni della crisi, le fondazioni di origine bancaria hanno assecondato e sostenuto il processo di rafforzamento patrimoniale di alcuni tra i maggiori intermediari italiani. Esse devono esercitare nei confronti delle banche partecipate un ruolo rispettoso della forma e dello spirito della legge, senza condizionarne le scelte gestionali e l'organizzazione; al pari di ogni altro azionista, devono promuovere la selezione degli amministratori sulla base della competenza e della professionalità, con criteri trasparenti.
   La disciplina sulle banche popolari fu concepita per intermediari con attività circoscritta in ambiti geografici ristretti, con il tratto distintivo, come nel caso delle banche di credito cooperativo, di un elevato tasso di mutualità.
   Essa può risultare oggi inadeguata per intermediari di grande dimensione, operanti a livello nazionale o anche internazionale, quotati in borsa, partecipati da investitori istituzionali rappresentativi di una moltitudine di piccoli risparmiatori che hanno finalità e interessi diversi da quelli cooperativi. Per intermediari di questa natura, l'applicazione rigida di alcuni istituti tipici del modello cooperativo può anche incidere negativamente sulla capacità di rafforzare la base patrimoniale.
   Abbiamo in più occasioni indicato possibili interventi, tendenti a facilitare la partecipazione dei soci, a rendere più incisivo il ruolo degli investitori istituzionali. Andrebbe resa più agevole, per le popolari quotate, la trasformazione in società per azioni, quando necessaria, in funzione delle dimensioni delle banche e della natura delle loro operazioni. Nei limiti delle nostre attribuzioni, ai fini del conseguimento della sana e prudente gestione, promuoviamo modifiche nell'applicazione delle prassi di governance; le richiediamo laddove le manchevolezze sono più rilevanti.

 

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Dalla RELAZIONE DEI  5  SAGGI  DI NAPOLITANO :
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La riforma del Parlamento e del Governo
( stralcio del Capitolo III)
.

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Luciani: Abbiamo di fatto una Repubblica semi-Presidenziale (anomala) e, finchè c'è Napolitano,
possiamo anche stare tranquilli. Ma, se verrà un tipo "decisionista", non sappiamo come andrà
a finire per la democrazia. Per questo è urgente porre un termine alla attuale "sospensione
della Costituzione", adeguandola ai nuovi tempi, con i necessari pesi e contrappesi.
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.Sul concetto di "sospensione della Costituzione":
C. Mortati, costituzionalista, anche padre costituente, degli anni '40-'50.
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Gruppo di Lavoro sulle
riforme istituzionali
.
Istituito dal Presidente della Repubblica, 30.3.2013.

Membri: Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliariello, Luciano Violante
Relazione finale, 12 aprile 2013.


Stralcio del Capitolo III,
"Parlamento e Governo"

.....

13. Forma di Governo. Il Gruppo di lavoro ha discusso dell'alternativa tra:
-  forma di governo parlamentare razionalizzata;
-  ed elezione diretta del Presidente della Repubblica secondo il modello semipresidenziale.
   Si tratta certamente di due forme di governo democratiche, ciascuna delle quali, con i necessari contrappesi istituzionali, può assicurare equilibrio tra i poteri e garanzia per i diritti dei cittadini.
   In modo prevalente (3 componenti a 1), il Gruppo di lavoro ha ritenuto preferibile il regime parlamentare ritenendolo più coerente con il complessivo sistema costituzionale, capace di contrastare l'eccesso di personalizzazione della politica, più elastico rispetto alla forma di governo semipresidenziale. Quest'ultimo, infatti, non prevede una istituzione responsabile della risoluzione della crisi perché il Presidente della Repubblica è anche Capo dell'Esecutivo. ka
   L'esperienza italiana, specie quella più recente, ha invece dimostrato l'utilità di un Presidente della Repubblica che, essendo fuori dal conflitto politico, possa esercitare a pieno titolo le preziose funzioni di garante dell'equilibrio costituzionale.
   "Un" componente del Gruppo ha sostenuto l'opzione semipresidenziale, e ha invece sottolineato come l'attuale grave crisi del nostro sistema istituzionale richieda una riforma più profonda che, proprio grazie all'elezione diretta del Presidente, garantisca una forte legittimazione democratica e, al contempo, un'adeguata capacità di decisione.
   In questa prospettiva ha fatto rilevare che, in questa fase della vita politica, l'elezione diretta del Presidente della Repubblica sia più efficace nel fronteggiare la crisi di legittimazione della politica, rafforzando la democrazia, coniugando rappresentatività ed

   Costantino Mortati, Corso di diritto costituzionale italiano e comparato, edizioni Ricerche, Roma, 1956 (stralcio par. 21, cap. XI, Modifiche della costituzione ad opera di fatti normativi).

   Par. 1.  L'unica valida tesi a favore della ammissibilità delle "sospensioni della costituzione" sembra essere quella che si richiama alla "necessità istituzionale" come fonte autonoma del diritto.
  Si tratta in tal caso di quella "necessità", considerata nella categoria dei "fatti normativi", e da intendersi in maniera qualitativamente diversa da quell'altra "necessità", cui ad esempio fà riferimento il già considerato art. 77 Cost. , che opera soltanto nello ambito della legge e solo in quanto da questa richiamata.
     Nell'ipotesi qui considerata, invece, la necessità è ciò che direttamente consente di violare la legge costituzionale per assicurare la conservazione del sistema e dei principi istituzionali dell'ordinamento, che esige quindi la sospensione dell'efficacia della garanzie costituzionali per garantire il mantenimento della costituzione.
     Anche la tesi ora accolta incontra obiezioni, ma queste possono essere facilmente superate. Si afferma che in un sistema a costituzione rigida è impossibile ammettere la "necessità come fonte autonoma" del diritto.
    Si risponde rilevando che, a parte il fatto che il nostro Costituente sembra le abbia implicitamente ammesse appunto perchè ha volutamente lasciato irrisolto il problema dello ''stato d'assedio" e comunque non l' ha esplicitamente esclusa, simile "necessità" è per sua natura tale da valere al di fuori ed indipendentemente da qualsiasi previsione legislativa ed è connaturata ad ogni sistema costituzionale, senza che abbia alcuna rilevanza se esso sia "rigido" od invece "flessibile"; d'altronde essa è implicita nello stesso necessario riferimento a quella "costituzione materiale''che rappresenta il presupposto e il fondamento di validità della "costituzione scritta".

    22.  Una volta accertato che solo alla ''necessita' istituzionale" si può' fare riferimento per ammettere quelle sospensioni della costituzione che si rivelino indispensabili in urgenti e straordinarie situazioni, occorre però chiedersi se sia possibile indicare a quali organi spetti nel nostro sistema decidere tali "sospensioni" e se sia possibile accennare ad un qualche procedimento cui tale decisione dovrebbe essere sottoposta".
   Nota. A questo punto Mortati sostiene che
il potere di sospensione dovrebbe spettare al "governo", che però deve riferire al parlamento appena superato lo stato di necessità istituzionale.

LUCIANI: Urgenze di aggiornamenti della Costituzione, perchè cessi la attuale, pericolossima "sospensione" della Costituzione.

  Il sistema di governo (esecutivo e parlamento) riguarda il concreto potere di decisione politica dello Stato e dunque è il nodo di tutto.
  In questo fase, abbiamo una Repubblica semi-presidenziale, anomala, in quanto il Presidente della Repubblica (carica senza responsabilità politica) riesce ad imporsi al Presidente del Consiglio dandogli ordini,  mentre il Parlamento ha perso per strada il primato su tutti i poteri.
    Anche il Presidente del Consiglio (che avrebbe la responsabilità politica) è senza poteri reali (perfino sui problemi più impellenti: il lavoro, la estrema miseria, le imprese in stato di fallimento per "stupida" mancanza di liquidità ..., la IMU che ti deruba, ... perchè tecnicamente errata ...).
   Invece, chiunque, anche con un piccolo potere di veto, può impedire tutto.
   Motivo ? Andiamo per gradi.
   Abbiamo una Costituzione fatta apposta per impedire il ritorno del Fascismo, e per questo ha fondato la Repubblica sul Parlamento, ma:
-  ha scisso il parlamento in due camere (per imporre lunghe riflessioni, prima di innovare);
-  e ha scisso l'Esecutivo in due Presidenti (uno del Consiglio, che assume la responsabilità politica; l'altro della Repubblica per controllare quello che fa, Costituzionalmente);
- e ha messo una Corte Costituzionale per vigilare sul tutto, compreso sul Parlamento.
  E' una macchina di ingegneria costituzionale, fondata sul Parlamento, e che si attende dal Parlamento le necessarie reazioni, in caso di "deviazioni".
   Questa macchina ha potuto funzionare:
- finchè in Parlamento ci sono stati grandi partiti storici, con un alto senso delle istituzioni (come erano la DC e il PCI), condizione che oggi non c'è;
- e se la società civile è stata relativamente tranquilla (tale fu l'Italia fino al 1968). Ma adesso vi è subentrata una società  confusa e anche planetaria (come constatiamo dagli sbarchi di immigrati, tutti i giorni, sulle coste italiane).
   E siccome in natura il vuoto non può esistere, qualcuno lo riempie.
    Lo vediamo (tra l'altro) dal fatto che:
  - il Parlamemto è costretto a ratificare una normale attività legislativa dell'Esecutivo (cosa che non si potrebbe - vedi artt. 77 e 78), senza più una distinzione reale tra i due Presidenti, anzi con la subalternità del Presidente del Consiglio, rispetto al Presidente della Repubblica;
  - la legiferazione è pessima: tutto deciso disordinamente, in un orizzonti brevi, sotto i problemi strutturali che scoppiano, perchè non affrontati in tempo.

(Continua: LETTA)
efficienza istituzionale.
14. Rapporti Parlamento Governo
. Il Gruppo di lavoro ha, in ogni caso, convenuto all'unanimità che qualora dovesse essere confermata la forma di governo parlamentare razionalizzata occorrerà introdurre nel nostro sistema alcune innovazioni:
   a) dopo le elezioni, il candidato alla Presidenza del Consiglio, nominato dal Presidente della Repubblica sulla base dei risultati elettorali, si presenta alla sola Camera dei Deputati (nel presupposto della riforma dell'attuale bicameralismo 12 paritario) per ottenerne la fiducia;
   b) il giuramento e il successivo insediamento avvengono dopo aver ottenuta la fiducia della Camera;
   c) al Presidente del Consiglio che abbia avuto e conservi la fiducia della Camera, spetta il potere di proporre al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei ministri;
   d) il Presidente del Consiglio può essere sfiduciato solo con l'approvazione a maggioranza assoluta, da parte della Camera, di una mozione di sfiducia costruttiva, comprendente l'indicazione del nuovo Presidente del Consiglio;
   e) il Presidente del Consiglio in carica è titolare del potere di chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato della Camera dei deputati, ma solo se non è già stata presentata una mozione di sfiducia costruttiva.
   Al Gruppo di lavoro sembra utile che - in relazione alle modifiche dei regolamenti parlamentari dirette ad accelerare il procedimento legislativo ordinario - vengano costituzionalizzati i limiti alla decretazione d'urgenza contenuti nella legge 400/1988.

15. Legge elettorale. Il tema della legge elettorale è connesso a quello della forma di governo.
  - Se il Parlamento dovesse optare per un regime semipresidenziale sarebbe preferibile propendere per una legge elettorale incentrata sul doppio turno di collegio, secondo il modello francese, al fine di rafforzare il Parlamento rispetto a un Presidente che ha la stessa fonte di legittimazione.
  - Se invece, come il Gruppo di lavoro propone a maggioranza, si dovesse optare per una forma di governo parlamentare razionalizzata, le soluzioni possono essere più d'una, purché garantiscano la scelta degli eletti da parte dei cittadini e favoriscano la costituzione di una maggioranza di governo attraverso il voto.
   Il Gruppo di lavoro intende precisare che con l'attuale bicameralismo paritario nessun sistema elettorale garantisce automaticamente la formazione di una maggioranza nelle urne in entrambi i rami del Parlamento.
   Diverse sarebbero le prospettive della stabilità, se si attribuisse l'indirizzo politico ad una sola Camera (par. 16). I modelli elettorali possibili sono diversi:
  - il proporzionale su base nazionale proprio del sistema tedesco;
  - il proporzionale di collegio con perdita dei resti, proprio del sistema spagnolo;
  - il sistema misto, in parte preponderante maggioritario e in parte minore proporzionale, come la cosiddetta Legge Mattarella, per la quale si suggerisce comunque, in caso di accettazione del modello, l'abolizione dello scorporo.
   Il Gruppo di lavoro segnala che, in ogni caso, va superata la legge elettorale vigente.
La nuova legge potrebbe prevedere un sistema misto (in parte proporzionale e in

(Continua: LUCIANI)
Conclusione:
ci troviamo in uno stato di "sospensione della Costituzione", imposto dalla "necessità istituzionale". Finchè il Presidente della Repubblica è Napolitano (anche Presidente del Consiglio Superiore di Difesa, anche Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura) non ci sono pericoli gravi per la democrazia. Ma sarà così anche se sarà eletto un qualche "decisionista", salvatore della patria ?
   Ragioniamoci sopra ripescando Costantino Mortati, padre costituente. Già negli anni '50, discusse se la "necessità istituzionale" possa divenire "fonte del diritto costituzionale". Riprendiamo queste cose.
   Poi, ... per le riforme costituzionali servono i 2/3 dei voti, se si vuole che vadano in azione subito, senza referendum confermativo. Dunque si capisca anche l'importanza numerica della coalizione PD+PDL, visto che i GRILLINI non sono ancora all'altezza giusta per le decisioni (ad es., non capire che quello che conta sono le decisioni, non con chi ti trovi a prendere le decisioni, ed essere affidabili che non si cambia posizione di punto in bianco, all'ultimo momento).

2.- Quali soluzioni istituzionali ? Forse non sarebbe il caso di perdere tempo per scoprire l'acqua calda. L'Italia è figlia dello Stato Francese ed ha una società molto simile a quella della Francia.
  In questo senso, potremmo copiare la Costituzione Francese e la legge elettorale francese.
  Beninteso, nulla mai è perfetto, e allora potremmo correggere alcuni difettini delle norme francesi, purchè non si perda troppo tempo.
  Torniamo al Gruppo dei Saggi. Essi vacillano tra una repubblica parlamentare "razionalizzata" e una republica "semiprensidenziale", e tra una o due camere, purchè diversificate nei poteri.
   Con quali motivazioni ? Su queste il Gruppo ragiona su opinioni personali, senza capo nè coda.
   Torniamo a Mortati. Le ragioni dei Padri Costituenti erano fondate su questioni efficienza della Governance, ma anche di salvaguardia della democrazia. La repubblica presidenziale potrebbe andare meglio o peggio della Repubblica semi-presidenziale, o di quella parlamentare: dipende dalla società civile, in cui è collocata..
   Può andare bene (anzi benissimo) anche la repubblica parlamentare purchè il Premier sia eletto dal Parlamento per i 5 anni della Legislatura e il Parlamento sia capace di prendere decisioni (vale dire non sia polverizzato).
   Concludo: la soluzione appropriata va motivata con il riferimento alla nuova struttura della società civile italiana e internazionale, e con il disegno di quegli eventuali pesi e contrappesi, che l'ingegneria costituzionale prevede per mandare efficienza, tempestività e democrazia. NLUCIANI

(Continua: LETTA)
  
parte maggioritario), un alto sbarramento, implicito o esplicito, ed eventualmente un ragionevole premio di governabilità.
    Si propone, inoltre, di eliminare le circoscrizioni estero, prevedendo il voto per corrispondenza, assicurandone la personalità e la segretezza.

   16.Superamento del bicameralismo paritario. Il Gruppo di lavoro ritiene che l'attuale modello di bicameralismo paritario e simmetrico rappresenti una delle cause delle difficoltà di funzionamento del nostro sistema istituzionale.
  A tal fine, propone che ci sia una sola Camera politica ed una seconda Camera rappresentativa delle autonomie regionali (Senato delle Regioni).
  La Camera dei Deputati, eletta a suffragio universale e diretto, è titolare dell'indirizzo politico, ha competenza esclusiva sul rapporto fiduciario, esprime il voto definitivo sui disegni di legge.
  Il Senato delle Regioni è costituito da tutti i Presidenti di Regione e da rappresentanti delle Regioni, eletti da ciascun Consiglio Regionale in misura proporzionale al numero degli abitanti della Regione.
   Si potrà prevedere che il Consiglio Regionale debba eleggere, nella propria quota, uno o più sindaci.
   Questo Senato assorbe le funzioni della Conferenza Stato Regioni e partecipa al procedimento legislativo.
   Salve le eccezioni più avanti indicate, le leggi saranno discusse e approvate dalla Camera.
   Il Senato potrà, entro un termine predeterminato e breve, decidere di esaminare le leggi approvate dalla Camera e proporre a questa emendamenti.
   Spetterà alla Camera, entro un termine altrettanto breve, decidere sulle modifiche proposte dal Senato, potendosi prevedere per alcune categorie di leggi che il voto finale della Camera sia espresso a maggioranza assoluta.
   Il bicameralismo resterebbe paritario per:
   - le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali;
   - le leggi elettorali (tranne la legge elettorale per la Camera);
   - le leggi in materia di organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle città metropolitane;
    - la legge su Roma capitale;
    - le leggi sul regionalismo differenziato (art. 116.3 Cost.);
    - le norme di procedura per partecipazione delle Regioni e delle Province di Trento e Bolzano alla formazione di normative comunitarie (art. 117.5 Cost.);
    -  le leggi sui principi per le leggi elettorali regionali (art. 122.1 Cost.);
    - l'ordinamento della finanza regionale e locale. 14

17. Numero dei Parlamentari. Per effetto del superamento del bicameralismo paritario, occorre calcolare il numero di parlamentari con modalità diverse tra Camera e Senato.
   Oggi i deputati sono 630, all'incirca uno ogni 95.000 abitanti.
   Il Gruppo di Lavoro ritiene che sia ragionevole seguire un criterio per il quale la Camera sia composta da un deputato ogni 125.000 abitanti. I deputati verrebbero così ad essere complessivamente 480.
   Per i Senatori, si propone un numero complessivo di 120, ripartiti, come si è detto, in proporzione al numero di abitanti in ciascuna Regione.

18. Funzionamento delle Camere. Il Gruppo di lavoro propone alcune modifiche dei Regolamenti delle Camere per migliorarne il funzionamento.
   In attesa della riforma del Senato, le proposte riguardano entrambe le Camere, anche se nel testo si tiene conto del superamento del bicameralismo paritario.
   In ogni caso sarebbe urgente che il Senato approvasse alcune riforme del proprio Regolamento per superare le differenze irragionevoli rispetto all'altro ramo del Parlamento.

   Le proposte per la Riforma dei Regolamenti delle Camere sono le seguenti:
   a) Procedura d'urgenza per i provvedimenti prioritari, di iniziativa governativa. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può chiedere per i disegni di legge del Governo il voto a data fissa; la data è determinata dal Presidente della Camera, sentita la Conferenza dei Capigruppo, in tempi compatibili con la complessità del provvedimento stesso.
    Questa urgenza presenterebbe caratteristiche peculiari rispetto alla urgenza ordinaria: dovrebbe essere escluso un voto dell'Aula sulla richiesta del Governo, che per ogni calendario parlamentare avrebbe limitate possibilità di ricorrervi; all'esame in sede referente sarebbero assicurati almeno quindici giorni, sette dei quali comunque decorrenti dalla data della deliberazione dell'urgenza; alle opposizioni sarebbero assicurati nel contingentamento tempi maggiori rispetto alla maggioranza.
   b) Divieto dei maxi emendamenti. Per porre rimedio alla situazione patologica derivante dall'abuso del cosiddetto maxiemendamento (emendamento che riassume la disciplina di una o più materie attraverso un solo articolo composto di una serie di commi con contenuto eterogeneo) e dall'abbinamento di maxi-emendamento e questione di fiducia, sarebbe opportuno prevedere che il Governo, per i disegni di legge prioritari, fermo restando il voto articolo per articolo, possa, durante l'esame in Assemblea, chiedere che venga posto per primo in votazione il proprio testo, approvato il quale si intendono automaticamente respinti tutti gli altri emendamenti (v. art.102 co 4 Reg. Senato e art. 85 co 8 Reg. Camera).
   Questa modifica, abbinata al divieto dei maxi-emendamenti, garantirebbe un significativo miglioramento del grado di trasparenza del procedimento legislativo parlamentare.
   c) Omogeneità dei disegni di legge, dei singoli articoli e degli emendamenti. I disegni di legge devono avere un contenuto omogeneo; ogni articolo deve avere un oggetto unico e definito; ogni emendamento deve contenere una unica proposta normativa.
   Il Presidente della Camera e quello del Senato, in caso 15 di disegni di legge o di articoli a contenuto eterogeneo, sentito il Comitato per la Legislazione, decidono lo stralcio delle disposizioni estranee e la loro destinazione ad un apposto distinto disegno di legge.
   Il Presidente di Commissione e il Presidente di Assemblea decidono altresì l'inammissibilità di emendamenti eterogenei o estranei alla materia del disegno di legge.      d)sede redigente. Per privilegiare il confronto sul merito dei provvedimenti e per consentire all'Aula di concentrarsi sul significato politico delle proposte, si propone una riforma che consideri la sede redigente come quella ordinaria, escludendola però per i progetti di legge su cui non è ammissibile la sede legislativa, per la legge comunitaria, i disegni di legge di conversione dei decreti legge e i progetti di legge rinviati dal Capo dello Stato. La prevista pubblicità dei lavori di Commissione con i mezzi propri dell'Aula (più avanti lett. i) favorirebbe la trasparenza di questa procedura;
   e) Proposte di legge di iniziativa popolare e d'iniziativa dei Consigli Regionali. Al fine di valorizzare l'iniziativa legislativa popolare e quella dei consigli regionali il Regolamento della Camera deve prevedere l'obbligo di fissare l'esame effettivo in Aula entro tre mesi dal deposito della proposta.
   f) Diritti dei Gruppi di opposizione. Prevedere garanzie per le opposizioni finalizzate ad assicurare un effettivo esame delle loro proposte iscritte in calendario nell'ambito delle quote apposite: ciò sia nell'esame in Commissione (disciplinando specificamente i limiti all'abbinamento dei progetti di legge in quota opposizione e alla possibilità di approvare emendamenti senza il consenso del Gruppo di opposizione interessato), sia in Assemblea (intervenendo sulla possibilità di presentare questioni pregiudiziali di merito e sospensive riferite ai progetti di legge in quota opposizione, nonché disciplinando le questioni incidentali);
   g) Riduzione del numero delle Commissioni. Si potrebbe ridurre il loro numero dalle attuali 14 a 9, con accorpamenti per materia suggeriti dalla prassi e funzionali sia al superamento del fenomeno, oggi molto frequente, delle Commissioni riunite, sia al fine di garantire una migliore e più efficace azione di controllo sulle politiche pubbliche. (vedi scheda in appendice).
   h) Comitato per la legislazione. E' opportuno che venga istituito anche al Senato il Comitato per la Legislazione, istituito presso la Camera dalla riforma del 1997; i) Pubblicità dei lavori delle Commissioni Parlamentari. Previsione della piena pubblicità, avvalendosi delle nuove tecnologie, della comunicazione dei lavori delle Commissioni, a fini di maggiore conoscibilità delle loro attività. L'Ufficio di Presidenza della Commissione, su richiesta motivata di un Gruppo Parlamentare, in relazione a un determinato 16 argomento all'ordine del giorno, può limitare la pubblicità dei lavori alla sola redazione del resoconto sommario;
   l) Audizioni in Commissione. Ampliare le categorie di soggetti audibili e direttamente convocabili dalle Commissioni, in modo formale (quindi con le garanzie di pubblicità integrale delle sedute);
  m) intervenire sulla procedura del parere sulle proposte di nomina del Governo, prevedendo sempre l'audizione dei candidati;
n) Gruppi Parlamentari. Prevedere che un Gruppo al Senato, in attesa della riforma,non possa avere meno di 15 senatori e alla Camera meno di 30 deputati. Escludere la possibilità di autorizzare i Gruppi in deroga al requisito numerico. Prevedere la corrispondenza tra lista di elezione dei parlamentari e gruppo di appartenenza. Divieto di costituire componenti del gruppo misto (ad eccezione delle minoranze linguistiche) che non corrispondano a liste nelle quali i parlamentari siano stati eletti.
  o) Sindacato ispettivo. A fini di maggiore efficacia e razionalità, fermo restando il question time d'Aula e di Commissione, si propone una radicale semplificazione degli atti, con il mantenimento delle sole interrogazioni, di regola a risposta scritta. Prevedere lo svolgimento in Aula delle sole interrogazioni urgenti (che prenderebbero il posto delle interpellanze urgenti) e lo svolgimento in Commissione, a richiesta dell'interrogante, di quelle per le quali non sia pervenuta la risposta scritta entro un determinato termine;
  p) Riduzione della stampa degli atti parlamentari. Massiccia dematerializzazione degli atti parlamentari, prevedendosi che di regola la pubblicazione degli atti avvenga sul sito internet; si dovrebbe prevedere inoltre una disciplina più aggiornata delle forme di pubblicità dei lavori parlamentari;
   q) adeguamento dei Regolamenti parlamentari alla revisione dell'art. 81 Cost.

19. In base all'art. 66 della Costituzione, in conformità ad una tradizione storica risalente, ma ormai priva di giustificazione, il giudizio finale sui titoli di ammissione dei membri del Parlamento (legittimità dell'elezione, ineleggibilità e incompatibilità) spetta a ciascuna Camera con riguardo ai propri membri; pertanto le relative controversie non hanno un vero giudice e le Camere sono chiamate a decidere in causa propria, con evidenti rischi del prevalere di logiche politiche . Si propone di modificare l'art. 66 attribuendo tale competenza ad un giudice indipendente e imparziale

 

PUBLIC CHOICE: dopo le elezioni politiche
Una GUIDA, per  la ricerca di un futuro politico per l'Italia

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PER UNA BARCA IN TEMPESTA, LE PRIME COSE DA FARE SONO :

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cercare un "timone" (un sistema costituzionale di governance. Il nostro sistema non è adeguato ai tempi );
cercare un "timoniere (un capo del governo. La nostra legge elettorale non lo dà come risultato diretto delle elezioni) .

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Nel nuovo sistema costituzionale, ci dovrà essere una struttura del parlamento, atta a
ripristinare i DIRITTI DEL PARLAMENTO. Questo è anche il significato storico del "grillismo"
Per anni, il parlamento ha subìto il dispotismo delle burocrazie ministeriali, perchè debole in se stesso (prima, polverizzzato; poi,
persone nominate, non elette) e perchè i ministri erano spesso "incompetenti" e paghi degli interessi loro personali e di partito.

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Va fatta una chiarezza a livello europeo perchè la salvaguardia dell' EURO non opprima più l'economia italiana

a) Fin da principio l'Euro, raddoppiando i prezzi in Italia, è stata una casacca di ferro per il commercio estero italiano (evidentemente è stato sbagliato il rapporto di cambio LIRA / EURO) ;
b)  Appare inspiegabile l'impedimento alla spesa pubblica (per pagare i fornitori dello Stato e per i lavori pubblici), pur dopo che il governo MONTI ha realizzato (quasi) il pareggio del bilancio di competenza;
c) è stata una mossa pericolosa e non professionale la tassazione dei depositi bancari, a Cipro (clicca su: Visco) ;
d) i patti europei per le aree depresse dell'Unione (vedi mezzogiorno)  appaiono troppo in ritardo.

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PER QUESTE RIFORME SERVONO COSE VERE, Nome e Cognome PD+PDL, per  6-10  MESI.
Poi, se (dopo le riforme), la prova sarà positiva, si potrà proseguire fino a termine legislatura.

NO al trucco del "governo di minoranza" per poi cercare "intese in parlamento", ma con il sospetto fine di eleggere un
proprio Presidente della Repubblica e, subito dopo, fare le elezioni anticipate con alla guida il "governo di minoranza".

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Consiglio a Berlusconi:
si ritiri temporaneamente dalla scena politica, in modo da chiarirsi con la Magistratura e lasciar passare un governo PD+PDL
per le riforme istituzionali e per le urgenze economiche. Poi, tra 6-10 mesi, potrà chiedere nuove elezioni, in una situazione tutta "nuova".
E' sbagliato sopravvalutare l'attuale strapotere "incostituzionale" del Quirinale, in quanto solo dovuto al "vuoto" lasciato dal Parlamento.

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Guardate le cose nel quinquennio 2008-2013, non vediamo
rimonte di nessuno, ma solo crollo dei grandi partiti tradizionali.

   Nel dopo elezioni, si è invocato una nuova legge elettorale, visto che quella attuale non ci ha dato un "timoniere" , come risultato delle elezioni.
   Ma evidentemente, il "timoniere" non basta perchè manca il "timone" e da molti anni.  BERLUSCONI  ha battuto SANTORO (10 a ZERO) nella famosa intervista a CANALE TV7, perchè ha dimostrato che neppure un "timoniere" come Lui ha potuto guidare una barca "senza timone" (
infatti, nella nostra Costituzione il Presidente del Consiglio conta meno del Ministro del Tesoro, non può dimettere i Ministri risultati inefficienti, è ricattato dai mille "partitini" della Coalizione, ecc.).
  Tutto questo non toglie che Egli, in tanti anni, abbia dato prova di incapacità di fare le necessarie riforme costituzionali (ovvero, ne ha fatte, ma in modo improvvido, ossia senza le necessarie maggioranze qualificate). Ma questa è un'altra storia, che quel giornalista "piazzarolo" ("solo scuole serali ..." ), non ha saputo opporre, perchè Berlusconi, come "piazzarolo", ne vale 10.
   Nei Paesi democratici maturi (USA, Francia, Inghilterra...) le elezioni pongono un termine anche alle discussioni sui programmi, scegliendo un leader con il suo programma. Per noi

  non è così, e anzi si dedica molta discussione alle possibili alleanze per trovare un governo.
   Tutte le alleanze possono essere buone o cattive: dipende dagli obiettivi. E siccome il rebus è di natura costituzionale, non va bene cominciare dalla legge elettorale, e lo vediamo nel fatto che, pur potendo indicare un candidato Premier sulla scheda, poi servirà la fiducia del Parlamento, su qualcuno proposto dal Presidente della Repubblica.
   Per questo mi parrebbe evidente che:
   -  la prima cosa da dare sia una modifica della Costituzione, in modo che il Premier sia il risultato delle elezioni.
    E per fare questo, senza necessità di fare un referendum confermativo, serve la "grande coalizione" PD+PDL (Camera: 470 seggi; Senato: 240; = più di 2/3 dei voti necessari) .
   Ma attenzione ai personalismi. Nessuno può porre veti personali a Berlusconi; e Berlusconi non può avanzare diritti di presenza nel Governo. Il Premier incaricato deve potere avere una sua libertà organizzativa, a parte che (se sono state fatte queste riforme) tra 6-10 mesi sarebbe teoricamente possibile tornare a votare in una situazione tutta "nuova".
    Per il programma generale, si può prendere il programma dei Grillini (quasi tutto).

   RIFORME COSTITUZIONALI, COME ? Avanzerei la seguente proposta minima:
   1) Elezione diretta popolare del Premier, seguendo (grosso modo) il modello della legge comunale, in vigore. Sia alla Camera, sia al Senato va, al partito (o alla coalizione) collegato al candidato Premier, una percentuale di seggi uguale alla percentuale di voti, conseguiti dal Premier eletto (con maggioranza assoluta al primo, o al secondo turno). I restanti seggi vanno ripartiti tra gli "altri" partiti in proporzione ai voti ottenuti al primo turno.
   2) Dovrebbe rimanere fermo l'attuale ruolo di garanzia costituzionale del Presidente della Repubblica.
 
  PROGRAMMA ECONOMICO, COME ? La parola d'ordine dovrebbe essere di creare "domanda effettiva", vale dire domanda accompagnata da potere acquisto, data l'urgenza di rimettere in moto le imprese e il lavoro.
   La via è che lo Stato:
   -  spenda in tempo reale quanto preleva fiscalmente e restituisca le imposte non dovute. Questo è il senso ultimo della teoria Keynesiana (a parte il deficit spending, oggi impraticabile, a livello UE);
   - in via eccezionale, sgravi i redditi bassi (ad alta propensione al consumo) e recuperi il mancato gettito con "aggravi" sui redditi alti (ad alta propensione al risparmio).
   Urge anche la riforma della legge bancaria, ripristinando la separazione tra banche di credito ordinario e istituti finanziari, e conseguentemente tra banca e industria.

 

EDIZIONI  PRECEDENTI

PUBLIC CHOICE: Italia verso le elezioni politiche:
Una GUIDA, per votare dal punto di vista economico.
Sotto: cosa dice, di Monti, il Financial Times, e cosa dice Monti di se stesso.

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PierLuigi Bersani, Sinistra

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La scelta di chi votare
, senza inganno, è avere in mente che
i politici agiscono anche nell'interesse personale. Per tutelarsi,
il cittadino
deve privilegiare
L'ALTERNANZA TRA I "GRANDI PARTITI", per limitare gli abusi.

Monti non ha agito nell'interesse personale, ma è risultato
insufficiente, rispetto al lavoro, alla crescita del PIL e alle banche.


In generale, la politica economica giusta è  tassare i poveri oppure i  ricchi,
a seconda che, al momento, sia più utile all'Italia l'una o l'altra cosa.

MONTI HA TARTASSATO I POVERI, MENTRE SERVIVA GRAVARE SUI  RICCHI.

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Mario Monti, Destra

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L'ALTERNATIVA, PER IL BENE DELL'ITALIA E' TRA BERSANI (sinistra) e MONTI (destra).
PER TUTTI GLI ALTRI, E' UNA NECESSITA' FARE PIAZZA PULITA,
pur se ci sono tante individualità interessanti, ma utili solo alla confusione.
I partiti sono strumenti, al bisogno ed è' sbagliato amare i partiti,
a parte che il partito "meglio" è sempre solo il "meno peggio".

 

  * I motivi in breve. La messa in sicurezza del Paese (pareggio del bilancio e scudo europeo anti-spread, interventi illimitati della BCE sul mercato secondario) fatta da Monti con bravura, doveva essere accompagnata dalla pronta spesa pubblica del gettito fiscale, in modo da incremenate i consumi (solo modo di risollevare le imprese, dare lavoro e rilanciare il PIL). Questo secondo obiettivo è mancato, fino a far constatare difficoltà di cassa, ripianate con ulteriore aumento pro-tempore del debito pubblico.
     La carenza della spesa pubblica è dimostrata dalla tabella (sotto riportata), della Ragioneria dello Stato, che mostra la spesa effettiva dello Stato, rispetto a quanto potrebbe spendere, in base al bilancio approvato. Ma poi, abbiamo i fatti, che lo Stato non paga i fornirori, per cifre immense.
     Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non è grandine che distrugge i raccolti, perchè è seguita dalla spesa pubblica: in questo senso, in teoria il potere di spesa totale non cambia, perchè quanto è tolto ad alcuni va ad altri. Doveva anche operare un moltiplicatore positivo del reddito, teorizzato da Haavelmo, ma anch'esso mancato e che anzi è stato negativo, a causa del fatto che la propensione marginale alla spesa dello Stato è stata minore di quella delle famiglie.
     Si deve chiarire che la lentezza statale nella spesa non è solo di adesso. Ma in passato, a questa lentezza, provvedeva la anticipazione monetaria (alle imprese destinatarie della spesa pubblica) da parte delle banche, cosa che oggi è impedita dalla situazione di sofferenza delle banche (soprattutto per colpa loro: troppi impieghi speculativi). (A proposito della situazione delle banche italiane, MONTI andò alle riunione annuale dell'ABI, e (senza battere un ciglio) lasciò dire a MUSSARI, Presidente ABI e dirigente del MPS-Monti dei Paschi di Siena, tutto quello che voleva ...).
     Per questo, la riforma delle banche e dello Stato sono gli obiettivi  primari per il medio-lungo periodo, ma traditi dal precedente Governo.
     Per l'immediato serve trasferire potere di spesa dai redditi medio-alti (perchè non investono e non spendo
no) ai redditi medio-bassi perchè spenderebbero.

FATTO: L'opinione del Financial Times, su Monti, a un mese dal voto.  Fonte: Financial Times, 17 gennaio 2013 :

  Stralcio della tesi di fondo del FT:
  1) «Ora al suo settimo trimestre, la più lunga recessione dell'Italia del dopoguerra si fa sentire e  Mr Monti si sta in larga parte prendendo la colpa».
  2) Secondo il giornale britannico, "i dati economici vanno contro la tesi del Professore, secondo cui l'Italia starebbe superando la crisi (ma Monti ha parlato di quella finanziaria, non economico-sociale)". ....
   «La disoccupazione giovanile ha raggiunto il 37,1% a novembre 2014, sette punti in più da quando Mr Monti è diventato premier, un anno fa e nonostante le riforme nel mercato del lavoro.
   "La spesa per consumi ha registrato il calo più forte dal dopoguerra, mentre la produzione industriale è al di sotto del 25% rispetto ai massimi prima del 2008».

NUOVO FATTO: Intervista di Ferruccio de Bortoli al Premier Monti
Fonte: Corriere della Sera, 20 gennaio 2013

Stralcio delle tesi di focali di Monti, sul Corriere:
1) "Il governo tecnico non sarebbe stato chiamato, se la gestione della cosa pubblica fosse stata nelle mani di politici capaci e credibili».
2) Quanto ai risultati dell'azione del governo tecnico, «noi stiamo vedendo, ...., qualche risultato positivo grazie al sacrificio degli italiani: sui tassi d'interesse, sulle esportazioni, sull'andamento dei titoli pubblici. E dobbiamo sempre chiederci che cosa sarebbe accaduto se quelle decisioni non fossero state prese e se ci fossimo trovati nei panni dei greci".
3) Quanto alle ragioni del suo «salire in politica", il motivo è che "a un certo punto, con l'avvicinarsi delle elezioni, le riforme incontravano ostacoli crescenti, erano sempre più figlie di nessuno. La strana maggioranza cambiava pelle sotto i miei occhi. Il Pdl ritornava ad accarezzare l'ipotesi di un nuovo patto con la Lega, non con il Centro, ed emergeva un fronte populista e antieuropeo; il Pd alleandosi esclusivamente con Sel riscopriva posizioni radicali e massimaliste in un rapporto più stretto con la sola Cgil».
   A quel punto «Ho intravisto due rischi:
   - uno a breve, che il governo cadesse prima che i partiti si accordassero finalmente su una riforma elettorale;
   - uno più a lungo termine, e assai più grave, ovvero che sei mesi dopo le elezioni si dissipassero tutti i sacrifici che gli italiani avevano fatto, con grande senso di responsabilità, per sottrarre il Paese a un sicuro fallimento.
    Tutto inutile, pensavo. Sarebbero tornati al governo i vecchi partiti, i vecchi apparati di potere, veri responsabili del declino dell'Italia. In quello stesso periodo si erano poi moltiplicati gli incoraggiamenti di molti leader europei e internazionali, da Barack Obama a François Hollande", pur se "non determinanti».
4) Conclusione: "La vecchia politica non deve tornare". Ferruccio de Bortoli 20 gennaio 2013.
____________________

Fonte: Annuario Statistico della Ragioneria Generale dello Stato, 2014, cap. II * .

Nota. I dati più recenti, disponibili, sono del 2011. Ma ho controllato quelli del 2010 e 2009, e le percentuali sono analoghe.

Titolo e categoria economica

Anno 2011

Anno 2011

Italia, Capacità di spesa
           dello Stato

Pagamenti, rispetto alla massa spendibile
di competenza
in %

Pagamenti, rispetto alla massa spendibile
dei residui
in %

Titolo I - Totale Spese correnti 82,8 47,3
Redditi da lavoro dipendente 92,4 69,5
Consumi intermedi 65,8 58,5
Imposte pagate sulla produzione 95,5 84,9
Trasferimenti corr.ad Amm.ni pubbliche 77,8 44,1
Amministrazioni centrali 87,5 93,6
Amministrazioni locali 75,6 43,5
- Regioni 73,1 41,0
- Comuni e Province 82,3 66,5
- Enti produttori di servizi sanitari 42,2 41,8
- Enti locali produttori di servizi assistenziali 85,1 80,5
Enti di previdenza 79,7 41,1
Trasferimenti a famiglie e ist.ni sociali private 70,0 47,9
Trasferimenti correnti a imprese 57,7 65,1
Trasferimenti correnti a estero 76,6 46,4
Risorse proprie Unione Europea 94,9 0,0
Interessi passivi e redditi da capitale 91,8 96,6
Poste correttive e compensative 89,8 49,7
Ammortamenti 20,4 0,0
Altre uscite correnti 16,1 16,5
   
Titolo II - Spese in conto capitale 48,4 40,9
Investimenti fissi lordi e acquisti di terreni 39,1 46,5
Contributi agli investimenti 53,9 44,8
Amministrazioni centrali 74,3 59,8
Amministrazioni locali 43,4 40,3
- Regioni 40,5 44,2
- Comuni e Province 48,9 30,9
- Enti produttori di servizi sanitari 11,3 0,8
- Enti locali produttori di servizi economici e di regolazione dell'attività economica 52,5 41,7
- Enti locali produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali 31,5 33,7
Enti di previdenza e assistenza sociale 36,7 40,8
Contributi agli investimenti ad imprese 48,9 45,2
Contributi agli investimenti a famiglie e istituzioni sociali private 49,2 45,1
Contributi agli investimenti a estero 53,8 32,1
Altri trasferimenti in conto capitale 35,6 23,8
Acquisizioni di attività finanziarie 67,4 41,2

 

NINO LUCIANI, La spiegazione delle tesi, più sopra.

1.- La regola della alternanza tra i grandi partiti. Per le scelte pubbliche, i cittadini maturo non agiscono come "isole", ma intercettando le logiche dei candidati.
   Secondo i fondatori della scuola scientifica di "public choice" i politici sono mossi anche da interessi personali. Esistono anche quelli mossi solo dall'interesse pubblico, ma sono pochi.
  Anche la esaltazione dei loro programmi si assomiglia molto a quella del commerciante che esalta la qualità della propria merce, anche se fasulla. La legge non punisce questa cosa, perchè la presume fatta in buona fede, e la definisce "dolus bonus".
  Tuttavia, a tutte le cose ci dev'essere un limite che, nel caso del commerciante, la legge crea favorendo la concorrenza (a parte la legge penale), in modo che quello disonesto o incapace sia sostituito dal concorrente.
  Nel caso delle scelte pubbliche, questo meccanismo non può funzionare, perchè scelte sono fatte dai gruppi, e quindi quelle fatte in modo isolato non funzionano.
  Per questo, il cittadino (che vuole contare) deve, in primo luogo, identificarsi in un gruppo, vale dire nel partito che esprime idee vicine alle sue.
  Ma quando i partiti sono tanti, la scelta è praticamente inutile. Il motivo è che, in parlamento, le decisioni saranno prese a maggioranza, e (se i partiti sono tanti) la maggioranza potrà formarsi in molti modi, variabili ogni giorno.
   In un solo caso, anche un solo cittadino può contare: quando i partiti sono solo due, e poco distanti numericamente. Ad es., se un partito ha il 50%+1 dei voti, e l'altro il 50%-1 dei voti, lo spostamento di un solo cittadino, da un partito all'altro, rovescia la maggioranza. E' la regola della alternanza, già applicata nei Paesi con alta democrazia (vedi gli Stati Uniti, dove tutti hanno "pari opportunità" di arrivare alla "Casa Bianca".
   Più in generale, per dare peso ai cittadino, il criterio è fare in modo che ci siano solo due grandi partiti: in questo senso la scelta migliore"possibile" è quella "meno peggio".
   La legge elettorale attuale dell'Italia è mossa dal criterio di aiutare il cittadino che segue il criterio dell'alternanza, pur se essa ha ancora molti difetti (il premio di maggioranza è su base nazionale, alla Camera; ed è, invece, su base ragionale al Senato, per cui in teoria, la maggioranza alla Camera potrebbe riuscire diversa in Senato). Come il cittadino potrebbe rimediarvi, rinvio a più avanti.
   In particolari casi, l'applicazione della regola dell'alternanza tra i grandi partiti potrebbe comportare, per un cittadino, di votare per il partito avverso.  Ma, anche questa è la scelta meno peggio. Infatti se, al termine del mandato elettorale, uno valuta negativamente il comportamento del  proprio partito, è bene che esso vada in minoranza e vada a meditare sui propri errori.
  Al contrario, senza alternanza, subentrerebbero fatti ben più negativi. Un caso significativo in Italia è quello della Democrazia che, pur benemerita per la ricostruzione post-bellica dell'Italia e per il progresso economico e il lavoro, alla fine era incorsa in gravi casi di corruzione, perchè non alternata da un altro grande partito (che a quei tempi, era il PCI). Sulle relative cause storiche, che lo impedirono, qui soprassediamo.

2.- Quali sono i due "grandi partiti" per l'alternanza, oggi ?
   Numericamente parlando, fino ad un anno fa (2011) i due maggiori partiti erano il PDL e il PD. Stando alla "retta via", andrebbe votaro uno dei due: la conferma del primo, per i cittadini soddisfatti; la scelta del secondo, per i cittadini insoddistatti.
   Mi riservo di motivare più avanti, quale sarebbe, secondo me, la scelta appropriata in base agli attuali problemi del Paese.
   Ma, da un anno in qua, abbiamo un governo tecnico, e da qualche settimana, il suo Premier si propone come leader di un  partito "terzo".
   Se la legge elettorale fosse proporzionalista, un partito terzo avrebbe la "vocazione" di fare maggioranza con uno dei due "grandi partiti", a secondo che ami l'uno o l'altro. Questo avvenne con la DC, questo fu causa di molti guai per l'Italia e per la DC.
    Ma la legge elettorale è maggioritaria. Dunque, il proposto "partito terzo" dovrà essere classificato di destra o di sinistra, e prendere il posto del PD o del PDL, in una logica dell'alternanza.
   Mi sembra fuori di dubbio che MONTI sia di destra, e che essendo la "migliore destra" si ponga come sostituto del PDL.
   Lo vediamo da alcuni fatti:
   - Monti si è dichiarato "antagonista della sinistra" (Bergamo, 20 gen);
   - Monti ha fatto una politica negativa per il lavoro (vedi i disoccupati, e legge Fornero);
   - Monti non ha voluto accordi con la CGIL, ma piuttosto con CISL e UIL.
   Al tempo stesso, il PDL ha fallito la "rivoluzione liberale" (promessa fin dal 1994), ed il suo Leader è in demolizione (non è infatti più proposto come Premier, ed è in età avanzata. Diciamo, poi, che il PDL senza Berlusconi è un corpo senza testa, a parte che uno che occupa posisizioni top di governo per 10 anni ha già dato tutto quello che aveva.
   
   Un ultimo dubbio: è possibile scegliere il PD, oppure MONTI,  dando vita alla stessa maggioranza, sia alla Camera, sia al Senato ?

    Come detto più sopra, il cittadino che volesse dare il proprio contributo positivo alla governabilità, ha possibilità di scelta, in qualche modo ostacolata dal fatto che l'attuale legge assegna il 55% dei seggi, per la Camera, su base nazionale; e invece, per il Senato, su base regionale.
  In queste condizioni, l'unica via di uscita, per il bene del Paese (vale dire che al Senato riesca maggioritaria la stessa coalizione maggioritaria della Camera) è che il cittadini voti (nella Regione) la coalizione che prevede maggioritaria alla Camera (piaccia o  non piaccia). E' una scelta rispettosa della democrazia, e la meno peggio, dal punto di vista personale.

3.- Quale programma serve per il bene dell'Italia e, di conseguenza, a quale "grande partito" abbinarlo ?
  Traccio le grandi linee del programma necessario (secondo me), in modo da motivarne l'abbinamento al "grande partito" di sinistra o a quello di destra.
 
  Programma per subito. Qui si tratta di rianimare il cavallo malato. Poi in seguito si vedrà come riportarlo in pista (vedi programma per il futuro).
   La diagnosi è che manca domanda effettiva ( vale dire accompagnata da potere di acquisto in moneta) perchè c'è nel Paese molta capacità produttiva inutilizzata (un tesoro che manca nei Paesi sottosviluppati ...), che va rimessa in campo.
   Come ai tempi della grande crisi del 1929, non c'è domanda effettiva perchè la moneta è finita nelle mani di chi non ha propensione al consumo. Chi era ricco è diventato più ricco (grazie alle operazioni delle banche, inserite nel gioco finanziario delle grandi guerre recenti: IRAQ, AFHANISTAN, e nelle varie altre piccole guerre); e chi era povero è diventato più povero.
   Chi è ricco ha relativa bassa propensione al consumo già di suo, e quando nel mondo le aspettative di crescita sono negative, questi individui si chiudono di più in casa (comprensibilmente, del resto).
  Chi è povero, vorrebbe spendere, ma non ha potere di acquisto.
  In queste condizioni gli investimenti privati non hanno luogo. E il solo modo di ripartire è che si muova lo Stato, perchè non orientato al profitto, ed ha un orizzonte temporale lungo.
   Per fare questo ci sono più modi:
   a) lo Stato spende in disavanzo, finanziato da fabbricazione di moneta aggiuntiva, da parte della Banca Centrale (oggi la BCE);
   b) lo Stato spende prontamente il gettito fiscale, nelle industrie bloccate;
   c) lo Stato grava fiscalmente i redditi medio-alti (al netto degli utili reinvestiti, e (per pari importo) sgrava i redditi medio-bassi.
   La via sub a) non è oggi percorribile, per la politica europea.
   La via sub b) è poco percorribile subito, perchè (a causa di burocrazia lumaca, lo Stato non spende prontamente, e risulta perfino che ci sono esattori fiscali che non versano i fondi ai Comuni);
   La via sub c), mediante IRPEF, è applicabile con effetti immediati.
  Quale partito potrebbe oggi applicare la via sub c) ? Non un partito che prende i voti dai cittadini con redditi medio-alti.
   Dunque, serve votare il PD (a meno che MONTI non faccia miracoli: vale dire, sia votato da chi dovrà tassare).
   Aggiungo che il PD sarebbe aiutato dai Sindacati; e MONTI, invece, no.

  Programma per il medio-lungo termine: la transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato. Memore delle esperienze negative dei Paesi a pianificazione centralizzata, l’Italia deve, finalmente, avviare con fermezza la transizione della propria economia dallo Stato al Mercato.
   L’attuale grado di statizzazione dell’economia (55-60%) dovra’ essere ridotto al 40-45% a favore della impresa privata, e tuttavia nel rispetto della persona umana, durante il difficile passaggio. In questo senso:
   - dovranno essere privatizzate le imprese pubbliche (tra l’altro, una delle prime cause del debito pubblico), salvo quelle marcatamente strategiche (come per le grandi infrastrutture), e sociali (trasporti locali dei lavoratori, acqua);
   -  lo Stato dovra’ garantire il lavoro (art. 4, Costituzione), se necessario anche come datore di lavoro di ultima istanza;
  -  lo Stato dovrà punire severamente le violazioni delle buone regole del mercato, da parte delle imprese.
    Quale partito potrebbe oggi attuare la transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato ? Non un partito che crede molto nello Stato e poco nel mercato. Dunque, serve votare MONTI.
  In conclusione, per l'immediato serve BERSANI; per il futuro serve Monti. NINO LUCIANI

*    http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Servizio-s/Studi-e-do/Annuario_statitisco_RGS/Annuario_statistico_della_RGS_2014.pdf, 

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Edizioni precedenti

In tema di "public choice": la "democrazia cristiana"   tornata   "giuridicamente"
Resoconto sul XIX Congresso Nazionale, Roma, 10-11 nov.  2014

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Gianni Fontana

 

ELETTO UN NUOVO SEGRETARIO NAZIONALE
On. le Avv. Giovanni Fontana
( con il 95,8% dei voti )

                                

                                   
                                     ANCHE ELETTO IL CONSIGLIO NAZIONALE
                                      Presidente: On.le prof.ssa Ombretta Fumagalli
                                      ( eletta con 49 voti su 80 del CN )

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Ombretta Fumagalli

    NOTA DI SINTESI. Al momento, la DC è ricomparsa "giuridicamente".  A riguardo degli uomini, essa e' quella del 1992, tale e quale in ogni senso (salvo pochi), ma con l'obiettivo dichiarato di far subentrare presto  le nuove generazioni.
    E' anche emerso necessario fondare la rappresentanza popolare non più sulle tessere, ma su indicatori oggettivi di impegno e di merito.
    Nel Congresso è prevalso il "partito delle tessere", secondo il Manuale Cencelli, imposto da alcuni "notabili", per la composizione del Con- siglio Nazionale, così da determinarne un impianto zoppo. Infatti, sono risultate rappresentate solo 12 Regioni, su 20 in Italia. In particolare, poi, tra le 12, a Marche ed Emilia Romagna è stato dato 1 rappresentante rispettivo, pur se a Campania 20, a Calabria 11, a Sicilia 9. 
 
Sui motivi di tanto "rigore" dei detti notabili, è ipotizzabile la preoccupazione di controllare future mosse per la ricerca del Tesoro della DC, scomparso, e di cui qualche "pierino" ha detto ... dal podio, ma ignorato dal tesoriere ( pur ricomparso dal podio degli intervenuti), successore diretto di Chitarristi, a suo tempo.

FONTANA : "Speranza per l'Italia e Volontà di ritrovare il cammino dei Padri, che ci hanno guidato per quasi 50 anni
senza  inganno, prima di cedere ad un declino che nessuno di noi immaginava, ma che è avvenuto per i nostri errori,
per i quali io qui, a nome di tutto questo  partito,  di tutti voi, chiedo umilmente e solennemente scusa a tutti gli Italiani".

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Dal XIX Congresso della Democrazia CristianaRelazione del Segretario Politico On.le Avv. Giovanni Fontana§Roma 11-12 novembre 2014

INSIEME ABBIAMO RICOSTRUITO L’ITALIA.
. INSIEME RIPRENDIAMO IL CAMMINO.

                            Gentili amiche e cari amici,
siamo qui, con umiltà ma anche con convinzione, per destinare qualche soldo di cultura, molta passione e tutto il piccolo o grande patrimonio della nostra non più verde età, a quanti vorranno vivere insieme con noi questa "impresa possibile": tornare ad attivare, nel cuore della società italiana, valori di tempi lontani ma non transeunti, e a testimoniare una più responsabile e lungimirante azione politica per il Paese.

I – IL TEMPO CHE VIVIAMO: DALLA CRISI ALLA RIPRESA
La crisi che, ormai da oltre quattro anni imperversa con i suoi tremendi effettifinanziari, economici, sociali, morali ma che già covava da molto tempo, ha spazzato via, ideologie, valori, tradizioni e culture; compresa quella componente storica di liberalismo illuminato che, attualizzata con saggezza, avrebbe potuto costituire la rivincita sulle ideologie che hanno bollato il ‘900 come un secolo anti-umano. Oggi, anche in casa nostra, domina invece, un liberalismo molto diverso: è un liberalismo cieco, un semplice "liberismo" economicistico distorsivo di ogni civile aspirazione a giustizia e solidarietà.
  Penso in concreto all’avidità di quel liberismo finanziario deragliato nell’avidità delle banche americane, trasmessasi poi come un contagio a livello planetario, compreso il nostro Paese. Oggi, negli Usa, esso è rintracciabile bene in posizioni come quella espressa da Mitt Romney, il quale, nel corso della campagna elettorale, aveva definito il 47% degli elettori di Obama fatto di parassiti che pretendono lavoro, casa e sanità.
Per un partito di ispirazione cristiana e di radici popolari, come è la Democrazia Cristiana, questo parlare dei poveri e dei deboli come parassiti è penoso. In Italia questi "parassiti", cioè i poveri delle vecchie e nuove povertà, ingrossano le loro file inglobandovi anche persone dei ceti borghesi che frequentano le mense della Caritas e condividono con i barboni un dramma che non trova la solidarietà cui avrebbe diritto anche da parte dello Stato che tale "liberismo" ha ritenuto di sposare.
Questi poveri, in genere, non frequentano gli indignados ma, a noi che li vediamo con i nostri occhi, imprimono aghi profondi nella coscienza: interpellano il nostro aver tradito, talvolta, in passato, il popolarismo cristiano e l’idea democratico-cristiana. Ma, soprattutto, ci sollecitano, essi poveri, a non restare più oltre incerti nel riprendere una iniziativa di forte solidarietà e giustizia, anche in politica.
Il fatto è che mentre l’orizzonte delle possibilità umane si è venuto immensamente allargando, in questi venti di assenza della Democrazia Cristiana dallo scenario politico, il pensiero, la cultura, la tradizione, si sono invece venuti ritraendo: uno spazio di grigiore è oggi sopra di noi, davanti a noi e in mezzo a noi. E noi sembriamo quasi costretti a rifugiarci nella memoria delle cose positive e dei maestri che abbiamo conosciuto e frequentato in passato, come a cercare qualcosa e qualcuno, che ci aliti una rinnovata speranza e ci suggerisca un itinerario su cui riprendere a camminare con lena. Su questo oggi siamo chiamati a riflettere e a decidere.
Sappiamo che la società ci guarda, mentre riprendiamo nelle mani questo barlume di speranza e scrutiamo dentro di noi il cosa possiamo fare, il come operare di nuovo con specificità, competenza, visibile affidabilità. Per noi, questo rinascere, questo, quasi, re-indossare i pantaloni corti in età non più giovane, è come un secondo battesimo al quale volontariamente e umilmente ci accostiamo per non essere ulteriormente in balia della rassegnazione e della disillusione, per non smarrire il filo di un vecchio cammino che abbiamo già percorso e che ebbe risultati anche grandi per il nostro Paese: fin dal dramma della guerra e dal regime rovinoso che l’ha preceduta, le cui macerie di distruzione e di morte hanno permesso il generarsi del risorgimento dei nostri Costituenti.
Un risorgimento costruito insieme al popolo, per un credito di libertà e di giustizia nella democrazia e nella solidarietà sociale, cui abbiamo saputo consegnare conquiste che avrebbero meritato una più duratura e fertile vita.
Ma, oggi, non vogliamo celebrare gli eroi morti né le conquiste finite: agli eroi che ci sono stati padri siamo debitori di quanto abbiamo imparato, e l’onesto debitore paga continuando i loro atti testimoniali. Così è stato fatto, sostanzialmente, da De Gasperi Moro: ci accorti, tuttavia, a questo punto della nostra storia, di quanto fosse impegnativa quella eredità, e difficile da gestire. Oggi ci sentiamo ancora fragili nel riprendere in mano tale patrimonio che, in una parola, è il talento di governare fondata su radici di forte penetrazione popolare, sociale, cristiana, non solo difficili da estirpare ma anche molto esigenti in termini di coerenza personale: insomma una della politica aderente alla vita e non della vita aderente alla politica.
Ci sentiamo, nello stesso tempo, decisi. Il concetto di inserire le classi popolari nello Stato, la moralità dei comportamenti di gestione della cosa pubblica, la fermezza di una laicità che per noi non significa confusione, né separazione, né equilibrismo, ma cosciente responsabilità dentro la città dell’uomo, sono valori che desideriamo nuovamente testimoniare con forza. Sapendo bene, come sapevano i padri, che la politica è servizio che usa con competenza il potere per conto di chi ci ha delegato al potere e della comunità cui il potere appartiene.
Sia ben chiaro, a noi e ai giovani cui parliamo, che non si può essere posseduti dal potere: niente di umano può possedere l’uomo, né potere, né denaro, né cultura, senza che sia rovinoso. L’uomo è per l’altro uomo, perché chi possiede la nostra vita è soltanto Dio. Anche il politico deve ricordarlo ogni giorno.
In questa concezione della politica, la mediazione degasperiana e anche quella morotea, è sempre stata all’insegna di cercare punti di contatto con chi camminava su strade diverse. E oggi il dialogo, la ricerca di accostarsi all’altro in nome di una sempre rinnovabile unità costruttiva del Paese, è ancora indispensabile non solo per evitare guerre ideologiche tra le parti, l’ostinata condanna dell’altro, ma anche per affermare un dialogo che non sia galateo di comportamento bensì rispetto profondo della persona umana che occupa il suo posto nella società.
Bisogna liberarci dalla distruttiva posizione espressa dall’aforisma di Sartre "l’inferno sono gli altri". Per noi gli altri sono la nostra famiglia e la nostra comunità solidale, anche quando ne percepiamo limiti ed errori, dai quali del resto neanche noi siamo immuni. Per noi conta avere davvero nell’anima il bene comune.
Spesso ci si libera dalla propria difficoltà accusando l’altro: siamo tutti innocenti e l’altro è il corrotto; non risolviamo i problemi: la colpa è dell’eredità lasciataci da chi c’era prima di noi. Senonché la dialettica politica che dà frutti positivi è fatta di dialogo ininterrotto la cui esemplarità non poggia su un "io" prepotente e sicuro, privo di prossimità con l’altro.
In maniera forse un po’ ingenerosa, e me ne scuso, provo l’impressione che questa situazione di debolezza-incapacità suggerisca, nella situazione politica italiana, i nomi rappresentativi di Alfano, Bersani e Casini, i quali non trovano la via d’uscita per concordare una buona legge elettorale. L’ABC citato dovrebbe invece suggerirci un alfabeto della democrazia del dialogo permanente; un dialogo formale e informale, capace di valorizzare ogni spunto positivo da chiunque dei tre venga proposto, anzi semplicemente da chiunque venga proposto.
Noi dobbiamo avere soprattutto la prossimità con chi non ha tutori ed è alla periferia della rappresentanza politica e sociale, come chi abbandonato dalle istituzioni è soccorso dalla carità ma aspetta di essere soccorso per atto di giustizia creduta e praticata. La giustizia infatti è un concetto anche pre-cristiano; fu già celebrata nell’antica Grecia e poi esaltata fino all’utopia marxista, oltre che espressa e documentabile nella impostazione sociale della fede cristiana. Per questo noi, critici verso la teologia della liberazione per i suoi eccessi privi di utilità, siamo sinceramente impegnati in una autentica politica della liberazione, che può trovare energie concordanti in mondi di buona volontà che vanno anche oltre l’universo dei credenti. Una politica della liberazione, soprattutto, nei confronti dei gruppi sociali meno abbienti e in varia misura emarginati.
In Italia, dopo la cosiddetta "prima repubblica", c’è stata una enfatizzazione di entusiasmo per il sorgere di una "nuova politica" annunciata come liquidazione del passato e progettazione di un nuovo modello. Un nuovo modello capace, si diceva appunto, di "liberarci" da pesantezze e inadeguatezze del passato. In questo tentativo furono coinvolte anche personalità di buona cultura e di buoni intendimenti – penso ad esempio a Melograni, Urbani, e molti altri – che concepirono un cammino di lineare onestà in ottica di rivoluzione liberale, cioè di liberazione: lo Stato di diritto e lo Stato dei diritti, la legalità, le scelte selezionate dei candidati alla guida del Paese.
Ma a lungo andare - non molto lungo, a dire il vero – il progetto manifestò qualche prima crepa e poi, con frequenza crescente, crepe e crepacci fino ala caduta dell’edificio. Il fenomeno Berlusconi non poteva resistere al peccato di origine del suo populismo: in realtà una deviazione del concetto di popolo sovrano e partecipante.
E’ stato un populismo bisognoso di carisma da ubbidire più che da condividere, di fedeltà di militanti più che di lealtà di compartecipi, di una capacità di comunicazione politica che accetta di recitare promesse impossibili più che impegni reali. Ne ricordiamo una fra le molte: Meno tasse per tutti; una promessa  che, così scriteriatamente espressa, tradurrei nell’espressione "evasione per tutti", che ne è l’effetto pratico

Silvio Lega:
"No a una
DC, partito".
.
"Sì a  DC,
movimento"

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Silvio Lega


Membri


del Consiglio Nazionale

Calabria Barbuto Nicola
Calabria Colavolpe Salvatore
Calabria Cupi Vincenzo
Calabria Donato Angelo
Calabria Nisticò Giuseppe
Calabria Oliverio Caterina
Calabria Ripepi Massimo
Calabria Squillace Francesco
Calabria Straface Antonio
Calabria Vazzana Carmelo
Calabria Deseptis Fiorella
Campania Boffa Aldo
Campania Brancaccio Valeria
Campania Cirino Pomicino P.
Campania Cuofano Pasquale
Campania Della Corte Giovanni
Campania Ferraiuolo Luigi
Campania Ferraro Roberto
Campania Fiorenza Nazzareno
Campania Grippo Ugo
Campania Nunziante Maurizio
Campania Pelosi Daniele
Campania Picano Angelo
Campania Polizio Stanislao
Campania Ravaglioli Marco
Campania Rodondini Vincenzo
Campania Scala Raffaele
Campania Troisi Nicola
Campania Bocchio Isabella
Campania Lombardo Maria R.
Campania Mazzitelli Giovanni
Emilia Duce Alessandro
Lazio Alfano Giulio
Lazio Darida Clelio
Lazio Di Sangiuliano Giuseppe
Lazio Marinangeli Alessandro
Liguria Adolfo Vittorio
Liguria Faraguti Luciano
Liguria Gaggero Gergio
Liguria Tanzi Carla
Liguria Gallina Gabriella
Ligurìa De Gaetani Gian Renato
Lombardia Abbiati Achille
Lombardia Baruffi Luigi
Lombardia Cazzaniga Sergio
Lombardia Cugliari Emilio
Lombardia Donato Salvatore
Lombardia Fumagalli Ombretta
Lombardia Generoso Serafino
Lombardia Ravelli Roberto
Lombardia Galli Anna Maria
Lombardia Soncina Greta
Marche Morgoni Vinicio
Piemonte Aceto Piero
Piemonte Brustia Adelmo
Piemonte Deorsola Sergio
Piemonte Lega Silvio
Piemonte Mazzucco Francesco
Piemonte Mussa Fabrizio
Piemonte Sartoris Riccardo
Piemonte Pavesi Negri Gabriella
Puglia Cattolico Antonio
Puglia De Leonardis Giovanni
Puglia Di Giuseppe Cosimo
Puglia Donatelli Francesco
Puglia Fago Antonio
Puglia Lisi Raffaele
Puglia Palermo Francesco
Puglia Roberto Erminia
Sicilia Alessi Alberto
Sicilia Brancato Antonino
Sicilia Caponetto Francesco
Sicilia Cappadonna Michele
Sicilia De Vito Bruno
Sicilia Grassi Renato
Sicilia Pulvirenti Antonio
Sicilia Torre Carmelo
Sicilia Di Quattro Maria G.
Toscana Bindi Marco
Toscana Camaiti Maria Pia
Toscana Pizzi Piero
Toscana Puja Carmelo
Veneto Bonalberti Ettore
Veneto Bontorin Fulgenzio
Veneto Bottin Aldo
Veneto D'Agrò Luigi
Veneto Fregonese Silvio
Veneto Malvestio Pier Giovanni
Veneto Milani Luciano
Veneto Zanforlin Antonio
Veneto Panin Maria Grazia
Veneto Zanferrari Gabriella
Cons.Reg. Nucera Giovanni
Deputato Gargani Giuseppe

_________
TOTALE

______________________
                  94

NINO LUCIANI, Il Commento.

1.- Premessa. Il XIX Congresso della DC (il XVIII fu nel 1992), celebrato a Roma il 11-12 novembre 2014, ha mostrato due facce:

a) un Congresso ufficiale, in cui vedevi:
  - un Segretario Nazionale (On.le Avv. Giovanni Fontana), 68 anni, uomo buono, colto, di grande sensibilità, largo di vedute, acuto nel vedere il granello "significativo", un discorso durato due ore. Mi sono ricordato il livello e gli svolazzi di Aldo Moro;
  - una sala stracolma ( la sala della Confindustria, a Roma, non meno di 1000 persone, inclusi gli invitati), gente semplice carica di valori, che ha seguito attentamente il Segretario, lo ha applaudirlo ripetutamente a scena aperta, e anche interrotto con "parole" di enfatizzazione di singoli concetti.

b) un congresso nelle segrete stanze, dove veniva contrattata e redatta la lista dei candidati (80) al Consiglio Nazionale. Qui vedevi un andirivieni continuo di notabili e di chiamati e mettere la firma di accettazione della candidatura.
  Chi erano questi "notabili" ? Erano i notabili dell'ancien règime, quelli del partito delle tessere. Non ho motivo togliere un solo capello di stima alle singole persone elette. Ma avendo, alcuni "notabili", imposto il Manuale Cencelli per le candidature regionali, ne è uscito un impianto complessivo di Consiglio Nazionale, zoppo per la DC. Su 20 Regioni, solo 12 hanno ottenuto la rappresentanza. E delle 12, Marche e Emilia Romagna è stato dato 1 solo rappresentante, rispettivo (anzi quello dell'Emilia non è stato indicato dal gruppo della E.R., ma dai "notabili").
 
   E' offensivo definire i "notabili" come "partito delle tessere" ? L'On. Paolo Cirino Pomicino, che ha fortemente condizionato il Congresso, mi ha chiarito che, pur con qualche ombra, il fondare (sulle tessere) la rappresentanza del popolo democristiano è il modo più democratico.
   Ma chiunque io incontrassi per strada (fuori dal Congresso, e dappertutto in Italia), e gli raccontavo che è stato applicato il Manuale Cencelli, lo vedevo andare in escandescenze. Tutti hanno, infatti, ben presenti i fatti che originarono un "declino inimmaginabile della DC" (parole della Relazione del Segretario), e che si impose perchè la DC  non trovo' la forza di auto-pulirsi.
   Al contrario, in Germania, vicende simili (a carico del Cancelliere Helmut KOHL) furono risolte velocemente: mandato a casa senza complimenti, pur avendo grandi meriti politici verso la Germania (unificazione) e verso la Unione Europea (Euro). E infatti la DC tedesca è ancora in parlamento, e oggi al Governo.
   Credo che, per l'Italia, l'esempio tedesco vada applicato rapidamente, senza scusanti.
  Approfondiamo questa ricomparsa dei "notabili", dacchè la allora umiliazione della DC (a prescindere che si tratti di un partito o di altro partito) pare, ancora nel 2014, uno scotto insufficiente.
   Ma, da altra parte, mi è sembrato molto potente e condiviso dal popolo dei congressisti il comune sentire dei valori, e l'entusiasmo, intorno al Segretario Fontana.
   Questo è un buon viatico per l'ottimismo nel futuro. Il mezzo, per essere vincente, potrebbe essere di fondare la rappresentanza su cosa diversa dalla "tessera": su questo torno più avanti.

2.- Distinzione tra una DC di interessi legati al potere politico e una DC di valori cristiani e laici liberali.
  a) Premessa. Il fatto che la DC, come un qualsiasi partito si possa proporre nel 2014, è fuori discussione, come diritto costituzionalmente garantito a chiunque.
   Ma il punto da affrontare in premessa è altro: chiarire se, mancando nel parlamento italiano (ed europeo), un partito dei cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti, giudei) e dei laici liberali (cosa diversa da un partito cattolico, subalterno alla Chiesa Cattolica), venga a mancare in Italia un pezzo di storia, una pietra miliare.
   La stessa domanda mi sono fatto per il PCI (diciamo per i due grandi partiti del Socialismo italiano), scomparsi nel 1992.
   Non ho risposte certe. Ritengo, però, che, dopo il venire meno della DC e del PCI (e del PSI) nel 1992, in Italia è venuto meno lo Stato, e ci siamo trovati nelle mani di partiti senza il senso dello Stato, con grave danno per la coesione sociale intorno alle grandi idee alternative, su cui fondare il governo del Paese.
   La via verso l'alternativa tra due grandi partiti nazionali è un percorso che non inizia da zero e lo vediamo nel fatto che il PD si pone alternativo al PDL (a parte se l'inserimento dei nostri giovani nella dialettica politica varra'   a riabilitarli o a disintegrarli, rispettivamente. Mi riferisco  a Beppe Grillo, a Matteo Renzi e a tanti altri giovani comparsi di recente sui mass media).

  b - No a una DC, che produce germi corruttivi, tipici delle dittature. In generale parlando, una dittatura non è forte primariamente per il potere di polizia o dell'esercito. Ne sappiamo qualcosa, in Italia, senza bisogno di guardare alla Tunisia, alla Libia, alla Siria. Il potere dittatoriale, dopo il primo colpo di mano (magari militare), cerca di catturare il consenso sociale con vari privilegi a "parte della popolazione".
   Poi, quando nel seguito, la dittatura fosse contestata, saranno costoro a sostenerla, per non perdere privilegi.
   In questo senso la tessera, legata ai poteri, è il germe corruttivo della dittatura dentro la società civile.
  
3.- Una ipotesi che può spiegare il ritorno del partito delle tessere. La DC non è oggi un partito di potere, per cui è difficile spiegare questo ritorno del partito delle tessere.
   Nelle nuove condizioni, la via, più naturale per creare la nuova rappresentanza, pur se collegata giuridicamente agli iscritti del 1992, doveva essere di ripartire la rappresentanza proporzionalmente al lavoro da fare nelle Regioni: ad es., in proporzione alla popolazione regionale.
  Poi, dopo le prime elezioni (con scudo crociato), si potrà anche premiare il merito dei dirigenti locali, ad es. ripartendo, in parte, i posti sulla base dei voti riportati nei Consigli Comunali della Regione.
   Ma non è andata così. E allora perchè tanta "diligenza" di "alcuni" notabili nella ricerca di "tessere del 1992" ?
  Una ipotesi plausibile è collegarla ad una "ombra" vagante nella sala del Congresso, quasi la "ombra" un morto (ma che "morto" non era, aveva detto la Cassazione).
  L'ombra era un pensiero fisso al "Tesoro della DC", scomparso a suo tempo, su cui qualche "pierino" ha anche fatto domande dal podio.
  Forse qualcuno ha la mappa del luogo del tesoro, come i briganti della "Isola del Tesoro" , il romanzo di R. L. Stevenson.
   Ipoteticamente, potrebbe trattarsi di qualcuno che vuole rintracciare il Tesoro per mettervi le mani sopra, o di qualcuno (cosa più probabile) che punta a sciogliere il partito della DC, e crearvi un successore , come si fa per le moderne società di capitali (far sparire i debiti, e ricominciare da capo).
   Perchè il Tesoriere, che è successore diretto di Chitarristi, non ha fatto chiarezza su questo "Tesoro" ?  La domanda è ineludibile, prima o poi.

tendenziale;  mentre responsabilità davvero sociale e liberante avrebbe dovuto dire: Tasse eque per tutti nella trasparenza assoluta, pubblica, permanente, del loro utilizzo. Così, se dopo "tangentopoli" abbiamo conosciuto la fine della "prima repubblica", non molto tempo dopo abbiamo dovuto constatare anche il rapido crollo della seconda. Sono, a questo proposito, sollecitato a insistere sulla importanza di una memoria storica positiva e fertile, e penso che in tal senso la relazione Costituzione-democrazia-partecipazione-rappresentanza-solidarietà sia l’"impresa impossibile" che siamo chiamati a far diventare possibile. Dimenticata la Costituzione, inquinata la democrazia, tra populismo e nuove forme di ribellione politica e di protesta antipolitica, traballante l’impalcatura delle istituzioni dove la corruzione e la malversazione sembra assurta a prassi quotidiana accettata, la rappresentanza pare impigliata in una rete che non pesca qualità adeguate ad affrontare il dramma della crisi che stiamo vivendo.
Il mondo ci guarda, l’Europa ci osserva ed anche l’anti-europeismo cresce, mentre strisciano venature di neo-nazionalismo: in un paese dell’Abruzzo sono stati multati coloro che cantavano "Bella ciao"; in altri paesi di diverse regioni sono state aperte strade intitolate a vecchi gerarchi fascisti; ci sono monumenti della rimembranza e sacrari di "eroi" della guerra in Etiopia; e altro e peggio. Segnali che ci pare non possano essere tollerati ma, prima ancora di essere combattuti, vanno profondamente analizzati.
E’ stato detto per paradosso che oggi, se qualcuno si sognasse di fare un’Opa sull’Italia, l’asta andrebbe forse deserta: eppure l’Italia è tutt’altro che da rottamare; la ricchezza privata assomma almeno a ottomila miliardi, il made in Italy è vivo e richiesto ampiamente, il turismo richiama ancora un flusso ininterrotto di visitatori, le riserve auree sono solide, il reticolo delle piccole imprese è tuttora quasi unico al mondo, molte nuove microimprese sorgono anzi per iniziativa di giovani, e testimoni di vita esemplare circolano fra noi, li vediamo nel nostro quotidiano muoverci tra le strade e i luoghi di lavoro.
Questa è la riserva sana del Paese reale: e allora le due Italie, quella dei poveri, dei disoccupati, dei precari, dell’Alcoa e dell’Ilva, e quella che, dall’altro lato, rappresenta la parte non toccata dalla crisi ma pensosa del futuro e desiderosa di assumersene la responsabilità, chiedono insieme una politica di nuova adeguatezza testimonial, per una speranza di più lunga gittata.
La Democrazia Cristiana sceglie di farsi carico di questa speranza non già seminando al vento promesse che non si possono fare, ma affidandosi con onestà e fattività a nuove generazioni e ad antichi valori, come chi passa un simbolico testimone degli anni gloriosi della ricostruzione e dei partiti politici che seppero camminare con passo sicuro e adeguato alla gravità dei problemi da affrontare.
Se questo è il quadro che ci è dato vivere, quale è la nostra specifica responsabilità? Il nostro compito è quello di riaprire lo spazio della speranza e della concretezza operosa per una testimonianza di impegno politico che riprenda i valori della nostra storia popolare e democratico-cristiana e sappia liberarli a una nuova luce e a una nuova capacità realizzativa.

II - PERCHE’ DC
Una volta finita, anche malinconicamente, l’esperienza della Democrazia Cristiana storica, avevamo sperato che la memoria collettiva del Paese avrebbe conservato i grandi meriti del partito di De Gasperi e Moro e compreso gli errori di percorso della sua ultima fase. Avevamo sperato che da quella grandiosa e umiliante esperienza, il Paese, i suoi cittadini di buona volontà, avrebbero imparato molto. E avrebbero imparato anche dalle esperienze degli altri partiti che si andavano consumando come il nostro, dopo quasi mezzo secolo di vita repubblicana grande ma anche, spiritualmente, ormai prosciugata nelle anime delle classi dirigenti.
In modo più specifico, avevamo sperato che sulle ceneri del nostro lavoro avrebbero potuto sorgere due grandi partiti moderni, uno di centrosinistra ed uno di centrodestra, uno di spinta progressista e uno di moderazione liberale, capaci di ereditare il lato migliore di quella storia e di darci la fase adulta e compiuta dell’Italia: un Paese solido e serenamente capace di governare la propria crescita nella partecipazione e nella solidarietà.
Avevamo sbagliato questa previsione. In effetti, senza far torto alla presumibile buona volontà di tanti singoli, ci sentiamo di dire che le nostre attese sono state totalmente deluse.
Non è nato un partito democratico di centrosinistra capace di amalgamare il grande messaggio popolare e solidale della DC con l’altrettanto importante anelito di giustizia distributiva dello storico Partito Comunista: due anime che mai si sono fuse nella armonica capacità di generare un partito di alta cultura sociale riformatrice. Lassismo nell’impegno di rinnovamento del pensiero, sottovalutazione dei fattori di complessità emergenti sulla fine del secolo appena trascorso, preoccupazioni contingenti di equilibri fra gruppi, fretta di successi elettorali contro avversari aggressivi e sicuri di sé … Forse qualcosa di tutto questo ha giocato un ruolo nefasto: e ha generato la prima delusione per le speranze di una responsabile democrazia dell’alternanza.
Sul versante del centrodestra le cose sono andate anche peggio: insieme alla mancata maturazione di una classe dirigente degna di questo nome, si è realizzato lo sfacelo educativo e morale di una politica ridotta a messaggio di marketing dell’effimero in ogni sua manifestazione. Le poche persone di sincero pensiero elaborante le abbiamo viste progressivamente lasciate ai margini dei luoghi decisori; la leadership carismatica l’abbiamo vista ridotta a una inquinante commistione di aziendalismo privatistico con libertinismo diseducativo; la linea programmatica sottomessa a una dominanza economica che si è rivelata esasperatamente finanziaria e speculativa. Ed è stata la seconda delusione.
Infine il centro. Nella zona che sul piano ideale avrebbe avuto le condizioni più adatte a preservare anche una quota decisiva del messaggio storico della Democrazia Cristiana, si è palesato il protagonismo di un partito che di fatto non è mai riuscito ad aggregare né tradurre in politica organica alcun pensiero. Un improduttivo oligarchismo che non ha mai respirato l’ossigeno impegnativo ma anche corroborante di una partecipazione davvero popolare. Ed è stata la fine di una ulteriore speranza. Tacciamo, da ultimo, di quanti, piccolissimi gruppi che non è appropriato chiamare formazioni politiche, hanno cercato di insinuarsi, anche con buona volontà almeno iniziale, in questo gioco ormai senza radici e senza prospettive, e del tutto più grande delle loro possibilità. La idea di una "Italia dei valori" è diventata un dipietrismo che oggi palesa anche nelle aule giudiziarie la confusione deleteria fra partito di cittadini e gruppo personale; un grillismo che anela lodevolmente a far emergere con forza la voce di chi dall’estrema periferia dell’elettorato reclama il suo diritto a essere ascoltato, ma finisce in una protesta amebica incapace di tradursi in risposta collettiva e nazionale ai problemi collettivi e nazionali; una sparpagliata ex sinistra estrema, che a merito della sua annosa agitazione può vantare soltanto il risultato di aver fatto cadere un governo Prodi che pure testimoniava uno sforzo sincero di ricollegare la politica con il sentimento della gente; i resti di una gruppuscolare destra riottosa che avendo trovato spazio risibile nella effettiva determinazione degli orientamenti politici del Paese si è trovata a dialogare - contraddizione finale e quasi irridente - con il leghismo separatista; il quale a sua volta non ha tardato a testimoniare la miseria morale che ne attanagliava le intenzioni e i comportamenti, anche negli uomini che avevano fatto consistere l’unica loro bravura nel rimproverare agli avversari i medesimi comportamenti.
Le sorprese più recenti sono Montezemolo, Riccardi, Bonanni e tante personalità della società civile che hanno elaborato il loro manifesto: non un partito, non un movimento: un mondo di proposte politiche, una realtà dopo tante delusioni, una specie di gruppo di pressione fattosi coscienza critica del potere: un patto per una nuova politica. Più che notabili, uomini di rango: non pensiamo che abbiano qualche piccola venatura di popolarismo.
Il risultato è che non c’è classe dirigente, oggi, nel nostro Paese, non c’è un pensiero espresso dalla politica sul suo futuro, non c’è una cultura di gestione e non c’è una consapevolezza valoriale. Fino al punto che si è dovuto ricorrere all’espediente, legittimo e onesto ma tremendamente allarmante, di un governo tecnico incaricato del puro e semplice ritorno a una normalità minima che di fatto è solo la normalità della gestione formale del bilancio dello Stato. Questo è infatti in sostanza il governo Monti, nonostante la buona volontà di diversi suoi esponenti e nonostante la indiscussa competenza e correttezza dello stesso Presidente del Consiglio, il quale, in un quadro così difficile, è riuscito comunque a restituire al mondo una immagine più credibile e affidabile del nostro Paese.
Ed è per un atto di consapevolezza piena, e di buona volontà responsabilizzatrice di fronte a tanto scempio e a tanta ombra sul futuro, che noi oggi siamo qui, a pensare in termini di ripresa dell’azione della Democrazia Cristiana per l’Italia. Oggi, siamo convinti che l’Italia abbia più che mai necessità di "democrazia cristiana": con la lettera minuscola e, insieme, con la lettera maiuscola.
Con la lettera minuscola, come sostantivo e aggettivo, nel senso che questo nostro Paese ha bisogno di riconquistare democrazia vera e partecipata: solo così la politica può giustificare il suo potere, le sue contese.
Attorno al ludibrio della vigente legge elettorale si è ridotta infatti quasi a zero la pratica della democrazia e della relativa motivazione degli animi nella scelta della classe dirigente; e ha bisogno di cristianesimo ispiratore, vissuto con coerenza per il bene della "città dell’uomo" che ci è affidata: di cristianesimo come lievito di valori che torni a fermentare una società in cui la centralità non sia più quella della finanza che domina l’economia e dell’economia che domina l’impresa costringendola a non essere una comunità di lavoro per inseguire un concetto di business eretto a mostro totemico contro la dignità della persona sancita dalla Costituzione ma anche dal semplice diritto naturale.
Neanche il diritto naturale può infatti concepire il licenziamento collettivo di migliaia di persone attraverso una e-mail spedita da migliaia di chilometri per effetto di una notizia battuta in un nanosecondo sulla diminuzione di valore della quotazione di un’impresa, in un mercato finanziario distante a sua volta migliaia di chilometri. Questa "efficienza capitalistica" reputiamo, senza mezzi termini, sia figlia del Male, Uno strumento di peccato, come recita la "Populorum progressio", radicalmente incompatibile con la nostra visione di umanesimo e di personalismo, che all’abbrivio del ventunesimo secolo, riproclamiamo, entrambi, come permanentemente nostri; e che sono la semplice, grande ed impegnativa eredità lasciataci dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dall’idea democratico-cristiana.
Entrambe ci hanno lasciato ben diverso insegnamento: dalla Rerum Novarum alle successive encicliche sociali, da monsignor Ketteler ad Antonio Rosmini, dalla Scuola di Friburgo al Codice di Camaldoli, dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa alla Caritas in Veritate, questo insegnamento ci parla costantemente e puntualmente della liceità del mercato ma anche del suo necessario ancoraggio a finalità morali, di diritto indiscutibile a condividere i frutti dell’impresa fra tutti, di salario di dignità per ogni famiglia, di illiceità della pura rendita e della pura speculazione …
Ebbene, c’è necessità che più democrazia cristiana, con questa lettera minuscola, trovi al suo servizio, con forza, lucidità, sincerità morale, capacità tecnica, accortezza politica, una rinnovata Democrazia Cristiana con la lettera maiuscola: c’è necessità che una grande associazione di cittadini "liberi e forti" torni a generare una politica alta secondo la "nostra" Costituzione; "nostra" perché ispirata proprio dal pensiero democratico cristiano, da De Gasperi e Dossetti, da Gonella e La Pira, da Fanfani, Moro e Lazzati, e di nuovo indietro, nei principi di riferimento, fino a Sturzo e Grandi e Miglioli e altri. E la faccia diventare politica di rinnovamento potente e di rinfrancata solidarietà, di centralità del lavoro e della impresa come comunità di lavoro, di processi formativi capaci di rinforzare valori di libertà e di solidarietà fattiva: insomma, di comunità solerte e rasserenante per tutti.
L’Italia è infatti una comunità, innanzitutto; non una società per azioni ad azionisti dispari, bensì una comunità di cittadini e persone che hanno uguale dignità, servite da istituzioni fatte da tutti e da tutti partecipate, con una economia al servizio di tutti e da tutti realizzata. E con le giovani generazioni come primo tesoro da far crescere secondo responsabilità e autorealizzazione.

III - UN PROGETTO DI VALORI
Non temiamo la sfida perché, più tipicamente di ogni altro partito, la Democrazia Cristiana possiede nella sua ispirazione valoriale una visione adatta a questo obiettivo totale: totale nella sua pregnanza interna ed anche nella sua potenzialità diffusiva oltre il nostro Paese, nella più vasta comunità costituita dall’Europa, dal Mediterraneo, da un mondo che si è fatto sempre più villaggio comune; ricordo, fra l’altro, che di "internazionale dei democratici cristiani", con questo spirito diffusivo e pregnante, si parlava già fin dai primi del ‘900 fra i cattolici che, prima ancora che germogliassero il Partito Popolare Italiano e la Confederazione Bianca del Lavoro costituivano i primi nuclei democratico-cristiani.
Ponte mediterraneo e crocevia planetaria, l’Italia può tornare a essere, non solo nei traffici economici, un Paese al quale il mondo può guardare come a una sua casa simbolica di riepilogo collaborativo e di sintesi valoriale. Se la sede romana della Chiesa cattolica rappresenta questo valore dal punto di vista religioso, la Roma precristiana e l’Italia universalistica di Dante e del Rinascimento possono rappresentarlo dal punto di vista della unità tendenziale degli aneliti di realizzazione umana complessiva; e il grande messaggio che da Rosmini passa a Sturzo, a De Gasperi, a La Pira, a Moro, può rappresentarlo per il cammino di una città terrena che sappia condividere il benessere, frutto della fatica comune, fra tutti gli uomini in questo ventunesimo secolo ultraveloce e ultracomplesso.
Essere custodi attivi di questo patrimonio esige d’altro lato che la forma e la concreta gestione quotidiana del Paese, e la stessa modalità di essere e di operare come partito, abbiano connotati di qualità alta.
I capisaldi di una tale politica ci sembrano almeno cinque:
La nostra Costituzione repubblicana, carta di principi e di valori da salvaguardare con fedeltà, non chiusi aprioristicamente a ogni eventuale possibilità di affinamento, ma lontani da quella frenesia inconsulta che ha portato a rivedere negli anni recenti il suo Titolo V, con una superficialità che testimonia, accanto a intenzioni illusorie, la inadeguatezza di una classe politica incapace di cogliere la grandezza dei padri costituenti e di custodirla migliorandola: anche attraverso una nuova fase costituente che, riteniamo necessaria per adeguare la sua seconda parte ai profondi cambiamenti intervenuti sul piani istituzionale europeo e nazionale.
Uno Stato snello e partecipato, efficiente sul piano nazionale, arricchito da autonomie territoriali in chiave di sussidiarietà e non di dissociazione pseudofederalista; garantito da un intercontrollo democratico senza retoriche di autonomismo fine a se stesso, spesso corrotto non meno di quanto esso stesso abbia rimproverato allo Stato centrale; e, quasi sempre, colpevolmente incapace di utilizzare persino le cospicue risorse economiche messe a sua disposizione dall’Europa.
La valorizzazione permanente e dinamica dell’immenso patrimonio culturale e ambientale affidatole dai padri e dalla Provvidenza: almeno la metà dei beni culturali di cui l’umanità dispone è incredibilmente concentrata nel nostro Paese, e questo solo fatto costituisce per noi "una missione nella missione" e quasi una vocazione profetica.
Una cura gelosa della culla in cui nascono e si formano le nuove generazioni, cioè la famiglia, attraverso la dedizione di uno Stato solerte nel favorirne solidità e serenità, soprattutto con gli strumenti propri della sua missione formativa, dell’attivo supporto alle generazioni che declinano, affinché tale fisiologico crepuscolo non diventi mai emarginazione né accantoni il tesoro della esperienza che si trasmette; uno Stato che sappia garantire la sicurezza di un lavoro dignitoso per tutte le persone che raggiungono l’età adulta e si apprestano ad assumere, della famiglia, la responsabilità più diretta.
Il governo sagace di una economia che ha oggettivamente potenzialità enormi, e che anche nella presente crisi conferma di possedere nella creatività dei singoli e nel tessuto della piccola e media impresa la sua linfa più vitale.
Con quali linee di orientamento pensiamo sia articolabile un simile progetto?
Non parlo volentieri di riforme, e non perché la cultura democristiana sia aliena dall’idea di farne o perché non ne abbia realizzate – le più coraggiose nella storia del nostro paese portano la firma della Democrazia Cristiana, a partire dalla grande riforma agraria di Antonio Segni poco dopo la nascita della repubblica – ma perché, a un certo punto della dialettica politica, il riformismo ha cominciato a vivere quasi fosse un fine in se stesso: ma né il riformismo né le riforme sono un fine; essi sono un mezzo, attraverso il quale la nostra quotidiana analisi della coerenza fra "progetto paese" e realizzazioni concrete viene verificata e coerentemente attuata; facciamo le riforme se servono e in quanto servono, ma non le adoriamo come idoli, e le sottoponiamo costantemente a verifica perché restino effettivamente al servizio dei valori che le ispirano.
Preferiamo parlare piuttosto di "gestione evolutiva" trasparente e condivisa, capace cioè di governare dinamicamente le esigenze di miglioramento permanente delle cose, senza rinviare ai tempi spesso deresponsabilizzanti di maturazione delle "riforme": queste, quando davvero occorrono, devono essere consapevoli, ponderate, impegnative di coerente attuazione, e non mito autoreferenziale.
Questo è il compito della politica disegnato dalla Costituzione italiana. E tale è, come la Costituzione lo regola, anche lo strumento dei partiti politici, mezzo privilegiato attraverso cui i cittadini partecipano al farsi del dibattito, alla determinazione delle scelte, alla formazione della classe dirigente, e insomma alla gestione del paese. Non temiamo, anzi decisamente vogliamo, un partito giuridicamente riconosciuto, persona giuridica e perciò sottoposto a controllo pubblico nella sua trasparenza di gestione.
In realtà i partiti politici operanti oggi hanno, via via, ignorato questo spirito costituzionale per accentuare invece elementi crescenti di chiusura oligarchica, ben poco democratica e partecipativa. Le ombre della corruzione e del clientelismo, quasi i partiti stessi e i loro uomini fossero appunto fini e non mezzi, hanno realizzato, da ultimo, quel nefasto distacco dei cittadini dalla politica che oggi enfatizza la sua gravità attraverso una legge elettorale che chiude del tutto i partiti dentro se stessi quali forme autoreferenziali di gestione del potere.
Con quale metodo pensiamo dunque di lavorare?
Innanzitutto con quello della partecipazione vera e diffusa. Pare espressione scontata e banale, questa della partecipazione, ma essa viene in realtà ogni giorno pronunciata e ogni giorno di nuovo tradita. Così come la partecipazione di tutti i cittadini consente di costruire una logica di armonizzazioni progressive nel cammino di crescita della società complessiva, analogamente la partecipazione di tutti i soci consente al partito di essere punto di traduzione affidabile della domanda e delle attese del paese.
I punti di partenza per noi sono certi: la Costituzione, la cittadinanza, la persona. Essi meritano di essere confermati ma anche approfonditi in tutta la loro portata potenziale: tanto più che nell’Italia del ventunesimo secolo ci sono i cittadini e c’è, con loro, anche un numero crescente di persone in attesa di cittadinanza. Persone provenienti dalle più diverse nazioni del mondo, o loro figli, che non costituiscono più casi isolati ma un fatto sociale ormai strutturale: anch’essi diventano parte della nostra comunità, lo diventano in senso oggettivo: chiedono spazio che non può essere loro negato se crediamo in una società di ispirazione cristiana. Il problema è di fare in modo che lo spazio sia equo e i diritti, come i doveri, reciproci. A questa condizione non si può negare l’ordinata e trasparente osmosi demografica, non solo perché essa caratterizza da sempre i processi di sviluppo di ogni società storica, ma perché la stessa grandezza della nostra civiltà italiana è germogliata e si è sviluppata dal multiforme, secolare apporto di tali risorse.

IV – IL FONDAMENTO DEL LAVORO, LA DIGNITA’ DELL’IMPRESA, LA SOLIDARIETA’ DELL’ECONOMIA
Subito dopo la cittadinanza, è il lavoro a costituire prioritario fondamento della repubblica. Tale lo definisce la carta costituzionale, e si riferisce al lavoro in tutte le sue forme, dipendente o autonomo o imprenditoriale che sia, manuale o intellettuale.
Non sono invece fondamento della repubblica la rendita, né l’attività speculativa. Siamo qui in un campo che, fin dal medioevo, la Chiesa ha chiarissimamente presente. La pura rendita e la pura speculazione sono un male, sono illecite moralmente, e per noi questo principio comporta conseguenze coerenti sul piano delle politiche attive, anche di redistribuzione reddituale e, ad esempio, di carico fiscale.
La ricchezza nazionale resta essenzialmente frutto del lavoro e il lavoro, diritto e dovere dell’uomo, è, per la Democrazia Cristiana, oggetto privilegiato di ogni politica economica. Per tale motivo un punto caratterizzante il nostro "progetto per l’Italia" non può non essere costituito dalla revisione dell’istituto del collocamento, che ci pare da trasformare in istituto dell’accompagnamento attivo nel lavoro.
Né vuol dire, questo, che il mercato del lavoro debba essere governato dal solo collocamento pubblico; tutt’altro: esso si accompagna liberamente al movimento spontaneo della domanda e della offerta che sul mercato si confrontano: il collocamento pubblico opera invece, attivamente, su richiesta dei singoli lavoratori che vogliano ricorrervi. Il fatto è che non c’è dignità della persona se non viene attuato per essa il diritto a un lavoro riconosciuto, remunerato e produttivo. Questo è il concetto, ed è l’obiettivo, da tenere sempre presente.
Vi è un ulteriore profilo di giustizia distributiva, e alla fine anche di efficienza economica, che non ci sembra più possibile trascurare. Una visione distorta del libero mercato, storicamente prevalente in tutto il mondo, riguarda la totale inesistenza di limiti alle più atroci disparità reddituali generate all’interno delle stesse imprese. Prevalgono anche in Italia, sia pure in dimensioni complessivamente meno abnormi, parametri esasperati fino all’iniquità, e assolutamente ingiustificabili da tutti i punti di vista, compresa una reale efficienza economica di lungo andare delle imprese medesime e del sistema.
Noi non assumeremo come nostro programma l’idea, che pure ci viene da uno dei massimi maestri di economia dell’impresa efficiente e a un tempo equa, e cioè Adriano Olivetti, laddove affermava che tra lui, massimo vertice della sua azienda, e l’ultimo dei suoi operai, il divario di reddito equo reputava essere da uno a cinque. Lo corresse quel gran liberale, non certo democristiano, che era Valletta, allora amministratore delegato della Fiat e grandissimo innovatore della vita aziendale, affermando a sua volta che troppo stretta gli sembrava tale forbice e proponeva per essa un raddoppio, cioè che fosse portata da uno a dieci.
Noi non assumeremo neanche questo parametro: ma se nel mondo assistiamo a rapporti inconcepibili, persino di uno a quattrocento e oltre, e in Italia non mancano forbici di uno a cinquanta e oltre, ci sentiamo in mezzo a una situazione alla lunga insostenibile, per la quale assumiamo un duplice chiaro riferimento: da un lato il principio che i parametri retributivi siano parte di una politica trasparente e perciò siano noti pubblicamente; dall’altro che venga, con gradualità ma con inizio immediato, stabilito un primo limite: ad esempio, che non possa essere superata la forbice di uno a venticinque.
Siamo certi che passo dopo passo, anno dopo anno, ci sarà tempo e soprattutto ci saranno condizioni di serenità per calibrare con il consenso sociale più ampio la misura equa, senza mai far pensare che puntiamo a logiche di egualitarismo puro e semplice. Sottolineo che anche questa è la Dottrina Sociale della Chiesa, prima di essere la linea programmatica della Democrazia Cristiana. Sottolineo che anche questo è il cammino che costruisce quella economia sociale e civile di mercato che, della suddetta dottrina, è parte centrale.
Sottolineo che stiamo parlando di reddito personale, non di reddito d’impresa, sul quale andranno invece considerate con intelligente accortezza le dimensioni legate alle esigenze di espansione e innovazione più proprie della impresa stessa, che del resto sono benedette per tutti: lavoratori ed azionisti, persone e comunità. In particolare attraverso una riduzione dell’attuale pressione tributaria per abbattere il cuneo fiscale e stimolare ricerca e investimenti.
La Democrazia Cristiana è comunque contraria, nello stesso tempo e per lo stesso spirito, anche a forme di garanzia del reddito che siano scisse da una corrispondente responsabilità di lavoro produttivo. Non cassa integrazione, dunque, e neanche gli istituti innovativi definiti in tal senso dalla recente "riforma Fornero", ma piuttosto lavori utili in logica sostanzialmente e modernamente keynesiana, intendendo per lavori utili gli investimenti in tutto ciò che possa essere bene comune effettivo.
Nulla dunque ha da vedere, tutto questo approccio, con forme di assistenzialismo, verso le quali nutriamo sostanziali dubbi tutte le volte che esse vogliano supplire a una politica di giusta reciprocità fra cittadino e comunità. La dignità del lavoro, espressione di una sostanziale parità nella cittadinanza responsabile, potrà in tal modo accompagnarsi anche con una sostanziale parità di condizione fiscale e previdenziale senza distinzioni fra categorie: come senza distinzioni ci pare debba essere, in linea di tendenza, il diritto ad accedere a tutto il campo del lavoro, compreso quello delle libere professioni, attraverso meccanismi semplificati e trasparenti rispetto a prassi ancora piuttosto chiuse e per alcuni aspetti vetuste.
Certo è comunque l’impresa che, per la consistenza oggettiva della sua dimensione produttrice di ricchezza complessiva, resta il soggetto centrale per la elaborazione di una attiva politica del lavoro. Inestimabile valore di una economia dinamica e progrediente, l’impresa deve essere, in questo senso, non solo protetta ma sostenuta e incentivata nel suo naturale impulso di sviluppo. Punto cardine di una tale politica ci sembra lo snellimento della burocrazia relativa alle autorizzazioni e ai controlli.
Se questo è il lato normativo-burocratico della vita d’impresa, sul versante economico ve n’è uno non meno pregnante: l’impresa si sostiene e cresce con il duplice strumento dell’autoinvestimento e del credito bancario, come è noto. Anche sulla politica creditizia finalizzata allo sviluppo d’impresa vi è un particolare elemento centrale nella cultura democratico-cristiana, che mentre non può, secondo noi, essere trascurato: è quello costituito dalla idea del risparmio collettivo (dei lavoratori ma anche degli utenti).
Come è evidente dalle riflessioni che stiamo dipanando, non possiamo nascondere il nostro interesse privilegiato per la diffusione di politiche favorevoli ai modelli di partecipazione dei lavoratori nell’impresa, conformemente alla costante tradizione, ancora una volta, della Dottrina Sociale della Chiesa, ma anche a tantissime esperienze consolidate nei paesi più avanzati d’Europa, e al dettato dell’articolo 46 della nostra Costituzione.
A tale riconoscimento del fattore lavoro fa riscontro il dovere ugualmente stringente del lavoratore, di adempiere con senso di responsabilità il proprio ruolo produttivo. Ed è evidente, in questo quadro, come anche l’esperienza sindacale costituisca un valore imprescindibile delle politiche del lavoro, quando naturalmente si tratti di sindacalismo libero e pluralistico, come quello realizzatosi tipicamente nella esperienza della Cisl italiana e ormai caratteristico di tutto il nostro sindacalismo confederale.
E’ questa dinamica che consente alla legge stessa di farsi carico con maggiore competenza di quella garanzia di reddito vitale di dignità per ogni cittadino e per ogni famiglia, che è da sempre nelle nostre aspirazioni. Non si tratta di una richiesta avulsa dalle condizioni concrete della ricchezza prodotta dal Paese: nessun paese può infatti distribuire più ricchezza di quella che produce. Si tratta invece di un’azione costantemente attenta a calibrare il triplice contestuale strumento della politica occupazionale, della forbice massima fra redditi di lavoro, della partecipazione dei lavoratori nell’impresa.
Vissuta con tale orizzonte, l’economia complessiva è veramente "amministrazione della casa comune" finalizzata al "bene comune": che del resto può assumere diversificate gerarchie in funzione della natura di ogni singolo bene e di ogni singola persona. Vi sono ad esempio dei beni la cui natura appare anche al buon senso come collettiva o pubblica e perciò dotata di una legittima aspettativa di fruizione sostanzialmente paritaria da parte dei cittadini: tali sono ad esempio l’acqua, l’ambiente, la sicurezza. Tali beni sono essenziali e primari per la qualità della vita e per essi la presenza della mano pubblica, sia essa quella dello Stato o quella degli enti intermedi, non può non essere diversa da quella riservata a tutti gli altri beni, lasciati all’autoregolazione semplice del mercato.
Questa parola, chiara e ferma, ci è doverosa per il ristabilimento di una visione che è stata resa ambigua e infine controproducente da una tendenza superficiale di questi lunghi venti anni e oltre, favorevole a una semplicistica linea di privatizzazioni, condotta con indiscriminatezza pari a quella che a suo tempo aveva presieduto agli eccessi opposti delle statalizzazioni, o regionalizzazioni, o municipalizzazioni.
Il concetto che dobbiamo piuttosto avere sempre presente è quello della distinzione chiara fra privatizzazione e liberalizzazione: quando si tratta di beni primari liberalizzare è tendenzialmente un bene, privatizzare è tendenzialmente un male. La liberalizzazione salvaguarda e stimola anche l’intervento privato, la semplice privatizzazione può tendere a generare monopoli a fini di lucro, tanto più negativi quanto più riguardino beni appunto essenziali e primari per la dignità della persona.

V - ISTITUZIONI: LO STATO SNELLO PER LA PARTECIPAZIONE SOCIALE
Nelle polemiche interminabili che hanno accompagnato questo tipo di dibattiti sull’assetto dell’economia nazionale negli anni a noi vicini, si è tornati anche a chiamare in causa, più latamente, una "pesantezza dello Stato" che non sarebbe in grado di gestire con efficacia altro ruolo che non sia quello di asettico controllore delle regole che pone, e in nulla o quasi nulla dovrebbe riguardarlo il merito della regolazione sociale.
Storicamente c’è stata, in effetti, in alcuni comparti del sistema economico italiano, una parte di pesantezza che non era ulteriormente tollerabile perché fonte di aggravio di costi e contemporaneamente di danno all’efficienza.
Oggi è però essenzialmente sul piano burocratico che il concetto di "Stato snello" compia passi coraggiosi. E’ infatti valutazione condivisa senza incertezze che il nostro apparato-Stato abbia raggiunto una dimensione elefantiaca fonte a un tempo di sprechi e di inefficienze in alcuni casi intollerabili.
La ragione profonda che presiede a queste considerazioni è semplicemente, ancora una volta, quella che concepisce lo Stato come la organizzazione con la missione di servire la persona e la comunità ai fini della loro crescente autorealizzazione (art. 2 della Costituzione). Ed è questa chiave interpretativa che illumina anche le politiche relative alle articolazioni intermedie non territoriali attraverso le quali si svolge la vita sociale. Per questo che la Dc tutela la costituzione e la partecipazione dei cittadini a forme associative e imprenditive nel campo del lavoro come nei campi della cultura, dei servizi, delle iniziative di cittadinanza, delle tutele dei diritti, e così via: con l’obiettivo di realizzare quel vivace reticolo di vita sociale che possa andare a coprire la più vasta area possibile della domanda di servizi avanzata dai cittadini in questi settori. È nella cultura personalistica e comunitaria, connaturata con la storia del nostro partito, l’incoraggiamento attivo di quel "terzo settore", che può costituire la grande "infrastruttura sociale" nella quale possono trovare risposta meno burocratica e più densa di motivazioni e calore umano le domande e i bisogni meno considerati e protetti dalle istituzioni.
Un approccio solidaristico che si esplicita anche in senso geopolitico, con l’Europa che resta un riferimento che ci aiuta a tenere largo ed aperto l’orizzonte, ed anche un forte laboratorio di buone pratiche. Un’Europa che oggi pone la necessità di un ritorno allo spirito dei suoi padri fondatori, affinché sia di nuovo, innanzitutto, un ideale di fraternità con l’economia che segue: questo pensavano infatti De Gasperi, Adenauer, Schumann, Monnet, Spaak e gli altri fondatori.
Un approccio globale e solidaristico l’Europa deve rivolgere anche verso il Mediterraneo. Il mare delle tre religioni monoteiste, civiltà antiche che, intersecandosi, e non ignorandosi, hanno dato al mondo gran parte della civiltà che oggi lo unisce. È presente in me la suggestione indimenticabile dei "Dialoghi dei Mediterraneo" nella Firenze, "nuova Gerusalemme", del Sindaco Santo, che chiamava il nostro mare Lago di Tiberiade.
Questo approccio globale e solidaristico va perseguito e testimoniato, infine, per la ricerca della pace e dell’unità di tutto il pianeta. Messaggio che da Isaia fino alla Pacem in Terris e alla Caritas in Veritate, il Popolo di Dio vive come il traguardo finale della settimana storica dell’uomo che segue la settimana biblica della Creazione.

VI – PASSATO, PRESENTE, FUTURO: IL POPOLARISMO CHE VIVE.
Le considerazioni svolte sollecitano la politica i partiti ad una tensione morale e culturale superiore a quella attuale, e che possa alimentare anche le loro modalità interne di organizzazione e di democrazia partecipativa.
Anche il problema del finanziamento dei partiti si pone ormai con evidente urgenza morale. Nacque nel cuore degli anni 1970 con l’obiettivo dichiarato di consentire ai partiti di "non essere costretti a farsi corrompere", come si disse allora. L’intenzione era buona ma l’esito non fu felice ed è venuto peggiorando nel tempo.
Non è forse saggio tornare al puro e semplice sistema di "nessun finanziamento"; lo dico chiaramente "non vogliamo i soldi dello Stato". Noi preferiamo un sistema che, escludendo qualsiasi esborso di denaro pubblico, assicuri una normativa semplice, trasparente e facilitata, attraverso la quale ogni cittadino possa liberamente partecipare al finanziamento del partito nel cui programma si riconosce. A tal riguardo mi sembra del tutto condivisibile la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dal professor Pellegrino Capaldo.
A fronte dei molti profeti che frettolosamente diagnosticano la fine del partito politico, a me sembra che esso rimanga lo strumento meno imperfetto, lì’unico ancora in grado di consentire l’esercizio della moderna democrazia rappresentativa.
Non va confuso il partito ideologico che guidava le masse della società industriale, con le nuove forme partito capaci di interpretare e dare rappresentanza alla società post-moderna nel mondo delle tecnologie informatiche fattosi uno.
Nessuno di noi pensa di rifare quella Democrazia Cristiana, quelle sezioni, quei comitati, quelle commissioni, quella pletora organizzativa.
La prima delle nostre scommesse è costruire un partito nuovo adeguato alla società del ventunesimo secolo.
Mi sembra che la evoluzione da mettere in campo abbia, tra le altre, le seguenti caratteristiche:

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- a. Un forte snellimento statutario, che infonda trasparenza ed efficacia all’esperienza associativa democratica dei soci, accorciando vertiginosamente la distanza tradizionale fra vertice e base.
- b. Una quota maggiore di "democrazia diretta", nel senso di un incremento di peso decisionale degli iscritti, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie telematiche nel determinare la scelta dei singoli dirigenti del partito a tutti i livelli.
- c. Una mediazione ricca fra il valore fondante della sovranità associativa e la necessità di un coinvolgimento più pregnante dei mondi esterni che si riconoscono nella visione e negli ideali democratico-cristiani. Più peso agli iscritti e più peso ai simpatizzanti, insomma.
d. Una grande rigorosità nell’applicazione della certezza giuridica interna, con una magistratura di garanzia a sua volta semplificata e velocizzata.
- e. Un’attività di formazione permanente per tutti i livelli del partito: siamo anzi, su questo tema, a buon punto nella formulazione preparatoria di ipotesi che tengono conto delle esperienze migliori maturate in questi venti anni nel mondo della formazione politica e sociale.
- f. Infine, una diffusione capillare, sul territorio, di una rete di Circoli Culturali di Iniziativa Politica: non come luoghi di tessere da contare, ma come luoghi di aperta elaborazione, di formazione, di competenze e proposte e impegno sui problemi del territorio.
- g. Riteniamo utile affiancare al partito una fondazione col compito di approfondita e elaborata ricerca sui temi programmatici e sulle strategie della missione del partito

CONCLUSIONI
Cari amici, questo è, oggi, il mio contributo che, attraverso il dibattito di questi due giorni e dei giorni che seguiranno, è aperto ad ogni positiva integrazione, correzione, arricchimento.
Noi siamo qui con il proposito di realizzare insieme il passaggio da una storia antica ricca di successi ma anche dolorosamente responsabile di errori, verso un futuro che deve essere altrettanto ricco di successi e meno esposto agli errori. Mi permetto di aggiungere che rappresento una generazione il cui compito precipuo è, oggi, quello di fornire buon esempio e buoni consigli, trasmettere esperienza sana e forte, per far avanzare sul proscenio delle responsabilità sociali, compresa la guida del partito, le generazioni nuove.
Non è questione di anagrafe: vecchi e giovani hanno dato in tempi e modi diversi esempi eroici ed esempi deleteri. E’ invece questione di anima e di effettiva pratica della democrazia interna. E’ questa che provvede all’immancabile ricambio fisiologico della classe dirigente. Una sola condizione occorre, che non sempre abbiamo onorato in passato: una democrazia interna che vorrei definire, fanciullescamente, semplice e rocciosa per la sua credibilità. Insieme all’impegno quotidiano della nostra formazione permanente.
Nessuno deve mai violare la santità delle urne nelle quali i nostri iscritti sono chiamati a scegliere in coscienza le persone cui affidare la guida del cammino. Con semplicità e sapienza. Non abbiamo bisogno di altro. Forse, in questo momento, il Paese non ha bisogno di altro."

 

.EDIZIONI PRECEDENTI

Dalla Commissione europea - UE , Bruxelles 22 ottobre 2014
Verso l'UNIONE BANCARIA

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.
La Commissione vuole la VIGILANZA DIRETTA sulle Banche dell'UE,
fin qui compito delle Banche Centrali "nazionali.
."
Dubbi sulla adeguatezza dell'oggetto da vigilare.

Anche data al Fondo ESM, la facoltà del "salvataggio" delle Banche, tramite gli Stati..
Dubbi anche su questo. Nodo del problema :  salvare o nazionalizzare ?

Dalla Commissione Europea

COMUNICAZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO
E AL CONSIGLIO

Stralcio (Per il testo completo, clicca su: UE-Vigilanza)

  " Negli ultimi quattro anni l'Unione europea ha risposto in modo determinato alla crisi economica e finanziaria: significativi progressi sono stati compiuti nella realizzazione dell'Unione economica e monetaria (UEM) e un programma di sostanziali riforme finanziarie è in corso di attuazione, nel rispetto degli impegni assunti in risposta alla crisi finanziaria nel quadro del G20, miranti a rendere gli istituti e i mercati finanziari più stabili, più competitivi e più resilienti.
   Il completamento della riforma del quadro normativo dell'UE, pur essenziale, non sarà sufficiente per affrontare efficacemente alcune gravi minacce che pesano sulla stabilità finanziaria nell'Unione economica e monetaria. Sono necessari ulteriori misure per far fronte ai rischi specifici della zona euro, in cui l'accentramento delle competenze in materia di politica monetaria ha stimolato una forte integrazione economica e finanziaria e accresciuto la possibilità di effetti di ricaduta transfrontaliera in caso di crisi bancarie, e per spezzare il legame tra debito sovrano e debito bancario e il circolo vizioso che ha portato ad una situazione tale per cui è stato necessario utilizzare 4,5 mila miliardi di euro dei contribuenti per salvare le banche dell'UE.
   La crisi ha tuttavia dimostrato che, sebbene essenziale, il semplice coordinamento tra le autorità di vigilanza non è sufficiente, in particolare nel contesto della moneta unica. È pertanto necessario un meccanismo decisionale comune.
    È altresì essenziale contenere il crescente rischio di frammentazione dei mercati bancari dell'UE, che compromette gravemente il mercato unico dei servizi finanziari e ostacola l'effettiva trasmissione della politica monetaria all'economia reale in tutta la zona euro.
  La Commissione ha pertanto invitato alla creazione di una Unione bancaria, che consenta di rinsaldare le basi del settore bancario e ripristinare la fiducia nell'euro, in una prospettiva a più lungo termine di integrazione economica e di bilancio.
  Elemento fondamentale di tale processo è il trasferimento della vigilanza bancaria a livello europeo, un passo che dovrà essere poi seguito da altre misure, quale la creazione di un sistema comune di garanzia dei depositi e di una gestione integrata delle crisi bancarie.
    :::::::::::::::
    La presente comunicazione accompagna due proposte legislative che prevedono rispettivamente la creazione di un meccanismo di vigilanza unico con l'attribuzione alla BCE di specifici compiti in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la modifica del regolamento istitutivo dell'Autorità bancaria europea (EBA).

      European financial stability support

European financial assistance mechanisms are capable of supporting EU Member States in difficulty and thereby preserving the financial stability of the EU.
The financial crisis that hit the global economy at the end of 2008 has had several harmful consequences for Member States’ economies:

- the destabilisation of financial markets;

- the downturn in economic growth;

- the deterioration in the budget deficits and debt positions of the Member States.

The financial difficulties experienced by a Member State may present a serious threat to the financial stability of the European Union as a whole. It was therefore necessary to establish a package of European stabilisation actions providing financial assistance which is capable of supporting Member States in difficulty and thereby preserving the financial stability of the EU.

A safety-net for financial stability.mbiam

In May 2010, the European Union and euro-area Member States set up a stabilisation mechanism that consists of
  - the European Financial Stabilisation Mechanism (EFSM); and
  - the European Financial Stability Facility (EFSF)
to safeguard EU financial stability amid severe tensions in euro-area sovereign debt markets,
- In October 2014 the European Stability Mechanism (ESM) entered into force. Its main features build on the EFSF. The ESM will be the primary support mechanism to euro-area Member States and complements the new framework for reinforced economic surveillance in the EU. This new framework, which includes in particular a stronger focus on debt sustainability and more effective enforcement measures, focuses on prevention and will substantially reduce the probability of a crisis emerging in the future.

Alongside the EFSM, EFSF and ESM,
- unding from the International Monetary Fund (IMF); and
- possible ECB (European Central Bank) purchases of sovereign debt on secondary markets.
are available forming a viable safety-net, providing financial stability support.

Fiscal and economic measures – reinforced economic governance

The financial support is accompanied by fiscal and economic measures.For this purpose, the EU and its Member States have taken a series of important decisions that will strengthen economic and budgetary coordination in the EU as a whole and in the euro area in particular. As a result, the EU’s interdependent economies will be better placed to chart a path to growth and job creation.

Fonte:http://ec.europa.eu/economy_finance/european_stabilisation_actions/index_en.htm

NINO LUCIANI, Serve ripensare l'oggetto della vigilanza, se si vogliono evitare nuove "irresponsabilità" bancarie. Inaccettabile che il Fondo ESM possa essere usato anche per salvataggi bancari. Nei casi di gravi irresponsabilità, si dovrebbe nazionalizzarle a prezzo di fallimento.

  Premessa. Per "Unione Bancaria" non si intende "Associazione Bancaria" (pur se ci sarà anche una ABE). Si intende la sottoposizione delle Banche (insistenti nella UE) alla regolamentazione e vigilanza a livello europeo, da parte della BCE-Banca Centrale Europea.
  Pertanto, questo compito, oggi delle ex-Banche Centrali Nazionali, viene tolto a loro e passato alla BCE, che però se ne varrà.
   L'importanza di questo passo, lo si può desumere efficacemente da un recente Seminario, a cui ha partecipato (come ospite principale) il Governatore della Banca d'Italia (cliccare su: INDIGNADOS ): L''aspetto saliente è l'imbarazzo del Governatore alle domande circa il ruolo svolto (negli scorsi anni) dalla B.d'I. nei confronti delle crisi bancaria: precisamente l'impossibilità di agire per sproporzione tra dimensione (nazionale) di competenza della B.d'I. e dimensione (mondiale) di azione delle banche e istituti finanziari.
 
  2.- Al momento è una vigilanza su "poco". Il fatto che venga ampliato il quadro territoriale della vigilanza sulle banche (anzi, che è ancora poco, rispetto alla esigenza di un quadro mondiale) diviene importante, purchè sia rilevante l'oggetto della vigilanza.
   Al momento l'oggetto della vigilanza sarebbe:
   - sui requisiti patrimoniali bancari;
   - sul sistema delle garanzie ai clienti depositanti (trattasi di meccanismi assicurativi, fino a € 100), in caso di insolvenze bancarie.
   - Ci dovrebbe essere uniformazione delle prassi di vigilanza a livello europeo.
 
  Circa la adeguatezza di questi punti, rinvio a INDIGNADOS.
  Circa la sostanza della vigilanza, ritengo che essa sarebbe significativa se collegata a leggi che impongono al sistema bancario i seguenti requisiti::
  1) la separazione tra banche di credito ordinario e istituti di credito finanziario, abbandonando la "banca universale" attuale, secondo cui, regolandosi su criteri di profitto, la banca è libera di valutare i rischi degli impieghi bancari. La legge bancaria italiana ha fatto questo, come rimedio alla crisi degli anni 1930, molto simile a quella attuale;
  2) una riserva bancaria obbligatoria significativa, rispetto ai depositi in conto corrente, e che dovrebbe essere una cifra che sia nettamente superiore alla attuale, che sta mediamente in range tra il  2% e il 7%, salvo eccezioni anche molto alte. In Italia, questo parametro fu fatto valere da L. Einaudi, come Governatore di Bd'I, e allora stava sopra il 25%).
  Ma questo non è. In Europa la vera funzione della "riserva" è, invece, voluta in termini di "patrimonio", che è cosa impalbabile, perchè una cosa il capitale liquido (una quota dei depositi, custodita presso la banca centrale), una cosa è il patrimonio liquidabile (che è cosa soggetta a rischio).
  L'Inghilterra pare volere una legge come quella italiana del 1936 (separazione tra banche di credito bancario e istituti finanziari).
   Nei mesi scorsi, la Regina d'Inghilterra ha dato notizia di conforme decisione del suo governo al Parlamento britannico. Clicca su: Regina.
  C'è dell'altro. Il Partito laburista, di recente, ha fatto sapere di   condividere l'idea, e anzi di volerne accelare i tempi di applicazione,una volta al potere.

  3.- Per un limite alla creazione di "moneta bancaria". Chiarisco subito, per gli eventuali lettori "non di economia bancaria" che il meccanismo della riserva obbligatoria determina la fabbricazione di moneta bancaria, in aggiunta alla fabbricazione di moneta legale da parte della BCE. In parole brevi, se la riserva bancaria obbligatoria è il 10% dei depositi correnti, il sistema bancario riesce a creare moneta bancaria pari a 10 volte la moneta legale; e se la riserva è il 5%, la fabbricazione di moneta bancaria è 20 volte quella legale.
  Attualmente la moneta legale in € è di 920 miliardi circa. Pertanto, la moneta bancaria dovrebbe stare nell'intorno € 13.150 miliardi.  
   Questo fatto è molto pericoloso per la società civile, per due motivi: per l'impatto sul livello generale dei prezzi, e sul potere monetario delle banche sulla società civile. Vediamo meglio.
   a) effetti sul livelli dei prezzi. Luigi Amoroso, uno dei grandi economisti neo-cclassici italiani, integrò la nota equazione dello scambio di Fisher (si vegga: L. Amoroso, Le leggi naturali dell'economia; UTET, cap. IX), nel seguente modo : P = (M V + N W) / T  , vale dire aggiungendo alla moneta legale (moltiplicata per la rispettiva velocità media di circolazione) la moneta bancaria (moltiplicata per la rispettiva velocità media di circolazione).
   Sicuramente, Draghi si sarà accorto che, fermo T (volume delle transazioni di merci e servizi), e fermo V e W , non c'è stata relazione univoca tra variazione della circolazione di banconote in € e livello generale dei prezzi. Il motivo è che, nel calcolo, non è stato tenuto conto di N (moneta bancaria).
  b) appropriazioni bancarie indebite della ricchezza altrui. E' noto che, da molti anni ormai, lo Stato non ha più il potere di fabbricazione della moneta legate (salvo per la moneta metallica, a titolo poco più che simbolico, oggi); e che questo potere è oggi delle banche centrali, indipendenti dal potere politico.
   Il cambiamento risale al fatto che, un tempo, prìncipi e monarchi assoluti, fabbricando moneta in proprio, potevano arricchirsi comprando gratis qualsiasi cosa, in pratica spogliandone i cittadini.
  Quanto sta succedendo con le banche (universali) è praticamente lo stesso scempio. La fabbricazione di moneta bancaria porta allo stesso risultato, pur se il meccanismo non è più spudorato come ai tempi delle monarchie assolute.
  Lo abbiamo visto dalle retribuzioni e dalle liquidazioni (per cessato servizio) dei manager bancari di maggior successo. Noi abbiamo, anzi, un ministro in carica che risulta essere stato liquidato con € 4 milioni.
  Nel caso delle banche, il meccanismo consiste nella possibilità eccessiva di moltiplicazione delle transazioni bancarie, e conseguentemente nel lucrare una provvigione sulla transazione, ed un profitto sulla differenza sui tassi di interesse attivi e passivi.

  4. No al salvataggio delle banche speculatrici, fuori limite. E' di queste settimane l'annuncio della Commissione, che il Fondo Salva Stati (ESM) potrà ricapitalizzare le banche tramite gli Stati. Credo si tratti che gli Stati potranno emettere titoli per la raccolta di denaro con cui comprare, a loro volta, emissioni di obbligazioni bancarie.
  La normativa sull'ESM (vedi a fianco) non prevede operazioni salva-banche, e dunque si tratterebbe di una prossima interpretazione estensiva del testo.
   Credo che il salvataggio possa ammettersi solo per le banche sfortunate, ma serie. In tutti gli altri casi, credo che gli Stati debbano valersi dei soldi ESM, ma per nazionalizzare, a prezzo di fallimento, le banche che hanno ecceduto in sprovvedutezza. Nessun salvataggio. NL

 

Dal "CONSIGLIO della BCE":  "La GRANDE DECISIONE
del  6 settembre 2014, per lo SCUDO ANTI-SPREAD

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La scheda tecnica "OMTs" (Outright Monetary Transactions) della BCE
e  le condizioni agli Stati, perchè la BCE possa acquistare Bond senza limiti

LUCIANI: Gravi danni all'Italia dai ritardi dell'UE. E, ora, troppe condizioni agli Stati
dalla BCE...,  un vero ostacolo all'operatività del programma anti-Spread
Manca anche una chiarezza su "chi" dovrebbe nazionalizzare
una banca, in caso di fallimento, se uno Stato non ha i mezzi.
NO A SALVATAGGI BANCHE, SI' A NAZIONALIZZAZIONI, SE IN STATO DI FALLIMENTO

Dal CONSIGLIO della BCE, Le decisioni anti-spread del 6 set 2014

Stralcio della Conferenza introduttiva del Presidente Draghi
e successiva scheda tecnica completa delle "OMTs"

( Fonte: http://www.ecb.int/press/pressconf/2014/html/index.en.html
http://www.ecb.int/press/pr/date/2014/html/pr120906_1.en.html )

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  Nota. Nel comunicato non si dice del motivo del NO della Deutsche Bundesbank, ma lo rileviamo da una sentenza della Corte Costituzionale tedesca: Per la Bundesbank (ricorrente): "L'acquisto illimitato e indipendente di titoli di Stato sul mercato secondario, da parte della BCE (volta a finanziare il Bilanci di Stati membri), è vietato perchè sarebbe aggirare il divieto di finanziamento monetario."

   M. Draghi: "Il Consiglio direttivo ha deciso oggi le modalità per intraprendere transazioni monetarie dirette (OMTs, Outright Monetary Transactions) in mercati secondari delle obbligazioni sovrane della zona euro.
  Come abbiamo detto un mese fa, abbiamo bisogno di essere in grado di salvaguardare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria in tutti i paesi dell'area dell'euro. Il nostro obiettivo è di preservare l'unicità della nostra politica monetaria e per garantire la corretta trasmissione della nostra posizione politica per l'economia reale in tutta l'area.
   Le OMTs ci permetteranno di affrontare gravi distorsioni nei mercati dei titoli di Stato che hanno avuto origine, in particolare, le paure infondate da parte degli investitori della reversibilità dell'euro. Quindi, in condizioni adeguate, avremo un fermo pienamente efficace per evitare gli scenari distruttivi con sfide potenzialmente gravi per la stabilità dei prezzi nell'area dell'euro.
  Ripeto quello che ho detto il mese scorso: agiamo rigorosamente all'interno del nostro mandato di mantenere la stabilità dei prezzi nel medio termine, noi agiamo in modo indipendente nel determinare la politica monetaria e l'euro è irreversibile.
   Al fine di ripristinare la fiducia, i responsabili politici della zona euro devono portare avanti con grande determinazione il risanamento di bilancio, le riforme strutturali per rafforzare la competitività europea e delle istituzioni.
  Allo stesso tempo, i governi devono stare pronti ad attivare l'EFSF / ESM sul mercato obbligazionario (primario, NdR), quando circostanze eccezionali sui mercati finanziari e dei rischi per la stabilità finanziaria esistono - con una condizionalità rigorosa ed efficace in linea con le linee guida stabilite.
   L'adesione dei governi ai loro impegni e il rispetto da parte del EFSF / ESM del loro ruolo sono condizioni necessarie per le nostre operazioni definitive da effettuare e per essere efficace.
  Dettagli delle operazioni definitive monetarie sono descritti in un comunicato stampa separato (che qui segue, N.d.R).

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ALLEGATO

Scheda tecnica delle OMTs (Transazioni Monetarie Dirette) dell'Eurosistema.

" Come annunciato il 2 agosto 2014, il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha adottato oggi le decisioni su una serie di caratteristiche tecniche riguardanti le transazioni dell'Eurosistema nei mercati secondari delle obbligazioni sovrane, che mirano alla salvaguardia di una appropriata trasmissione e singolarità della politica monetaria. Esse saranno conosciute come OMTs (Transazioni Monetarie Dirette) e sarà condotta nel quadro seguente:

  Condizioni.   Una condizione necessaria per definitive le transazioni monetarie è una condizione (rigorosa ed effettiva ) collegata a programmi adeguati circa il Fondo Finanziario Europeo di Stabilità Facility o il Meccanismo europeo di stabilità (EFSF / ESM).
  Tali programmi possono assumere la forma di uno vero programma di aggiustamento macroeconomico o un programma di precauzione, a condizione che comporti la possibilità di acquisti sul mercato primario da parte dei detti EFSF / ESM.
  Il coinvolgimento del FMI (Fondo Monetario Internazionale) è inoltre richiesto per le specifiche condizioni al paese interessato e il monitoraggio del relativo programma.
   Il Consiglio direttivo prenderà in considerazione le OMTs nella misura in cui esse sono garantite dal punto di vista della politica monetaria, fino a quando le condizioni sono rispettate pienamente rispettata, e termineranno una volta che i loro obiettivi sono raggiunti o quando non vi è conformità con la regolazione macroeconomico o con il programma precauzionale.
    A seguito di una valutazione approfondita, il Consiglio direttivo deciderà in merito alla continuazione o alla sospensione delle OMTs, in piena discrezionalità e agendo in conformità con il suo mandato di politica monetaria.

   Copertura.  Le OMTs saranno prese in considerazione per i futuri casi di programmi di aggiustamento o precauzionali (di cui ai EFSF / ESM ), come sopra specificato. Esse possono anche essere prese in considerazione per gli Stati membri, correntemente, per un programma di aggiustamento macroeconomico, in caso di quando riacquistare dei bond sul mercato.
   Le transazioni si concentreranno sulla parte più breve della curva dei rendimenti, e in particolare sulle obbligazioni sovrane con scadenza compresa tra uno e tre anni.
    Nessun limite ex-ante quantitativi è fissato alle OMTs .

  Trattamento del creditore. L' Eurosistema intende chiarire nell'atto giuridico relativo alle OMTs che esso accetta lo stesso trattamento (pari passu) dai creditori siano essi privati o altri tipo per quanto riguarda le obbligazioni emesse da paesi della zona euro e acquistate dal dell'Euro-sistema tramite le OMTs, in conformità con i termini di tali obbligazioni.

Sterilizzazione. La liquidità creata attraverso le OMTs sarà completamente sterilizzato.

  Trasparenza. Le partecipazioni aggregate alle OMTs e i loro valori di mercato saranno pubblicati su base settimanale. La pubblicazione della durata media delle partecipazioni alle OMTs e la ripartizione per paese avrà luogo su base mensile.

  Programma dei mercati dei titoli di Stato.  A seguito della decisione odierna sulle OMTs, il precedente (parola aggiunta dal Redattore) Programma dei Mercati dei titoli di Stato (SMP) termina. La liquidità iniettata attraverso lo SMP continuerà ad essere assorbito come in passato, ed i titoli esistenti in portafoglio SMP si terranno fino a scadenza.

LUCIANI: Troppe condizioni...,  un boomerang per l'efficacia della scheda, e che rivelano anche il procedere impacciato della BCE

  Premessa. Solo per chiarezza, l'acquisto di titoli di Stato, fino a tre anni, non è l'ombrello classico delle Banche Centrali, per comprare i titoli degli Stati risultati non collocati presso il pubblico, ma titoli degli Stati già collocati presso i Fondi Salva-Stati, nei limiti delle loro disponibilità. Sia anche chiaro che, invece, la BCE ha disponibilità illimitate, essendo il fabbricatore di moneta cartacea Euro.
  Ma Draghi chiarisce che il nuovo strumento (OMTs,) sarà efficace solo in coordinamento con questi Fondi, per cui di fatto le disponibilità potrebbero dover sottostare ad un TOP. Ma Draghi dice di "nessun limite" ...
  Non solo questo. Draghi dice anche che l'intervento illimitato della BCE sul mercato secondario ci sarà solo in presenza della osservanza di determinati comportamenti virtuosi degli Stati, in materia di bilancio (le cosiddette "riforme", di cui molti si riempiono la bocca, ma sprovvedutamente, forse anche Draghi, almeno un pochino).
  In particolare, la presunzione che gli Stati adempiranno a tali comportamenti dovrebbe venire da determinati accordi BCE-Stati, e che saranno la base per il monitoraggio della BCE circa gli adempimenti.
   Vediamo perchè queste condizionamenti sono un debordo dai compiti della Banca, e soprattutto sono dannosi per l'efficacia del programma.
   C'è. poi, una questione legata al fatto che, sulla testa di uno Stato, potrebbe cadere qualche tegola che lo rende improvvisamente impotente (cosa potrebbe fare, in caso di fallimento di una grossa banca in dato Stato, avente legami forti con banche di altro Stato ?)
   E c'è, poi, una questione circa possibili effetti fuori controllo, di inflazione, molto enfatizzati dalla stampa tedesca, e su cui rinvio ad altro servizio.

  2.- Responsabilità della UE. Urgenza dell'operatività dello Scudo anti-SPREAD. Chiariamo subito che il ritardo della politica UE anti-Spread ha molto danneggiato l'Italia: nel senso che lo SPREAD ha aumentato la spesa pubblica per far fronte ai maggiori interessi sul debito e questo ha improvvisamente resa inutile una parte dei sacrifici degli Italiani, già abbastanza provati.
   Diciamo anche che le nuove "condizioni" agli Stati, poste dalla BCE, sono un debordo dalla retta via, da parte della BCE. Vediamo meglio:
  a) Come ricorda Draghi, la BCE è un istituto indipendente dagli Stati, con il compito di tutelare la stabilità dei prezzi (associatamente ad
un elevato livello di occupazione e una crescita sostenibile - NdR).
   Anzi, storicamente le banche centrali sono state disancorate dal potere politico, per sottrarle alla strumentalizzazione (da parte di questo) che, fabbricando  moneta a oltranza, finiva per avere un potere dispotico illimitato sulla società civile (comprare tutto, fare guerre finanziate facilmente...). Noi in Italia, la Banca d'Italia "indipendente" la facemmo durante il fascismo (1926) ma di fatto ci fu una lunga tradizione che la rese "serva" del potere politico, ... finchè Einuadi fece un qualcosa nel senso giusto (ad es., ottenne che il governatore fosse nominato a vita ..., cosa poi eliminata in seguito alle "sciocchezze" fatte da Fazio), ma che pure non bastò ...dopo di lui.
   Oggi, però e cose si sono invertite. E' Draghi che vuole imporsi agli Stati e riesce a farlo (mettendosi in mezzo) grazie al fatto che gli Stati litigano tra di loro, bilanciandosi reciprocamente.
    D'altra parte, gli Stati non possono accettare riforme "fuori campo". A questo proposito, la politica fiscale è rimasta sotto la sovranità degli Stati, in quanto tra essi vi possono essere differenti scelte circa il grado di statizzazione del sistema economico. Parrebbe che in UE si voglia una riduzione della statizzazione. Personalmente penso che in, Italia, l'elevato grado di statizzaione (vicino al 60%) sia all'origine del decadimento dell'economia italiana, da almeno 20 anni. Ma una cosa sono le mie idee, una cosa sono le idee dell'elettorato.
   Per l'UE deve essere sufficiente la fedeltà degli Stati agli accordi di Maastricht: precisamente essere in regola con il bilancio.
  C'è, poi, la circostanza che, in tempi di congiuntura "depressa", le misure restrittive peggiorano le cose. Anche in questo senso, è possibile che nessuno Stato faccia le "riforme liberali" raccomandate dalla UE e, (per ritorsione della UE) la debolezza dell'Euro si trascini a lungo ahimè, molto pericolosamente.
    Mi pare che, in partcolare, nel caso della Grecia, il debordo della UE sia eccessivo. Non si è ancora capito che la Grecia non ha la possibilità di pagare tutti i debiti ? E quindi o le fai un regalo, o la butti fuori.
  b) Condizioni veramente necessarie alla BCE. Le suddette "condizioni", quali presupposto per le OMTs,) non sono davvero necessarie alla BCE, per fare il suo lavoro efficacemente.
  In generale, un banchiere (a cui una impresa chieda un prestito) va a verificare il rapporto tra attivo corrente e passivo corrente del bilancio di quella impresa. E se il rapporto è ritenuto congruo, il banchiere fa il prestito.
   Lo stesso dovrebbe fare Draghi, nei confronti degli Stati. La valutazione circa le condizioni rientra nella discrezionalità di Draghi.

   Se è vero che la BCE si deve occupare della stabilità dei "prezzi", perchè mai non potrebbe occuparsi anche della stabilità dei tassi di d'interesse, che sono anch'essi dei "prezzi" ? Lo può fare senza fare accordi "monetari" bilaterali con singoli Stati, e agire autonomamente, di suo, se sa il fatto suo.
  Sapere il fatto suo vuol dire che la BCE deve farsi un'idea di quello che è il "prezzo" congruo del denaro, di volta in volta, nei singoli casi, per i singoli Stati.
    Vediamo meglio. Nel caso dello Stato iItaliano, è un fatto conclamato l'aver fatto quanto necessario per evitare la bancarotta (vedi: il pareggio del bilancio in Costituzione e avviarsi e realizzarlo nel 2013; i riconoscimenti delle autorità europee ...). Se, dunque, queste sono cose vere (o invece, i riconoscimenti della UE sono bugie ?), perchè la BCE dovrebbe pretendere una "domanda formale" di intervento, dallo Sato italiano, alla BCE e quant'altro ?
c) Sul ruolo dei Fondi Salva Stati. Draghi vuole anche che gli interventi della BCE siano preceduti da interventi dei Fondi Salva Stati.  Ma il funzionamento di quei Fondi è problema di competenza degli Stati, e Draghi deve agire in modo "indipendente" dagli Stati.
  Direi anche qualcos'altro a conclusione: la ricerca di "accordi BCE-singoli Stati" finiranno per legare le mani alla BCE. Già ..., perchè il sopravvenire di inadempienze degli Stati non sarà sempre oggettivamente palese e ne deriveranno dei contenziosi, che finiranno nella aule di tribunale..., con le relative conseguenze boomerang. Anche la ricerca di questi accordi è un debordo, anzi un boomerang per l'indipendenza della BCE.

3.- Quid se subentrasse un buco nero bancario ?  Quanto prefigurato dalla BCE (vale dire l'ipotesi che lo Stato assistito con le OMTs, sia avviato verso il pareggio del bilancio), potrebbe trovarsi inceppato all'improvviso, per un fatto nuovo (ipotizzato più sopra): una grande banca italiana sta fallendo, perchè è fallita una grande banca spagnola, a cui la prima aveva fatto crediti importanti.
   In casi di fallimenti bancari, lo Stato italiano, nel 1929-36 nazionalizzò varie banche e subentrò ad esse nei rapporti con i risparmiatori. Ma allora il debito pubblico era il 30% del PIL e la Banca Centrale non aveva limiti come ombrello al Tesoro.
   Oggi (preso atto che lo Stato italiano non è in condzioni di farlo) chi provvederebbe ?    Non mi risulta che i due Fondi Salva-Stati possano nazionalizzare Banche, nè mi risulta che l'UE possa farlo direttamente, in base ai Trattati. Al tempo stesso l'idea di rifinanziarle (da BCE), anche se hanno agito speculando, è economicamente e moralmemte inaccettabile.
   Forse l'UE potrebbe  fornire i quattrini alla Stato italiano, per nazionalizzare quella banca, e impegnarsi a subentargli, poi, nella proprietà della banca fallita.
   Non risulta "chi" dovrebbe farlo in caso di fallimento di banche, e   se uno Stato non ha i mezzi. NL

 

.EDIZIONI PRECEDENTI

Dalla Unione Europea, a 27 Stati Membri, riunione di Bruxelles, fine giugno 2014

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In margine allo
SCUDO ANTI-SPREAD

Non solo un problema tecnico, ma anche un problema di credibilità dell'UE,
dopo la cessione del potere monetario alla BCE-Banca Centrale Europea

Come configurare lo scudo, tecnicamente

  Nino Luciani, Come potrebbe funzionare un ombrello anti-spread ? E' noto che gli Stati dell'area Euro hanno ceduto il potere monetario al livello europeo, diciamo alla UE in senso generico, e alla BCE in senso tecnico. Sotto questo aspetto non sono ammissibili vuoti normativi, in materia di intervento monetari.
   Va preso atto, al tempo stesso, che i casi di default degli Stati, per inadeguato uso del potere fiscale (rimasto agli Stati) rientrano in una specie di limbo, nel quale lo spazio fiscale non è separato dallo spazio monetario, ma dentro il quale sono tuttavia possibili delle distinzioni di grado.
   Precisamente è la stessa distinzion che c'è tra debito fluttuante (quello per disavanzi correnti di cassa, ma compensati a breve termine mediante la cassa corrente medesima) e debito a medio-termine.
   Nei casi di Paesi, come l'Italia, che non solo ha messo in Costituzione il pareggio del bilancio e che ha già approvato leggi di rientro del deficit di bilancio entro il 2013, di direbbe che la la variazione del debito totale è praticamenyte trascurabile e quindi la tipologia delle emissioni dei Buoni del Tesoro, anche se non "ordinari" in senso stretto, è qualcosa che promette seriamente di avvicinarsi a quelli ordinari. E se così non fosse, le varie dichiarazioni pubbliche dei Dirigenti europei sarebbero state solo bugie.
    Ne deriva che la probabilità dell'uso dell'ombrello sono praticamente nulle. Ciò non toglie che l'istituzione dell'ombrello non sia urgentissimo e il motivo è la deterrenza che esso eserciterebbe nei confronti di chiunqueci provasse ad aggredire le emissioni italiane.
    Rimane da chiarire la tecniciyà dell'ombrello, perchè quanto raccontato dai giornali non mi pare dica bene le cose.
   Per chiarire la possibile tecnicalità o, per meglio dire, affincè l'ombrello abbia un senso, la cosa migliore è prendere in considerazione il vecchio "ombrello" della Banca d'Italia nei confronti del Tesoro, che emetteva Buoni in Lire.
   Allora, il Tesoro emetteva titoli ad un prefissato tasso (o nell'intorno di un prefissato tasso). Qualora il mercato non assorbisse l'intera emissione, la Bd'I comprava l'eccedenza, a quel tasso.
   Pur se, nel caso delle emissioni dei titoli i n Euro, la BCE non può fare da "ombrello", ma comprare da un intermediario (che ha già comprato titoli presso il Tesoro) il risultato "dovrebbe" essere il medesimo. Precisamente, l'Intermediario dovrebbe essere uno dei due Fondi europei salva-Stati. Il tasso di interesse, di emissione, dovrebbe essere deciso dal Tesoro, d'intesa con la BCE.
   Domanda finale: quale sarà la fine ultima dei titoli in acquisto, sotto l'ombrello ?
   Due possibili risposte:
   a) rimane l'obbligo del Tesoro italiano del rimborso alla normale scadenza, dovunque si trovino i titoli;
   b) nel tempo intermedio tra quello dell'emissione e quello del rimborso, la BCE potrebbe collocare sul mercato i titoli in portafoglio, a proprio rischio di guadagni o perdite.
   Una osservazione finale. Lo scopo dell'ombrello è permettere al Tesoro l'esercizio del potere sovrano dello Stato di prefissare il tasso di interesse, alla stessa stregua di quanto lo Stato "dovrebbe" poter fare per i "prezzi pubblici" in generale, in condizioni normali, vale dire quando ha i propri conti in regola. E siccome, nella presente situazione storica lo Stato italiano non può garantire in assoluto il mercato, c'è il soccorso dell'U.E., come seconda firma.
   P.S.- Sul fatto di avere, l'Ialia, i conti in regola, qualche Stato dll'U.E. potrebbe ulteriormente eccepire che i conti sono davvero in regola se coerenti col Trattato di Maastrichit, in particolare se il rapporto debiro PIL fosse 60%. Spero che questa eccezione drastica non ci abbia luogo, se deve avere un senso la partecipazione dell'Italia all'U.E., tenuro dei passi del governo MONTI.

EDIZIONE  PRECEDENTE


UNIVERITA' di BOLOGNA - Consiglio di Amministrazione

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Prof. Gianni Porzi, al termine del suo mandato di Consigliere
"rappresentante del Governo", pronuncia discorso di saluto

Saluto al CdA

Frattanto dagli amici "veri", gli sono pervenuti indirizzi di stima e ringraziamento

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   Poiché l'odierna seduta potrebbe essere l'ultima di questo Consiglio ed il Magnifico Rettore deve abbandonare l'aula per impegni, chiedo qualche minuto per formulare un saluto al CdA. In genere, in tali occasioni, è quasi d'obbligo dichiararsi dispiaciuti, dire che è stata una bella esperienza e così via.
  Invece, devo confessare che non provo nulla di tutto ciò, anzi sono contento che questo impegno sia finito. Infatti, nei sei anni trascorsi in S.A., data la mia formazione, ho vissuto momenti di disagio (testimoniato peraltro dalle dimissioni nel 2008 dalla Commissione del Personale), che non sono mancati anche nei successivi tre anni in CdA, tanto che a volte ho anche pensato di dimettermi.
  Un disagio che è diventato amarezza in questo ultimo anno, in occasione cioè dei profondi cambiamenti dovuti alla Legge 240 che ho sempre ritenuto più frutto di una volontà di legiferare a tutti i costi che non del desiderio di garantire un futuro migliore ad una realtà così complessa qual'è il mondo universitario.
   Non ho mai nascosto il mio atteggiamento critico su alcuni aspetti della Legge come pure su alcune scelte importanti fatte dall'Alma Mater, e mi riferisco in particolare alla governance.
   Ho sentito critiche aspre alla Legge, a mio avviso a volte anche esagerate, ma non sempre ho poi riscontrato un atteggiamento coerente nel momento cruciale, cioè nella fase di elaborazione e approvazione dello Statuto. Forse perché è più facile, ed anche più comodo, criticare l'operato di chi non è presente grazie al fatto che non si rischia nulla, "non si paga dazio", come suol dirsi.

   Ciò premesso, vorrei rivolgere un doveroso e rispettoso saluto a tutti i Consiglieri a cominciare dal Magnifico Rettore con il quale ci sono stati momenti di convergenza, ma anche momenti in cui le nostre opinioni non sono state affatto in sintonia.
  Ho sempre cercato, e spero di esserci riuscito, di tenere comportamenti coerenti, sicuramente disinteressati, improntati alla correttezza, all'onestà intellettuale e mai dettati da posizioni ideologiche o preconcette.
  Mi preme sottolineare con forza che quando mi sono trovato in disaccordo con le Tue posizioni, Magnifico Rettore, non è stato mai per motivi personali, ma perché ritenevo non solo un diritto, ma anche un dovere esprimere le mie opinioni.
   Comunque, le mie posizioni hanno sempre rispecchiato esclusivamente il mio pensiero, la mia formazione e non sono mai state contro qualcuno "a prescindere".

  Saluto con viva cordialità il pro Rettore Vicario che ricorderò con simpatia e stima anche perché ho apprezzato la sua correttezza, compostezza, senso di responsabilità, nonché la chiarezza e la meticolosa precisione nell'illustrare le numerose pratiche a lui affidate.

  Saluto il Direttore Generale al quale mi permetto di rivolgere un rispettoso appello. Sono consapevole che non è facile amministrare una grande Istituzione qual'è l'Alma Mater, grande non tanto e non solo per le sue dimensioni, ma in particolare per il suo prestigioso passato che mi auguro si possa presto rinnovare. Ed è proprio per raggiungere tale obiettivo che sono certo Lei si impegnerà al massimo perché tutto il Personale sia messo in condizione di potersi esprimere al meglio per il bene di questa Istituzione.

   Auspico che venga instaurato un rapporto costruttivo, di piena collaborazione con il Personale tutto al fine non solo di rendere il più possibile efficiente il sistema, ma anche di creare un clima sereno, indispensabile per raggiungere i migliori risultati possibili.

   Un cordiale saluto al Dr. Danzo che, grazie anche alle sue valide collaboratrici, svolge con professionalità, competenza e senso di responsabilità un compito molto delicato quale la verbalizzazione delle sedute.

  Ritengo meriti un plauso e un riconoscimento per l'impegno profuso e la capacità ampiamente dimostrata.

   Un saluto particolare a quei Consiglieri con i quali in alcune occasioni mi sono trovato in sintonia, seppure con sfumature e forse anche motivazioni differenti, come del resto è giusto e normale che sia, perché ognuno ha la propria personalità, la propria formazione, avendo maturato esperienze diverse e non essendo inquadrati come "soldatini".

  Infine, un saluto caloroso al Collega Bigi che ricorderò con stima perché persona coerente, coraggiosa ed intellettualmente onesta, pronta ad anteporre agli interessi personali quelli di questa Istituzione. Sono doti non comuni in quella variegata umanità che Sciascia nel romanzo "Il giorno della civetta", classifica in : "uomini, mezz'uomini, ominicchi, (la quarta categoria non è ripetibile in questa sede) e quaquaraquà".  Il capomafia locale don Mariano Arena aggiunge poi : "pochissimi gli uomini, i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini e invece no, scende più giù, agli ominicchi e ancor più giù fino ai quaquaraquà che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere".   Don Mariano rivolgendosi poi al Capitano dei carabinieri Bellodi dice : "Anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo".

   Concludo con la locuzione latina "qui gladio ferit, gladio perit" che ritengo alquanto appropriata in questo momento storico per l'Università. Infatti, con la Legge 240, la ex Ministra on. Gelmini ha introdotto nei CdA degli Atenei i "tecnici" (cioè persone con professionalità di livello molto elevato, dei "quasi-Marchionne") e, ironia della sorte, a distanza di qualche mese, se li è trovati al Governo.
    

 

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BOLOGNA -  ELEZIONE DEL SENATO ACCADEMICO
APPROVATO IL REGOLAMENTO ELETTORALE ( 7 feb. 2014)
Per trovare il testo, clicca su: elezioni




Gianni Porzi*, MALA TEMPORA CURRUNT

  

*
Università di Bologna, Membro del CdA

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Gianni Porzi


MALA TEMPORA CURRUNT

    Con l’approvazione del “Regolamento per l’elezione delle componenti dei Direttori di Dipartimento e del Personale Docente, Ricercatore e Tecnico Amministrativo nel Senato Accademico” (avvenuta il 7 febbraio u.s.) si chiude la fase preparatoria per il nuovo assetto della governance dell’Ateneo. Non ritengo che in tale occasione sia stata scritta una bella pagina della storia dell’Alma Mater, anche se certamente non la peggiore - primato che a mio avviso spetta all’approvazione dello Statuto del luglio scorso - ma una continuazione di quella linea di politica universitaria della quale non credo sia un vanto per l’Ateneo.
    In occasione dell’approvazione di tale Regolamento in CdA, il sottoscritto e il collega Giorgini hanno presentato due emendamenti, entrambi finalizzati a che del nuovo Senato Accademico potessero far parte tutte le componenti del corpo docente, nel rispetto del principio democratico della massima rappresentatività. Infatti, l’emendamento di Giorgini poneva la incompatibilità dei Direttori di Dipartimento a candidarsi quali Rappresentanti d’area, essendo già a loro riservati 10 posti nel Senato, e il mio prevedeva che per ciascuna delle 5 aree elettorali fosse eletto un Prof. di I fascia, un Prof. di II fascia e un Ricercatore.
   Se entrambi gli emendamenti fossero stati approvati, avrebbero fatto parte del nuovo S.A. 10 Direttori, 5 Prof. di I fascia, 5 Prof. di II fascia e 5 Ricercatori; il Senato sarebbe stato così l’organo accademico in cui, non solo le aree (peraltro prevalentemente di tipo elettorale), ma anche tutte le componenti della docenza sarebbero state rappresentate in accordo al principio di rappresentanza democratica della comunità universitaria peraltro previsto dall’art. 6, comma 1 dello Statuto.
    Inoltre, garantire una rappresentanza più ampia possibile sarebbe stato opportuno anche per evitare la formazione di cartelli elettorali (possibilità affatto remota) che darebbe una brutta immagine dell’Alma Mater e potrebbe anche creare dannosi attriti all’interno della stessa comunità accademica.
   Essendo stati respinti entrambi gli emendamenti (15 contrari e 8 favorevoli), il CdA ha sostanzialmente fatto una scelta ben precisa, e cioè ignorare quei principi fondamentali della rappresentatività democratica nella governance dell’Ateneo, perfino nel caso di un organo collegiale quale il nuovo S.A. che avrà il solo compito di formulare proposte e pareri, essendo tutto il potere decisionale in capo al nuovo CdA.
  
   Ho la fondata sensazione che l’Ateneo si trovi a dover affrontare un lungo periodo di oscurantismo durante il quale il potere sarà gestito da una ristretta oligarchia.
   Viene così annullato quel tasso di democrazia, garantito dal precedente Statuto (risalente a circa 20 anni fa), per lasciare il posto al ben noto “dirigismo”.
   Invece della democrazia reale andrà così in scena, purtroppo, la sua parodia.
   Presto molti, e in particolare i meno giovani, rimpiangeranno il DPR 382 (del lontano 1980) al quale mise mano il Senatore Prof. Spadolini, profondo conoscitore del mondo universitario, uomo di grande cultura, politico di alto profilo e persona che aveva un profondo senso delle Istituzioni e della democrazia.
   Non era certamente uomo che avesse bisogno, per farsi ricordare dalla storia, di legare il proprio nome ad una Legge, in quanto, grazie alla sua levatura, sarebbe rimasto comunque negli annali della storia politica e culturale italiana.
   Quella fu una Riforma veramente epocale in quanto era innovativa e proiettata nel futuro, rappresentando una netta discontinuità con il passato.
    Invece di tenere il DPR 382 come punto di riferimento fondamentale per una modernizzazione dell’Università, con la Legge 240 sono stati erosi spazi all’autonomia universitaria, in particolare per quanto riguarda la governance; e nello specifico l’Alma Mater ha poi contribuito sia con uno Statuto che concentra tutto il potere nei vertici dell’Ateneo, sia con il recente Regolamento che non garantisce il principio della più ampia rappresentanza possibile del corpo docente nel nuovo S.A.
   La Legge 240 lasciava spazi, seppur limitati, per una governance meno verticistica, ma l’Alma Mater ha deciso di non utilizzarli, scelta che invece è stata fatta dagli Atenei di Genova, Parma e dal Politecnico di Torino, quest’ultimo essendosi opposto anche al ricorso amministrativo intentato dal Ministero.
   Personalmente ho potuto constatare come il concetto di democrazia venga sbandierato, a parole, ma al momento di metterlo in pratica emergono in modo evidente forti quanto estese resistenze. Spesso infatti il termine “democrazia” viene usato come “grimaldello” per accedere al potere e, una volta raggiunto, il grimaldello viene prontamente seppellito e addirittura parole quali democraticità e trasparenza vengono rimosse, quasi procurassero un certo fastidio. Forse, perché sono termini ritenuti un po’ sovversivi, per chi è al potere.   Gianni Porzi

 

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Dopo i bandi miur per i Fondi "PRIN" e  "Futuro in Ricerca",
commenti da più parti dell'Università italiana

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Gianni Porzi




Gianni Porzi*, Critiche al Ministro Profumo
già dopo pochi giorni dal suo insediamento
**
(su "il Sole - 24 ORE", 3, 4, 5, 7, 10 gennaio 2014)

 

   * Università di Bologna

 

  Nota. Il 3 gennaio 2014, la pubblicazione dei Bandi ministeriali per i Fondi "PRIN" e "Futuro in Ricerca" aveva suscitato, il 3 gennaio 2014 (su Il Sole - 24 ORE) i commenti di due illustri professori di Pisa, ai quali (avendo essi, presumibilmente, toccato nervi scoperti) il nuovo Ministro rispondeva a tamburo battente, il 4 gennaio, sullo stesso giornale. La cosa non finiva qui. Seguivano ulteriori 5 commentatori, sullo stesso giornale (si vegga l'elenco, qui sotto).    Pubblichiamo qui il commento del prof. Gianni Porzi dell'Università di Bologna. NL  
   
Gianni Porzi, Sintesi degli interventi


   I professori Fabio Beltram, Direttore della Scuola Normale di Pisa, e Chiara Carrozza, Direttrice della Scuola Superiore S. Anna di Pisa, hanno decisamente criticato, in un articolo su "Il Sole 24 ore", i bandi relativi sia ai PRIN che ai fondi "Futuro in Ricerca". La critica sostanzialmente consiste nel fatto che la procedura di selezione non è basata esclusivamente sulla validità dei progetti in quanto sono stati introdotti dei limiti sia al numero di progetti che possono essere proposti da un Ateneo, sia a quanti giovani possono proporre la propria ricerca in una specifica Università. Tutto essendo parametrato su una frazione dell'entità numerica del personale di ruolo nel singolo Ateneo. Nei bandi in questione viene richiesta agli Atenei una preselezione dei progetti sulla base del numero delle proposte presentate nei singoli s.s.d. Con tale scelta tutti verrebbero messi sullo stesso piano quando invece la distribuzione delle buone idee, affermano Beltram e Carrozza, non è un fatto statistico, ma è strettamente connessa con la qualità delle strutture e delle persone. I due Docenti sostengono che un tale approccio quantitativo porterà alla formazione di cordate e di turnazioni nell'assegnazione dei fondi di ricerca e quindi con una scarsa incidenza del merito.

   Molto critico è stato anche il prof. Guido Tabellini, Rettore della Bocconi, che in un articolo, sempre su "Il Sole 24 ore", dal titolo "La concorrenza tra le Università non deve sparire" ritiene che si tratti sostanzialmente di una distribuzione a pioggia per l'incapacità di selezionare in base al merito e che le eccellenze italiane essendo disperse in sedi diverse non sono in grado di raggiungere una massa critica. Non condivide anche il fatto che siano ammessi al finanziamento solo progetti che prevedono la collaborazione di almeno 5 unità di ricerca (cioè gruppi di ricercatori appartenenti a Dipartimenti diversi) e siano invece esclusi i progetti individuali o con un numero inferiore di ricercatori. Il Rettore Tabellini giudica incomprensibili le procedure previste per l'assegnazione di fondi, procedure che non trovano riscontro nelle migliori prassi internazionali e pertanto aggraveranno la situazione. Ritiene inoltre che se si vogliono rendere più efficaci le procedure di finanziamento della ricerca occorre istituire un'agenzia indipendente che si occupi di tali procedure lasciando al Ministero solo il compito di stabilire gli importi aggregati e la suddivisione per aree disciplinari. Il prof. Tabellini chiude il suo intervento dicendo che la priorità di questo Governo è affrontare l'emergenza economica e non riformare scuola e università; c'è bisogno di una migliore allocazione delle risorse non solo nell'economia privata, ma anche nelle scuole e nell'università.

    Alle critiche il Ministro ha risposto, a mio avviso non in modo puntuale, con un'intervista rilasciata a "Il Sole 24 ore", affermando che il suo intento è di corresponsabilizzare le Università attraverso la preselezione dei progetti che dovranno poi essere sottoposti alla valutazione a livello nazionale. Secondo il Ministro occorre incentivare l'aggregazione di ricercatori su gruppi di progetto, cioè la formazione di team in grado di interagire al meglio.

   Sul tema sono poi intervenuti, sempre su "Il Sole 24 ore", anche i professori Frati, Rettore della Sapienza di Roma, e Braga, pro-Rettore alla ricerca dell'Università di Bologna, il primo a difesa dell'operato del Ministro e il secondo a salvaguardia delle ricerche di punta nell'area delle scienze umani e sociali.

   Altro commento è venuto dal prof. Pier Luigi Celli.

   Una sostanziale difesa dei bandi è venuta anche da parte del prof. Gianluigi Condorelli (Direttore del Dipartimento di Medicina del CNR) su "Il Sole 24 ore" del 10 gennaio. Concludo questa sintesi sul dibattito, pacato e costruttivo, che si è sviluppato sui bandi per i PRIN e per i fondi "Futuro in Ricerca" con una personale opinione. Innanzi tutto, la diversità di opinioni ritengo sia una ricchezza indispensabile nella ricerca delle soluzioni migliori; la dialettica, se intellettualmente onesta e non ideologica, come nella fattispecie, è fondamentale per realizzare obiettivi condivisi e ambiziosi.

(seguito di Gianni Porzi)

   Critiche al Ministro Profumo, già dopo pochi giorni dal suo insediamento.

   A mio avviso, le critiche fatte ai bandi non sono del tutto infondate e in particolare condivido pienamente quanto rilevato dal Rettore della Bocconi e cioè che non è giusto, né a mio avviso corretto, che in nome di non so cosa, vengano esclusi a priori i progetti individuali o con un numero di ricercatori inferiore a quanto richiesto dal bando.

    In particolare in settori di tipo umanistico, giuridico, socio-economico, vi sono eccellenti individualità che sarebbe un grave errore non sostenere o addirittura emarginare.

    Incentivare l'aggregazione di ricercatori su progetti rilevanti per poter essere competitivi anche a livello internazionale è indubbiamente importante, ma non ritengo giusto immolare le singole eccellenze sull'altare dell'internazionalizzazione o della interdisciplinarità "a tutti i costi".

   Per quanto concerne poi la preselezione dei progetti da parte dei singoli Atenei, ritengo che questa andrebbe eventualmente relegata al mero controllo della correttezza formale della richiesta di finanziamento. Non credo infatti che, per rendere più veloce il momento decisionale, si possa, anche solo in parte, trascurare la meritocrazia in base a parametri peraltro discutibili.

   Infine, è del tutto condivisibile la proposta del Rettore della Bocconi di istituire un'agenzia veramente indipendente alla quale affidare le procedure di finanziamento della ricerca lasciando al Ministero solo il compito di stabilire l'entità degli stanziamenti e la suddivisione per aree disciplinari. La proposta è sicuramente buona, ma va tenuto presente che la sua riuscita sarebbe sempre legata al senso di responsabilità, all'etica di coloro che dovrebbero valutare e quindi stilare una graduatoria delle richieste di finanziamento in base alla qualità sia del progetto che dei proponenti.

  Sono convinto che la condicio sine qua non per la buona riuscita di qualsiasi valutazione, che è sempre un processo molto delicato, è la moralità di chi è chiamato a giudicare; non è sufficiente essere culturalmente all'altezza del compito, ma è necessario esserlo anche eticamente.

   In qualunque tipo di valutazione sono indispensabili due requisiti inscindibili, cioè competenza ed eticità. Nel nostro Paese non sempre il secondo requisito è all'altezza del primo e troppo spesso i concorsi universitari, e non solo, ne sono una dimostrazione.

                                                          Gianni Porzi

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Da  "Il Sole 24 ORE" :

- Fabio Beltram, Chiara Carrozza, Lettera a Profumo: Caro ministro, così la ricerca parte con il piede sbagliato, 3 Gennaio 2011

- Francesco Profumo, Intervista al Ministro, di Francesco Antonioli, 4 gennaio 2011

- Guido Tabellini, La concorrenza tra le Università non deve sparire, 5 gennaio 2011

- Luigi Frati, Soltanto come sistema si può svettare all'estero, 7 gennaio 2011

- Dario Braga, Meritocrazia anche per gli studi culturali, 7 gennaio 2011

- Pier Luigi Celli, Meno ripiegamenti miopi e più aperture per il futuro dei giovani laureati, 7 gennaio 2011

- Gianluigi Condorelli, Trasparenza e merito nei bandi promossi dal ministro Profumo, 10 gennaio 2011

** P.S. - SI informano i lettori che, dopo il Commento del prof. Porzi, il MIUR ha emanato due decreti ( D.M. 2/2014 per il FIRB, e D.D. 12.1.2014 per Futuro in Ricerca), che in parte modificano i precedenti.

 

        Anno 2014
       Direttore Responsabile del Foglio Indipendente on line: Prof. Nino Luciani  
          UNIVERSITAS Notizie - Organo del SUN - SINDACATO UNIVERSITARIO NAZIONALE on Line - SEDE IN BOLOGNA
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