Convegno a Bologna sul cattolicesimo politico: per la riforma dei partiti in Italia. Sul finanziamento pubblico e una magistratura speciale per i partiti..
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UNIVERSITAS  News

Foglio on line sull'università, fondato nel 2004, con  Forum di politica generale.
Sede in Bologna, via Titta Ruffo 7- Tel  347 9470152 - nino.luciani@libero.it

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PROF. NINO LUCIANI * - Direttore responsabile

* Professore Ordinario di Scienza delle Finanze, Università
Breve curriculum vitae

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Nino Luciani

http://amsacta.unibo.it/

Comité de Patronage: F. Bonsignori, A.De Pa, Elena Ferracini, Dario Fertilio, Enrico Lorenzini, Nino Luciani, Bruno Lunelli, Marco Merafina, Franco Sandrolini

PAESI VISITATORI nel 2015, n. 55 : Algeria - Angola - Argentina - Australia - Belarus - Benin - Brazil - Canada - Chile - China - Colombia - Costa Rica - Ecuador Egypt - France - Georgia - Germany - Guatemala - Hungary - Iceland - Iran - Israel - Italy - Japan - Kazakstan - Korea, Republic of Libyan Arab - Mexico - Morocco - New Zealand - Nicaragua - Nigeria - Pakistan - Panama - Peru - Poland - Romania - Russian Federation - Saudi Arabia - Senegal - South Africa - Spain - Switzerland - Tanzania - Thailand - Tunisia - Turkey - Ukraine - United Arab Emirates - United Kingdom - United States - Uruguay - Venezuela - Vietnam - Zambia

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Progetto
di nuova UE

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La curva di Pareto della distribuzione
dei redditi

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INCONTRO alla ACCADEMIA DELLE SCIENZE

Per notizie omnia universitarie
si consiglia:

ROARS

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Convegno sul cattolicesimo politico: per riforma dei partiti in Italia

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Luciani, La possibile BASE POLITICA
ED ECONOMICA per una
NUOVA UNIONE EUROPEA.
Cosa disse MACRON alla SORBONA

(università di Parigi)
 

Dalla distribuzione
dei redditi risulta che il grosso della materia imponibile è compresa tra 20.000 e 70.000 €

Prof. Mauro Fabrizio, " Se esaminiamo la disputa fra Galileo e gli inquisitori solo sul piano scientifico, bisogna partire dall’osservazione che le motivazioni che hanno.portato al caso Ga.

Per l'università, segnaliamo ROARS:
"Concorsi, Iene, valutazione e salute dell’università"
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1) L. Goriup, Partiti e Dottrina sociale chiesa cattolica;
2) G. Rossi, Lo scudo crociato nella comunicazione politica;
3) N. Luciani, Motivazioni dei partiti tra buon governo e affari.

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Scritti scelti in: http://amsacta.unibo.it/ , ManifestoCETO MEDIO -  Prof. Nino Luciani nel Cipur, Clicca su Tribunale di Perugia - curia romana - Congresso DC, grexit, inflazione, codice etico - I, codice etico - II

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FORUM 3 - Moneta, banche e fisco

 

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Vilfredo Pareto

Quali le possibilità di gettito fiscale per l'Italia ?


LUMI  DALLA CURVA DI PARETO
DELLA DISTRIBUZIONE DEI REDDITI

(aggiornata sotto)

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1) Gli studi sul miglior sistema fiscale hanno una lunga tradizione in Italia, e non solo in Italia. Basti comunque ricordare che il premio Nobel James Buchanan (americano), venne in Italia negli anni '60 a studiare la scienza delle finanze italiana, prima di dare vita con altri (ricordo Tullock) alla sua scuola di public choice.
In teoria, il miglior sistema fiscale deve essere "giusto" (in termini di uguaglianza del sacrificio), "produttivista" (non disincentivare la produzione, perchè non penalizzante e anche perchè lo Stato fornisce, in cambio, servizi pubblici e infrastrutture), applicare (tra le imposte) quelle meno gravose sotto tanti aspetti, non tassare inutilmente i bassi redditi (lo è l'imposta che come spese di personale costa più del gettito),....
Ma prima di scrivere due parole sulle questioni del gettito fiscale, voglio rinviare a E. d'Albergo, mio Maestro, il cui corso di lezioni ho messo in internet, in italiano e inglese, sicuramente una ottima summa di questo campo scientifico. Per la curva di Pareto, clicca su http://amsacta.unibo.it/3417/, in italiano pag.142 e in inglese, pag. 193.
2) Invece, per gli aspetti di getttito, voglio ricordare che dare un occhio alla distribuzione del reddito è fondamentale, considerato che l'imposta è una percentuale del reddito.
A questo proposito, già a suo tempo, Vilfredo Pareto rilevò che la distribuzione del reddito è a "metà-collo di bottiglia", vale dire la gran parte del reddito è globalmente posseduto dalla classe media, non dai poveri, non dai ricchi.
Ne deriva che non puoi ottenere molto gettito se colpisci i poveri o i ricchi.
Riporto, due curve aggiornate, che ho ricostruito io, elaborando dati recenti,  sia pur non recentissimi, relativi al numeto delle dichiarazioni dei redditi, pubblicato dal ministero delle finanze, 2006 e 2014.
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GRAFICI DELLA DISTRIBUZIONE DEI REDDITI, RICAVATI DALLE DICHIARAZONI FISCALI DEL MINISTERO FINANZE
Nota: In ordinata stanno i redditi totali di ogni classe di reddito. In ascissa stanno le corrispondenti classi di reddito. Esempio, per la classe di reddito  compresa tra  € 20.000 e € 26.000, il reddito complessivo è di € 157,3 miliardi.
E' possibile anche dedurre:
a) che i contribuenti del 2006 erano 40.752.847 (MEF, Classi di reddito complessivo) e quelli del 2014 erano 40.989.567 (MEF, Distribuzione per classi di reddito compessivo).
b) la gran parte della materia imponiibile  è compresa tra la classe di € 20.000 e 100.000, che è la classe media
Questo vuol dire che per ottenere gettito, il grosso deve pesare sulla classe media, COME LA SCIENZA DELLE FINANZE AMMONISCE DA TEMPO.

Tra l'altro, in termini di costi-benefici è assurdo tassare i bassi redditi perchè il costo del personale è maggiore del gettito.
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pareto 2014.jpg (36665 byte)Osservazione. In questo grafico manca l'informazione completa del Ministero sulla classe con reddito individuale superiore a  Euri  300.000. Nel senso che esso si limita a scrivere: il numero dei contribuenti con  redditi superiori a € 200.000 è 75.093. Facendo riferimento al limite inferiore, risulta che questa classe ha un reddito complessivo maggiore  € 15,2 miliardi.
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Osservazione. Anche in questo grafico manca l'informazione completa del Ministero sulla classe con reddito individuale superiore a  Euri 200.000, il cui numero di contribuenti è 68.685.  Facendo riferimento al limite inferiore, risulta che questa classe ha un reddito complessivo maggiore  € 13,7 miliardi.

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EDIZIONI PRECEDENTI

In attesa di BASILEA 4 a fine anno, e di ulteriori norme cappio ai patrimoni delle banche ?

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Ignazio Visco

PER IL RIPESCAGGIO DELLA RISERVA OBBLIGATORIA BANCARIA,
COME GUIDA SERIA (NON INVASIVA) AI BANCHIERI

Il collasso delle quotazioni di borsa delle azioni bancarie (da mesi), collegato ai bassi patrimoni rispetto alle sofferenze bancarie, rende urgente una nuova normativa che risolva finalmente i problemi di solvibilità, ma senza aggravare i bilanci bancari.

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La BCE, mentre si irrigisce sugli "stress test" patrimoniali, pare non vedere che gli amministratori continuano a percepire retribuzioni astronomiche (clicca su:banche). Crisi e retribuzioni sono interdipendenti. Stupefacente è il caso del MPS,
in crisi da anni, ma che darà al nuovo amministratore € 1,4 milioni all'anno.

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Mario Draghi

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E. Montanaro*, LA COMPOSIZIONE DEL PATRIMONIO DI VIGILANZA

Siena, A.A. 2015-16

* Professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari, Università di Siena

Stralcio. Per il testo completo, note incluse, clicca su: patrimonio
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2. IL PATRIMONIO DI VIGILANZA SECONDO BASILEA 3 . Il patrimonio di vigilanza si articola in diverse componenti (fasce) composte dagli strumenti che hanno la qualità richiesta per entrare nella specifica componente. Per ogni fascia, sono previste specifiche deduzioni, derivanti dalla cancellazione dal totale dell’attivo e quindi anche dal capitale di determinate voci (cfr. Deduzioni). Le soglie quantitative minime di ogni fascia sono calcolate al netto delle deduzioni.
  Con Basilea 3, il patrimonio di vigilanza è suddiviso nelle seguenti componenti:

1. Il Capitale primario di classe 1 (Common Equity Tier 1 Capital, CET1): al netto delle deduzioni, corrisponde sostanzialmente al capitale netto tangibile e dovrà essere, a regime, non inferiore al 4,5% dell’ARP. Le banche, per avere piena libertà nella distribuzione dei dividendi, devono inoltre tenere buffer addizionali di CET1 (buffer di conservazione nella misura massima del 2,5% dell’ARP + buffer anticiclico, nella misura massima del 2,5%). In aggiunta, per le maggiori banche sono previsti livelli maggiori di CET1.6 E’ composto dalle azioni ordinarie, gli utili non distribuiti e le riserve di utili.
2. Il Capitale aggiuntivo di classe 1 (Additional Tier 1 Capital, AT1), composto da alcune categorie di preference share (purchè non cumulative e prive di privilegio sul valore di recupero in liquidazione, e non postergate)7 e strumenti ibridi che hanno capacità di assorbimento delle perdite on a going concern. Sono strumenti di qualità peggiore del CET1, ma migliore del T2.
3. Capitale di Classe 1 (Tier 1 regulatory capital, T1) = somma di CET1 e AT1, al netto delle deduzioni. Dovrà essere, a regime, non inferiore a 6% dell’ARP.
4. Capitale di Classe 2 (Tier 2 capital, T2). E’ composto da strumenti ibridi di debito con scadenza non inferiore a 5 anni, con una capacità patrimoniale che progressivamente si riduce a partire dal quinto anno antecedente la scadenza (ammortamento regolamentare).
5. Patrimonio di Vigilanza Totale (Total Regulatory Capital) = CET1 + AT1 + T2, al netto delle relative deduzioni. Dovrà essere non inferiore all’8% dell’ARP (ad esso dovranno essere aggiunti i buffer di conservazione del capitale, il buffer anticiclico e i buffer per le banche sistemiche).

3. REQUISITI PER L’AMMISSIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI NEL PATRIMONIO DI VIGILANZA . Gli elementi da cui dipende la ammissibilità degli strumenti finanziari diversi dal capitale nel patrimonio di vigilanza sono:
- Ordine di priorità nell’assorbimento delle perdite (subordinazione);
- Flessibilità della remunerazione;
- Permanenza;
- Capacità di assorbimento delle perdite (modalità e condizioni di attivazione).

3.1 Subordinazione . Nell’ipotesi che la banca sia in condizioni di crisi o di liquidazione, le perdite sono coperte dai soggetti finanziatori secondo un ordine di priorità (o, in senso inverso, una gerarchia di subordinazione ai fini del recupero del capitale investito). Gli azionisti ordinari assorbono per primi le perdite e hanno la massima subordinazione, ossia sono rimborsati per ultimi sull’eventuale residuo della liquidazione dell’attivo dopo che sono stati rimborsati i finanziatori più senior. I finanziamenti che hanno la massima priorità nel rimborso, ossia i creditori con massima seniority, sono gli ultimi ad assorbire le perdite. Uno strumento finanziario subordinato rispetto ai depositanti e ad altre categorie di creditori (obbligazionisti, altre banche, controparti di contratti finanziari) consente di ridurre la misura delle perdite che gravano su questi finanziatori: ossia di ridurre i costi delle crisi bancarie per i creditori senior. Tutti gli strumenti finanziari che compongono il patrimonio di vigilanza devono essere subordinati rispetto ai depositi e alle altre passività ordinarie. Quanto minore è la seniority di uno strumento finanziario, tanto migliore è la sua qualità ai fini della copertura delle perdite.

Ordine di priorità in ipotesi di liquidazione .

1. Depositanti privati assicurati ;
2. Dipendenti ;
3. Depositanti privati e imprese minori eccedenti la quota assicurata ;
4. Creditori senior garantiti ;
5. Creditori senior non garantiti (obbligazionisti, controparti attive di contratti finanziari non garantite; altri depositanti) ;
6. Creditori subordinati ;
7. Azionisti privilegiati ;
8. Azionisti Ordinari

3.2 Flessibilità della remunerazione . La flessibilità della remunerazione è massima quando la banca emittente ha la piena discrezionalità nel pagamento della remunerazione (dividendo o cedola) senza che questo implichi inadempimento (default) e quindi il diritto del finanziatore di chiedere la dichiarazione dello stato di insolvenza della banca. Quanto maggiore è la discrezionalità consentita all’emittente di ridurre, azzerare o differire il pagamento della remunerazione dei finanziamenti – senza che questo comporti inadempimento dell’emittente e quindi il diritto dei finanziatori di chiedere il default della banca- tanto maggiore è, per la banca, la disponibilità di risorse da destinare all’assorbimento di perdite e/o alla ricapitalizzazione. Clausole di "dividend stopper" – previste spesso per le azioni privilegiate – implicano che il mancato pagamento dei dividendi possa avvenire solo se gli azionisti ordinari non ricevono nessun dividendo. Questa clausola riduce la discrezionalità dell’emittente nel pagamento della remunerazione. L’esperienza ha infatti dimostrato che molte banche, non ostante fossero già in condizioni di difficoltà, hanno continuato a pagare i dividendi privilegiati per evitare di sospendere il pagamento dei dividendi anche agli azionisti ordinari, dato che questo avrebbe avuto effetti negativi sul prezzo delle azioni e sulla fiducia degli investitori. Il che significa, di fatto, che per le azioni privilegiate, la flessibilità della remunerazione è attenuata, dato che la banca avverte un obbligo non giuridico, ma reputazione di corrisponderla comunque.

Il requisito della flessibilità della remunerazione dipende sia dal carattere più o meno vincolato del pagamento delle cedole o dei dividendi sia dalla permanenza o meno del diritto alla remunerazione, nell’ipotesi che essa non sia stata corrisposta in un determinato esercizio. Quando tale diritto si estingue in caso di mancato pagamento, la remunerazione si definisce non cumulabile: la non cumulabilità aumenta la flessibilità della remunerazione. Uno strumento finanziario è definito cumulativo quando il diritto alla remunerazione, se non corrisposta in un determinato anno, non è perso ma viene "accumulato" in vista di essere pagato in futuro. Nel patrimonio di vigilanza primario (T1) sono ammessi solo strumenti non cumulativi.

3.3 Permanenza (scadenza e opzioni di rimborso) . Il requisito della permanenza è massimo se lo strumento finanziario è perpetuo, e se esso può essere rimborsato solo su discrezionale iniziativa dell’emittente e con l’approvazione dell’autorità di vigilanza. La permanenza si riduce se è previsto che, ad una data scadenza, la banca rimborsi gli strumenti. Se sono previste clausole che operino come incentivo economico per la banca emittente al rimborso o al rimborso anticipato11, il requisito della permanenza si riduce ulteriormente. Se gli investitori si aspettano che, in base a tali clausole contrattuali (call options), l’emittente rimborserà lo strumento a partire da una certa data, la banca emittente, per mantenere la fiducia del mercato, può essere incentivata a rimborsare lo strumento, anche se l’opzione può essere esercitata solo su sua iniziativa (e non su iniziativa dell’investitore). In genere le forme di call option riducono la permanenza di uno strumento finanziario. Fra le clausole che possono qualificarsi come incentivi al rimborso anticipato quella più diffusa è rappresentata dagli stet-ups. Se ad una data scadenza lo strumento non è rimborsato, lo stet-up prevede una forma di compensazione per gli investitori, sotto forma di una revisione automatica del tasso di remunerazione. Per evitare questo maggiore costo, la banca può essere indotta a rimborsare lo strumento, anche se non ne ha l’obbligo. Anche le obbligazioni che prevedono la facoltà dell’emittente di convertirle in azioni a partire da una certa datacontengono un incentivo al rimborso anticipato dello strumento, dato che la banca può voler evitare la conversione in azioni, per non diluire il controllo da parte dei vecchi azionisti e quindi esercitare l’opzione, riducendo la permanenza del finanziamento. Gli strumenti che contengono clausole che comportano un incentivo per la banca al rimborso anticipato non sono ammessi nel patrimonio di vigilanza.

3.4 Capacità di assorbimento delle perdite (loss-absorbency) . Quando la banca registra perdite, gli effetti per gli azionisti possono essere: mancato pagamento dei dividendi, se la banca non ha riserve di utili da distribuire senza scendere al di sotto dei requisiti di capitale12; se non basta, riduzione del capitale netto, ossia una riduzione delle riserve e, se questo ancora non è sufficiente, una riduzione del capitale sociale (ossia riduzione del valore delle azioni per perdite). In tutti questi casi, il costo delle perdite è sopportato dagli azionisti. Strumenti finanziari diversi dalle azioni ordinarie sono inclusi nel patrimonio di vigilanza se, in virtù di specifiche clausole contrattuali o per previsioni regolamentari, hanno una capacità di assorbimento delle perdite (loss-absorbency) mediante riduzione del valore nominale e/o conversione in azioni e/o sospensione nel pagamento della remunerazione. La caratteristica di loss-absorbency varia in funzione delle condizioni che sono richieste per la sua attivazione.

In situazioni di difficoltà di una banca, a seconda della gravità, si possono attuare diversi tipi di interventi. Quando la banca è ancora "vitale", sono posti in atto interventi di recupero o risanamento (recovery), ossia interventi attuati al verificarsi di sintomi di difficoltà, che intendono ripristinare condizioni di normalità operativa (ad esempio, sospensione del pagamento di dividendi e/o bonus, cessione di attività non strategiche, cambio del management). Quando la banca non è più "vitale", ossia non è più in grado di operare normalmente sul mercato, si ha una situazione di crisi conclamata che può essere gestita in due modi:

- Con la risoluzione (resolution), ossia mediante interventi che consentono di evitare i costi di una (spesso affrettata) liquidazione - ad esempio, mediante cessione di partecipate e di altre attività anche strategiche, fusione con un'altra banca, creazione di una bad bank che amministri gli attivi di difficile recupero; tali interventi di risoluzione sono di norma tentati dalle autorità di risoluzione specie per le banche maggiori. In questi casi, infatti, la liquidazione può avere effetti sulla stabilità del sistema bancario (a livello nazionale e/o), generando fenomeni di contagio con gravi conseguenze per il sistema dei pagamenti, per i risparmiatori e per le imprese finanziate (dovute al venir meno delle funzioni essenziali svolte dalle banche per l’economia reale).

- Con la liquidazione (liquidation o winding-up): questa è la fase in cui, se il valore residuo della liquidazione degli attivi è minore delle passività, i creditori non assicurati e non garantiti subiscono inevitabilmente una perdita, nella misura del mancato recupero del capitale investito.

La capacità di assorbimento delle perdite degli strumenti finanziari può quindi essere definita in tre principali accezioni:

1. Al di fuori di una situazione di crisi, in condizioni in cui la banca, pur in condizioni di difficoltà, è ancora "vitale" (viable) e può operare regolarmente senza interventi esterni (Loss-absorbency on a going concern: capacità assorbimento delle perdite con la banca in funzionamento). Gli strumenti finanziari posseggono tale requisito quando i meccanismi di copertura delle perdite si attivano prima che la banca sia assoggettata ad interventi delle autorità per la gestione di uno stato di crisi. Solo gli strumenti del T1 (CET1 e AT1) consentono di coprire le perdite quando la banca è ancora vitale, ossia prima che si trovi in crisi o in liquidazione. Il CET1 assorbe le perdite quale che sia il livello del coefficiente di solvibilità. Sono ammissibili nel AT1 strumenti che prevedano espressamente la copertura delle perdite quando il CET1/ARP 5,125% (5, 125% *ARP è la soglia – trigger – a partire dalla quale gli strumenti ammessi nel T1 devono iniziare a coprire le perdite). Su questa soglia, la banca è ancora vitale, dato che il CET1 è ancora superiore al minimo.

2. Quando la banca è in liquidazione (loss-absorbency on a gone concern: capacità di assorbimento delle perdite con la banca in liquidazione e/o in crisi). Gli strumenti finanziari hanno tale requisito quando, in virtù della loro posizione nella graduatoria di seniority, hanno diritto sul valore residuo della liquidazione subordinato a quello dei depositi e degli altri creditori senior. Tutti gli strumenti del Patrimonio di vigilanza (CET1, AT1 e T2) assorbono le perdite quando la banca è in liquidazione. Gli strumenti del T2 assorbono le perdite solo quando la banca è in crisi e/o in liquidazione (cfr. punto 3).

 3. In una situazione di crisi ("at the point of non-viability), ossia in condizioni in cui la banca non più "vitale" per effetto di un dissesto di tale gravità che le autorità (di vigilanza e/o di risoluzione) devono attivare interventi esterni di gestione dello stato di crisi (Loss-absorbency on a gone concern). Gli strumenti finanziari posseggono questo requisito quando i meccanismi di copertura delle perdite si attivano in presenza di una dichiarata situazione di crisi. Tutti gli strumenti del patrimonio di vigilanza assorbono le perdite quando la banca è in crisi. Gli strumenti del T2 assorbono le perdite solo quando la banca è in crisi e/o in liquidazione.

Continua in :  patrimonio

RISERVA OBBLIGATORIA BANCARIA: 1% dei depositi secondo la norma BCE; 8,5% nei fatti .
(Breve sintesi storica)

  Per l'Italia, la normativa sulla riserva obbligatoria è fatta risalire alla fondamentale legge bancaria del 1936, che ridisegnò il sistema bancario, a seguito della crisi economica del 1929.
Questa, come noto, fu caratterizzata dal fallimento di banche, recuperate dallo Stato mediante nazionalizzazione, e subentro dello Stato nei confronti dei risparmiatori.
Per il testo integrale, divenuto introvabile, e da noi tradotto in formato digitale dalla G.U. del 1936), clicca su: Regio Decreto.
Precisamente, la norma di riferimento era l'art. 32, lettera f, secondo cui  le aziende di credito dovranno attenersi alle istruzioni che l'Ispettorato comunicherà, conformemente alle deliberazioni del Comitato dei Ministri, relativamente al "rapporto fra il patrimonio netto e le passività ed alle possibili forme di impiego dei depositi raccolti in eccedenza all'ammontare determinato dal rapporto stesso".
  Come si può constatare non è scritto esplicitamente di riserva obbligatoria bancaria. Fatto sta che L. Einaudi, Governatore della B.d'I. nel 1947, fondò su quell'articolo la normativa de quo, usandola fortemente come strumento di controllo del credito bancario, in aggiunta al tradizionale strumento della patrimonializzazione, ma ridimensionato verso il basso (fino alla fine degli anni '80, il coefficiente era nell'intorno del 22,5%).
    Questa norma sembrava essere stata abrogata dalla legge bancaria n. 385/ 1993, art. 161 e, comunque, a scanso di equivoci, fu ripristinata in modo esplicito qualche mese dalla legge 483/1993, art. 10, con fissazione di un tetto alla riserva ("non può eccedere il 17,5% della raccolta").
  Con la fine del potere monetario dello Stato italiano, subentra il D.Lgs 10 marzo 1998, n. 43, che trasferisce alla BCE l'attività di riserva, ma che continuerà a valersi della Banca d'Italia, per la sua applicazione discrezionale,i in pratica.
  In particolare il Regolamento n. 2018/1998, art. 4 disporrà:
- che la riserva sia dello 0% per i depositi con scadenza superiore a due anni, e altrettanto per i pronti contro termine, e per i titoli con scadenza contrattuale maggiore di 2 anni;
- che la riserva sia del 2% a ogni altra passività.
- inoltre ogni "istituzione" ha una detrazionw fissa di € 100.000.
  Questa detrazione scompare nell'art. 4, come riformulato dal Regolamento (CE) 1745/2003.
La percentuale del 2% (art. 4) viene portata all'1% dal Regolamento (UE) n. 1358/2011.
  Per chi volesse conoscenze di dettaglio sulla normativa sulla riserva obbligatoria,   rinvio alla Banca d'Italia - riserve.
Questo è l'obbligo, veramente molto basso, tant'è che oggi le banche tendono a superarlo (riserve in eccesso), per vari motivi (non sapendo dove meglio impiegare i depositi, o per avere clienti poco affidabili)  pur se la BCE impone a loro tassi di interesse negativi.

Nino Luciani, In luogo di aumentare i coefficienti patrimoniali, va potenziata la leva della riserva obbligatoria bancaria, semplice da definire e più mirata al segno

1.- Premessa. In questo servizio mi propongo di spiegare che lo strumento della riserva obbligatoria bancaria è semplice da applicare e può essere molto efficace per la solvibilità bancaria. Infatti, essa, in quanto è una percentuale dei depositi (che una banca deve versare presso la banca centrale) è una entità liquida immediatamente tangibile e disponibile.
  Invece lo strumento dei coefficienti di patrimonializzazione può essere ritenuto efficace solo di larga massima, ma difficile da quantificare correttamente, e può rivelarsi anche pericoloso se inasprito oltre un determinato limite.
  Sul confronto tra i due strumenti, raccomando
uno stralcio, che ho fatto, della relazione del governatore (L. Einaudi), del 1947, segnalato da uno scritto di Paolo Baffi (anche lui governatore). Clicca su Banca d'Italia, 1947.
  Inoltre ho riportato, qui a fianco:
  a) la normativa relativa alla solvibilità del patrimonio, e che, a causa dei elementi tecnici, faccio spiegare da una collega dell'università di Siena (prima colonna) );
  b) la normativa sulla riserva obbligatoria bancaria, che ho ripreso da più fonti, anche sotto l'aspetto della evoluzione storica (seconda colonna).
  Attualmente, entrambi gli strumenti permangono nella normativa della BCE, ma lo strumento della riserva obbligatoria è applicato solo nominalmente, mentre il secondo lo è in modo sistematico.

2. I difetti dei coefficienti di patrimonialità. La normativa europea (di cui ai vari accordi: Basilea I, II, III, e che per fine è attesa produrre Basilea IV) assume che una banca sia idonea a fronteggiare tutte le esigenze di liquidità se ha un patrimonio almeno pari all'8,5% (diciamo 8-10%) delle sue attività (vale dire dei suoi crediti, in senso ampio). Detta percentuale (o coefficiente è il rapporto tra il patrimonio e le attività).
  Tuttavia il patrimonio de quo non è quello come definito dalla ragioneria, ma una ricostruzione omogenea di esso definito "patrimonio di sorveglianza", vale dire quel monte per quantità e qualità, idoneo a garantire la solvibilità della banca, di fronte ai suoi impegni monetari e finanziari.
  Lo stesso è per le "attività".
  Osservazione 1. Nell'ambito delle voci del patrimonio, conviene tenere distinto. a) il capitale immobiliare; b) il capitale mobiliare, escluso il danaro liquido; c) e il danaro liquido (cassa)
, e tenere in mente che la depurazione non si riferisce al danaro liquido.
  A riguardo dei punti a) e b) va anche puntualizzato che la depurazione è soggettiva del ragioniere della BCE che analizza lo stato patrimoniale, e anche che una determinata
voce dello stato patrimoniale di una banca può avere una solvibilità diversa da quella (con la uguale denominazione) di un'altra banca, perchè la solvibilità di un titolo sta, più che nel titolo, nella persona che lo ha sottoscritto.
Questo fatto crea discriminazioni nei confronti delle diverse banche.
 
Osservazione 2. Va anche puntualizzato che
il patrimonio (escluso il denaro liquido), pur se razionalizzato al massimo, potrebbe essere irreale. Infatti, quello che vale, economicamente, è il giudizio dei mercati finanziari, per i quali il capitale è il valore attuale dei redditi previsti. Su questo rinvio ad un mio studio: Clicca su: AlmaDL-Unibo Scritti scelti, Intorno...p. 5 e ss.
   Infatti non esiste il capitale e il reddito, ma l'uno o l'altro, in quanto i due sono alternativi. Infatti, vediamo da mesi che le quotazioni della azioni bancarie sono sottoposte ad un calvario senza fine.
  In queste condizioni, l'aumento del patrimonio peggiorebbe solo le cose, in quanto soggetto a svanire, essendo il patrimonio una variabile dipendente.
  Per chiarezza, supponiamo che sia stato investito un capitale di € 400 in una obbligazione per un reddito di € 40 all'anno e la restituzione del capitale al 4° anno.

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  Volendo liquidare il capitale, all'inizio del 3°, si dovrà vendere, tasso di attualizzazione corrente. Al tasso :
-  5%, il capitale è liquidabile per €
419;
- 10%, il capitale
è
liquidabile per €400 ;
-
20% il capitale è
liquidabile per € 367 .
  Nel nostro esempio, il reddito è sicuro (diciamo). Ma per redditi a rischio, ci sarebbe un interrogativo senza risposta.

  Nel caso delle banche oggi, c'è anche una specifica anomalia, riguardante la retribuzione dell'amministratore delegato, che complica assai il calcolo della fondatezza della previsione del reddito (per calcolare il valore attuale del capitale). E' il fatto che l'amministatore delegato di banca percepisce una retribuzioni fissa astronomica, a prescindere dagli utili. (Clicca su:banche). Direi che, per responsabilizzarli a tutela dell'utile, si dovrebbe attribuire a loro una retribuzione fissa, pari a quella del comune funzionario, e aggiuntivamente una percentuale dell'utile.
  Torno alla relazione citata (di Einaudi, 1947). Essa, si sofferma sulla opportunità di responsabilizzare moralmente e professionalmente il banchiere.

4.- Sulla riserva obbligatoria. La percentuale di riserva (1%) fissata dalla BCE è da intendere come un minimo, ma poi di fatto la banca locale applicherà un coefficiente maggiore, puà applicare un coefficiente maggiore, con luogo a riserva in eccesso.
  Essa ha lo scopo di garantire il risparmiatore circa la restituzione e, se calcolata correttamente in base alla probabilità che il cliente voglia la restituzione, ha il vantaggio di essere subito disponibile (non altrettanto il patrimonio, se diverso da danaro liquido).
  Oggi la riserva obbligatoria gode di un tasso di interesse (sia pur basso), invece quella in eccesso è soggetta (così mi pare) ad un tasso di interesse negativo.
  Questa importanza, così bassa, attribuita alla riserva, mi pare criticabile.
  Il punto di contatto più vicino tra patrimonializzazione e riserva si ha nel caso che il patrimonio sia liquido.
  In questo caso il capitale va al passivo dello stato patrimoniale, ma è carico del proprietario della banca.
  Identicamente, anche il deposito del cliente va al passivo, ma (appunto) è a carico del cliente.
  In entrambi i casi, gli impieghi delle due fonti vanno all'attivo, ma solo la riserva è remunerata. Questo non mi pare giusto, perchè la finalità è la stessa (quella di garantire la solvibilità della banca).

La riserva obbligatoria ha (teoricamente) anche una grande importanza nel controllare l'espansione del credito. Oggi questa espansione è desiderabile, ma la grande crisi bancaria odierna (intendo le sofferenze) è il risultato d'eccesso di crediti.
  Dunque, il tornare a utilizzare questo strumento, con opportuna modulazione, è consigliabile e molto più appropriata che la patrimonializzazione oltranza, delimitata con un criterio sensitivo, senza base sicura.
  Basti considerare che la moneta bancaria (ossia quella creata dalle banche con assegni ...) è un multiplo della moneta legale, precisamente l'inverso del coefficiente di riserva. Ad es., considerato che il coefficiene è 1%, il moltiplicatore dei depositi è 100. Oggi scopriamo che la banche ne hanno approfittato troppo negli ultimi 10 anni (e lo vediamo anche dalle attuali sofferenze bancarie..)

5.- Ma, poi, quant'è oggi il coefficiente di riserva totale (vale dire, obbligatoria e in eccesso ?  Non lo sa nessuno, neppure quelli della Banca d'Italia.
  Proviamo a calcolare questo coefficiente.
  Ipotizzo che tutta la moneta legale in circolazione (€ 175.891 milioni, luglio 2016) affluisca, primo o poi, alle banche. La riserva è € 14.658, luglio 2016. (Vedi: Banca d'Iitalia, Moneta e Banche, 2016, p.5).
  Si ottiene:  14.658/175.891= 8,33%. Ne deriva che il moltplicatore dei depositi oggi è 12.
  Infine, data la moneta legale, dividendola per il moltiplicatore dei depositi, si ottiene il monte dei depositi totali, e dunque anche il monte della moneta bancaria creata dalle banche (considerato che le banche consegnano ai cliente un blocchetto di assegni corrispondente).
  Fatto il conto, si trova un monte depositi di € 2.111.536, vale dire 12 volte la moneta legale. Non è poco.
  La cifra a calcolo è praticamente la cifra di tutte le passività delle istituzioni creditizie residenti in Italia, a luglio 2016, pubblicata in Moneta e Banche (€ 2.153.301), p. 15.

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morya longo.jpg (6435 byte)Moyra Longo

Argomenti: BCE, Qe
(ovvero su: fabbricazione aggiuntiva di €...)

A proposito di :
Morya Longo, Quel mistero dell'inflazione bassa
(Fonte: Il Sole "24 ORE,  23 ott. 2015)

 

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Mario Draghi

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Fonte: Il Sole "24 ORE,  23 ott. 2015

Morya Longo, Quel mistero
dell'inflazione bassa

1.- L'euforia di ieri delle Borse mostra per l'ennesima volta dove cadono i benefici diretti della politica monetaria ultra-espansiva: sui mercati finanziari. È sempre stato così, per tutte le banche centrali. Il problema è che - a dispetto dell'euforia borsistica - l'economia reale resta ancora fragile: non solo in Europa ma anche nei Paesi (come gli Usa) dove il Pil corre.
   Lo conferma il fatto che nel mondo è scomparso un elemento fondamentale per avere un'economia sana: l'inflazione.
   Un "mistero" assilla economisti, ministri e banchieri centrali: perché, nonostante la poderosa mole di stimoli monetari, l'inflazione globale (depurata anche dal fattore energetico) non sale neppure nei Paesi dove il Pil cresce bene? Calcola Morgan Stanley che il 70% dell'economia mondiale soffre di inflazione troppo bassa. Una malattia che fiacca i Paesi industrializzati, ma anche molti emergenti. E che nessuno sa veramente spiegare.
  Se agli occhi di un europeo la bassa inflazione può sembrare normale (non potrebbe essere altrimenti con una recessione alle spalle e una disoccupazione elevata), agli occhi di un americano molto meno. L'economia Usa corre infatti del 3,9% e la disoccupazione è scesa al 5,1%: in queste condizioni è dunque molto strano che l'inflazione "core" (quella cioè depurata dalla componente energetica) non riparta davvero. Eppure anche negli Usa resta ferma all'1,9% (dato di settembre "core"), che diventa 0% se si guarda all'inflazione generale. E anche nei prossimi anni non è vista in particolare aumento. Questo sembra dunque smentire le regole che si studiano su qualunque libro di economia: più scende la disoccupazione più l'inflazione dovrebbe salire (curva di Phillips), più aumenta la quantità di moneta più l'inflazione dovrebbe crescere. O vanno riscritti i libri di economia, oppure c'è qualcosa che sfugge. Nessun economista sa dare una spiegazione certa, pur considerando il calo del prezzo del petrolio. Tutti evidenziano una concomitanza di motivi: l'effetto anche indiretto delle materie prime, la crisi asiatica, il mercato del lavoro fragile, ma anche la digitalizzazione dell'economia, la globalizzazione e l'invecchiamento della popolazione. Elementi strutturali o congiunturali. Che passeranno o che resteranno. Ma nessuno, veramente, risolve il "mistero" della "Lowflation" (bassa inflazione). Nessuno permette di rispondere alla domanda delle domande: l'inflazione tornerà mai a salire davvero? O "Lowflation" è la nuova normalità?

2.- Le cause congiunturali. Le motivazioni di questa situazione sono in parte congiunturali. Ovviamente pesano tantissimo i tracolli recenti delle materie prime. Questo riduce i prezzi di beni e servizi. Dunque l'inflazione. Anche quella "core" (cioè depurata dal fattore energetico) ne risente: se il petrolio e la benzina costano meno - per fare un esempio - anche le zucchine costeranno meno perché i camion che le trasportano hanno spese inferiori. E così via. Calcolano gli economisti di Pictet

Am, che una discesa del 50% del prezzo del petrolio (unito all'effetto-dollaro) riduce l'inflazione Usa di un punto percentuale, quella europea di 0,5 e quella cinese di 0,4.
  A pesare, in effetti, ci sono anche altri elementi congiunturali: "Per esempio - osserva Andrea Delitala di Pictet Am - la congiuntura negativa di Paesi che consumano molta energia". In particolar modo della Cina. Il rallentamento del Dragone e la svalutazione dello yuan esportano deflazione, ma - secondo i calcoli di Pictet - non a sufficienza per tenere il caro-vita così basso per tanti anni. Dunque anche questo spiega, ma solo in parte la "Lowflation". Come la giustifica in parte il fatto che la politica monetaria espansiva sfoga i suoi effetti principalmente sui mercati finanziari e poco sull'economia reale. Una spiegazione congiunturale, o più che altro psicologica, l'ha data al Sole 24 Ore anche il ministro dell'economia Padoan: "È una questione di aspettative - afferma -. Non c'è ancora la piena consapevolezza che siamo usciti dalla crisi e quindi, sotto sotto, nella testa delle famiglie e imprese c'è l'idea che il mondo prodotto dalla crisi sia più debole e con una inferiore capacità di crescita". Anche questo è un motivo, non misurabile, ma valido. Come tutte le altre ragioni congiunturali, però, passerà quando la congiuntura cambierà. Ma l'inflazione non è ugualmente prevista in particolare crescita nei prossimi anni.

2.- Le cause strutturali . 
"Loflation" deve dunque avere anche altre cause.
- La prima è forse la digitalizzazione dell'economia. Morgan Stanley evidenzia almeno tre canali deflazionistici dell'economia 2.0: l'automazione aumenta la produttività e dunque fa calare i costi di produzione; l'e-commerce accresce la concorrenza, dunque abbassa i prezzi; la computerizzazione mette a rischio molti lavori. Secondo Morgan Stanley, chi lavora all'ufficio crediti ha il 98% delle probabilità di vedere il suo ruolo sostituito da un computer nei prossimi due decenni, i receptionisti hanno un rischio del 96%, gli assistenti legali del 94%. Questo peserà sull'inflazione, perché ridurrà il potere d'acquisto delle famiglie. Del resto in America già questo accade. Uno di motivi per cui la disoccupazione scende ma i salari non aumentano abbastanza (e dunque non portano inflazione) è legato al fatto che molti lavoratori sono precari o sotto-occupati. Negli Usa il tasso di disoccupazione è al 5,1%, ma se si somm
-  C'è poi un altro elemento strutturale, secondo l'economista di Intesa Sanpaolo Luca Mezzomo: la delocalizzazione delle attività produttive. "Se c'è una ripresa della domanda di un bene in un determinato Paese - spiega - l'eventuale carenza di offerta domestica oggi viene compensata dall'arrivo di prodotti esteri". Questo crea uno strutturale eccesso di offerta. Che, ovviamente, tiene bassa l'inflazione. Infine, suggerisce Antonio Cesarano di Mps Capital Services, pesa l'invecchiamento della popolazione mondiale. Questo abbassa i consumi. Dunque l'inflazione. Calcola Moody's che nei prossimi 15 anni la popolazione mondiale in età lavorativa sarà la metà di quella dei 15 anni passati: una rivoluzione demografica del genere non può passare indenne sull'inflazione.
Nino Luciani, A Proposito di quel mistero di "inflazione bassa", nonostante il Qe ...

1.- Premessa. A proposito dell'obiettivo di un tasso d'inflazione del 2% all'anno.
Questo mistero di Morya mi ha incuriosito. Ma comincio da capo
 
Draghi vuole un aumento dei prezzi del 2% all'anno. Grosso è opinione diffusa che, per il bene di tutti (vale dire per la crescita della produzione e del lavoro), il sistema economico debba avere un determinato grado di liquidità in moneta.
  Ma questo fatto determina, per un verso, la felicità dei percettori di redditi variabili (imprese, liberi professionisti), ma per altro verso la rabbia dei percettori di redditi fissi (lavoratori dipendenti, pensionati). Alle proteste di questi ultimi si rimedia con la scala mobile (diciamo, solo in parte) e con i rinnovi contrattuali (per i dipendenti) e con la scala mobile (ma solo parziale, per i pensionati).
  C'è, poi, una terza componente di beneficiari, e sono i debitori, che si trovano con una parziale cancellazioe del debito "reale".
  Tra questi c'è lo Stato. Ad es., al 2% annuo di inflazione, in dieci anni il debito pubblico cala del 21,8%. Per l'Italia, questo è troppo poco. Occorrebbe almeno un tasso di inflazione del 5% annuo, e in questo caso in 10 anni il debito reale calerebbe del 62,3% (un bel colpo !), ma non siamo noi a comandare sull'Euro.

2.- Ma l''inflazione non scatta, anzi resta 0%. Per dare una spiegazione sommaria del fenomeno, la via obbligata è partire dagli schemi teorici dei grandi maestri.
  Secondo loro, nel mercato avviene uno scambio  tra la massa monetaria spesa (M*V e il valore dei beni (P*Y), in un determinato tempo, espressa dalla formula (1).
  Il rapporto di scambio determina (come incognita) il livello generale dei prezzi P, espresso dalla formula (2)

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In essa:
- M è la quantità di moneta in circolazione, decisa dalla Banca Centrale (BCE)
P (livello generale dei prezzi, è determato come incognita);
- V è la velocità di circolazione della moneta M :
  Essa è considera una variabile strutturale del sistema economico, diciamo un dato di fatto, grosso modo costante, che indica il numero delle volte che detta massa passa di mano. (Esempio pago 100 euro al droghiere, che a sua volta spende le medesime 100 presso il fabbricante di mortadella, che a sua volta spenderà le medesime 100 presso un altro);
- Y è la produzione acquistata in quel periodo con M*V, e che vale P*Q.
( Per semplificazione del discorso, si suppone che Y sia una sola merce, oppure sia una merce composita).
 
3.- Prime osservazioni. Data la formula (2), se aumenta M (al numeratore), fermo V e Y, P dovrebbe aumentare. Ma Moyra ha constatato che questo non avviene, e la cosa giustamente lo meraviglia.
   Osservo che la formula (2) è relativa ad un sistema chiuso e inoltre ignora che esiste anche una moneta bancaria.
  Questi elementi sono di solito trascurati, ma sono importanti per capire il mistero.
  - in realtà il stema economico non è chiuso, e infatti esiste anche una bilancia dei pagamenti internazionali. Su questo punto il Bollettino Economico della BCE, n.8/2015, p. 100, ci informa che l'area Euro è passiva nell'intorno di 1000 miliardi annui dal 2014-15.  Questo vuole dire che, mentre Draghi immette moneta nell'area UE ( e questo fa aumentare M), la bilancia nei pagamenti ne fa uscire una parte dall'area UE e questo fa abbassare M, e fa entrare merci ( ossia fa aumentare Y).
  Questa è una prima spiegazione del fatto che P (ossia l'inflazione) non salga.(Andranno visti i conti esatti, lo farà Moyra).
  - moneta bancaria. Nei testi di economia di lingua inglese, nella formula (sopra riportata) la moneta bancaria (ossia gli assegni bancari) è dentro M implicitamente.
  Nella situazione attuale è meglio esplicitarla, come infatti non manca di fare la scuola classica italiana (si vegga: Luigi Amoroso, Le leggi naturali dell'economia politica, ed. UTET, par. 97). Su questa base la formula diviene:
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  In essa N è la moneta bancaria e W è la sua velocità di circolazione. Essa, temporaneamene, è aggiuntiva alla moneta legale (anche per via delle girate), e molto dipende dalla fiducia del possessore se essa sia coperta davvero da moneta legale.
   In questa fase storica la moneta bancaria è sotto i suoi valori normali e lo vediamo nella caduta del credito, e nelle rilevanti sofferenze bancarie.
  C'è, poi, il fatto che la moneta bancaria "digitale" (carte di credito digitali,..), oggi ha preso il posto degli assegni cartacei, e che non ha autonomia di circolazione rispetto alle banconote.
  Queste sono le spiegazioni, forse più importanti, della "non amplificazione" degli effettl Qe.
3.- Nuove osservazioni. C'è un quarto elemento. Esso è il fatto che lo Stato intasa il circuito monetario, rallentando V .
  Trattasi del fatto che al prelievo fiscale non segue prontamente la spesa. Precisamente (vedi: Ragioneria Generale)   lo Stato spende prontamente solo il 70-80% di quanto prelevato e che potrebbe spendere. In altri termini la spesa statale non ha effetto espansivo (come si attenderebbero i Keynesiani), ma restrittivo, e questo è il dramma che viviamo dai tempi del governo Monti.

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                           LA   CRISI  BANCARIA  INFINITA ...


Le risposte del Governatore della Banca d'Italia ad una "immaginaria" intervista
degli INDIGNADOS, surrogata dall' "Istituto Einaudi di  Economia  e   Finanza"
        http://www.eief.it/it/files/2014/02/newsletter-n-2-february-2014.pdf ; http://www.eief.it/
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Anche altra risposta agli "INDIGNADOS" ...

Riprendiamo in mano la
LEGGE BANCARIA ITALIANA DEL 1936
(Qui sotto, il testo in originale).

E' inaccettabile sanare i bilanci delle banche, se prima
non si torna a "regole" per il mercato della moneta
 !

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lL TESTO DELL'INTERVISTA
al Governatore

  Proponiamo qui, ai Colleghi professori universitari, lo stralcio di una intervista pubblica al Governatore, sulle cause e i rimedi alla crisi bancaria, del 1 feb. 2014.
   L'intervistatore è l'EIEF- Einaudi Institute for Economics and Finance, che immagina di fargli domande per conto degli INDIGNADOS.
  Il testo è in una nostra libera traduzione in italiano, fermo che l'originale intero (più sicuro) in inglese è disponibile all'indirizzo sopra riportato.
......
......
Istituto Einaudi: Come economisti, vediamo la finanza come il modo per fornire risorse a coloro che oggi hanno buone idee (ma non la ricchezza o il reddito), consentendo loro di trasformare queste idee in reale ricchezza aggiuntiva, che può premiare sia loro, sia quelli che originariamente hanno fornito le risorse.
   Come è stato possibile che, invece, la finanza sia stata vista da tanti giovani solo come un tradimento, un meccanismo misterioso e ingiusto che genera oppressiva "ricchezza di carta" per una piccola minoranza e la miseria reale per tutti gli altri?
  Che cosa ha fatto la finanza per meritarsi questa cattiva reputazione? Le autorità monetarie (Regolatori, d'ora in poi) condividono una parte di responsabilità?
  Ed è possibile fare meglio, in favore di un ruolo positivo della finanza?

Governatore:
Condivido largamente la vostra idea di finanza come un meccanismo per la produzione di beni.
   Ci sono molti vincoli di liquidità che ostacolano il funzionamento dell'economia e la valorizzazione di buone idee, e la finanza può rimuovere tali vincoli.
  In teoria, almeno. Invece, in pratica, le cose confondono il senso degli eventi, per un eventuale "taglio" al momento giusto.
   Ci sono anche dei cicli nel modo di percepire e valutare la finanza. Prima degli anni 70 il dibattito intellettuale usava dare per scontata l'idea che un Regolatore fosse necessario, che il mercato lasciato a se stesso può generare risultati inefficienti.
   Poi venne la grande inflazione degli anni '70, combinata con alta disoccupazione. Lo Stato, i Regolatori che non avevano impedito questi sviluppi, sono stati messi sotto accusa … e il terreno era pronto per un ideologia alternativa: una spinta per diminuire lo spazio dello Stato.    Per sostenere questo orientamento, a parte i fallimenti della "economia regolamentata", ci fu un cambiamento di potere, in ambito politico ed economico. La fine della guerra fredda, una maggiore apertura delle economie al commercio, il trasferimento delle innovazioni tecnologiche, molte delle quali generate nel settore militare, ad usi civili.
   La rivoluzione nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione ha radicalmente trasformato il modo in cui le informazioni possono essere generate, raccolte, trasferite. E questo a sua volta ha permesso una innovazione in ebollizione nel settore finanziario, l'innovazione finanziaria.
    L'idea, in linea di principio corretta e feconda, era che una proliferazione di nuovi strumenti finanziari, consentendo agli operatori di assicurarsi contro le molte facce del rischio, era un modo per "completare i mercati", …. permettendo il trasferimento efficiente delle risorse attraverso il tempo, lo spazio e gli Stati del mondo.
   Ma tutto questo era basato sulla ipotesi che il mondo sia stazionario, che il futuro sia più o meno come nel passato, e che possiamo estrapolare dei campioni relativamente piccoli, che vi sia un unico "processo che genera i dati", che possiamo eventualmente identificare e conoscere.
   Se invece il mondo è "non stazionario", si finisce per fare stime errate delle probabilità. E, sulla base di queste stime errate, le decisioni di investire in vari strumenti finanziari può portare a grandi errori. Per un determinato numero di anni le grandi banche d'investimento sono state in grado di sostenere "rendimenti" molto più alti di quelli che erano giustificato dall'aumento reale della ricchezza economica. Questo, finchè ad un certo punto è arrivato il giorno della resa dei conti, e c'è stata una brutta caduta.
   In certo modo, l'innovazione basata sull'ipotesi di stazionarietà, sparge i semi della non-stazionarietà, che finirà per svuotare tale ipotesi.

Istituto Einaudi
: Allora, pensa che ci fosse una qualche forma di arroganza, di eccessiva fiducia in se stessi, sulla base di un errata percezione dei rischi?

Governatore: Sì. Fondamentalmente, la "non stazionarietà" degli sviluppi economici non è stata ben calcolata. Ma altrettanto la complessità è stata strumentalizzata in modo un pò perverso, per ottenere dai Regolatori una sorta di benigna tolleranza. I grandi attori del settore finanziario hanno sostenuto con successo (in accordo con i Regolatori) che l'innovazione finanziaria era talmente complessa e opaca per i Regolatori, che essi finivano per girarci intorno …

Istituto Einaudi
:: Cosa pensa sul perché questo è accaduto? I Regolatori non avevano i giusti incentivi per l'acquisizione delle informazioni necessarie?

Governatore:
Ci sono probabilmente due ragioni. Da un lato, i grandi operatori finanziari erano, e sono, "globali".
   Essi operano nel mercato mondiale, ed i Regolatori nazionali erano troppo piccoli e avevano poteri troppo limitati per essere in grado di affrontarli.
   La necessità di coordinare le azioni delle autorità di regolazione ha agito nel senso di preservare la sfera d'influenza di ciascun regolatore, come un drenaggio sulla capacità di innalzare la sfida posta da una finanza diventata globale.
  D'altro canto, sono avvenuti sicuramente dei fenomeni di cattura dei Regolatori. Forti poteri politici ed economicI agivano e, in alcuni casi, hanno prevalso.

Istituto Einaudi
: Quali sono i Regolatori capaci di evitare che lo stesso errore accada di nuovo?

Governatore:
Parecchie cose sono già state decise (anche se non ancora tutte implementate in pieno). La più parte dei paesi ha rivisto i propri sistemi di regolazione e supervisione per ridurre i rischi per la stabilità, per aumentare la cooperazione tra autorità e ad ampliare la portata delle norme.
   Con il nuovo quadro normativo (cosiddetta Basilea 3), la capacità del capitale delle banche, di assorbire le perdite potenziali, sarà decisamente migliorata in modo definitivo: solo il capitale in senso stretto (common equity) sarà considerato "capitale" (azioni ordinarie, riserve, nuovi utili ? N.d.T.).
   E si stanno introducendo requisiti formali di liquidità per gli investimenti bancari.
   Sono stati introdotti principi per fare la compensazione nella finanza, più rispondente alle prospettive di lungo termine delle imprese.
   La trasparenza delle negoziazioni su "derivati" sta per essere aumentata spostando la maggior parte delle operazioni su scambi centralizzati.
   Molti degli incentivi perversi, che hanno incoraggiato le assunzioni di eccessivi rischi di cartolarizzazione, sono stati eliminati.
   Però, la riforma non è stato ancora completata. Diversi altri aspetti sono stati attivamente discussi, per esempio:
- il ruolo delle agenzie di rating;
- gli standard di contabilità;
- le regole prudenziali;
- anche la distinzione tra le banche, in modo da diminuire la loro complessità.
  Per evitare di affrontare brutte alternative, poste dall'esistenza di istituzioni "troppo grandi per fallire", si tratta:
- di impedire a loro di diventare troppo grandi;
- e di costruire regole che permettono schemi di regolazione ordinata, in caso di guasti.
   Sarebbe sciocco fingere che i guasti possono essere evitati, ma dobbiamo essere preparati per il loro occorrenza.
   Non tutti sono d'accordo sulle varie proposte, ci sono buoni argomenti su entrambi i lati del dibattito… .
  E, come accennato all'inizio, sono pienamente convinto che molti più sforzi dovrebbero essere rivolti a spiegare meglio ai giovani, sia quello che è successo e quali sono gli aspetti positivi del settore finanziario, sia quelle da cui possono trarre i maggiori benefici.
   A proposito di queste cose, un problema è che non è semplice identificare i colpevoli di ciò che è andato storto.
  Alcuni vedono un ruolo maggiore svolto dai cosiddetti squilibri globali, vale a dire quelli derivanti dall'emergere di aree con eccedenze strutturali e di altre aree deficitarie nel mondo, con alcuni paesi che consumavano costantemente più di quanto producevano e con gli altri che facendo il contrario.
  Altri incolpano la cosiddetta discrezionalità regolamentare, consistente nella tendenza di attori finanziari a muoversi in cerca delle economie in cui la regolazione è più favorevole.
  È anche importante essere chiari sui vantaggi e gli svantaggi  delle alternative (trade-offs). Le decisioni che  limitano il potere delle grandi istituzioni finanziarie potrebbero diminuire l'efficienza del sistema, ma potrebbero produrre un sistema più robusto e resistente, come uno che si realizza in modo soddisfacente, anche se le ipotesi, dalle quali si traeva il disegno del quadro normativo, stavano per tradursi in un errore grossolano.

Istituto Einaudi
: Tra le iniziative volte a limitare il potere di queste istituzioni, c'è l'idea di introdurre una imposta sulle transazioni finanziarie. Qual è la sua opinione al riguardo?

Governatore:
Quando ero capo economista presso l'OCSE, abbiamo pubblicato nel giugno 2002 un capitolo speciale sulle prospettive dell'OCSE circa la volatilità del mercato dei cambi e sulle imposte sulle transazioni di capitali.
   Quello che abbiamo scritto allora rappresenta, ancora oggi, più o meno quello che ne penso. Sono preoccupato circa la sua pratica attuazione.
   Penso che, se l'obiettivo è di tassare i profitti finanziari, ci sono dei modi migliori di farlo, e se l'obiettivo è di ridurre la dimensione e la quantità delle transazioni finanziarie, potrebbe finire (posto che si abbia successo) con l'ottenere poco gettito fiscale.

Istituto Einaudi
: Ma perché dovremmo voler ridurre le dimensioni e l'importo delle transazioni finanziarie ? Pensa che ci sia una discrepanza tra la quantità di attività finanziaria e la quantità di attività reale?

Governatore:
  Il mercato dei "derivati" è buono o cattivo ? Questo è quello che, in pratica, mi state chiedendo, in quanto una grande parte dell'esplosione del valore delle operazioni finanziarie è imputabile al mercato dei derivati.
   In linea di principio, un contratto su "derivati" è un meccanismo di assicurazione. Come tale, è un utile aggiunta alla serie di mercati disponibili, è un chiaro esempio di un trend verso il completamento dei mercati, che ho menzionato prima.
  Ma è necessario conoscerne le probabilità ! E se il mondo è "non-stazionario", questo è un problema.

Istituto Einaudi
: Non solo, ma proprio perché i derivati sono a offerta netta zero, perché dovremmo preoccuparci?
Se si fanno degli errori nella valutazione delle probabilità e qualcuno potrebbe avere ciò che gli altri hanno perso, non potremmo lasciarli al loro gioco?

Governatore:
Vedete, questo è in qualche misura lo stesso argomento usato dalla grande finanza per giustificare l'auto-regolazione. Siamo adulti, siamo in grado di prenderci cura di noi stessi. Questo andrebbe bene, salvo se poi non debbano seguire dei fallimenti e dei salvataggi. Ci sono importanti esternalità, di cui mercati non regolamentati non tengono conto." .................

Nino Luciani, Una legge per la difesa del risparmio e degli investimenti, o una legge per la libertà di "impresa bancaria" senza regole (quella del 1993), associata all'azzardo ?

  Premessa. Per una lettura critica attiva della legge del 1936, la chiave è avere in mente che, storicamente, la soppressione della convertibilità della moneta legale cartacea, in oro (ad un prefissata parità, garantita dalla banca centrale), è avvenuta perché (con l'esperienza), ci si era resi conto che (per accettare) il biglietto non era importante che, dietro, ci fosse l'oro, ma che "si credesse" che ci fosse l'oro.
   Più tardi, poi, ci si rese conto anche che l'oro no
n era necessario davvero, perchè noi non mangiamo l'oro (come Creso, che ne morì), ma beni di consumo comprabili con l'oro o con un suo sostituto (la moneta legale).
  Ulteriormente più tardi la moneta legale sarà, a sua volta, sostituita dalla moneta bancaria (assegni), e anche qui (sia pur in misura minore) non era importante che in deposito ci fosse davvero la moneta legale, ma che si credesse che ci fosse.
  Alla fine, si è concluso che, per farla accettare con potere liberatorio delle obbligazioni, bastava una "convenzione" (la legge), e stabilire un limite di fabbricazione per la moneta bancaria, che surroga quella legale. Ma ultimamente siamo arrvati alla "moneta virtuale" e infine, senza regole, ai "derivati", vale dire all'uso di titoli finanziari il cui valore deriva da "qualcosa" atteso in futuro, secondo un calcolo di probabilità circa il suo verificarsi.
  
2. L'importanza della legge del 1936. ll testo, qui ripreso, è di eccezionale interesse in quanto esso fu costruito, a suo tempo, per fronteggiare la grande crisi economica e finanziaria degli anni '30, i cui connotati sono stati riconosciuti simili a quelli della attuale grande crisi italiana e del mondo occidentale.
  Infatti, il mondo attuale viene dalla grande guerra all'IRAQ e all'AFGHANISTAN, così come il mondo di allora veniva dalla prima guerra mondiale e da successive varie guerre coloniali, sia pur con alternarsi di periodi di pace e di guerra.
  La guerra aveva determinato grandi pressioni della domanda pubblica per la produzionne di beni per la guerra. Poi, nel dopoguerra, quella domanda crollava e si imponeva la "conversione" del sistema produttivo in beni di pace, e così di seguito. (Non ci si fermi, tra le cause della crisi attuale, alla cosiddetta insolvenza dei mutui sub prime, negli USA. Questa insolvenza fu solo la punta dell'iceberg, quella che si vede a colpo d'occhio).
  Storicamente, le guerre degli Stati europei sono state finanziate dalle banche, mediante la sottoscrizione di debito pubblico e, dunque, nell'alternarsi del ciclo, le banche ne subivano i contraccolpi con fasi di grave insolvenza degli Stati sovrani e delle banche, nel successivo periodo di pace.
  J.M. Keynes scrisse, nei primi anni '20, un libretto "Le conseguenze economiche della pace". Allora lo Stato insolvente era la Germania, e l'inglese Keynes ammoniva l'Inghilterra a non pretendere esosamente i danni di guerra, sia perché la Germania non era in condizioni di pagarli, sia perché, accumulando via via il danaro per pagare i debiti, essa non poteva importare i prodotti dell'Inghilterra, per cui alla fine ne derivava un danno all'Inghilterra.
   Al tempo dei Re, a guerra finita, i Re tagliavano la testa ai banchieri, e il debito veniva cancellato. Dopo i Re, il debito pubblico è stato cancellato con la fabbricazione di carta moneta, vale dire con l'inflazione. (Si vegga la nostra tabella storica del debito pubblico).
   Negli anni '30 questa procedura fu complicata dal fatto che le banche aveva assunto una grande importanza anche per l'economia. E, per evitare la rovina dei risparmiatori, lo Stato italiano fu costretto a soccorrerle, nazionalizzandone le più importanti, ed a riordinare la funzione creditizia bancaria.
   Anche allora, poi, le banche finanziavano gli investimenti privati a medio-lungo termine, inclusa la partecipazioni al capitale di rischio.
    Fu una miscela che, troppo amplificata, bloccò il circuito del reddito. I magazzini erano pieni di merci, ma il pubblico non aveva moneta per acquistarli.

3.  Cosa fu deciso con la legge bancaria del 1936.
  In essenziale:
   a) la Banca Centrale fu configurata come istituto di diritto pubblico autonomo (già dal 1926, essa aveva avuto la esclusiva per la fabbricazione della moneta legale. Lo Stato aveva conservato il modesto potere di fabbricare la moneta metallica);
   b) fu separato il mercato monetario (ossia a breve termine) dal mercato finanziario (ossia a medio-lungo termine);
  c) fu separata la banca dall'industria (divieto di partecipazione al capitale di rischio).
  In corrispondenza a questa distinzione fu dato il mercato monetario alle banche di "credito ordinario"; e il mercato finanziario gli istituti di credito mobiliare. Precisamente, la banca di credito ordinario non poteva più impiegare il danaro (avuto in deposito a breve) per impieghi a medio-lungo termine come per l'acquisto di obbligazioni, peggio se in azioni, per i rischi di impossibilità di restituire in ogni momento il danaro ricevuto in deposito.
  C'erano, poi, altre regole, quali l'osservanza:
  - di un determinato rapporto tra il patrimonio netto (capitale e riserve) e le passività;
  - dei limiti massimi alla concessione dei prestiti, di cui più tardi (1947, sotto Einaudi, governatore) quello più noto sarà la "riserva obbligatoria" delle banche (una percentuale dei depositi da conservare presso la banca centrale, a un tasso di interesse). Il motivo era ancora che le banche dovevano sempre essere in condizioni di restituire ai depositanti i loro soldi.
    Questo passo era, al tempo stesso, il riconoscimento ufficiale della possibilità di creazione di moneta bancaria (da parte delle banche), pari ad un determinato multiplo (l'inverso della detta percentuale) dei depositi iniziali in moneta legale.
  Voglio chiarire che la possibilità di creare moneta bancaria era comunque notevole, visto che quella percentuale era relativamente bassa. Tanto per essere chiari, fino ad una trentina di anni fa, quella percentuale era intorno al 25% (e dunque quel "multiplo" era 4), poi via via sempre meno, e questo anche grazie dall'accettazione crescente degli assegni bancari, da parte del pubblico.
   Stando alle attuali regole della BCE, la percentuale obbligatoria BCE è divenuta il 2%, ma nei fatti il 3-4%, ma anche il 60% nei casi di gravi anomalie del debitore. Non ho trovato la percentuale "media", nè le riserve totali conservate dalle banche presso la B.d'I. Ho provato a calcolata per rapporto tra il totale degli impieghi bancari e il totale delle banconote in circolazione (€ 141 miliardi, sett. 2011). Posto che tutta la moneta legale transiti per le banche, risulterebbe che la moneta bancaria sia oggi, grosso modo, 14 volte le banconote, e dunque la riserva obbligatoria "totale" sia nell'intorno del 7,1% dei depositi.

4. La legge bancaria del 1993. La legge del 1936 è stata sostituita nel 1993, dal Decreto Leg.vo 385/1993, su pressione della banca d'Italia. La sua caratteristica è di averci dato la "banca universale".
  Analoga legge (il Glass-Steagall Act del 1933) aveva retto negli Stati Uniti fino al 1999, quando fu sostituita dal  Gramm-Leach-Bliley Act. Esso aveva gli stessi caratteri di base della legge italiana. La Germania aveva, già, la banca universale.

  La riforma stabilirà che "l'attività bancaria" ha "carattere di impresa" ed "è riservata alle banche" (art.10), e inoltre che la banca universale:
  a) può fare operazioni sulla moneta, senza alcuna distinzione tra mercato a breve termine e mercato a medio-lungo termine;
 b) può emettere obbligazioni; e può partecipare al capitale delle imprese, e viceversa, sia pur entro determinati limiti (fino al 5% OK di norma, fino al 15% o più servono speciali autorizzazioni della banca centrale) .
  c) avere un "capitale versato" (art. 14, lett. b) "non inferiore a quello determinato dalla Banca d'Italia" (?).
   Questo dispositivo è ripreso dall'art. 53, che chiede alla B.d'I. disposizioni concernenti "l'adeguatezza patrimoniale" e il "contenimento del rischio", sia pur differenziatamente da caso a caso;
  d) aderire ad un sistema di garanzia di diritto privato nei confronti dei depositanti, con risorse da essa fornite (art. 96) e (nei casi di liquidazione di banche) con garanzia accessoria dello Stato estere se la banca in liquidazione è una succursale di banca estera.
 
4. I buchi neri della legge bancaria del 1993. Per valutare la "saggezza" di questa riforma (a parte la "lezione" vivente della crisi mondiale di liquidità ) occorre chiarire che essa, essendo una impresa, ha libertà di regolarsi in base al profitto, e dunque (stando all'economia) il limite ai profitti dovrebbe venire dalla concorrenza tra banche, così da "spingere" le banche verso un profitto "normale".
   Quanto sia infondata questa "attesa", nel caso delle banche, è provata dal fatto che i manager bancari e finanziari continuano a percepire remunerazioni astronomiche. In Italia, è solo di qualche mese fa la notizia che un manager dello Unicredit dimessosi, ha percepito (grosso modo) una liquidazione di € 4 milioni.
  Le ragioni di questa "non saggezza" sono presto dette:
  1) la moneta è un bene a domanda rigidissima, perchè è essenziale per le operazioni economiche. E' come il sangue per una persona;
  2) di conseguenza non è verosimile che possa esistere un mercato concorrenziale. Ma andiamo per gradi:
    Per definizione il mercato di concorrenza si fonda:
  - sulla libertà di entrata e uscita di imprese nel mercato;
  - sulla omogeneità del prodotto;
  - su un numero relativamente grande di imprese, così che nessuna abbia un potere di dominanza sul mercato.
   Qui, non esiste nessuna di queste condizioni. Dunque, è stato come legalizzare la giungla della foresta.
  Infatti, un "ammontare di moneta" depositato a breve non è omogeneo a un uguale ammontare girato per un prestito a medio-lungo termine. E se questo avviene, il rischio di insolvenza c'è per definizione. E' lo stesso tipo di reato, in cui incorre una comune impresa che venda un prodotto adulterato: c'è infedele custodia, verso il depositante. Questo è il senso della legge del 1936.
   3) Un rimedio pensato dalla legge alla "irresponsabilità" della banca universale-libera impresa, è che la banca risponda in proprio (vale dire con proprio capitale), del denaro avuto in deposito, e tenga un determinato patrimonio.
   Il coefficiente di patrimonializzazione "inventato" da Basilea 3 è che esso sia almeno il 9%. Si tratta del rapporto tra il "patrimonio di vigilanza" e impieghi esterni presso la clientela (Devo chiarire che uso un linguaggio semplificato ma, spero non errato, e comunque, rinvio chi volesse approfondire il concetto di "patrimonio di vigilanza" al seguente link verso la Banca d'Italia).
   Ma appena guardiamo dentro quel "patrimonio di vigilanza" constatiamo la grande "bugia".
   a) Di esso, il patrimonio nel significato della ragioneria è solo una piccola parte
   b) Il patrimonio nel senso della ragioneria è, di solito, il patrimonio "storico" (capitale versato, riserve) per cui, dal punto di vista dell'adeguatezza alla solvibilità, serve qualificarlo con concetti economici: vale dire, esso dev'essere liquido o liquidabile.
   Per chiarire le cose, ricordo che (dai tempi di I. Fisher, 1906, La natura del capitale del reddito, sul quale ho scritto Intorno alle proposizioni Fisheriane sul concetto di reddito, ed. da Giuffrè, Padova 1971), il capitale è il valore attuale del reddito, e dunque non esiste il "capitale + il reddito". Se vuoi l'uno, non puoi avere l'altro.
   Dunque un patrimonio che non prometta un reddito, vale "zero", e non è liquidabile. In condizioni di catastrofe generale (come adesso), il processo non è sicuro.  Lo abbiamo constatato anche recentemente, quando (in coincidenza con l'aumento di capitale dell'UNICREDIT), l' "azione" Unicredit ha avuto in borsa un grande capitombolo, perchè non sorretta da adeguata aspettativa di dividendi.
   c) in ulteriore approssimazione circa la garanzia della solvibilità, si è accennato (più sopra) che la legge bancaria obbliga le banche ad aderire ad un fondo di garanzia.
   Si tratta di strumenti di efficacia molto limitata, e sicuramente insufficiente nel caso di panico.

   Torno al punto di partenza. In un quadro mondiale di grande pressione della domanda pubblica di beni per la guerra (IRAQ, AFGHANISTAN) è normale che le banche siano state sollecitate, al massimo, ad esprimere la loro "libertà di impresa" per fare super-profitti e, tra l'altro, con la complicità degli Stati (non cercare ..., non vedere). Ma abbiamo anche visto che, in seguito alla decelerazione del processo di guerra, il denaro impiegato per il medio-lungo termine, è rimasto ingabbiato, e non è tornato nelle casse bancarie.
  Concludo per la opportunità di tornare a "regole"  per il mercato della moneta. No alla legge della giungla.
  La mia preferenza è un ritorno parziale alle legge del 1936, basata sui seguenti punti:
  1) va ripristinata (ed estesa allìUnione Europea) la separazione tra il mercato a breve e il mercato a medio-lungo termine;
  2) la riserva obbligatoria bancaria, depositata presso la banca centrale, dev'essere "adeguata" (in media non meno  del 15% ?);
  2) la separazione tra banca e industria dev'essere totale, per quanto riguarda la partecipazione al capitale di rischio;
  3) il mercato dei derivati va vietato alle banche, e lasciato a specifiche istituzioni, con specifici requisiti patrimoniali.

     Nino Luciani, Professore Ordinario di scienza delle finanze

.

Nota. L'Indice, in fotocopia dell'originale, è riportato al termine del testo digitalizzato, che viene qui di seguito. Nelle fotocopia ho cancellato tutti i riferimenti al regime politico del tempo, compresi gli anni di regime, perché li ho considerati non pertinenti con la legge.
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LEGGE BANCARIA DEL 1936
di conversione in legge del

Regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375”
(Testo originale, comprese le note introduttive, evidenziate in blu))

RAGIONI E SCOPI DEL PROVVEDIMENTO

La funzione creditizia e quella della raccolta del risparmio, che forma la base ed il presupposto necessario della prima, avevano trovato - osserva la Relazione ministeriale alla Camera - adeguata disciplina nella legge 23 giugno 1927, n. 1107, recante provvedimenti per la tutela del risparmio.
Le successive vicende del mercato monetario internazionale, connesse con il sensibile incremento del privato risparmio italiano e con lo sviluppo della produttività del Paese, hanno reso necessaria, a più riprese, la emanazione di numerosi provvedimenti, per la disciplina ed il controllo del credito, sia in rapporto a determinate forme di credito o di raccolta del risparmio, sia in rapporto a particolari Istituti.
Si è così venuto formando un complesso imponente di norme le quali, pure mirando. tutte all'unico fine della disciplina del credito nell'interesse del Paese, hanno dato luogo talvolta a dannose interferenze e creato, talora situazioni disorganiche, rendendo meno efficace la vigilanza sopra un settore di fondamentale importanza per l'economia tutta della Nazione.
L'opera svolta in tale settore dallo Stato, dall'Istituto di emissione e da Istituti specializzati, è stata vasta e complessa ed ha condotto a risultati che possono considerarsi soddisfacenti, ma che tuttavia non permettono di ritenere che l'attuale ordinamento abbia raggiunto la necessaria stabilità e perfezione.
La presente legge è stata determinata da necessità avvertite dalla corporazione per la previdenza ed il credito fin dalla sua prima riunione. La discussione svoltasi in tale sede, sboccò - come è noto - in una serie di conclusioni raccolte nella « mozione sulla distribuzione funzionale e territoriale degli organi di credito » votata dalla corporazione stessa. Successivamente, il Comitato corporativo centrale, deliberò, sulla base della mozione in parola, la costituzione, in seno alla corporazione della previdenza e del credito, di un Comitato tecnico corporativo per lo studio del problema relativo alla distribuzione funzionale e territoriale degli organi del credito. Dell'autorevole collaborazione di tale Comitato si è valso il Governo nella preparazione del provvedimento che viene presentato alla Camera per la conversione in legge.
Il provvedimento è di ampia portata ed investe, nella sua interezza ed in forma organica, il problema della disciplina della funzione creditizia in tutti i suoi aspetti. Esso coordina, e, dove necessario, integra tutta la legislazione precedente, apportando in taluni campi innovazioni importanti.
Il provvedimento - continua la Relazione - si inspira ad alcuni fondamentali criteri direttive fondamentali:

a) la necessità dell'azione dello Stato nel campo del credito; azione che si svolge normalmente con funzioni di vigilanza e di disciplina. Non è ammissibile che la raccolta di ingenti masse di risparmio ed il loro impiego nei diversi settori dell'economia produttiva, avvengano al di fuori di una vigilanza da parte dello Stato, diretta a salvaguardare l'interesse del pubblico, ed indipendente da considerazioni di ordine nazionale.
b) La necessità di una disciplina unitaria nel governo di uno strumento che, come quello del credito, forma la base dell'economia del Paese; necessità resa ancor più manifesta dalla constatazione che la molteplicità ora esistente negli organi dello Stato, preposti alla vigilanza ed alla disciplina ha creato spesso interferenze e contraddizioni.
c) L'esatta visione della realtà circa gli effetti di una organizzazione creditizia non sufficientemente regolata e vigilata, che ha determinato .la formazione di posizioni bancarie pericolanti, tanto da richiedere ripetuti interventi dello Stato. Particolarmente importante, a tale riguardo, la decisione presa dal Governo nel marzo 1934-XII in seguito alla quale lo Stato, attraverso la Sezione smobilizzi dell'Istituto per la ricostruzione industriale, si è trovato in condizioni di dover rilevare le partecipazioni industriali delle maggiori Banche di credito ordinarie a base nazionale.
d) necessità di controllare l’espandersi del credito oltre la possibilità di formazione normale del risparmio, per impedire l'eccessivo rincarare del denaro che deriverebbe dall'esagerata richiesta di credito. Tale controllo tende pure a convogliare gli investimenti del denaro verso quelle forme che ne rappresentano il migliore collocamento non tanto dal punto di vista strettamente egoistico e privato, quanto da quello dell'interesse pubblico.
In relazione a tali criteri si è provveduto a coordinare i mezzi giuridici, tecnici e di gestione per la disciplina e il governo della funzione creditizia con la necessaria unità di organi e con opportuno coordinamento di funzioni, dando vita a quella organica legge bancaria di cui ancora mancava il nostro Paese.
La portata del provvedimento è tale che ogni punto merita particolare illustrazione.
Una enunciazione iniziale mette in evidenza che l'esercizio del credito mediante la raccolta del risparmio fra il pubblico è funzione di pubblico interesse e come tale sottoposta a vigilanza; il decreto legge provvede quindi a costituire un apposito organo per l'unificazione ed il coordinamento unitario di tale vigilanza e disciplina, denominandolo « Ispettorato per la difesa del risparmia e per l'esercizio del credito ».
Fino ad oggi - rileva la relazione della Giunta Generale del Bilancio alla Camera dei Deputati (relatore UNGARO) - tale controllo - frazionato fra diversi organi - si svolgeva con criteri e con metodi che non si sono dimostrati rispondenti allo scopo.
L'esercizio bancario era infatti regolato dal Regio decreto - legge 7 settembre 1926, n. 1511 (convertito in legge 23 giugno 1927, n. 1107), il quale stabiliva un controllo formale ed indiretto della Banca d'Italia e del Ministero delle finanze, sulle aziende esercenti il credito che raccogliessero depositi.
Tale controllo era limitato:
a) al rapporto fra patrimonio netto (capitale e riserve) e l'ammontare dei depositi;
b) alla misura massima in cui il fido poteva essere concesso ad una medesima Ditta (20 per cento del patrimonio dell'Ente mutuante);
e) alla costituzione di un albo delle aziende esercenti il credito;
d) alla preventiva autorizzazione per la costituzione di nuove aziende di credito e per l'apertura di filiali da parte di aziende già esistenti.
La nuova legge estende nella sostanza e nella forma il controllo su tutte le aziende che si dedicano ad entrambe queste attività; raccolta del risparmio ed esercizio del credito, e lo affida ad un organo di nuova istituzione: « l'Ispettorato per le difesa del risparmio e per l'esercizio del credito ». Si è affacciato il dubbio sulla estensione di tale controllo anche a quelle società commerciali ed industriali che accettino depositi in conto corrente per conto di terzi in funzione accessoria delle loro attività; ma è da ritenere che le nuove disposizioni non abbiano innovato il principio già affermato nel capoverso dell'articolo 1 del Regio decreto-legge 6 novembre 1926, n. 1830, convertito nella legge 23 giugno 1927, n. 1108.
L'Ispettorato è alle dipendenze di un Comitato di Ministri il quale è presieduto dal Capo del Governo e composto dei Ministri per le finanze, per l'agricoltura e le foreste e per le corporazioni.
Capo dell'Ispettorato è il Governatore della Banca d'Italia che partecipa alle sedute del Comitato dei Ministri, e provvede, nell'ambito delle direttive fissate dal Comitato stesso, alla esecuzione dei compiti attribuiti all'Ispettorato.
Al fine di adeguare le esigenze per lo sviluppo dell'economia della Nazione e della vita dello Stato alla formazione del risparmio ed alle possibilità di credito del Paese, il Comitato dei Ministri fissa le direttive di carattere generale sentito il Comitato corporativo centrale.
All'Ispettorato viene attribuito un complesso di facoltà che sono necessario per l'applicazione della sua attività. La nuova legge infatti affronta integralmente e con ampia visuale il problema del governo del credito nel suo complesso ed in tutti i suoi aspetti, e provvede in primo luogo alla disciplina del massimo tra gli enti di credito operanti nel Paese, l'Istituto di emissione.

TESTO DEL DECRETO

VITTORIO EMANUELE III

PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE

RE D'ITALIA
...
...

Sentito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Capo del Governo, Nostro Primo Ministro Segretario di Stato e Nostro Ministro Segretario di Stato per l'interno e per le corpo razioni, di concerto con i Nostri Ministri Segretari di Stato per la grazia e giustizia, per le finanze e per l'agricoltura e foreste;
Abbiamo decretato e decretiamo:


TITOLO I .- DISPOSIZIONI GENERALI.

ART. 1.- INTERESSE PUBBLICO DELLA RACCOLTA DEL RISPARMIO
La raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico regolate dalle norme del presente decreto.
Tali funzioni sono esercitate da Istituti di credito e Banche di diritto pubblico, da Casse di risparmio e da Istituti, Banche, enti ed imprese private a tale fine autorizzati.

ART. 2 - CONTROLLO DELL'ISPETTORATO - USO DELLA PAROLA: BANCA AUTORIZZAZIONE PER L’EMISSIONE DI AZIONI
Tutte le aziende che raccolgono il risparmio tra il pubblico ed esercitano il credito, sia di diritto pubblico che di diritto privato, sono sottoposte al controllo di un organo dello Stato, che viene a tal fine costituito e che è denominato « Ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito ».
Tale organo sarà in appresso indicato più semplicemente « Ispettorato ».
Le parole « banca », « banco », « cassa di risparmio », « credito », « risparmio » e simili non potranno in alcun caso usarsi nella denominazione di istituti, enti o imprese che non siano soggette al controllo dell'Ispettorato o che comunque non ne abbiano avuto l'autorizzazione.
È soggetta ad autorizzazione dell'Ispettorato ogni emissione di azioni, di obbligazioni, di buoni di cassa, di valori mobiliari di ogni natura, quando sia da realizzare a mezzo delle aziende soggette al controllo dell'Ispettorato o i relativi titoli si vogliano ammettere al mercato dei valori mobiliari nelle Borse del Regno.

ART. 3.- BANCA D'ITALIA - ISTITUTO DI DIRITTO PUBBLICO
La Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico. Sono apportate alla sua costituzione, al suo ordinamento ed all'esercizio delle sue funzioni le modificazioni risultanti dal titolo III del presente decreto.

ART. 4. ORDINAMENTO DEGLI ISTITUTI E BANCHE DI DIRITTO PUBBLICO
La costituzione e l'ordinamento degli Istituti di credito e delle Banche di diritto pubblico sono regolati dal titolo IV del presente decreto.

ART. 5. RISPARMIO A BREVE TERMINE
Il controllo dell'Ispettorato sulla raccolta di risparmio a breve termine si attua in confronto:
a) degli Istituti di credito e delle banche di diritto pubblico di cui all'articolo 4;
b) delle banche ed aziende di credito in genere, comunque costituite, che raccolgano fra il pubblico depositi a vista o a breve termine, a risparmio in conto corrente o sotto qualsiasi forma e denominazione;
e) delle filiali esistenti nel Regno di aziende di credito straniere;
d) delle Casse di risparmio;
e) dei Monti di pegni;
f) delle Casse rurali ed agrarie
.
Il controllo disposto dal presente articolo si attua secondo le norme contenute nel titolo V del presente decreto.
Tutti gli istituti, enti e persone elencati nel presente articolo sono indicati in appresso complessivamente come «aziende di credito”.

ÀRT. 6. RISPARMIO A MEDIO E LUNGO TERMINE
Il controllo dell'Ispettorato sulle operazioni di raccolta di risparmio a medio e lungo termine e sulle aziende che le esercitano si attua secondo le norme del titolo VI del presente decreto.

ART. 7. FUSIONE DI AZIENDE
Per le aziende di credito di cui all'articolo 5 è stabilita una procedura speciale per le fusioni, l'amministrazione straordinaria e la liquidazione secondo le disposizioni del titolo VII del presente decreto.

ART. 8. FUNZIONI DI VIGILANZA

Le funzioni di cui all'articolo 24, libro secondo, del testo unico 2 gennaio 1913, n. 453, sulla Cassa depositi e prestiti e quelle previste dal comma secondo dell'articolo 1 del Regio decreto-leggero dicembre 1924, n. 2106, sono esercitate sentito l'Ispettorato.


ART. 9. INCOMPATIBILITÀ
I funzionari dello Stato e degli Istituti parastatali non possono coprire cariche di amministratori e direttori nelle aziende di credito e negli Istituti ed Enti indicati nell'articolo 41, sottoposti al controllo dell'Ispettorato, salvo autorizzazione espressa del Comitato dei Ministri.
I funzionari delle aziende di credito e degli Istituti ed enti indicati nell'articolo 41 non possono coprire cariche di amministratori, sindaci e direttori in altre aziende, anche se non sottoposte al controllo dell'Ispettorato, se non autorizzati dall'Ispettorato stesso.
Nel caso di autorizzazioni concesse ai sensi dei due precedenti capoversi, gli emolumenti spettanti ai funzionari per le cariche loro consentite sono devoluti agli enti da cui dipendono, salvo che l'Ispettorato ne con- senta la devoluzione ai funzionari stessi.

La Giunta del Bilancio ha proposto, e la Camera ha approvato che nel 2° comma alle parole « i funzionari » siano sostituite le parole « gli amministratori delegati, i dirigenti, i funzionari, impiegati delle aziende di credito ».
In merito all'articolo 9 la stessa Giunta del Bilancio ebbe a considerare:
« Per ciò che si riferisce ai funzionari dello Stato - in considerazione dei molti abusi, a cui ha dato luogo l'accentramento in taluni funzionari sopratutto di grado elevato, di cariche di amministratori in aziende che dell'Amministrazione dello Stato non fanno parte - è da augurarsi che il Comitato dei Ministri si avvalga solo in casi di assoluta necessità della facoltà di consentire che essi partecipino all'amministrazione degli Istituti sottoposti al controllo dell'Ispettorato, in attesa che entro breve termine - per ovvie considerazioni di opportunità e di prestigio - possa essere esteso a tutti i funzionari dello Stato il divieto fatto oggi soltanto a talune categorie di essi - come i Magistrati - di partecipare comunque ad amministrazioni di aziende, anche se non sottoposte al controllo dell'Ispettorato.
« Può sembrare contraddittorio ed in certo modo antigiuridico che una legge, nel tempo stesso in cui stabilisce categoricamente una incompatibilità, ammetta la possibilità di derogarvi; ma la contraddizione - che peraltro è evidente - si spiega con la necessità di consentire al Comitato dei Ministri, in via del tutto eccezionale - come è già stato deliberato - che nel primo periodo di attuazione della legge, ed in pochissimi e singolarissimi casi, taluni funzionari possano continuare a prestare la loro opera ancora per breve tempo in talune Amministrazioni ».

ART. 10. SEGRETO D'UFFICIO
Tutte le notizie, le informazioni o i dati riguardanti le aziende di credito sottoposte al controllo dell'Ispettorato sono tutelati dal segreto d'ufficio anche nei riguardi delle pubbliche Amministrazioni.  I funzionari dell'Ispettorato nell'esercizio delle loro funzioni sono considerati pubblici ufficiali; essi hanno l'obbligo di riferire esclusivamente al Capo dell'Ispettorato tutte le irregolarità constatate, anche quando assumano la veste di reati.
I funzionari e tutti i dipendenti dell'Ispettorato sono vincolati dal segreto d'ufficio.

TITOLO II. COSTITUZIONE DELL'ISPETTORATO PER LA DIFESA DEL RISPARMIO E PER L'ESERCIZIO DEL CREDITO.

ART. 11. ISPETTORATO
La difesa del risparmio ed il controllo dell'esercizio del credito sono attuati dallo Stato mediante apposito organo denominato a Ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito i).

ART. 12. COMITATO DI MINISTRI - GOVERNATORE DELLA BANCA D'ITALIA
L'Ispettorato è alle dipendenze di un Comitato di Ministri presieduto dal Capo del Governo e composto dei Ministri per le finanze, per l'agricoltura e le foreste e per le corporazioni.
Il governatore della Banca d'Italia, è capo dell'Ispettorato e provvede, nell'ambito delle direttive fissate dal Comitato dei Ministri alla esecuzione dei compiti attribuiti all'Ispettorato, anche mediante deleghe. Il capo dell'Ispettorato partecipa alle sedute del Comitato dei Ministri predetto.
Il Comitato dei Ministri si riunisce ordinariamente ogni mese.

ART. 13. DIRETTIVE - COMITATO CORPORATIVO CENTRALE
II Comitato dei Ministri di cui all'articolo precedente fissa le direttive per l'azione da svolgere dall'Ispettorato. Per le direttive di carattere generale il Comitato dei Ministri sentirà il Comitato corporativo centrale al fine di adeguare le esigenze per lo sviluppo della economia della Nazione della vita dello Stato alla formazione del risparmio ed alle possibilità di credito del Paese.

ART. 14. VIGILANZA MINISTERIALE - DEVOLUZIONE AL COMITATO
Ferme restando le disposizioni concernenti la vigilanza del Ministro delle finanze sull'Istituto di emissione, tutte le attribuzioni attualmente deferite ai Ministri per le finanze, per l'agricoltura e foreste e per le corporazioni, concernenti la materia del risparmio e del credito e la ingerenza e sorveglianza su gli enti che esercitano le funzioni, di cui all'articolo 1, sono devolute al Comitato dei Ministri di cui all'articolo 12 ed i provvedimenti relativi sono emanati con decreti del Capo del Governo. Alla esecuzione di tali decreti e in generale a tutte le funzioni di carattere esecutivo, provvede l'Ispettorato.

ART. 15. ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI
Con deliberazione del Comitato dei Ministri saranno stabilite le norme per l'organizzazione degli uffici, l'assunzione del personale, la nomina dei funzionari, la determinazione delle loro attribuzioni.

ART. 16. CORRISPONDENZA CON LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
L'Ispettorato ha diritto di corrispondere con tutte le pubbliche Amministrazioni e con gli enti di diritto pubblico, nonché con tutti gli organi corporativi e di richiedere ad essi, oltre alle notizie ed informazioni occorrentigli, la collaborazione per l'adempimento delle sue funzioni.

ART. 17. PERSONALE
Con provvedimenti delle Amministrazioni interessate, può essere comandato a prestare servizio temporaneamente presso l'Ispettorato, a richiesta di questo, personale di qualsiasi gruppo o ruolo delle Amministrazioni dello Stato, nonché personale appartenente a Istituti di credito e banche di diritto pubblico e ad altri enti di diritto pubblico.

ART. 18. SPESE DI GESTIONE DELL'ISPETTORATO
Le aziende di credito e gli istituti ed enti indicati nell'articolo 41 sottoposti al controllo a norma del presente decreto, contribuiscono alle spese di gestione e di amministrazione dell'Ispettorato nella misura e con le norme che saranno determinate con deliberazione del Comitato dei Ministri, il quale approva il rendiconto annuale presentato dal capo dell'Ispettorato.

ART. 19. PROVVEDIMENTI DEL CAPO DELL'ISPETTORATO
I provvediménti presi dal capo dell'Ispettorato nell'esercizio delle funzioni discrezionali di controllo sono soggetti al solo sindacato del Comitato dei Ministri, al quale gli interessati possono proporre i loro reclami - che non. hanno effetto sospensivo - entro il termine di un mese dalla data della comunicazione del provvedimento.

TITOLO III. L'ISTITUTO DI EMISSIONE

Il titolo III del provvedimento - osserva la Relazione ministeriale - risolve organicamente il problema delle funzioni e della costituzione dell'Istituto di emissione, venendo incontro ai voti ripetutamente espressi ed anche recentemente confermati dalla mozione votata nello scorso giugno dalla Corporazione della previdenza e del credito, che deliberava, di chiedere al Governo l'adozione di provvedimenti idonei ad orientare sempre più l'Istituto di emissione verso le sue altissime funzioni di massimo regolatore della attività creditizia nazionale.
Come primo atto della riforma dell'Istituto di emissione, esso viene dichiarato Istituto di diritto pubblico.
L'Istituto di emissione, ente di diritto privato, è ormai, nello Stato corporativo, una sopravvivenza non più giustificabile. Esso stava a rappresentare nella sua origine il banchiere privato che aveva fatto prestiti allo Stato o al Principe e che, a poco a poco, quale corrispettivo dell'aiuto prestato, aveva ottenuto il privilegio di battere moneta. Oggi l'esercizio di questa attività da parte del privato non ha più alcun serio contenuto di intrapresa economica e la partecipazione del privato all'Istituto di emissione non ha quindi più giustificazione. Tanto vale dunque disinteressare, puramente e semplicemente il capitale privato, tutelandone, come è giusto, i diritti acquisiti, ed affermare che la Banca d'Italia è un ente di diritto pubblico, sottraendo pertanto le azioni di essa alla circolazione fra enti non qualificati. Così il provvedimento dispone che le attuali azioni siano rimborsate al prezzo di lire 1.300** (milletrecento) cadauna corrispondente al capitale ed alle riserve di bilancio dell'ente, e che un nuovo capitale di lire 300 milioni sia sottoscritto da Casse di risparmio, Istituti di credito e Banche di diritto pubblico, Istituti di previdenza, ed Istituti di assicurazione. Si apporta altresì una innovazione nella costituzione degli organi amministrativi dell'Istituto. In armonia con la sua natura di ente di diritto pubblico le funzioni che nella Banca d'Italia spettavano alla assemblea dei soci vengono in parte deferite alla Corporazione della previdenza e del credito, cui è demandata la nomina di tre dei quindici membri del Consiglio superiore dell'Istituto, mentre gli altri dodici vengono nominati dalle assemblee generali dei soci presso le sedi della Banca e cioè da rappresentanti degli Enti sopra menzionati. La funzione eminentemente tecnica di " banca delle banche " che l'Istituto di emissione deve assumere nella economia bancaria moderna è chiaramente espressa dalla limitazione delle operazioni di sconto (il cosiddetto risconto) a contropartita costituite esclusivamente da Aziende ed Istituti di credito. Cessano così, con i necessari temperamenti previsti dallo stesso articolo per le operazioni in corso, le operazioni di sconto diretto e cioè proprio quelle operazioni per le quali avveniva la deplorata interferenza tra Aziende di credito ordinario ed Istituto di emissione. Oltre lo sconto alle aziende di credito, all'Istituto di emissione vengono conservate le operazioni di anticipazione anche a privati su titoli di Stato e su altri ammessi per legge speciale. Le nuove disposizioni danno una diversa fisonomia all'Istituto di emissione, per il quale è necessaria una revisione delle disposizioni statutarie che ora ne regolano l'attività. A tal fine si prevede l'approvazione, per decreto Reale, di un nuovo testo di Statuto.

ART. 20. BANCA D'ITALIA La Banca d'Italia, creata con la legge 10 agosto 1893, n. 449, è dichiarata Istituto di diritto pubblico. Il capitale della banca è di trecento milioni di lire ed è rappresentato da trecentomila quote di mille lire ciascuna, interamente versate. Ai fini della tutela del pubblico credito e della continuità di indirizzo dell'Istituto di emissione, le quote di partecipazione al capitale sono nominative e possono appartenere solamente a: a) Casse di risparmio; b) Istituti di credito e banche di diritto pubblico; c) Istituti di previdenza; d) Istituti di assicurazione.

ART. 21. RIMBORSO AGLI AZIONISTI In conseguenza del nuovo ordinamento della Banca d'Italia, agli attuali azionisti verrà rimborsato, a partire dal 1° giugno 1936, il valore delle azioni in relazione con la situazione della banca al 31 dicembre 1935, nella misura fissa di lire 1.300 (milletrecento) per ciascuna azione, rappresentante il capitale versato e la quota di riserva afferente a ciascuna azione. L'importo relativo alle azioni che sono vincolate per qualsiasi motivo, o intestate a minori o a persone non aventi la piena capacità, resterà depositata presso l'Istituto di emissione in attesa della definizione delle pratiche per la sua liberazione o per il reimpiego ai fini e con i vincoli preesistenti. Entro il 15 aprile 1936, sarà costituito, sotto la presidenza del governatore della Banca d'Italia, un consorzio fra gli istituti e gli enti di che all'articolo 20 per l'assunzione delle trecentomila quote di partecipazione del capitale della Banca d'Italia. Le Casse di risparmio saranno chiamate ad impiegare nella sottoscrizione delle dette quote di partecipazione somme non eccedenti quelle che ad esse saranno rimborsate in base al primo comma del presente articolo. Le rimanenti quote di partecipazione saranno assegnate agli altri enti ed istituti di che all'articolo 20.

ART. 22. CONSIGLIO SUPERIORE DELLA BANCA Il Consiglio superiore della Banca si compone del governatore e di quindici consiglieri, dei quali dodici da nominarsi nelle assemblee generali dei soci presso le sedi della Banca, e tre da designarsi dalla corporazione della previdenza e del credito. I consiglieri rimangono in carica tre anni e sono rieleggibili. Le rinnovazioni avverranno per un terzo in ciascun anno; mediante sorteggio nei primi due anni, per anzianità in quelli successivi. Il nuovo Consiglio superiore entrerà in funzione non oltre il 1° luglio 1936.

ART. 23. OPERAZIONI DI RISCONTO A partire dal 1° luglio 1936, le operazioni di risconto potranno essere fatte solamente nei confronti delle aziende di credito, sia di diritto pubblico che di diritto privato, sottoposte al controllo dell'Ispettorato. Le operazioni di sconto in essere al 30 giugno 1936 con la clientela privata saranno avviate a graduale completa estinzione. Le operazioni di anticipazioni su titoli continueranno ad essere compiute in conformità delle leggi vigenti anche nei confronti dei privati. Ad esse non si applica quanto è disposto dall'articolo 709, del Codice di commercio.

ART. 24. STATUTO Con decreto Reale, su proposta del Capo del Governo, di concerto col Ministro per le finanze, sarà approvato il nuovo statuto della Banca d'Italia in armonia con le disposizioni del presente decreto.

TITOLO IV. ISTITUTI DI CREDITO E BANCHE DI DIRITTO PUBBLICO.

Il titolo IV del disegno di legge - osserva la Relazione ministeriale - disciplina l'esercizio della funzione creditizia da parte degli Istituti di credito e banche di diritto pubblico. Nell'assetto creditizio del nostro Paese gli Istituti di credito di carattere pubblico non sono una novità ed hanno da tempo trovato la loro posizione nel quadro della distribuzione funzionale degli Istituti di credito. A taluni Istituti di credito di diritto pubblico di antica tradizione, quali il Banco di Napoli ed il Banco di Sicilia, si sono venuti aggiungendo più recentemente altri Istituti che, come la Banca nazionale del lavoro, e l'Istituto di San Paolo, hanno assunto un largo sviluppo a base nazionale, con una vasta rete di filiali e con ingente massa di depositi. Accanto a tali Istituti nel campo dell' esercizio del credito su vasta scala esistevano altri Istituti di credito ordinario costituiti nella forma di Società anonima, i quali per la vastità della loro azione, per l’ingente massa di depositi, per le grandi possibilità offerte dalla loro struttura presentano un preminente interesse pubblico. Appare pertanto giustificato che queste Banche dichiarate di diritto pubblico vengano messe sullo stesso piano degli altri Istituti di credito di diritto pubblico, pur non confondendosi con essi. In ciò sta la ragione che ha condotto a conferire, con separato provvedimento, la qualifica di banche di diritto pubblico alla Banca Commerciale Italiana, al Credito Italiano ed al Banco di Roma.

Gli Enti di credito di diritto pubblico- esercenti il credito vengono cosi distinti in due categorie: - un primo gruppo che comprende gli Istituti di credito già di diritto pubblico, e cioè in concreto, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale del Lavoro, l'Istituto di San Paolo di Torino a cui si aggiunge il Monte dei Paschi di Siena, per la sua origine e costituzione, per la sua importanza e per le benemerenze acquisite; - un secondo gruppo che comprende le banche costituite nella forma di società anonima con vasta organizzazione a carattere nazionale e con filiali in non meno di trenta provincie. Tanto la prima categoria di Istituti di credito di diritto pubblico, quanto le banche di diritto pubblico costituite nella forma di società anonime, debbono essere riformate nella loro costituzione e nella struttura dei loro organi amministrativi. Tale riforma, posti alcuni principi fondamentali, è demandata agli Istituti di ciascun ente, da approvarsi con decreto del Capo del Governo su proposta del Comitato dei Ministri, sentito anche il Comitato tecnico corporativo. Una disposizione di carattere generale viene però dettata dal decreto legge e cioè quella relativa alla nominatività delle quote, che potranno appartenere solo a cittadini ed Enti italiani. Le disposizioni inerenti alla riforma degli organi amministrativi degli Istituti di credito e delle banche di diritto pubblico sono state opportunamente integrate da altre relative alla responsabilità degli amministratori, e che la presente relazione a suo luogo illustra. A completare l'esposizione della struttura amministrativa che il provvedimento determina per gli Istituti e banche di diritto pubblico occorre ricordare che essi sono sottoposti, a parità di condizioni con gli enti bancari di diritto privato e con tutte le altre categorie di enti che raccolgono risparmio ed esercitano il credito, alla vigilanza dell'Ispettorato, secondo le norme dettate dal titolo V. Nessun particolare privilegio quindi viene a crearsi per gli Istituti e per le banche di diritto pubblico i quali, in quanto esercitano le stesse funzioni, sono sottoposti alla stessa disciplina di ogni altra azienda. Essi quindi, non solo vengono, a tutti gli effetti, parificati fra di loro, ma anche nei confronti degli Istituti non dichiarati banche di diritto pubblico. In sede di provvedimento legislativo non si è ritenuto opportuno di scendere a maggiori dettagli in materia di distribuzione funzionale e territoriale degli organi di credito, come pure un più razionale ardimento territoriale non senza, però, tener presente la convenienza di preservare o anche promuover attività a carattere locale. Ma è sembrato sommamente opportuno riservare all'azione tecnica e di vigilanza, che il nuovo organo dello Stato è chiamato a svolgere, questo fecondo campo di azione, nel quale, con costante e diligente assiduità e nei limiti chiaramente fissati dalla legge, l'Ispettorato potrà efficacemente operare.

ART. 25. ISTITUTI E BANCHE DI DIRITTO PUBBLICO Sono confermati Istituti di credito di diritto pubblico: il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale del Lavoro e l'Istituto di San Paolo di Torino, e viene dichiarato Istituto di credito di diritto pubblico il Monte dei Paschi di Siena. Sono Banche di diritto pubblico quelle che, costituite nella forma di Società anonima per azioni, ed aventi una vasta organizzazione di carattere nazionale, siano riconosciute tali con decreto Reale promosso dal Capo del Governo. Non può essere riconosciuta tale qualifica alle Banche che non abbiano stabilito filiali in almeno 30 provincie.

ART. 26. AZIONI DELLE SOCIETÀ DICHIARATE BANCHE DI DIRITTO PUBBLICO Le azioni rappresentative del capitale delle Società anonime dichiarate « Banche di diritto pubblico» dovranno trasformarsi in quote nominative delle quali possono essere proprietari esclusivamente cittadini od enti italiani. Le azioni delle Società che al termine di due mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto che le riconosce “Banche di diritto pubblico » non risultino nominative e di proprietà di cittadini od enti italiani saranno rimborsate, al prezzo risultante da certificato del Comitato direttivo degli agenti di cambio della Borsa di Roma, riferibile alla data di pubblicazione del decreto suddetto, dall'ente indicato dall'Ispettorato e secondo le modalità fissate dall'Ispettorato stesso.

La Giunta generale del Bilancio ha proposto e la Camera ha approvato che l'articolo 26 venisse così modificato e sostituito: « Le azioni rappresentative del capitale delle Società anonime dichiarate « Banche di diritto pubblico » dovranno trasformarsi in quote nominative, entro il 31 dicembre 1936. « I cittadini o gli enti stranieri i quali siano portatori di dette azioni potranno conservarne la proprietà, purché provvedano a trasformarle in quote nominative entro lo stesso termine del 31 dicembre 1936, e dichiarino esplicitamente di rinunziare all'esercizio del diritto di voto nelle assemblee dei soci delle Banche medesime. « Le azioni di che ai comma precedenti che entro il termine fissato non risultino nominative come sopra indicato, saranno rimborsate, al prezzo risultante da certificato del Comitato direttivo degli agenti di cambio della Borsa di Roma, riferibile alla data di pubblicazione del decreto che riconosce le società anonime « Banche di diritto pubblico », dall'Ente indicato dall'Ispettorato e secondo le modalità fissate dall'Ispettorato stesso ». Con tale emendamento - chiarisce l'onorevole Relatore - si è voluto tener conto dei voti espressi da un buon numero di vecchi azionisti di cittadinanza estera. Questi hanno infatti manifestato il desiderio di poter conservare la proprietà delle azioni stesse, oltre che per un senso di attaccamento alle Banche in questione, per le quali essi hanno sempre nutrito fiducia, anche per non soggiacere alla perdita che loro deriverebbe dal rimborso dei titoli a prezzo cui fa cenno il decreto su richiamato. D'altra parte, in considerazione del fatto che le legislazioni estere non consentono che il cittadino italiano, ed in genere Io straniero, abbia alcuna ingerenza sull'andamento delle società estere, così, per uniformità di trattamento, e per evitare quindi che i portatori esteri possano comunque influire sulle assemblee dei soci, specialmente ora, nella nuova caratteristica giuridica assunta dalle Banche, si è ritenuto necessario di temperare la concessione agli stranieri di poter conservare la proprietà delle azioni, condizionandola alla espressa rinuncia all'esercizio del diritto di voto. In sede di applicazione del disposto di tale articolo 26, si sono inoltre presentate varie difficoltà contingenti di ordine tecnico che, sottoposte al Comitato dei Ministri, hanno tra l'altro consigliato che sia prorogato al 31 dicembre 1936 il termine per la trasformazione delle azioni in nominative.

ART. 27. STATUTI Gli statuti degli Istituti di credito dichiarati di diritto pubblico e delle Banche di diritto pubblico sono approvati con decreto del Capo del Governo, su proposta del Comitato dei Ministri, sentito il Comitato tecnico corporativo del credito costituito con decreto del Capo del Governo in data 7 febbraio 1936.

TITOLO V. DISCIPLINA DEGLI ISTITUTI, IMPRESE ED ENTI RACCOGLITORI DI RISPARMIO A BREVE TERMINE.

La legge - nota la relazione ministeriale - contiene norme distinte per l'esercizio del credito ordinario e per quello del così detto credito mobiliare, cioè a media ed a lunga scadenza. Poiché una netta distinzione fra le due forme di credito non è possibile, le esigenze imprescindibili della chiarezza nelle disposizioni legislative hanno condotto a fissare il criterio discriminante, non già dal punto di vista dell'esercizio del credito, ma da quello, necessariamente complementare, della raccolta del risparmio. La classificazione risulta precisa, in quanto è sempre possibile determinare se un Istituto raccolga depositi a vista o a breve termine, ovvero a medio e lungo termine. Alla disciplina degli Enti di credito a breve termine provvede il titolo V del presente decreto-legge che accentra nello Ispettorato le funzioni di vigilanza sugli Enti, aziende ed Istituti esercenti il credito a breve termine.
Tali Enti, aziende ed Istituti sono quelli tassativamente elencati e cioè:
   a) gli Istituti di credito e le banche di diritto pubblico;
   b) le banche ed aziende di credito in genere, comunque costituite, che raccolgono dal pubblico depositi a vista e a breve termine, a risparmio, in conto corrente o sotto qualsiasi forma e denominazione;
   c) le filiali esistenti nel Regno di aziende di credito straniere;
   d) le Casse di risparmio per le quali nulla è innovato per quanto concerne la loro posizione giuridica, regolamentare e funzionale;
   e) i Monti di pegni; f) le Casse rurali ed agrarie.
Le aziende ed Enti sopra elencati non provvedono alla raccolta di tutto il risparmio; ma una gran parte di esso affluisce alle Casse di risparmio postali, la cui disciplina, attraverso la Cassa depositi e prestiti, spetta al Ministero delle finanze. Tuttavia, anche in questo settore, l'Ispettorato potrà compiere Opera di coordinamento poiché esso dovrà esser sentito per l'esercizio, da parte del suddetto Ministero, di determinate funzioni di disciplina e di controllo delle Casse postali di risparmio.
Le forme mediante le quali si attua la vigilanza dell'Ispettorato sono diverse ed il provvedimento si è ispirato al principio fondamentale, che trova la sua ragione in profondi motivi di ordine tecnico e pratico di evitare ogni inopportuna rigidità derivante da norme inderogabilmente applicabili nei confronti di ogni categoria di Istituti di credito, da quelli raccoglitori di miliardi di depositi alla minuscola Cassa rurale.
Dettate infatti alcune norme fondamentali relative alle direttive generali dell'azione dell'Ispettorato ed ai suoi poteri, molta parte della disciplina della funzione creditizia viene lasciata alla iniziativa ed alla discrezionalità dell'Ispettorato stesso che costituisce precisamente l'organo tecnico adatto per attuare nella forma migliore la necessaria vigilanza.
Fatte queste premesse - continua la relazione - è opportuno analizzare con quali mezzi si attua tale vigilanza.
   1°) Autorizzazione all'esercizio del credito. Le aziende di credito, di cui si è sopra fatto cenno, non possono costituirsi ne iniziare le operazioni, nè istituire dipendenze senza l'autorizzazione dell'Ispettorato, e vengono iscritte in un albo tenuto aggiornato dall'Ispettorato stesso, il quale dovrà contenere per ogni singola azienda, la indicazione degli estremi necessari per la identificazione dell'azienda e dei suoi elementi costitutivi. Tale disposto trova il necessario complemento nelle sanzioni (ammenda da lire 10.000 a lire 100.000) stabilito per chiunque svolga una attività di raccolta di risparmio tra il pubblico senza averne ottenuta la preventiva autorizzazione. Le norme dettate per l'autorizzazione di cui si tratta sono, nella loro sostanza, quelle stesse previste dalla legge del 1926 sulla tutela del risparmio.
  2°) Facoltà generale di vigilanza ed ispettiva. Le aziende sottoposte al controllo dell'Ispettorato debbono inviare, con determinate modalità, a quest'ultimo,  i bilanci, le situazioni periodiche ed ogni altro dato richiesto. Viene inoltre attribuita all'Ispettorato la facoltà di disporre ispezioni periodiche e straordinarie a mezzo di suoi funzionari, i quali hanno facoltà di richiedere la esibizione di tutti i documenti e degli atti che essi riterranno opportuni per l'esercizio delle loro funzioni. Per quanto sia ovvio, non è superfluo ripetere ed assicurare che la vigilanza non costituisce, ne deve costituire, una sostituzione o sovrapposizione agli organi normali dell'amministrazione, alla cui opera e responsabilità resta pur sempre affidata la gestione. I funzionari dell'Ispettorato sono considerati nell'esercizio delle loro funzioni, pubblici ufficiali e sono rigorosamente vincolati al segreto di ufficio anche nei confronti delle altre Amministrazioni dello Stato.
   3°) Facoltà di dare direttive generali. La legge sulla tutela del risparmio del 1926 ed altre disposizioni, come ad esempio il testo unico sulle Casse di risparmio, dettavano norme precise nei riguardi di taluni rapporti tecnici fra il capitale e l'ammontare dei depositi, tra il capitale ed i fidi concedibili e stabilivano determinate percentuali degli utili da destinarsi a riserva, nonché determinate forme di impiego per talune percentuali delle disponibilità. Tali norme si sono rivelate talvolta di non agevole applicazione per la loro eccessiva rigidità, e d'altra parte non si sono dimostrate sufficienti ad assicurare ne la tutela dei depositanti ne un sano esercizio dell'attività creditizia.
   L'attuale provvedimento è profondamente innovatore in questo campo poiché in considerazione della competenza tecnica e della possibilità di azione tempestiva dell'Ispettorato demanda a quest'ultimo le necessarie determinazioni valide per tutte le aziende ovvero per particolari categorie di esse, ed anche eventualmente per aziende singole. L'Ispettorato ha infatti la facoltà di dare disposizioni in ordine:
   a) alle forme tecniche del bilanci e delle situazioni periodiche delle aziende sottoposte alla sua vigilanza; esso stabilirà i termini e le modalità per la formazione e la pubblicazione delle situazioni periodiche stesse;
   b) ai limiti dei tassi attivi e passivi ed alle condizioni delle operazioni di deposito e di conto corrente;
   c) alle provvigioni per i diversi servizi bancari;
   d) alla proporzione fra le diverse categorie di investimenti considerate in rapporto sia alla liquidità, sia alle diverse branche di attività economiche alle quali si riferiscono gli investimenti;
   e) alle percentuali minime degli utili da destinarsi alle riserve, anche in maggior misura di quanto dispongono le leggi vigenti;
   f) al rapporto fra il patrimonio netto e le passività ed alle possibili forme di impiego dei depositi raccolti in eccedenza all'ammontare determinato dal rapporto stesso;
   g) alla rigorosa osservanza dell'obbligo cui debbono sottostare i clienti delle aziende di credito, sia debitori che creditori, di dare il loro benestare o di contestare entro un termine stabilito i conti o gli estratti conto ad essi inviati.
  Un'altra facoltà di ordine generale attribuita all'Ispettorato e quella diretta ad evitare gli aggravamenti di rischio derivanti dal cumulo dei fidi: si tratta, in sostanza, di evitare la possibilità, oggi esistente e deplorata, che uno stesso nominativo ottenga separatamente da diverse aziende di credito concessioni di fido prive di sufficiente garanzia pel buon esito del fido stesso. Un adeguato ed efficiente controllo dei fidi è sempre stato nei voti della categoria creditizia ed è stato più volte richiesto nell'interesse della tutela del risparmio ad evitare artificiose malsane espansioni di attività economiche che si rendevano spesso possibili attraverso appunto la concessione di fidi multipli. Ma difficoltà assai gravi, di ordine tecnico ed economico, hanno sempre impedito una pratica attuazione di un effettivo controllo dei fidi.
La Corporazione della previdenza e del credito ha riconosciuto nella mozione votata nello scorso giugno le difficoltà di costituire a questo fine uffici centrali e periferici di controllo, pur facendo voti perche il Governo provvedesse ad emanare norme legislative per la disciplina della materia.
Il provvedimento contempla appunto la possibilità di soddisfare questo voto, lasciando all'Ispettorato, che potrà essere l'organo veramente idoneo, la facoltà di provvedere al riguardo. A tal fine mira anche la comminatoria di gravi penalità per chi, allo scopo di ottenere concessioni di credito, fornisca fraudolentemente dati falsi sulla costituzione e sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria delle aziende interessate alla concessione del fido. Tale disposizione attua integralmente una proposta formulata dalla Corporazione della previdenza e del credito con la mozione già ricordata.
    4°) Facoltà di intervento diretto nei confronti di singole aziende. Oltre alla possibilità di dettare norme generali, una efficiente organizzazione di vigilanza deve necessariamente poter disporre di mezzi diretti nei confronti delle singole aziende al fine di provvedere a rimuovere determinate situazioni irregolari o malsane. La prima e principale facoltà di intervento dell'Ispettorato consiste nella possibilità, quando concorrano gravi circostanze precisate dalla legge, di revocare l'autorizzazione allo esercizio del credito, disponendo per la liquidazione, ovvero per l'amministrazione straordinaria delle aziende medesime. Questa materia è disciplinata dal Titolo VII e la presente relazione ne fa a suo luogo oggetto di particolare esame. L'Ispettorato può, inoltre, disporre - sempre con particolari cautele - la chiusura di determinate dipendenze delle aziende di credito, e ciò non solo in seguito a manchevolezze di esercizio, ma anche ai fini di una migliore distribuzione territoriale degli sportelli.
L'Ispettorato nei confronti di singole aziende ha infine le seguenti facoltà:
   a) di ordinare la convocazione delle assemblee dei soci o degli enti partecipanti, nonché dei Consigli di amministrazione o di altri organi amministrativi, quando non vi provvedano gli organi dell'azienda;
   b) di ordinare l'esperimento delle procedure esecutive contro i debitori per i quali a giudizio dell'Ispettorato, l'azienda di credito sia incorsa in eccessivi ritardi;
  c) di esercitare una vigile azione per la eliminazione, la riduzione, o, comunque, la sistemazione di immobilizzi riscontrati nella situazione delle aziende predette;
   d) di disciplinare, ove del caso, il rapporto fra il patrimonio sociale e gli investimenti in immobili o titoli azionari;
   e) di determinare, con disposizioni sia di carattere generale per categorie di aziende, sia particolari a singole aziende di credito, i limiti massimi dei fidi concedibili;
   f) di disciplinare le dichiarazioni che i richiedenti i fidi devono rilasciare sulle loro condizioni patrimoniali ed economiche perché i fidi stessi vengano concessi.
Nei confronti poi dei dirigenti responsabili delle aziende di credito, e sempre nell'interesse della difesa del risparmio e di un razionale esercizio del credito, l'Ispettorato ha facoltà di disporre per la costituzione di speciali cauzioni da parte dei dirigenti stessi, cauzioni che dovranno rimanere vincolate per le eventuali responsabilità dipendenti dall'esercizio delle loro attribuzioni.
    5°) Norme relative alla costituzione ed alla amministrazione delle aziende di credito. Le facoltà e le funzioni di vigilanza dell'Ispettorato sono opportunamente integrate da una serie di disposizioni relative alla costituzione ed alla amministrazione delle aziende di credito. Tali norme, insieme a quelle relative alle fusioni, all'amministrazione straordinaria ed alla liquidazione in appresso illustrate, costituiscono una riforma che adegua la disciplina giuridica delle aziende di credito alle esigenze tecniche, tenendo conto dei portati di una lunga e talvolta dolorosa esperienza. Le disposizioni innovatrici consistono essenzialmente nell'obbligo della nominatività, con opportuni temperamenti, delle azioni delle banche dichiarate di diritto pubblico; nella riforma di taluni Istituti relativi alla amministrazione ed agli organi di sorveglianza delle aziende di credito (approvazione tempestiva dei verbali di assemblea e del Consiglio di amministrazione, loro trasmissione all'Ispettorato, ecc.); negli obblighi e nelle disposizioni particolari, nei confronti degli amministratori sindaci, e dirigenti delle aziende di credito. Il complesso di norme dettate dal Titolo V che forma il nucleo centrale del nuovo Codice bancario, apporta notevoli modificazioni alla preesistente legislazione la quale è stata oggetto, durante i lavori preparatori, di completo e minuzioso esame. Ne è risultata la necessità di abrogare talune disposizioni; in altri casi, invece, è stato sufficiente devolvere all'Ispettorato le funzioni già attribuite ad altri organi dell'Amministrazione; in altri casi, infine, il problema ha richiesto la introduzione di disposizioni speciali.

Il decreto provvede a regolare tale complessa materia, devolvendo fra l'altro allo Ispettorato facoltà e funzioni spettanti:
   a) ai Ministeri delle finanze, delle corporazioni, dell'agricoltura e foreste nei riguardi degli Istituti di credito di diritto pubblico, e cioè del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia, del Monte dei Paschi di Siena e dell'Istituto San Paolo di Torino, della Banca Nazionale del Lavoro;
   b) al Ministero dell'agricoltura e foreste a quello delle finanze [ed all'Istituto di emissione nei confronti delle Casse di Risparmio e dei Monti di Pegni di prima categoria, nonché degli Istituti regionali federali per le Casse di risparmio e dell'Istituto di credito delle Casse di Risparmio, ecc.
   c) al Ministero dell’agricoltura e foreste nei confronti dei Monti di Pegni;
   d) al Ministero dell'agricoltura e foreste ed a quello delle finanze nei confronti delle Casse rurali ed agrarie;
   e) al Ministero delle finanze nei confronti delle sedi e succursali di banche estere.
Le disposizioni di questo Titolo, in piena armonia con lo spirito e con le norme dell'intero disegno di legge, apportano, quindi, modificazioni nelle competenze di alcuni organi amministrativi dello Stato, al fine di raggiungere quella disciplina unitaria che forma la ragione fondamentale del provvedimento.

ART. 28. AUTORIZZAZIONE DELL'ISPETTORATO Le aziende di credito indicate nell'articolo 5 non possono costituirsi, nè iniziare le operazioni, nè istituire sedi, filiali, succursali, agenzie, dipendenze, recapiti (in appresso indicati complessivamente come « sedi e filiali ») nel Regno, nelle Colonie e all'estero, se non ne abbiano ottenuto l'autorizzazione dall'Ispettorato. È in facoltà dell'Ispettorato di determinare l'ammontare del capitale o del fondo di dotazione minimo cui dovrà essere subordinata la costituzione di nuove aziende esercenti il credito.

ART. 29. ALBO DELLE AZIENDE Presso l'Ispettorato è istituito un albo nel quale debbono essere iscritte tutte le aziende sottoposte alle disposizioni del presente titolo. Tale albo, che sarà tenuto aggiornato, dovrà contenere, per ogni singola azienda, le seguenti indicazioni: a) la denominazione; b) la forma giuridica assunta, la data di costituzione e gli estremi delle pubblicazioni richieste dalle vigenti disposizioni; c) il capitale o fondo di dotazione e le riserve secondo le risultanze dell'ultimo bilancio; d) la sede centrale e quella delle sedi e filiali.

L'iscrizione nell'albo ha luogo: 1°) d'ufficio, per le aziende attualmente inscritte nell'albo esistente presso il Ministero delle finanze, in base agli articoli 1 e 2 del Regio decreto-legge 7 settembre 1926, n. 1511[1]; 2°) dietro domanda all'Ispettorato per le aziende che intendono iniziare la propria attività.

ART. 30. NOMINATIVITÀ DELLE AZIONI A partire dalla data di pubblicazione del presente decreto, non potranno essere concesse nuove autorizzazioni a norma dell'articolo 28 alle aziende di cui alla lettera b) dell'articolo 5 se non siano costituite in forma di società anonima o in accomandita per azioni, con le norme di cui al comma seguente. Le aziende di cui al comma precedente attualmente iscritte nell'albo esistente presso il Ministero delle finanze, costituite in forma di società anonima o in accomandita per azioni, devono rendere nominative le loro azioni entro sei mesi dalla data del presente decreto. L'Ispettorato può autorizzare la formazione di una speciale categoria di azioni al portatore, a condizione che i voti spettanti a tali azioni non superino il 45 per cento dei voti spettanti a tutte le azioni della società. Analoga autorizzazione potrà essere concessa dall'Ispettorato a società anonime o in accomandita per azioni che, dopo l'entrata in vigore del presente decreto, ottengano l'autorizzazione di cui all'articolo 28. Nel 2° comma la Giunta generale del Bilancio ha proposto e la Camera ha approvato che il termine fosse portato al 31 dicembre 1936.

ART. 31. ISPEZIONI DELL'ISPETTORATO Le aziende sottoposte alle disposizioni del presente titolo sono tenute a trasmettere all'Ispettorato nei modi e nei termini che saranno stabiliti dal regolamento, le situazioni periodiche ed i bilanci, nonché ogni altro dato richiesto. L'ispettorato potrà inoltre disporre ispezioni periodiche e straordinarie a mezzo di funzionari che avranno facoltà di chiedere la esibizione di tutti i documenti e gli atti che riterranno opportuni per l'esercizio delle loro funzioni. Per quanto riguarda le aziende di credito individuali, le ispezioni dell'Ispettorato potranno estendersi anche alle attività del titolare, estranee all'esercizio dell'azienda bancaria, anche se amministrativamente distinte. I titolari di tali aziende hanno l'obbligo di inviare all'Ispettorato, oltre ai dati di cui al primo comma del presente articolo, anche le situazioni ed i bilanci riguardanti l'attività non bancaria, secondo le norme che verranno stabilite dal regolamento.

All'articolo 31 la Giunta generale del Bilancio ha proposto e la Camera ha approvato l'aggiunta del seguente comma: « Le aziende sottoposte alle disposizioni del presente titolo nei loro avvisi pubblicitari di ogni genere sono tenute ad indicare il capitale versato e le riserve secondo l'ultimo bilancio approvato ».

ART. 32. ISTRUZIONI DELL'ISPETTORATO Le aziende di credito soggette alle disposizioni del presente decreto dovranno attenersi alle istruzioni che l'Ispettorato comunicherà, conformemente alle deliberazioni del Comitato dei Ministri, relativamente: a) alle forme tecniche dei bilanci e delle situazioni periodiche delle aziende sottoposte al suo controllo ed ai termini e modalità per la formazione, la pubblicazione e l'invio all'Ispettorato delle situazioni periodiche stesse; b) ai limiti dei tassi attivi e passivi ed alle condizioni delle operazioni di deposito e di conto corrente; c) alle provvigioni per i diversi servizi bancari; d) alla proporzione fra le diverse categorie di investimenti considerate in rapporto sia alla liquidità, sia alle diverse branche di attività economiche alle quali si riferiscono gli investimenti; e) alle percentuali minime degli utili da destinarsi alle riserve, anche in maggior misura di quanto dispongono le leggi vigenti; f) al rapporto fra il patrimonio netto e le passività ed alle possibili forme di impiego dei depositi raccolti in eccedenza all'ammontare determinato dal rapporto stesso; g) alla rigorosa osservanza dell'obbligo cui debbono sottostare i debitori delle aziende di credito di dare il loro benestare o di contestare entro un termine stabilito i conti o gli estratti conto ad essi inviati; h) alle cautele per evitare gli aggravamenti di rischio derivanti dal cumulo dei fidi.

Restano in ogni caso salve le disposizioni statutarie e di legge per le Casse di risparmio che regolano la materia di cui al presente articolo.

Nell'articolo 32, al paragrafo g) la Giunta del Bilancio ha proposto e la Camera ha approvato di sostituire il seguente testo: « Alla rigorosa osservanza dell'obbligo cui debbono sottostare i debitori ed i creditori delle Aziende di credito di far pervenire alle stesse in iscritto entro un termine stabilito le loro eventuali contestazioni in merito agli estratti di conto o posizioni di conto ad essi inviati con la tassativa conseguenza che, in mancanza di reclamo specificato entro tale termine, il conto si intenderà senza'altro riconosciuto esatto ed approvato ».

Sull'articolo 32 la Giunta stessa ha fatto le seguenti interessanti considerazioni: Tra i casi enunciati all'articolo 32, cioè fra le istruzioni da impartirsi dall'Ispettorato alle Aziende di credito, merita particolare rilievo il capo di cui alla lettera b) sui limiti dei tassi passivi. Conciliare la raccolta del risparmio con la tutela di esso è corollario sicuro dell'equilibrio dei tassi sui depositi; ed all'equilibrio stesso contribuisce la eguaglianza effettiva di trattamento da parte di tutte, indistintamente, le Aziende di credito verso le rispettive clientele. Offrire ai depositanti un tasso ragionevolmente vantaggioso è, senza dubbio, un mezzo adatto d'incremento della raccolta del risparmio; ma questo mezzo non deve esplicarsi come un'occulta manovra di concorrenza fra Aziende di credito nell'attingere, ognun per sé, le risorse per l'esercizio del credito. A prevenire queste manovre fu concluso - ad iniziativa dell'Associazione tecnica bancaria - il 16 settembre 1932 un « cartello», che ebbe poi delle modifiche, obbligatorio per tutte le Aziende di credito. Tuttavia, in pratica, il « cartello » fu violato, da più d'un'Azienda, con concessioni “particolari », fatte a questo e a quel cliente, e raccomandate al loro « segreto » come un trattamento di favore. Però, se « l'apparente segreto” ha fatto sfuggire i violatori del cartello alle sue sanzioni, il loro operato non è sfuggito alla giusta critica « officiosa » di quelle Aziende che hanno rispettato il cartello soprattutto per non aver voluto offrire, « alla chetichella », condizioni che vanno offerte apertamente al risparmiatore, il quale considera, non solo il vantaggio che gli viene offerto, ma pure la fiducia che ispira colui che glielo offre. Oggi, però, può dirsi, con soddisfazione, che questa fiducia viene grandemente rafforzata ed estesa dalla vigilanza dell'Ispettorato che la provvida legge a tutela del risparmio fa gravitare sopra opportune unificazioni, coordinamenti e perfezionamenti. Dal che deriva la logica conclusione che non dovrebbero più ripetersi le deplorate violazioni, che scuotono, con l'effetto di sperequazioni a vantaggio particolare, l'equilibrio dei tassi passivi che è di vantaggio generale. D'altra parte - per senso umano - non può escludersi l'ipotesi che le violazioni si ripetano malgrado le rigide istruzioni dell'Ispettorato e la minaccia di sanzioni più o meno severe. Ma, per rendere trascurabile tale ipotesi, meno sotto l'egida delle sanzioni, e più sotto la spinta del senso del dovere sociale d'incoraggiare il risparmio principalmente per l'interesse supremo della forza della Nazione nello Stato corporativo, sarebbe utile temperare, con un mezzo pratico, le conseguenze di un male che ha già radici diffuse e, più o meno, profonde. Questo mezzo pratico potrebbe essere uno spiegabile adattamento alle contingenze, mediante una ragionevole modificazione dei tassi « nominali » del cartello con la determinazione di tassi di limite massimo, che possano lasciare il vantaggio di una certa elasticità di contrattazione ed eliminare ogni sotterfugio che, se fu tollerato sotto l'impero del “cartello”, non può concepirsi nemmeno che venga tollerato sotto l'impero di una legge importante come quella in esame, che sarà saggiamente applicata dall'Ispettorato. Particolarmente notevole fra i compiti attribuiti dall'articolo 32 all'Ispettorato è quello (lettera d) di emanare istruzioni in ordine « alla proporzione fra le diverse categorie di investimenti, considerate in rapporto sia alla liquidità, sia alle diverse branche di attività economiche alle quali si riferiscono gli investimenti ». Sarà merito dell'Ispettorato di far uso di tale potere con semplicità consapevole delle esigenze concrete dell'economia nazionale senza che l'esercizio di esso si irrigidisca in norme tassative od anche solamente indicative di percentuali di investimenti, specie per quanto riguarda le operazioni tradizionali (sconti di cambiali, anticipazioni su titoli di credito al portatore, riporti, aperture di credito in conto corrente, ecc.). E deve escludersi anche che si tenda alla creazione di compartimenti stagni delle varie categorie economiche - industria, agricoltura, commercio - suddivise a loro volta in singole sottoclassi o specializzazioni, in modo da fissare contingenti di credito che sarebbero sempre determinati « a priori » e quindi con inevitabile mancanza di aderenza alla realtà.

ART. 33. AUTORIZZAZIONE DI DETERMINATE FORME D'IMPIEGO L'Ispettorato ha facoltà di stabilire che determinate forme di impiego debbano essere preventivamente autorizzate dall'Ispettorato stesso. I provvedimenti di cui al precedente ed al presente articolo possono essere di carattere generale ovvero particolari a categorie di aziende o a singole aziende, e possono essere sempre modificati, con congrue periodo di preavviso.

La Giunta del Bilancio ha proposto e la Camera ha approvato che il primo comma fosse sostituito dal seguente: « II Comitato dei Ministri ha facoltà di stabilire che determinate forme di impiego debbano essere preventivamente autorizzate dall'Ispettorato ".

ART. 34. CHIUSURA DI SEDI E FILIALI Con deliberazione del Comitato dei Ministri, potrà essere ordinata la chiusura di determinate sedi e filiali, sia in seguito a manchevolezze di esercizio, sia ai fini di una migliore distribuzione territoriale delle aziende di credito, sentito il Comitato tecnico corporativo del credito circa i criteri generali di tale distribuzione.

La Corporazione del credito - osservava la Giunta Generale del Bilancio - nella sua mozione circa la distribuzione territoriale degli organi del credito, deliberò di chiedere, tra l'altro, al Governo di voler « procedere ad una revisione della distribuzione territoriale degli sportelli degli Istituti di credito di ogni specie aventi organizzazione a carattere nazionale, con l'intento di eliminare doppioni, di adeguare la rete delle filiali alle condizioni economiche del Paese ed ai compiti dei diversi Istituti, di concentrare l'azione dei singoli Istituti in zone ove già esistano interessi prevalenti e possibilità di lavoro particolarmente convenienti per ciascuno di essi, di disciplinare i recapiti bancari, sottoponendoli alle stesse norme che vigono per gli sportelli ». In accoglimento di tale voto, l'articolo 34 attribuisce al Comitato dei Ministri il potere di ordinare la chiusura di determinate sedi e filiali ai fini di una migliore distribuzione territoriale delle aziende di credito. Ed il Comitato dei Ministri nella sua prima riunione ha affermato il concetto di massima della limitazione territoriale dell'attività delle Banche regionali. Con questi criteri - alla stregua del voto della Corporazione del eredito - sembra debba farsi luogo all’applicazione delle disposizioni dell'articolo 34, che si riferisce ad uno dei problemi più delicati e più complessi dell'organizzazione del credito per la risoluzione del quale molto opportunamente si stabilisce che debba essere sentito il Comitato corporativo che dovrà essere costituito in seno alla Sezione del credito della Corporazione del credito e della previdenza. La costituzione di tale Comitato, come si dispone con un'aggiunta all'articolo 34, dovrà avvenire entro un mese dalla conversione in legge del decreto-legge poiché il Comitato già esistente come risulta dal decreto che lo istituiva, aveva carattere contingente, essendo stato formato soltanto per esprimere il suo parere e dare la sua collaborazione per l'attuazione dei voti contenuti nelle mozioni votate dalla Corporazione del credito. Le determinazioni che dovranno essere adottate per la revisione della distribuzione territoriale degli sportelli non potranno essere disgiunte dalla opportuna valutazione della distribuzione funzionale, a cui fra i diversi Istituti dovrà convenientemente provvedere l'Ispettorato. Gli Istituti che hanno sconfinato dai loro limiti funzionali e territoriali vanno ricondotti entro quei limiti che nella generalità dei casi corrispondono alla loro natura ed alle loro caratteristiche istituzionali. Essi vanno dunque ricondotti alle loro origini. Il problema degli sportelli bancari non è soltanto il problema dell'esuberanza degli sportelli. Ridurre gli sportelli potrà essere un rimedio efficace solo se si provvederà contemporaneamente alla riduzione ed alla riforma della struttura funzionale dell'attività creditizia. Se la chiusura di pochi o di molti sportelli dovesse essere fine a sé stessa, aggraverebbe gli squilibri esistenti e risolverebbe malamente solo uno degli aspetti del problema. Occorre invece agire in maniera di poter assicurare nel quadro dell'economia corporativa la possibilità di una sana concorrenza e ragionevoli margini di utili necessari per mantenere il credito e la fiducia. Il riesame della distribuzione territoriale - in base a quanto dispone l'articolo 34 - deve essere fatto in base ad un riesame della distribuzione funzionale, incominciando con l'arrestare ogni ulteriore gonfiamento del sistema bancario italiano, per evitare il peggioramento della situazione che si è venuta creando in questi ultimi anni. L'esame di questo grave e complesso problema nei suoi vari aspetti richiederebbe un troppo ampio sviluppo. Dopo averne segnalato la delicatezza e la complessità, la vostra Giunta esprime il voto che l'Ispettorato saprà risolverlo con il necessario equilibrio e con la collaborazione degli organi sindacali e corporativi che sono chiamati a intervenire nell'attuazione della nuova disciplina. La Giunta proponeva quindi e la Camera approvava la seguente aggiunta all'articolo 34: « II Comitato corporativo sarà costituito in seno alla Sezione del Credito della Corporazione del credito e della previdenza entro un mese dalla conversione in legge del presente decreto-legge, e sarà composto di cinque membri”.

ART. 35. ALTRE FACOLTÀ DELL'ISPETTORATO L'Ispettorato ha anche facoltà, nei confronti delle aziende sottoposte alla sua vigilanza: a) di ordinare la convocazione delle assemblee dei soci e degli enti partecipanti, nonché dei Consigli di amministrazione e di altri organi amministrativi, per sottoporre all'esame i provvedimenti ritenuti utili alle aziende e di provvedere direttamente a tali convocazioni quando gli organi competenti non vi abbiano ottemperato; b) di ordinare l'esperimento delle procedure esecutive contro i debitori per i quali, a giudizio dell'Ispettorato, l'azienda di credito sia incorsa in eccessivi ritardi; c) di fissare modalità per l'eliminazione, la riduzione o, comunque, la sistemazione di immobilizzi riscontrati nella situazione delle aziende predette.

L'Ispettorato ha inoltre facoltà, in quanto non sia provveduto dai singoli statuti: a) di disciplinare il rapporto fra il patrimonio sociale e gli investimenti in immobili e titoli azionari; b) di determinare i limiti massimi dei fidi concedibili e di stabilire norme e termini per le riduzioni in caso di constatate eccedenze; c) di emanare norme relative alle dichiarazioni che i richiedenti i fidi devono rilasciare sulle loro condizioni patrimoniali ed economiche perché i fidi stessi vengano concessi.

Per quanto riguarda l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 35 - osservava la Giunta Generale del Bilancio - è da escludersi che si sia inteso di attribuire all'Ispettorato un potere di intervento nell'amministrazione e nella determinazione di « singoli fidi »: funzioni queste che restano attribuite ai competenti Organi amministrativi e deliberanti delle singole aziende controllate. L'opera dell'Ispettorato deve infatti essere essenzialmente di controllo e non di amministrazione, se non si vuole che l'applicazione della legge sia contraria allo spirito che l'ha dettata. L'Ispettorato, in altri termini, non deve burocratizzarsi e non deve, a sua volta, burocratizzare la funzione creditizia. La snellezza dei suoi organi assicurerà la necessaria rapidità di funzionamento e l'Ispettorato, nell'esercizio delle funzioni che gli vengono attribuite, dovrà considerarsi sopratutto come un Organo consultivo alla cui sensibilità, come alla tempestività della sua azione, è in grandissima parte affidata la realizzazione dei benefici effetti che la legge si propone di conseguire.

ART. 36. FACOLTÀ DEL COMITATO DEI MINISTRI PER GLI ASSEGNI CIRCOLARI Sono devolute al Comitato dei Ministri le facoltà e le funzioni relative alla emissione degli assegni circolari che gli articoli 9,10,11 del Regio decreto- legge 7 ottobre 1923, n. 2283, attribuiscono al Ministero delle finanze ed a quello dell'economia nazionale. II Comitato predetto ha facoltà di disciplinare remissione degli assegni circolari di cui al citato Regio decreto, con particolare riguardo alle garanzie da prestarsi dagli Istituti emittenti ed alle limitazioni da porre all'ammontare degli assegni emessi da ciascun Istituto, anche in deroga a quanto disposto dall'articolo 11 del predetto Regio decreto-legge 7 ottobre 1923, n. 2283[2] .

ART. 37. VERBALI DELLE ASSEMBLEE - FIDI AUTORIZZATI I verbali delle sedate delle assemblee dei partecipanti e dei soci delle aziende di credito indicate dall'articolo 5 dovranno essere approvati nella stessa giornata delle deliberazioni ed essere trasmessi in copia, entro il termine di giorni 5, all'Ispettorato. Le aziende di credito devono tenere aggiornato un libro nel quale siano trascritte tutte le concessioni di fido comunque autorizzate dagli organi competenti, secondo lo statuto o il regolamento; per ogni fido devono essere indicati i nomi dei funzionari che lo propongono. Le proposte, gli accertamenti e le contestazioni del Collegio sindacale o degli organi di sorveglianza dovranno essere trasmesse in copia all'Ispettorato nel termine di giorni 5 dalla loro presentazione e nello stesso tempo dovranno essere trascritte in apposito libro, da tenersi con l'osservanza delle norme di cui all'articolo 25 del Codice di commercio.

All'articolo 37 la Giunta Generale del Bilancio ha proposto, e la Camera ha approvato che sia sostituito il seguente: « I verbali delle sedute delle assemblee dei partecipanti e dei soci delle Aziende di credito indicate dall'articolo 5 dovranno essere approvati nella stessa giornata delle deliberazioni ed essere trasmessi in copia, entro il termine di giorni dieci, all'Ispettorato. « È fatto obbligo alle aziende di credito di tenere un libro aggiornato nel quale siano trascritte, ai sensi delle istruzioni da darsi dall'Ispettorato, le concessioni di fido. Per ogni fido devono essere indicati i nomi dei funzionari che lo propongono. « Le proposte, gli accertamenti e le contestazioni del Collegio sindacale o degli organi di sorveglianza dovranno essere trasmesse in copia all'Ispettorato nel termine di giorni 10 dalla loro presentazione e nello stesso tempo dovranno essere trascritte in apposito libro, da tenersi con l'osservanza delle norme di cui all'articolo 25 del Codice di commercio ».

ART. 38. DIVIETO AGLI AMMINISTRATORI DI OPERAZIONI CON UNA AZIENDA Gli amministratori, liquidatori, direttori ed i membri degli organi di sorveglianza delle aziende indicate nell'articolo 5 non possono contrarre obbligazioni di qualsiasi natura, nè compiere atti di compra-vendita, direttamente o indirettamente, con l'azienda che amministrano o dirigono o sorvegliano, se non dietro conforme deliberazione, che dovrà essere presa all'unanimità, del Consiglio di amministrazione e col voto favorevole di tutti i componenti l'organo di sorveglianza. Restano in vigore le disposizioni riguardanti le obbligazioni di amministratori di Casse rurali ed agrarie.

ART. 39. CAUZIONE SPECIALE L'Ispettorato ha facoltà di stabilire per gli amministratori delegati, gerenti, direttori generali, direttori centrali, capi servizio e per i direttori delle filiali delle aziende di credito indicate nell'articolo 5 (in appresso tutti denominati « dirigenti »), l'obbligo di costituire una cauzione speciale, vincolata presso l'Istituto di emissione. Tale cauzione potrà costituirsi dagli interessati in azioni o carature dell'ente o istituto a cui gli obbligati appartengono o in titoli di Stato, in misura non superiore alla metà dei complessivi emolumenti annuali dell'obbligato. La cauzione non potrà svincolarsi prima di due anni dalla data della cessazione delle funzioni in relazione alle quali è stata costituita. Per gli amministratori delegati di società anonime o in accomandita per azioni e per i gerenti di queste ultime, tale cauzione speciale sarà costituita in più di quella disposta dall'articolo 123 del Codice di commercio. L'Ispettorato ha facoltà di disporre che la cauzione costituita a norma del presente articolo sia aumentata con una trattenuta non maggiore del 3 per cento degli emolumenti comunque corrisposti ai dirigenti, durante l'esercizio delle loro funzioni. La somma risultante da tale trattenuta dovrà essere semestralmente investita in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, da depositare presso l'Istituto di emissione col vincolo di cui ai precedenti comma. L'interessato potrà indicare in quali titoli dello Stato o garantiti dallo Stato preferisca sia fatto l'investimento. I depositi cauzionali costituiti a norma del presente articolo potranno essere utilizzati, con le modalità che verranno determinate dal regolamento, per la copertura delle perdite dipendenti da operazioni effettuate dai dirigenti eccedendo dai limiti delle facoltà loro consentite dalle disposizioni interne, di statuto o dell'Ispettorato, o contro le disposizioni stesse; salvo ogni altro diritto a risarcimento e salva l'applicazione delle sanzioni previste dal presente decreto e da altre leggi.

ART. 40. FUNZIONI SPECIALI DEL COMITATO DEI MINISTRI La disposizione dell'articolo 14 del presente decreto, si applica a tutte le funzioni di vigilanza ed alle altre facoltà comunque attribuite nei riguardi degli Istituti di credito e Banche di diritto pubblico di cui al titolo IV dei presente decreto, spettanti al Ministero delle finanze, al Ministero delle corporazioni ed al Ministero dell'agricoltura e foreste. Sono in particolare deferite al Comitato dei Ministri a norma dell'articolo 14: a) le funzioni di vigilanza e le altre attribuzioni spettanti al Ministero dell'agricoltura e foreste, al Ministero delle finanze ed all'Istituto di emissione a norma del testo unico 25 aprile 1929, n. 967, sulle Casse di risparmio, sui Monti di pegni di prima categoria e loro Federazioni ed a norma del relativo regolamento approvato con Regio decreto 5 febbraio 1931, n. 225; la vigilanza e le altre attribuzioni demandate ai predetti Ministeri sugli Istituti federali regionali fra le Casse di risparmio e sull'Istituto di credito delle Casse di risparmio italiane sono pure esercitate, a norma delle disposizioni vigenti, dall'Ispettorato; b) le funzioni di vigilanza e le altre attribuzioni demandate al Ministero dell'agricoltura, industria e commercio dalla legge 4 maggio 1898, n. 169, ed al Ministero dell'industria dal Regio decreto 14 giugno 1923, n. 1396, sui Monti dei pegni; c) le funzioni di vigilanza e le altre attribuzioni riguardanti le Casse rurali ed agrarie che la legge 6 giugno 1932, n. 656, e la legge 25 gennaio 1934, n. 186, attribuiscono al Ministero dell'agricoltura e foreste ed al Ministero delle finanze; d) le funzioni di vigilanza e le altre attribuzioni riguardanti le sedi e succursali di banche estere nel Regno, che il Regio decreto 4 settembre 1919, n. 1620, attribuiva al Ministero del tesoro e al Ministero dell'industria e commercio. Sono abrogati in quanto non compatibili con le disposizioni del presente decreto, il Regio decreto-legge 7 settembre 1926, n. 1511, ed il Regio decreto-legge 6 novembre 1926, n. 1830, convertiti in legge 23 giugno 1927, n. 1107 e n. 1108, recanti provvedimenti per la tutela del risparmio. Sono abrogate tutte le disposizioni contrarie o incompatibili con il presente decreto regolanti l'attività degli Istituti di credito e Banche di diritto pubblico di cui al titolo IV del presente decreto. Sono parimenti abrogate in quanto non compatibili con le disposizioni del presente decreto, le disposizioni contenute nelle leggi speciali concernenti le Casse di risparmio, i Monti di pegni e le Casse rurali ed agrarie, ed in particolare nel testo unico 25 aprile 1929, n. 967, sulle Casse di risparmio e Monti di pegno di prima categoria e nel Regio decreto 5 febbraio 1931, n. 225, nella legge 4 maggio 1898, n. 169, e nel Regio decreto 14 giugno 1923, n. 1396, sui Monti di pegni; nelle leggi 6 giugno 1932, n. 656, 25 gennaio 1934, n. 186, e nel Regio decreto-legge 17 ottobre 1935, n. 1898, sull'ordinamento delle Casse rurali ed agrarie.

TITOLO VI. DISCIPLINA DELLA RACCOLTA DEL RISPARMIO A MEDIO E LUNGO TERMINE.

Le funzioni di disciplina e di vigilanza del credito - rileva la Relazione ministeriale - non potevano estendersi anche al credito mobiliare a Media e a lunga scadenza, che rappresenta un settore fondamentale della funzione creditizia. Le forme di tale disciplina debbono però adeguarsi alla concreta realtà, e non possono essere le stesse che sono risultate adatte per le aziende di credito che esplicano una funzione prevalentemente bancaria. Il ritorno delle grandi banche di credito ordinario alla loro precipua funzione di intermediari nello scambio del denaro e di fornitrici del credito commerciale ha profondamente mutato le condizioni nelle quali si svolge in Italia il credito mobiliare, per l'esercizio del quale si erano venuti costituendo numerosi enti parastatali, taluni dei quali hanno assunto notevole sviluppo. Essi raccolgono risparmio dal pubblico in genere mediante l'emissione di obbligazioni e lo destinano a investimenti che vengono ammortizzati in un periodo di tempo non breve. Se tali Istituti, che agiscono nell'orbita dello Stato, formano una parte notevole dell'attività di credito mobiliare del Paese, non ne esauriscono però che una parte, mentre la domanda di risparmio a media e a lunga scadenza e il suo impiego in investimenti duraturi, avviene in molte altre forme non facilmente classificabili e difficilmente passibili di una disciplina unitaria ed organica. Il presente decreto provvede al controllo ed alla disciplina del credito mobiliare ponendo una netta distinzione fra la disciplina attuata nei confronti dei singoli Istituti e quella attuata su determinati generi di operazioni.

A) NEI CONFRONTI DI PARTICOLARI ISTITUTI. L'esigenza logica dell'unità di disciplina e di indirizzo ha condotto ad unificare presso l'Ispettorato, le funzioni e le facoltà già spettanti a svariati altri organi dell'Amministrazione statale. Vengono così accentrate presso l'Ispettorato le funzioni di disciplina e controllo di diversi Istituti, fra i quali meritano particolare menzione: 1°) gli Istituti di Credito Fondiario; 2°) l'Istituto Nazionale di Credito Edilizio e gli Istituti di Credito Edilizio in genere; 3°) il Consorzio Nazionale per il Credito Agrario di Miglioramento; 4°) l'Istituto Mobiliare Italiano; 5°) il Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche; 6°) l'Istituto di Credito per le Imprese di Pubblica Utilità; 7°) l'Istituto di Credito Navale; 8°) l'Istituto Nazionale di Credito per il Lavoro Italiano all'Estero.

L'azione dell'Ispettorato nei confronti di tali Istituti potrà riuscire di grande efficacia pratica, sopratutto attraverso la conoscenza, nei suoi aspetti tecnici, dell'attività di ciascuno degli Istituti stessi, che potrà essere osservata e seguita, nel suo complesso.

B) NEI CONFRONTI DI PARTICOLARI OPERAZIONI. Le modalità tecniche secondo le quali si svolge l'attività di credito mobiliare non rendono possibile nè opportuno disciplinare unitariamente gli Istituti che la svolgono. Il controllo quindi può aver luogo efficacemente solo nei confronti di operazioni che rappresentano i più frequenti casi in cui ha luogo lo svolgimento dell'attività di credito mobiliare, e sono le sole che abbiano rilievo tale da rendere in esse sensibile il riflesso del pubblico interesse. Il particolare genere di operazioni sottoposto a disciplina è: - quello relativo alle operazioni di Borsa in genere, già disciplinate dalle leggi vigenti sulle Borse, per le quali vengono devolute all'Ispettorato le funzioni e facoltà di vigilanza già spettanti al Ministero delle finanze e all'Istituto di emissione; - gli aumenti di capitale e l'emissione di obbligazioni e valori mobiliari di ogni natura, da parte, sia dagli Istituti di credito mobiliare, già sottoposti alla disciplina dell'Ispettorato e precedentemente elencati, sia da parte altre aziende o da privati. In tale seconda ipotesi però l'intervento dell'Ispettorato si limita ai casi seguenti: 1°) qualora l’emissione abbia luogo per il tramite di aziende di credito ordinario sottoposte al controllo dell'Ispettorato; 2°) qualora i relativi titoli si vogliono ammettere al mercato dei valori mobiliari nelle Borse; 3°) nei casi di aumento di capitale e di emissioni per le quali è prevista a norma del Regio decreto-legge 5 settembre 1935, n. 1614, la autorizzazione del Ministero delle corporazioni la quale dovrà essere preceduta dal parere dell'Ispettorato. - Formano, altresì, oggetto della disciplina attuata dal provvedimento la partecipazione a Sindacati di collocamento di azioni, obbligazioni ed altri titoli (esclusi quelli dello Stato o da esso garantiti) da parte di aziende di credito, nonché l'emissione di prestiti all'estero e l'assunzione di partecipazioni all'estero da parte di enti, aziende e persone italiane, ed il collocamento in Italia di titoli esteri. Per tali operazioni, la cui disciplina è di competenza del Ministero delle finanze, dovrà però sentirsi il parere dell'Ispettorato.

ART. 41. DEVOLUZIONE AL COMITATO DI ATTRIBUZIONI DI VARI MINISTERI. Sono deferite al Comitato dei Ministri, in conformità dell'articolo 14: a) le attribuzioni spettanti al Ministero dell'agricoltura e foreste e al Ministero delle finanze a norma del testo unico sul credito fondiario, approvato con Regio decreto 16 luglio 1905, n. 646, e successivi decreti modificativi e applicativi di esso, a norma del Regio decreto-legge 18 settembre 1934, n. 1463, e del Regio decreto-legge 25 marzo 1927, n. 435, relativamente agli Istituti ed alle operazioni di credito fondiario; b) le attribuzioni spettanti al Ministero dell'economia nazionale a norma degli articoli 1 e 8 del Regio decreto-legge 2 maggio 1920, n. 698, relativamente all'Istituto nazionale di credito edilizio ed a norma del Regio decreto-legge 4 maggio 1924, n. 993, relativamente agli istituti e società di credito edilizio in genere; c) le attribuzioni spettanti a norma del Regio decreto-legge 29 luglio 1927, n. 1509, e successivi decreti modificativi e applicativi di esso, nonché dei relativi regolamenti, al Ministero dell'agricoltura e foreste ed al Ministero delle finanze relativamente al Consorzio nazionale per il credito agrario di miglioramento e agli Istituti autorizzati ad esercitare il credito agrario; d) le attribuzioni spettanti a norma del Regio decreto-legge 13 novembre 1931, n. 1398, al Ministero delle finanze, al Ministero delle corporazioni, al Ministero dell'agricoltura e foreste relativamente all'Istituto mobiliare italiano; e) le attribuzioni spettanti, a norma del Regio decreto-legge 2 settembre 1919, n. 1627, e della legge 14 aprile 1921, n. 488, al Ministero delle finanze relativamente al Consorzio di credito per le opere pubbliche; f) le attribuzioni spettanti, a norma del Regio decreto-legge 20 maggio 1924, n. 731, al Ministero delle finanze relativamente all'Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità; g) le attribuzioni spettanti, a norma del Regio decreto-legge 5 luglio 1928. n. 1817, e dello statuto approvato con decreto Ministeriale 29 gennaio 1929. ai Ministeri delle finanze e dell'economia nazionale relativamente all'Istituto di credito navale; h) le attribuzioni spettanti a norma del Regio decreto-legge 3 ottobre 1929, n. 1717, al Ministero delle finanze, relativamente all'Istituto nazionale di credito per il lavoro italiano all'estero.

ART. 42. ISPEZIONI PERIODICHE E STRAORDINÀRIE. L'Ispettorato ha facoltà di disporre nei riguardi degli Istituti indicati nell'articolo 41 ispezioni periodiche e straordinarie a mezzo di funzionari che avranno facoltà di chiedere la esibizione di tutti i documenti e degli atti che riterranno opportuni per l'esercizio delle loro funzioni. Tali Istituti sono tenuti a trasmettere all'Ispettorato i bilanci annuali ed ogni altro dato richiesto. Si applicano ai dirigenti e ai mèmbri degli organi di sorveglianza degli Istituti predetti le disposizioni del 1° comma dell'articolo 38.

ART. 43. DEVOLUZIONE DI ALTRE FACOLTÀ. Sono devolute al Comitato dei Ministri e, rispettivamente, all'Ispettorato, le funzioni e facoltà attribuite al Ministero delle finanze ed all'Istituto di emissione dalle disposizioni sull'ordinamento delle borse dalla legge 20 marzo 1913, n. 262, sull'ordinamento delle Borse di commercio e dai successivi provvedimenti modificativi di essa, dai relativi regolamenti di esecuzione, nonché dal Regio decreto-legge 30 giugno 1932.

ART. 44. APPROVAZIONE DELL'ISPETTORATO PER L'AUMENTO DI CAPITALE. Gli Istituti di cui all'articolo 41 non possono procedere ad aumentare il loro capitale, ne possono emettere obbligazioni senza la preventiva approvazione dell'Ispettorato, salva l'applicazione delle altre limitazioni disposte dalle leggi vigenti e dagli statuti che li regolano.

ART. 45. AUTORIZZAZIONE PER COLLOCAMENTO DI AZIONI. Le aziende di credito sottoposte alle disposizioni del titolo V e gli Istituti indicati nell'articolo 41 del presente titolo non possono partecipare ai Sindacati di collocamento di azioni, obbligazioni, buoni di cassa e altri valori mobiliari che non siano di Stato o garantiti dallo Stato, nè prestare l'assistenza della loro organizzazione per il collocamento, se l’emissione non ha ricevuto la preventiva autorizzazione dell'Ispettorato. Le nuove emissioni di azioni ed obbligazioni già quotate nelle Borse del Regno devono essere preventivamente autorizzate dall'Ispettorato.

La disposizione di gran lunga più importante contenuta nel titolo in esame - osserva la relazione della Giunta Generale del Bilancio - è quella dell'articolo 45 che deve essere considerata in relazione a quella dell'articolo 2.
Con tali norme si sottopongono al preventivo assenso dell'Ispettorato:
   a) ogni nuova emissione di azioni e di obbligazioni che si vogliono ammettere alla quotazione di Borsa;
   b) la costituzione di sindacati bancari per il collocamento di nuovi titoli sul mercato.
Il controllo dell'Ispettorato si estende in tal modo a tutte le più importanti emissioni di titoli azionari: il che impone al nuovo Organo di Stato una precisa consapevolezza della delicata natura dei poteri attribuitigli e della conseguente responsabilità.
La disposizione crea poi il pericolo di dannose interferenze che sarà pregio delle norme regolamentari di impedire. Sembra infatti che, quando la raccolta del risparmio abbia per scopo di provvedere a nuovi impianti che siano stati autorizzati a norma della legge del 1933, l'assenso dell'Ispettorato dovrebbe ritenersi assorbito dalla autorizzazione concessa dal Ministero delle corporazioni.
Occorre d'altra parte tener presente che il Regio decreto-legge 5 settembre 1935, n. 1613, con il quale si è limitata la distribuzione degli utili delle Società commerciali, ha sottoposto per un triennio all'autorizzazione del Ministero delle corporazioni di concerto con quello delle finanze gli aumenti di capitale per cifra superiore al milione.
Senza un indispensabile coordinamento, sarebbero perciò necessario due autorizzazioni da parte di diversi organi di Stato fra i quali potrebbe anche determinarsi un nocivo e non risolubile conflitto. E sembra che, dato il carattere temporaneo e contingente delle norme contenute nel decreto ora richiamato, sarebbe conveniente attribuire senz’ altro tutta la materia delle autorizzazioni in parola all'Ispettorato.
Qualche chiarimento di carattere formale si impone poi relativamente agli articoli 2 e 45 del decreto-legge in esame. L'articolo 2 dispone infatti che debba essere preventivamente autorizzata l'emissione di titoli che si vogliono ammettere alla quotazione di Borsa. Ora, la semplice intenzione di voler far ammettere in futuro i titoli alla quotazione, non può certamente essere sufficiente per rendere necessaria la richiesta di una preventiva autorizzazione alla emissione di essi. Il che va detto specie per la costituzione di nuove società, tenuto presente anche il disposto dell'articolo 2 della legge sulle Borse 20 marzo 1913, n. 272.
L'autorizzazione non può dunque riguardare che le nuove emissioni di titoli già ammessi alla quotazione. Anche l'espressione dell'articolo 45 che vieta alle Aziende bancarie di prestare l'assistenza delle proprie organizzazioni alle emissioni non autorizzate dell'Ispettorato potrebbe essere opportunamente chiarita. L'affissione di un avviso nei locali della Banca, il versamento dell'importo totale o parziale dei titoli agli sportelli della Banca, l'esercizio di diritti di opzione per conto degli azionisti costituiscono la prestazione di normali servizi bancari che non hanno nulla a che vedere con un intervento attivo e diretto per il collocamento dei titoli. Sono servizi che si riconnettono ad un proficuo rapporto di clientela esistente fra la Banca e la società emittente o il sottoscrittore e che non possono perciò essere vietati quando la Banca limiti ad essi la propria attività.

ART. 46. AUTORIZZAZIONE PER CONTRARRE PRESTITI. L'autorizzazione a contrarre prestiti e ad assumere partecipazioni finanziarie fuori del Regno di cui al Regio decreto 11 settembre 1919, n. 1674, come pure l'autorizzazione a collocare nel Regno titoli esteri di Stato, nonché , obbligazioni e valori azionari di qualsiasi specie di cui al Regio decreto 11 dicembre 1917, n. 1955, sono concesse sentito il parere dell'Ispettorato.

Fine del Titolo VI

** Per valutare la lira del 1936, in termini di euro attuale, un elemento è che il volumetto (81 pagine) che contenne la legge bancaria e leggi collegate, fu messo in vendita a Lire 8. Oggi questo stesso volumetto costerebbe non meno di € 16 (£ 30.980 al cambio ufficiale di £ 1936,27 del 2001, oppure a £ 16.000 al cambio “vero” di £ 1000 per 1 €).

[1] Vedi il Regio decreto-legge 7 settembre 1926, n. 1511, a pag. 127.

[2] Gli articoli 9, 10 e 11 del Regio decreto-legge 7 ottobre 1923, n. 2283, sugli Assegni circolari, dispongono:

ART. 9. - Potranno essere autorizzati ad emettere assegni circolari gli Istituti ordinari e cooperative di credito, le Casse di risparmio ed i Monti di Pietà i quali abbiano regolarmente pubblicato almeno due bilanci annuali ed abbiano non meno di dieci milioni tra capitale e riserva legale esistenti secondo l'ultimo bilancio pubblicato. Tale limite non si applica alle Casse ordinarie di risparmio e a i Monti di Pietà, e può essere derogato, ove concorrano circostanze speciali, con provvedimento del Ministero delle finanze di con- certo con quello dell'economia nazionale per gli Istituti che alla data del presente decreto siano già autorizzati ad emettere assegni circolari. Gli Istituti che alla data di entrata in vigore del presente decreto già emettevano assegni circolari dovranno entro un mese dalla stessa data presentare domanda al Ministero delle finanze il quale di concerto con quello dell'educazione nazionale potrà auto- rizzarli a continuare la emissione ai termini delle disposizioni del presente decreto.

ART. 10. - Gli Istituti ordinari e cooperativi di credito, le Casse di risparmio, e i Monti di Pietà che intendano iniziare la emissione di assegni circolari dovranno fame domanda al Ministero delle finanze il quale di concerto con quello dell'economia nazionale, concederà o negherà con decisione insindacabile entro 45 giorni dalla domanda la chiesta autorizzazione.

ART. 11. - A garanzia di titoli emessi, gli Istituti di cui agli articoli 9 e 10 dovranno depositare entro i primi 15 giorni di ciascun bimestre presso uno degli Istituti di emissione, i buoni del Tesoro o in altri titoli di Stato, nella forma e nei modi che saranno stabiliti dal Ministero delle finanze di concerto con quello dell'economia nazionale una somma pari al 40 per cento della circolazione inedia del bimestre precedente.  Per il primo bimestre il deposito dovrà essere eguale al 10 per cento del capitale e della riserva indicati nell'articolo 9 -del presente decreto con un massimo di due milioni.

Ove gli assegni circolari emessi e non estinti da ciascun Istituto superino l'ammontare del capitale e della riserva legale risultanti dall'ultimo bilancio, l'eccedenza di circolazione dovrà essere coperta con deposito di titoli come dal comma presente articolo nella proporzione del cento per cento.

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Avvertenza.
Nelle cinque fotocopie, qui di seguito riportate, ho cancellato tutti i riferimenti al regime politico del tempo, compresi gli anni di regime, perché li ho considerati non pertinenti con la legge.

 

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EDIZIONI PRECEDENTI

In margine al Seminario della Banca d'Italia, Palazzo Koch,
Roma 16 sett. : " Dal T.U.B. -Testo unico bancario all'Unione bancaria "
http://www.bancaditalia.it/media/notizie/convegno-giuridico-160913/Programma.pdf

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Renzo Costi

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DUE RELAZIONI  SOTTOPOSTE ai nostri lettori

  Dott. S. Rossi, Direttore della Banca d'Italia;
" Regolamentazione e vigilanza sulle banche"

. Prof. R. Costi, Ordinario di  diritto dei mercati finanziari:
" Il Testo unico bancario, oggi "

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Salvatore Rossi

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  Nota. Questo seminario ha voluto "avviare una riflessione su quali parti del nostro Testo unico bancario (1993) debbano ritenersi obsolete, superate dalla nuova legislazione europea; quali parti siano invece ancora attuali e vadano conservate".
   Delle 10 relazioni presentate si focalizza l'attenzione solo sulle due più direttamente chiamate a rispondere al quesito,anche perchè solo l'una è già pubblicata sul sito della Banca d'Italia e la seconda ci è stata data generosamente dal prof. Costi.
   Llimito il commento alla introduzione del Direttore Generale, perchè più politica e di tono economico, più vicina alla mia formazione, ma anche dopo aver studiato la seconda, un testo  magistrale per documentazione e considerazioni.


 

 

Salvatore Rossi , Il Testo unico bancario

1.- Premessa.
I vent'anni dall'emanazione in Italia del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ricorrono quasi in contemporanea con il varo del regolamento dell'Unione europea che istituisce il Meccanismo di vigilanza unico. Con questo Convegno ci siamo proposti di avviare una riflessione su quali parti del nostro Testo unico bancario debbano ritenersi obsolete, superate dalla nuova legislazione europea; quali parti siano invece ancora attuali e vadano conservate e suggerite come modello per l'Unione bancaria.

2.- Banca come impresa e sua sfera di attività. Il Testo unico bancario razionalizzò la normativa preesistente nel nostro paese; non introdusse precetti radicalmente nuovi, ma disegnò linee di politica legislativa volte a guidare le autorità creditizie nell'applicazione della legge.
  Il Testo unico diede innanzitutto un segnale chiaro di riconoscimento delle ragioni del mercato, in un tempo e in un campo ancora segnati da forti pregiudizi dirigisti.
  Un mercato regolato, certo, ma in un sistema che riconosce centralità all'iniziativa privata: lo testimonia il bisogno sentito dall'estensore del Testo di statuire espressamente che l'attività bancaria "ha carattere d'impresa" (art. 10, comma 1).
   In altri passaggi, il Testo unico intese sprigionare le forze del mercato, come nel rendere possibili - all'art. 31 - trasformazioni e fusioni di banche popolari non solo a fini di rafforzamento patrimoniale ma anche di "razionalizzazione del sistema", purché dal processo risultassero società per azioni. In generale, la società per azioni veniva scelta come il modello di governance più adatto a stimolare l'efficienza gestionale e il ricorso al mercato dei capitali, anche in funzione di una maggiore capacità di erogare credito, date le regole di Basilea I che già legavano tale capacità alla dotazione patrimoniale.
   Si sancì anche un notevole ampliamento delle possibilità operative delle banche: queste potevano svolgere, oltre all'attività bancaria vera e propria, oggetto di riserva, anche "ogni altra attività finanziaria" (art. 10, comma 3); si superavano definitivamente le diverse specializzazioni creditizie tradizionali e si ponevano le premesse normative per la banca universale, che gli intermediari potevano scegliere in alternativa o in combinazione con la struttura di gruppo, secondo criteri di efficienza affidati alla scelta del mercato.
   Al tempo stesso, quel corpus di norme riaffermò una salda fiducia nella capacità del diritto di promuovere le riforme. Ad esempio, l'art. 151 assoggettò alla disciplina comune le "banche pubbliche residue": l'aggettivo chiaramente evocava il processo di privatizzazione allora in corso e implicitamente indicava l'obiettivo di completarlo.

3.- Una vigilanza tecnica e indipendente.     Affermare che una banca è un'impresa aveva a quel tempo una portata quasi eversiva in vasti settori di opinione pubblica; implicava un ripensamento profondo dei controlli pubblici sulle banche.
   Il senso ultimo di quel ripensamento stava nel sottrarre l'attività bancaria alla longa manus della politica.
   Quest'ultima aveva avuto gioco facile sino a quando le banche erano rimaste quasi tutte in mano pubblica, ma influenze e pressioni restavano possibili in presenza di controlli pubblici ampiamente discrezionali, sebbene iscritti in un quadro di finalità finalmente esplicite e chiare.
   Si comprende così lo sforzo che fu fatto negli anni successivi di valorizzare le regole "prudenziali" di vigilanza, quelle fondate sostanzialmente su indicatori oggettivi dello stato di salute dell'impresa bancaria. Ma sarebbe illusorio credere di poter eliminare la discrezionalità nei controlli, oggettivandoli totalmente.
    Chi fa impresa bancaria deve godere della più ampia autonomia imprenditoriale, purché siano rispettati i principi della "sana e prudente gestione" (art. 5): se quei principi non vengono rispettati è chiamata in causa la responsabilità propria dell'imprenditore o del manager bancario.
   Da questo punto di vista, è indicativo che il Testo unico abbia conservato e valorizzato la possibilità per l'Autorità di vigilanza di adottare provvedimenti di gestione coattiva dell'impresa bancaria anche solo per "irregolarità", non solo per specifiche violazioni normative (artt. 70, 78 e 80).
   Specularmente, le autorità di vigilanza sono responsabili delle decisioni discrezionali che devono comunque prendere. Ne discende la necessità che quelle decisioni siano fondate su analisi tecniche approfondite e motivazioni chiare.
   La natura prettamente tecnica dell'attività di vigilanza è al tempo stesso presupposto e conseguenza dell'indipendenza dell'autorità che la svolge.
    L'indipendenza della Banca d'Italia, suo tratto distintivo pur nelle temperie che ha attraversato nella sua storia ultra-secolare, è stata da ultimo esplicitamente ribadita dalla legge (l. 262/2005, cosiddetta Legge sul risparmio).   Il contraltare dell'indipendenza è il dover rendere conto, l'accountability.
   La Banca d'Italia ha innalzato in questi anni i livelli di estensione e di dettaglio dei rendiconti della sua azione in ogni campo, a iniziare dall'attività di vigilanza: nei confronti del Parlamento e del Governo con una relazione che da quest'anno è stata ulteriormente arricchita di contenuti e meglio articolata; nei confronti di ogni portatore d'interesse e di tutta l'opinione pubblica attraverso il suo sito Internet, che dall'anno prossimo sarà anch'esso arricchito e migliorato nella funzionalità.

4.- Una vigilanza integrata. La vigilanza della Banca d'Italia ha la caratteristica, non sempre riscontrabile in altri ordinamenti, di essere integrata: ricomprende, e fa interagire, l'attività di regolazione, quella di supervisione (macro e microprudenziale), quella sanzionatoria e la gestione delle crisi bancarie.
  Il Testo unico bancario ha fatto proprio questo approccio integrato. Ad esempio, lo art. 53 è rubricato "vigilanza regolamentare", a sottolineare quanto l'attività normativa sia considerata parte integrante della vigilanza.
  Il Testo unico, come modificato dalla Legge sul risparmio del 2005, delinea poi l'attività sanzionatoria a carico degli esponenti bancari responsabili di violazioni normative quale naturale prosecuzione della vigilanza, assegnando conseguentemente alla Banca d'Italia quel compito (art. 145, comma 1).
   Nella gestione delle crisi, pur lasciando al Ministro dell'economia e delle finanze la decisione finale, è l'Autorità di vigilanza che propone i provvedimenti di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa, sulla base di sole considerazioni di ordine tecnico-prudenziale (artt. 70 e 80).

5.- La tutela dei clienti delle banche e degli altri intermediari finanziari. Il Testo unico bancario copre un'area più vasta della vigilanza bancaria: vi trovano disciplina, ad esempio, la raccolta del risparmio da parte di soggetti non bancari, i controlli sui sistemi di pagamento.
   Attraverso emendamenti recenti, approvati nel 2010, il Testo unico ha anche recepito in modo compiuto le crescenti istanze di tutela della clientela delle banche. L'art. 127 stabilisce ad esempio che la Banca d'Italia deve aver "riguardo, oltre che alle finalità indicate nell'articolo 5 (sana e prudente gestione), alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la
clientela"; l'art. 128-ter dà alla Banca d'Italia penetranti poteri inibitori in caso di irregolarità nei rapporti con la clientela.
   L'insieme delle norme cerca di assicurare che nei rapporti negoziali vi siano trasparenza, equilibrio, consapevolezza. Nella sensibilità sociale e politica dei nostri giorni la correttezza dei rapporti banche-clienti - ma il tema abbraccia tutti gli intermediari finanziari - occupa un posto di grande rilievo.
   La crisi finanziaria globale iniziata nel 2007- 2008 ha d'altro canto acuito l'attenzione di tutto il mondo sulle possibili degenerazioni della finanza e sui danni che esse causano innanzitutto ai piccoli risparmiatori. 
    La regolazione e la supervisione esercitate dalla Banca d'Italia hanno seguito l'evoluzione di questa sensibilità, innalzando l'attenzione alla tutela della clientela delle aziende bancarie e finanziarie, dedicando via via più risorse a questo aspetto, ritenuto anch'esso parte integrante della vigilanza.
  La costituzione dell'Arbitro Bancario Finanziario, con i suoi tre collegi di Milano, Napoli e Roma, è stato uno snodo importante. Il processo è in corso, intendiamo accrescere il nostro impegno in questo campo.  Se la fiducia del pubblico nei confronti della correttezza dei comportamenti dell'industria finanziaria è incrinata, come a volte è accaduto in questi anni, è messa a repentaglio la sana e prudente gestione di singoli intermediari, è minacciata la stabilità dell'intero sistema finanziario. L'azione di vigilanza prudenziale e la tutela dei clienti si rafforzano l'un l'altra.

6.- Le riforme europee
  6.1- Il cammino verso la vigilanza europea.

Renzo COSTI, Il Testo Unico Bancario, oggi

1. Il Testo Unico e il "nuovo ordinamento bancario".  Il Testo Unico Bancario del 1993 rappresenta il momento di complessiva sistemazione del nuovo ordinamento del mercato bancario e finanziario che si era venuto sviluppando nel nostro paese dalla metà degli anni Ottanta, a partire cioè dall'attuazione nel nostro ordinamento delle norme comunitarie che ponevano fine alla vigilanza strutturale su quel mercato, nel momento in cui veniva preclusa all'Autorità di Vigilanza la possibilità di tener conto delle "esigenze economiche del mercato" nell'assumere i propri provvedimenti relativi all'esercizio dell'attività bancaria.
  L'accesso al mercato bancario cessava di essere subordinato ad un'autorizzazione discrezionale dell'Autorità di vigilanza per diventare un atto dovuto, nel momento in cui fossero stati presenti i necessari requisiti oggettivi e soggettivi; requisiti oggetto di un mero accertamento tecnico da parte della stessa Autorità. Risultava così rovesciata la prospettiva della legge bancaria del 1936 che attribuiva all'Autorità di vigilanza il potere di disegnare il piano regolatore del credito.
    La banca cessava di essere considerata un'impresafunzione, manovrabile dall'Autorità di Vigilanza, per diventare esercizio di un diritto di iniziativa economica, protetto dalla riserva di legge dettata dall'art. 41 della Carta Costituzionale. In questa nuova prospettiva assumevamo poi grande rilievo due provvedimenti legislativi del 1990.
   a) La legge 30 luglio 1990, n. 218 (e il d. lgs. 20 novembre 1990, n. 356) che consentiva l'adozione, da parte delle banche pubbliche (per lo più in forma di fondazione), della forma della società per azioni, con la possibilità di ricorrere a nuovo capitale di rischio, e
    b) la legge 10 ottobre 1990, n. 287 che rendeva applicabile anche al mercato bancario la tutela della concorrenza; concorrenza non più considerata un pericolo, come nel vigore della legge bancaria del 1936, ma come uno strumento capace di assicurare una maggiore efficienza alla intermediazione bancaria.
    Nella stessa direzione sollecitava anche l'attuazione della seconda direttiva bancaria (direttiva 15 dicembre 1989, n. 646) che, dando attuazione al principio del mutuo riconoscimento, esponeva alla concorrenza delle banche degli altri paesi della comunità il nostro sistema bancario, rendendo indispensabile la rimozione delle tante forme di specializzazione che lo caratterizzavano e rendendo urgente l'adozione del modello della banca universale, già accolto negli altri ordinamenti comunitari.
   Queste, in estrema sintesi, le caratteristiche dell'ambiente nel quale vide la luce il Testo Unico Bancario del 1993.

2. Le scelte di fondo del Testo Unico. Mi pare necessario, per verificare cosa sia rimasto oggi del Testo Unico del 1993 e che cosa sia stato cancellato, ricordare, ancora in estrema sintesi, alcune delle più importanti scelte di politica legislativa che lo stesso ha effettuato. Ne ricorderei soltanto due, anche se su molti altri punti (penso ai crediti speciali) le scelte del Testo Unico furono di particolare spessore.
   La prima concerne la concezione della impresa bancaria e la seconda riguarda i fini che possono e debbono essere perseguiti dalle Autorità creditizie.
   A) A norma dell'art. 10 del Testo Unico l'attività bancaria "ha carattere d'impresa" e "le banche esercitano oltre all'attività bancaria, ogni altra attività finanziaria". Viene così fissato, a chiare lettere, che
  a) l'attività bancaria è attività di impresa anche ai sensi dell' art. 41, 1° comma della Carta Costituzionale e
  b) che il tipo di banca che viene consentito è quello della banca universale, ossia che può raccogliere depositi ed erogare crediti senza alcuna distinzione fra breve, medio e lungo termine e che può svolgere oltre all'attività bancaria anche le altre attività finanziarie, quando non riservate, e, in particolare, quelle di mercato mobiliare, anche investendo per proprio conto. Annoto qui, anche se non concerne tanto l'esercizio dell'attività, quanto piuttosto la struttura proprietaria della banca, che il Testo Unico del 1993 sanciva la separatezza fra banca e industria, almeno nel senso che non permetteva all'industria il controllo della banca (art. 19, comma 6) e, sotto questo profilo, non consentiva la banca mista.
   B) La seconda scelta di politica legislativa di segno sistematico è quella contenuta nell'art. 5 del Testo Unico che individua le "finalità" della vigilanza, stabilendo che le Autorità creditizie esercitano "i poteri di vigilanza" "avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario". Non v'è dubbio che il linguaggio utilizzato consenta di rilevare che i fini della Vigilanza sono individuati con formule piuttosto generiche, ma è certo, tuttavia, che lo stesso fissa un limite alla discrezionalità delle Autorità creditizie nell'adozione dei propri provvedimenti. Le Autorità creditizie non potrebbero esercitare i loro poteri per finalità diverse da quelle fissate dalla norma appena ricordata.
   E sotto questo profilo il Testo Unico segna una netta distinzione nei confronti della legge bancaria del 1936 che attribuiva alle Autorità creditizie una delega di potere sostanzialmente in bianco.

3. Le fonti normative esterne al T.U. .  Prima di passare ad un esame analitico di ciò che è rimasto e di ciò che è caduto del Testo Unico, a seguito dei ben 39 provvedimenti legislativi che hanno apportato alle sue disposizioni modificazioni e integrazioni, credo possa essere utile riflettere sul ruolo che il T.U. ha svolto e svolge nell'ambito dell'ordinamento bancario e finanziario.
   A) Negli anni successivi al 1993 sono intervenute molte norme che hanno interessato capitoli importanti dell'ordinamento bancario, ma che non sono state inserite nel Testo Unico Bancario. Basti in proposito ricordare
  1) il d.lgs. 30 maggio 2005, n. 142, che ha disciplinato la vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari, e
  2) la legge 28 dicembre 2005, n. 262,
     a) che ha inciso profondamente sull'ordinamento della Banca d'Italia e
     b) che ha spostato la competenza in materia di tutela della concorrenza nel mercato bancario da quest'ultima all'autorità antitrust.
   B) Ma non è soltanto questo tipo di produzione normativa che incide sulla centralità del Testo Unico nell'ordinamento bancario; mi pare che sia soprattutto la normativa comunitaria che occupa sempre nuove province dell'ordinamento, affiancandosi con crescente rilevanza alle disposizioni del Testo Unico. E questa incidenza delle norme comunitarie passa attraverso due strade: quella dei regolamenti comunitari (come quelli che hanno dato vita alle autorità di settore e al comitato per il rischio sistemico) e quella delle direttive selfexecuting, la cui applicazione prescinde dalle norme di attuazione dei paesi membri.
   C) La rilevanza, in concreto, delle disposizioni legislative del Testo Unico risulta poi, come è ovvio, fortemente limitata dal processo di delegificazione che ha continuato a caratterizzare l'ordinamento del settore: così ad es. in materia di governo societario delle banche non v'è dubbio che abbiano un ruolo determinante le disposizioni della Banca d'Italia, che, per altro, fonda la propria competenza su una delega specifica da parte della norma primaria del Testo Unico.
   Anche se spesso il recepimento, da parte dell'ordinamento primario è puramente formale, come è accaduto per le "nuove disposizioni di Vigilanza per le banche" dettate lo stesso giorno nel quale fu adottato il D.L. 27 dicembre 2006, n. 297 che dava attuazione alle direttive comunitarie 2006/48 e 2006/49.

4. Il mutamento di due scelte fondamentali operate dal T.U. Passo ora all'esame di alcuni profili di ciò che resta e di ciò che è caduto del Testo Unico del 1993, partendo da quelle che mi sembrano le due scelte di politica legislativa più importanti: a) la concezione dell'impresa bancaria e b) le finalità della Vigilanza. Sotto entrambi i profili qualcosa è cambiato rispetto alle scelte del 1993. 
    1) La banca continua ad essere considerata un'impresa e lo svolgimento della relativa attività
l'esercizio di un diritto; inoltre viene tenuto fermo il modello della banca universale, anche se non mancano le proposte dirette ad imporre la separazione societaria per alcune attività, come il trading in proprio.
    Viene invece abbandonato il divieto per l'industria di acquisire partecipazioni rilevanti nelle banche, divieto stabilito dall'art. 19, commi 6 e 7 del Testo Unico del 1993; commi abrogati dall'art. 14, 1° comma del D.L. 29 novembre 2008, n. 185. La possibilità per l'industria non finanziaria di assumere partecipazioni anche di controllo in una banca è rimessa alla disciplina generale dettata per l'autorizzazione della Banca d'Italia, che condiziona l'assunzione di partecipazioni rilevanti in una banca.
   2) Anche per quanto concerne le finalità che possono essere perseguite dalle Autorità creditizie è intervenuta una integrazione importante delle finalità fissate dall'art. 5 del Testo Unico del 1993. L'art. 127, riscritto dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, stabilisce infatti che "le Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal presente titolo" (ossia il Titolo VI, dedicato alla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti) "avendo riguardo oltre che alle finalità indicate nell'art. 5, alla trasparenza e alla correttezza dei rapporti con la clientela".
    Come è noto, la trasparenza dei rapporti con la clientela, è una delle condizioni per l'efficienza e la competitività di un sistema finanziario ed è quindi uno strumento indispensabile per assicurare il raggiungimento delle finalità di cui all'art. 5 del testo originario del TUB. Oggi la trasparenza e la correttezza dei rapporti con la clientela cessano di essere considerate soltanto come obiettivi intermedi e indiretti, per diventare un obiettivo diretto ed esplicito della Vigilanza con riferimento ai rapporti della banca con la propria clientela.

Nino Luciani, In margine al testo di  Rossi.

1. Premessa. Questo seminario, come introduce il direttore della B.d'I, ha voluto "avviare una riflessione su quali parti del nostro Testo unico bancario (1993) debbano ritenersi obsolete, superate dalla nuova legislazione europea; quali parti siano invece ancora attuali e vadano conservate".
   Il commento, che qui segue, è limitato alla introduzione del Direttore Generale.
   In estrema sintesi, il Direttore ha, prima, esaltato l'impresa bancaria orientata al profitto (ma limitata dalla concorrenza tra banche) ed esaltato  la banca universale (eliminazione della differenziazione tra banche a breve e banche a medio-lungo termine), una innovazione  fatta anche negli USA, come noi, nei primi anni '90, seguiti da altri Paesi).
   Ma, poi, date le innegabili deviazioni delle banche, dall'interesse pubblico (vedi: crisi mondiale in corso), e non volendo farla derivare dalle leggi permissive del 1993 in Italia (e, nello stesso periodo, anche negli USA), ha ripiegato velocemente  verso la giustificazione del suo sì alla vigilanza bancaria su base larga europea, dunque saltando a pié pari il collegamento tra la vigilanza e la diagnosi della crisi.
   Questo fatto dell'allargamento del quadro territoriale della vigilanza va visto positivamente (ma che, pur divenendo europeo, dunque oltre il suolo nazionale, è ancora impari rispetto al necessario quadro planetario). Ma mi parrebbe dare troppo per scontato che i burocrati europei siano dei marchingegni onniscienti e onnipotenti nell'inserirsi nei meandri bancari, per fermarne le deviazioni in tempo reale.
    Soprattutto, mi parrebbe che la vigilanza ex-post sia insufficiente se non è accompagnata da filtri ex-ante, che sono quei tali noiosi filtri burocratici, che il TUB del 1993 ha tolto deliberatamente. Ma andiamo per gradi, a partire dalla diagnosi della crisi, per poi riprendere i punti chiave del Direttore.
  a) la diagnosi della crisi. In estrema sintesi, la mia diagnosi è la seguente (e che è, poi, la stessa fatta dagli economisti per la analoga crisi del 1929). 
   Negli ultimi 10 anni ( dall'avvio delle grandi guerre, in Iraq, ecc. ) le banche hanno creato molta moneta bancaria (vale dire hanno fatto credito, accompagnato da emissioni di blocchetti di assegni bancari,...) assumendo grandi rischi, nella illusione che fare credito crei sempre valore (anche a prescindere da puntuali garanzie reali : vedi mutui sub prime).
   Nel fare credito, esse hanno goduto della complicità degli Stati, bisognosi di finanziamenti per le guerra; ma, poi, con la decelerazione delle guerre, la domanda pubblica di prodotti per la guerra è calata, e grandi imprese debitrici non hanno restituito il danaro.
   Ciò ha a creato una serie di sofferenze, a domino: sulle banche, e poi sui creditori delle banche, sfociate in crisi di illiquidità in tutta l'economia. Da qui i fallimenti di imprese e disoccupazione, per mancanza di domanda "effettiva" (vale dire accompagnata da potere di acquisto, termine inventato da Keynes).
     Non solo questo. La guerra ha anche foraggiato super-profitti, nei vari Stati , a favore di cittadini operanti per la guerra che, tuttavia, data la crisi sopravvenuta, hanno trattenuto presso di sè la liquidità, e questo ha aggravato la crisi.
    Torniamo al Direttore. Egli, dando per scontato che una vigilanza europea sia sufficiente ad  evitare nuovi eccessi di creazione di moneta bancaria, non ha potuto che confermare la validità del TUB. Ma  riprendiamo i punti da lui esaltati.
   a) La banca universale, come impresa orientata al profitto, e solo limitata dalla concorrenza tra le banche.
  Egli ha esaltato, già in premessa, questo concetto. Ma, per quanto ne so, il mercato di concorrenza presuppone:  
  - moltissime banche grosso modo di piccola dimensione
- libertà di entrata e uscita dal mercato;
omogeneità del prodotto e relativa sostituibilità di un prodotto con un altro.
 
  Ricordo solo:
-   che, in Italia, solo 9 banche private hanno il 53% del capitale della Banca d'Italia, vale dire controllano Bankitalia.;
  -  che le banche sono coalizzate dentro l'ABI-Associazione Bancaria Italiana che, di tanto in tanto, ha almeno il pudore di limitare le commissioni (%) che le banche applicano alle operazioni dei clienti;
   -  che ogni contratto cliente-banca di deposito o giro ha un diverso tasso di interesse (ma non diverso da banca a banca);
  - che la moneta è un bene praticamente insostituibile.
   Questi fatti reclamano a gran voce la riforma del TUB.
   Sono, anzi, sorpreso che il direttore abbia ignorato che gli USA e il Regno Unito stanno tornando alla separazione tra banche commerciali e istituti finanziari (propri della legge bancaria italiana del 1936, abolita nel 1993 dal Testo Unico bancario, oggi in vigore).
   b) Patrimonializzazione. Questa parola c'è nella relazione del Direttore, dando per scontata la validità di Basilea 3.
   Ma una cosa è la ragioneria, una cosa è l'economia. Per la ragioneria i punti di riferimento primari sono i dati contabili, storici (non solo questo). Per l'economia il capitale è il valore attuale del reddito atteso.
   In contesti di mercato normali, il conto torna. In contesti di gravi crisi, la liquidabilità del capitale è molto a rischio.
   Dunque Il patrimonio è una garanzia di larga massima, per gli obbligati con la banca, ma lo è direttamente solo il patrimonio liquido.
   Negli scorsi mesi, negli USA, si è discusso se portare al 5% il capitale liquido, rispetto al totale delle attività patrimoniali.
   Ma l'ipotizzare che una autorità esterna determini il capitale liquido, a cui obbligare una banca, è assurdo perchè prescinde da un calcolo benefici/costi nel medio-lungo periodo, che un vigilante esterno non è capace di fare.
   Diverso è se la vigilanza prende a riferimento la gestione corrente, dove può censurare, già in origine, le eventuali piccole patologie. Questo ci porta, in primis, alla riserva obbligatoria bancaria.
    Attualmente c'è una percentuale del 2% (dei depositi e obbligazioni con scadenza inferiore a 2 anni) che le banche devono depositare presso la BCE; e c'è una percentuale dei depositi (di norma non superiore al 10%, ma anche 0%), che le banche locali devono depositare presso la B.d'I. (anche una % maggiore per  determinate patologie di clientela).
   Il parametro della riserva obbligatria non serve solo a garanzia diretta del risparmiatore-depositante, ma anche per determinare la creazione di moneta bancaria (aggiuntivamente alla moneta legale) per il controllo dei prezzi.
   E' noto che la quantità di moneta bancaria che una banca può creare è pari alla moneta legale, moltiplicata per l'inverso della percentuale di riserva obbligatoria.     Es., se questa percentuale è 5%, e la moneta legale è € 1.000, la moneta bancaria che una banca puà creare è : 20*1000=20.000.
   Direi che, anche sotto il profilo morale, vada impedita la connessa possibile ruberia della ricchezza privata, in caso di eccessi di creazione di moneta bancaria e derivati. Ciò ricorda gli abusi dei principi e re, a suo tempo, nel battere moneta legale.
   c) Partecipazioni delle banche al capitale delle imprese private e viceversa.  Andrebbe rivisitata la possibilità di incroci di partecipazione reciproca, al capitale, tra banche e imprese produttive di grandi dimensioni..   
  d) Ultimo, ma non ultimo. La fiducia del Direttore nel mercato (come regolatore delle banche), è oggettivamente coerente con il fatto che la Banca d'Italia è di fatto, dal 2006 (col governo Prodi, alla faccia delle sinistra), un istituto privato, da cui Rossi è dipendente.
    Infatti, il D.P.R. del 12 dicembre 2006  ha cancellato l'articolo 3 dello Statuto della Banca d'I., che così recitava: " In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici".
    Dallo Statuto della B.d'I., risulta che i partecipanti al capitale sono 60, di cui 52 sono banche (419 voti, su totali 535, dell'Assemblea dei partecipanti); e 8 sono enti assicurativi e previdenziali, di cui due sono enti pubblici, INPS e INAIL (totali 116 voti).
    Troviamo anche che 9 banche e assicurazioni  hanno da sole la maggioranza assoluta 285/535 voti, pari al 53% del capitale.
   Queste banche sono: Intesa Sanpaolo S.p.A. UniCredit S.p.A. Assicurazioni Generali S.p.A. Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. Banca Carige S.p.A. Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. Monte dei Paschi di Siena Cassa di Risparmio di Biella e V. .
   Questa situazione suggerisce che il legislatore italiano riveda presto il TUB, inserendovi criteri di utilità pubblica. Per subito, chiederei che nella Assemblea dei partecipanti  entri il Direttore generale del Tesoro con diritto di veto. Nino Luciani

Mentre in Italia veniva elaborato il Testo unico bancario, si compivano in Europa i primi  significativi passi verso l'armonizzazione minima delle regole del mercato finanziario di quella che oggi è l'Unione europea.
   L'espansione del mercato unico europeo ha innescato un processo di osmosi fra gli ordinamenti nazionali del credito e il diritto europeo, che veniva a disciplinare settori sempre più ampi.
   Il Testo unico del 1993, pur avendo un respiro europeo (art. 6), era tuttavia incentrato sulle autorità creditizie nazionali.
   D'altro canto, fino alla crisi degli ultimi anni non c'era un vero centro organizzativo capace di formulare politiche di vigilanza in una prospettiva globale o europea, distinta da quella propria delle singole autorità nazionali.
    Sull'onda della crisi veniva dapprima riaffermato e consolidato il ruolo del Financial Stability Board - che per l'occasione cambiava il nome pre-esistente di Forum - e del Comitato di Basilea come sedi di definizione tecnica della regolazione bancaria e finanziaria su scala globale.
   Alla fine del 2010 nasceva il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (European System of Financial Supervision - ESFS). Questo Sistema ha segnato in Europa un primo vero cambiamento, non tanto per i poteri attribuiti - che riflettono ancora un modello tributario della centralità delle competenze nazionali - quanto perché ha rappresentato il primo tentativo di superare il mero coordinamento di interessi nazionali e ricercare una sintesi genuinamente europea.
    Oggi il nascituro Meccanismo unico di vigilanza (Single Supervisory Mechanism - SSM) amplia notevolmente la strada, imprimendole al contempo una direzione diversa: la amplia perché dà alla Banca Centrale Europea (BCE) , coadiuvata dalle autorità nazionali, poteri incisivi, idonei all'esercizio effettivo della vigilanza; le imprime una direzione diversa in quanto coinvolge, almeno nella sua fase di avvio, soltanto gli Stati dell'area dell'euro, in risposta alla crisi dei debiti sovrani.
   Quasi contemporaneamente al raggiungimento del consenso politico sull'SSM è stato emanato il pacchetto legislativo europeo sui requisiti di capitale delle banche, composto da una direttiva (n. 36 del 2013) e da un corposo e dettagliato regolamento (n. 575 del 2013), al fine di ottenere quel Single Rulebook per il sistema bancario di tutta l'Unione europea a lungo vagheggiato.
   Un corpo omogeneo di disposizioni regolerà l'attività bancaria nell'Unione; nell'area dell'euro, la BCE vigilerà direttamente sulle banche più significative, con la collaborazione delle autorità nazionali; queste ultime conserveranno la responsabilità di vigilare, con la guida della BCE, sulle banche meno significative.
   Sarà essenziale che regole e prassi di vigilanza siano uniformate in tutta l'area, senza allentare gli standard rispetto alle esperienze nazionali più significative, come quella italiana.

   7.- Si conferma l'indipendenza della vigilanza . Nell'SSM la BCE verrà a trovarsi in una situazione non dissimile da quella della Banca d'Italia al tempo dell'entrata in vigore del Testo unico bancario, unendo poteri di politica monetaria e di vigilanza prudenziale, vantando una piena indipendenza in entrambi i campi.
   L'indipendenza delle banche centrali dell'Eurosistema è assicurata dal Trattato (art. 130 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
    L'indipendenza nell'esercizio dell'attività di vigilanza è sancita, sia per la BCE sia per le autorità nazionali appartenenti all'SSM, dal regolamento del Consiglio dell'Unione europea istitutivo del Meccanismo unico (art. 19), in via di approvazione.

   7.1- Regolazione e supervisione nell'SSM . Il nuovo quadro di regole europee separa la funzione normativa da quella di supervisione.
   La produzione delle regole prudenziali in materia bancaria spetta infatti all'Autorità Bancaria Europea (European Banking Authority - EBA) e alla Commissione Europea, nel rispetto delle norme stabilite per l'intera Unione nel pacchetto legislativo sui requisiti di capitale.
    Alla BCE spetta - oltre a un potere normativo in materia macroprudenziale concorrente con quello delle autorità nazionali - la vigilanza microprudenziale e la definizione delle sole regole organizzative e applicative del Meccanismo stesso.
    E' bene ricordare come e perché si è arrivati a questa separazione. Il Rapporto de Larosière prevedeva un'architettura istituzionale basata, oltre che su un organismo per la sorveglianza del rischio sistemico, su tre autorità europee di vigilanza microprudenziale, che avrebbero dovuto unire, come nel caso italiano, la vigilanza sui singoli intermediari alla preparazione di atti normativi, che la Commissione avrebbe poi fatto propri sotto forma di technical standards.
   La crisi dei debiti sovrani nell'area dell'euro ha fatto precipitare gli eventi e ha indotto i Governi a trovare urgentemente una soluzione specifica per l'area, accentuando gli elementi di unitarietà della supervisione prudenziale e creando il Meccanismo unico di vigilanza incentrato nella BCE.
   L'eventuale assegnazione alla BCE, per la sola eurozona, anche dei poteri normativi di completamento del Single Rulebook avrebbe interferito con la produzione per l'intera Unione di regole di funzionamento del Mercato interno nel settore bancario. Si è quindi fatta la scelta di conservare all'EBA il potere di concorrere con la Commissione nella produzione di regole.
   Non è stata estranea a questa decisione la preoccupazione di bilanciare i vasti poteri di vigilanza esercitabili su scala europea. Bisognerà ora che l'azione regolatoria dell'EBA e quella di supervisione della BCE trovino un raccordo efficiente; proprio come avviene in quelle Autorità, come la Banca d'Italia, in cui esse albergano nella stessa struttura.
L'SSM non modifica regole e competenze in materia di risoluzione delle crisi bancarie. L'Unione bancaria resterà zoppa fintantoché non disporrà anche di un sistema unico di risoluzione delle crisi e di uno per la tutela dei depositanti, come le proposte legislative della Commissione indicano chiaramente.

8.- Dal Testo unico bancario alla nuova vigilanza europea.
   Il Testo unico che ha disciplinato in questi vent'anni il settore bancario nel nostro paese può considerarsi un esempio di buona regolamentazione: esso fu il risultato di un grande sforzo per rendere più razionale la legislazione che si era andata stratificando nel tempo, più semplici e chiare le regole.
    Le prassi amministrative che ne sono discese sono state coerenti con quei principi. Ci piacerebbe che anche la nuova legislazione europea in materia bancaria raggiungesse quei risultati.
   Del Testo unico abbiamo potuto apprezzare nel tempo tanti aspetti: innanzitutto la visione unitaria della vigilanza, su cui mi sono già soffermato e che non è tuttavia al momento accolta nel disegno europeo; ma anche gli strumenti giuridici per la gestione delle crisi bancarie.
   Alcuni, come l'amministrazione straordinaria o l'affidamento alle sole autorità tecniche del potere di proporre misure di gestione e risoluzione delle crisi, possono essere indicati a modello in sede europea.
   L'Unione bancaria disegna un'architettura istituzionale che avrà necessariamente bisogno del puntello di norme nazionali. Su almeno un tema, quello dei rapporti degli intermediari con la clientela, il Testo unico continuerà ad avere piena e diretta rilevanza.
    Altre sue parti sono però superate dall'evoluzione del quadro legale. Ad esempio, l'alta vigilanza ancora attribuita al Comitato Inter- ministeriale per il Credito e il Risparmio è evidentemente incompatibile con la cornice d'indipendenza totale assicurata dall'SSM alle Autorità di vigilanza.

*** Rispetto a venti anni fa, ma anche solo a cinque anni fa, abbiamo imparato una grande lezione: la stabilità finanziaria è la piattaforma su cui poggiano le prospettive di sviluppo di ogni economia nazionale; ma il sistema finanziario è interconnesso su scala globale e lo è ancor più su scala continentale per noi europei. Dunque, regole e prassi di controllo pubblico dell'attività bancaria e finanziaria sono essenziali; devono almeno in parte trascendere l'ambito nazionale restando coerenti ed efficaci. Vi si gioca il successo dell'Unione bancaria, forse della stessa Unione europea. FINE

   E  quando si pensa che le norme che disciplinano tali rapporti sono sì dirette ad assicurarne, per lo più, la trasparenza, ma non mancano quelle che invece si propongono la tutela del cliente, pensato come contraente debole, anche con interventi di merito, appare di tutta evidenza l'importanza di questa norma che detta per la vigilanza l'obbligo di perseguire anche finalità che vanno oltre quelle previste dall'art. 5 del testo originario del Testo Unico (come del resto emerge dalla lettera della norma che tale ampliamento prevede).

5. Le modificazioni del sistema delle autorità creditizie
  a) I poteri delle Autorità creditizie nazionali disegnati dal Testo Unico del 1993 sono destinati ad essere profondamente modificati nel momento in cui verrà istituita la vigilanza della BCE, sia per quanto concerne i provvedimenti rimessi alla stessa per tutte le banche (accesso al mercato e acquisizione di partecipazioni) sia per quelli per i quali si pone un problema di coordinamento fra la vigilanza comunitaria e quelle nazionali. Di questo futuro assetto che si realizzerà probabilmente al di fuori del Testo Unico, non posso occuparmi in questa sede.
  b) È invece ordinamento vigente quello che prevede la costituzione dell'Eba (Regolamento 1093/2010) alla quale viene attribuito non solo il potere di rendere omogenee le regole di vigilanza vigenti nei paesi membri, ma anche un potere di intervento sulle autorità nazionali che non si adeguino alle regole uniformi e mettano così a repentaglio il regolare funzionamento del sistema finanziario.
  c) È stato costituito anche il Comitato europeo per il rischio sistemico, ma non mi pare che lo stesso incida sulla struttura e sui poteri delle Autorità creditizie nazionali, dal momento che ha soprattutto la funzione di monitorare il rischio sistemico e di emettere le conseguenti segnalazioni e raccomandazioni alle autorità nazionali e comunitarie.
  d) A me pare che la costituzione e l'operatività delle Eba non determinino mutamenti strutturali delle Autorità di controllo e che tali mutamenti strutturali saranno marginali anche con l'attuazione dell'Unione bancaria. Risulteranno invece condizionate le competenze e la discrezionalità della Banca d'Italia e del CICR nell'esercizio dei poteri agli stessi attribuiti. Il che, sia detto per inciso, rende sempre più difficile pensare che il CICR sia un organo politico e sempre più ragionevole procedere alla sua eliminazione.
   e) Dalle disposizioni che hanno modificato il T.U. non mi pare invece che sia stato stravolto il sistema dei rapporti reciproci e delle competenze, rispettivamente della Banca d'Italia e del CICR fissato dal Testo del 1993 con l'attribuzione di una funzione eminente, alla prima, in materia di vigilanza sulle banche e al secondo in materia di risparmio non bancario.
    f) Mette piuttosto conto, per il suo significato sistematico, ricordare l'abrogazione, nella sostanza, del potere, che l'art. 129 del T.U. riconosceva alla Banca d'Italia e al CICR, di controllare, allo scopo di "assicurare la stabilità del mercato dei valori mobiliari", le emissioni, appunto di valori mobiliari, superiori ad un certo ammontare. Potere che aveva una lunga e travagliata storia e che il d.lgs. 415/1996 ha sostanzialmente eliminato, riducendolo ad uno strumento meramente conoscitivo della Banca d'Italia (e non più anche del CICR).
   g) Un cenno meritano anche gli "organismi" preposti alla gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (128, undecies) e degli organismi di Microcredito (art. 113) non previsti dal Testo Unico del 1993; strutture dichiarate di diritto privato con funzioni di autodisciplina ma sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia.
   h) Nell'ambito degli organismi di vertice del settore, può ricomprendersi anche l'Arbitro Bancario Finanziario (art. 128, bis), ignoto al T.U. del 1993, introdotto nel T.U. dal d.lgs. 141/2010, e chiamato a risolvere stragiudizialmente alcune specie di controversie fra le banche e la clientela.

6. La raccolta del risparmio non bancaria. Le norme successive al T.U. del 1993, pur ribadendo il divieto, per i soggetti diversi dalle banche, di raccogliere risparmio tra il pubblico, hanno in qualche misura limitato la portata del divieto, a) da un lato, non considerando raccolta quella effettuata dagli istituti di moneta elettronica e quella inserita nei conti di pagamento per la prestazione del relativo servizio e, b) dall'altro, consentendo la raccolta effettuata dalle società di capitali, anche non quotate, attraverso la emissione degli strumenti finanziari disciplinati dal codice civile; strumenti finanziari previsti dalla riforma societaria del 2003 in termini più liberali nei confronti del previgente diritto societario.

7. Autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria e all'assunzione di partecipazioni nelle banche. Su entrambi i versanti, ovviamente connessi, mi pare che, da un lato,
   a) sia stato tenuto fermo il principio che le relative autorizzazioni sono atti dovuti quando ricorrano i presupposti fissati dalla legge e dalla Banca d'Italia, anche se i criteri ai quali quest'ultima deve attenersi (art. 19, 5° comma) consentono un notevole grado di discrezionalità, e
  b) che, dall'altro, siano stati concessi gradi di libertà maggiori di quelli fissati dal Testo Unico del 1993. Infatti
      b1) è caduto il divieto per i soggetti che svolgono attività non bancaria o finanziaria di acquisire in una banca partecipazioni superiori al 15 per cento del capitale con diritto di voto e
     b2) la soglia della partecipazione per la cui acquisizione è richiesta l'autorizzazione della Banca d'Italia è stata elevata dal 5 al 10 per cento del capitale della banca.
   A questa maggiore libertà di ingresso nel mercato bancario si accompagna l'imposizione di un obbligo di trasparenza degli assetti proprietari anche più accentuato di quelli previsti dal Testo Unico del 1993 (v. acquisto di concerto disciplinato dal 2° comma dell'art. 22).

8. Vigilanza informativa e regolamentare. Sia la Vigilanza informativa sia quella regolamentare, previste dal T. Unico del 1993, sono state rafforzate dalle norme successive, anche se l'impianto di base disegnato da quel testo ha sorretto efficacemente i vari provvedimenti di vigilanza che la Banca d'Italia è andata via via adottando:
   a) La vigilanza informativa ha visto estendersi il proprio ambito alle vicende relative ai soggetti incaricati della revisione legale dei conti (art. 51, comma 1 bis) e ha imposto agli stessi il medesimo obbligo di informare l'organo di vigilanza delle vicende che possono costituire irregolarità nella gestione della banca previsto per i sindaci (art. 52, 2° comma).
   b) Particolarmente rafforzati, ampliati ed articolati sono i poteri di vigilanza regolamentare:
       a) è stato esplicitamente ricompreso nell'ambito della Vigilanza regolamentare il "governo societario", attribuendo così alla Banca d'Italia il potere di dettare le regole di governo delle società bancarie, anche intervenendo sulle norme codicistiche non inderogabili (e la Banca d'Italia l'ha fatto soprattutto attraverso il provvedimento del marzo 2008;
      b) è stato imposto, dando attuazione al terzo pilastro di Basilea 2, che le banche forniscano al pubblico le informazioni relative alle
      c) sono stati legislativamente fissati i metodi (rating, sistemi interni) di misurazione dei rischi;
      d) ha avuto una specifica consacrazione nel Testo Unico la necessità che vengano fissati i limiti e le condizioni per le operazioni con parti correlate e per la gestione dei conflitti di interessi (art. 53, 4° comma);
     e) è stato rafforzato il potere nella Banca d'Italia di adottare provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, potere che concerne sia l'attività della banca sia la vita della società bancaria (distribuzione di utili e livello delle  remunerazioni degli esponenti aziendali (art. 53, comma 3, lett. d).
    L'ampliamento e la precisazione delle basi legislative, recepite nell'art. 53 del T.U., soprattutto in forza del d.lgs. 27 dicembre 2006, n. 297, ha offerto una legittimazione primaria più sicura di quella reperibile nel Testo Unico del 1993 all'imponente contemporanea produzione normativa, da parte del CICR, ma nella sostanza della Banca d'Italia, che ha disegnato tutti i momenti più  importanti

della Vigilanza regolamentare (Nuove disposizioni di vigilanza per le banche).
    Il modello adottato è quello della better regulation: la legge fissa i principi generali la cui attuazione è rimessa alle Autorità di Vigilanza che, a loro volta, dettano, piuttosto che regole puntuali, disposizioni ancora di carattere generale, rimettendo ai soggetti vigilati il compito di dar specifica attuazione alle regole generali dettato dell'Autorità di Vigilanza.

   9. Gruppi bancari e vigilanza consolidata. Le norme successive al T.U. del 1993 hanno apportato una serie di piccoli ritocchi alla disciplina di quel testo, ad es.: a) estendendo la nozione di società finanziaria alle società di gestione del risparmio, b) ricomprendendo nella categoria delle società strumentali le società che si limitano a possedere ed amministrare immobili (art. 59), c) precisando la stessa nozione di gruppo bancario quando capogruppo sia una finanziaria, d) introducendo, per la vigilanza consolidata sul gruppo, le stesse innovazioni adottate per la vigilanza sulle banche e già ricordate.
    Queste norme non hanno intaccato le linee di fondo della disciplina del gruppo e soprattutto non hanno detto nessuna nuova parola sui poteri di direzione e coordinamento della capogruppo sulle società del gruppo. Sul punto forse offre ragioni per ripensare quel problema e, con tutta probabilità per rimuovere molte delle perplessità che la norma del T.U. aveva sollevato, l'art. 2497 c.c., introdotto dalla riforma societaria e che costituisce oggi il quadro normativo generale nell'ambito del quale si colloca il gruppo bancario.
   In altri termini, il dettato del Testo Unico del 1993 può essere reinterpretato alla luce del nuovo 2497, al quale, del resto, quel dettato ha fatto da battistrada.

  10. Disciplina della crisi e garanzia dei depositanti
      a) Un'osservazione preliminare: il nostro paese, già sulla base dell'ordinamento precedente il Testo Unico, aveva dettato, in deroga al diritto comune, una disciplina specifica che consentiva un forte potere di intervento delle Autorità creditizie nelle crisi bancarie. Il Testo Unico ha adottato la stessa linea di politica legislativa; linea che non solo non è stata modificata dalle norme interne successive, ma che sta costituendo un modello anche per la prossima direttiva comunitaria in materia di gestione e di risoluzione delle crisi delle banche e anche delle imprese di investimento; direttiva che sostanzialmente prevede soluzioni analoghe a quelle adottate dal nostro ordinamento quando disciplina l'amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta. Gli interventi operati sul Testo Unico sono prevalentemente diretti a risolvere alcuni dei problemi che la pratica aveva posto, ma non cambiano le linee delle scelte del 1993.

    b) Su un punto, per altro, l'impianto del Testo Unico del 1993 è stato modificato, in conformità con la direttiva 94/19 (attuata nel nostro ordinamento dal d.lgs. 659/1996), ossia quello relativo ai Sistemi di garanzia dei depositanti. Il Testo Unico aveva previsto sistemi di garanzia e ne aveva fissato lo stretto legame con le procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta, ma considerava facoltativa la loro costituzione. Sulla scia della direttiva comunitaria l'adesione ad un sistema di garanzia, "riconosciuto" dalla Banca d'Italia, costituisce oggi condizione necessaria per poter esercitare l'attività bancaria.

  11. Soggetti operanti nel settore finanziario . Il Testo Unico, già nel dettato del 1993, aveva preso atto, correttamente, che nel mercato finanziario operano soggetti diversi dalle banche e aveva ritenuto che la loro disciplina, a) da un lato, non potesse essere abbandonata al diritto comune ma, b) dall'altro, che la stessa dovesse essere meno stringente di quella delle banche, non raccogliendo, questi soggetti, depositi e comunque fondi con obbligo di restituzione.
    Il Testo Unico aveva ricompreso (art. 106), indistintamente, in questa categoria gli enti che esercitano nei confronti del pubblico le attività "di assunzioni di partecipazioni, di concessione di finanziamenti, sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cam
    Le norme successive, pur muovendosi in una logica sostanzialmente analoga a quella adottata nel 1993, hanno profondamente modificato il relativo dettato legislativo, anche sotto l'impulso delle direttive comunitarie. Hanno così disegnato a) uno statuto speciale per gli Istituti di moneta elettronica (artt. 114-bis, 114-quinques), b) uno statuto speciale per gli Istituti di pagamento (d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141), c) ed uno per gli operatori di microcredito (art. 111), resti-tuendo al diritto comune l'assunzione di partecipazioni.
    E in questa prospettiva si colloca anche la disciplina dei mediatori creditizi (art. 128-sexies) e degli agenti in attività finanziaria (art. 128-quater).
   Ha poi delineato uno statuto generale per tutti i soggetti che esercitano nei confronti del pubblico l'attività di "concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma", definiti come "intermediari finanziari". Questo statuto generale, pur non essendo stringente come quello delle banche, è stato tuttavia redatto in termini che solo in piccola parte lo differenziano da quello.
   Credo che il nuovo ordinamento dei "soggetti operanti nel settore finanziario" debba essere apprezzato in quanto capace di adeguare, meglio del dettato originario del T.U., la disciplina alle caratteristiche economiche dei diversi operatori.

  12. Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti . Ho già ricordato che il Testo Unico del 1993 considerava la trasparenza dei rapporti con la clientela un momento importante per assicurare l'efficienza dell'intermediazione bancaria, ma non ne faceva un obiettivo diretto dall'azione di vigilanza e che questa emancipazione della trasparenza è stata realizzata dal d.lgs. 141/2010, in coincidenza con l'attuazione, nel nostro ordinamento, della direttiva 2008/48 del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori.
    Le norme oggi vigenti, per altro, non si limitano ad imporre la trasparenza delle condizioni contrattuali ma, abbastanza spesso, intervengono sul merito dei rapporti contrattuali (come ad es.: nel computo dei giorni valuta, sulla possibilità di modificazioni unilaterali del rapporto, o sulla fissazione di un tetto alle commissioni di massimo scoperto (art. 117-bis, 1° comma); il che è soprattutto vero per i contratti di credito al consumo. E non v'è dubbio che queste norme se non possono essere considerate come un ritorno al controllo amministrativo del credito, forse consentito dalla legge bancaria del 1936, non possono neppure con troppa facilità essere considerate soltanto come uno strumento per favorire l'efficienza del mercato e la sana e prudente gestione della banca.
    E sotto questo profilo si potrebbe dubitare della appartenenza di quelle norme al capitolo della Vigilanza bancaria, anche se non si deve dimenticare che la trasparenza e la correttezza dei rapporti con la clientela sono un elemento importante della Vigilanza, potendo contenere il rischio reputazionale che, a sua volta, può avere notevoli ricadute patrimoniali.

  13. Un cenno di conclusione . Ho cercato di individuare le modificazioni e le integrazioni che il Testo Unico ha subito in questi venti anni.
    Il Testo Unico Bancario, così rivisitato, merita di essere conservato o si deve fare, in proposito, un discorso, analogo a quello che si sviluppò negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso? Allora si segnalava la progressiva affermazione di un nuovo ordinamento del mercato bancario che, a) da un lato, rendeva obsoleta la legge bancaria del 1936 e, b) dall'altro, richiedeva una sistemazione organica delle norme che si andavano introducendo; sistemazione organica che fu realizzata dal T.U. del 1993.
    A me pare che non stiamo vivendo una stagione analoga: non vedo in formazione un nuovo ordinamento che imponga l'abrogazione del Testo Unico del 1993 per preparare la redazione di un nuovo futuro e diverso Testo Unico. Certamente l'ordinamento comunitario è destinato ad avere un ruolo sempre più importante, ma a me pare che le relative norme, pur incidendo profondamente sui poteri delle Autorità Creditizie, non attribuiscano alle Autorità del settore fini diversi da quelli oggi fissati dal Testo Unico e, soprattutto, non vedo all'orizzonte l'avvento di una concezione dell'impresa bancaria diversa da quella fatta propria dal Testo Unico.  RENZO COSTI

°°

EDIZIONI PRECEDENTI

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Ignazio Visco, Governatore

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Le "CONSIDERAZIONI FINALI  del Governatore"
in merito al "le Banche e al Credito"

COMMENTO: a) La via che tradizionalmente ha sbloccato l'economia; b) Cosa sono le "riforme" che tutti chiedono, ma senza dire nome e cognome; c) La via fiscale "non convenzionale" per risolvere.

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laffer.jpg (10524 byte)

L'Italia, in recessione, si trova in un punto B (a destra del punto Max). Dunque, per aumentare il gettito fiscale,
serve ridurre la pressione fiscale. Vista la curva di Laffer, si smetta di dire sciocchezze, con la sola ragioneria

Considerazioni finali Assemblea Ordinaria dei Partecipanti.
Anno 2014 - centodiciannovesimo esercizio. Stralcio del punto 4
(NOTA. Le evidenziazioni in grassetto sono della Redazione).

Le banche e il credito

   Le prospettive della domanda interna dipendono anche, in ampia misura, dalle condizioni di accesso al credito. I prestiti alle imprese hanno rallentato nettamente nella seconda parte del 2011 e si sono contratti di circa 60 miliardi dall'inizio di dicembre dello stesso anno. La flessione, inizialmente particolarmente brusca per effetto delle gravi difficoltà di raccolta delle banche sui mercati internazionali conseguenti all'inasprimento del rischio sovrano, è proseguita a ritmi più contenuti nel corso del 2014; nei primi quattro mesi di quest'anno il calo si è di nuovo accentuato, avvicinandosi al 4 per cento su base annua.
   Sono diminuiti, in misura minore, anche i prestiti alle famiglie.
   Il costo del credito alle imprese, salito nel corso del 2011, è sceso per larga parte dello scorso anno; la flessione si è interrotta dall'autunno. I tassi bancari attivi rimangono superiori a quelli medi dell'area: di circa un punto percentuale per i prestiti alle imprese e di mezzo punto per i mutui alle famiglie. Il canale bancario costituisce la fonte principale di finanziamento della nostra economia.
   Alla fine del 2014 i prestiti erogati dalle banche a imprese e famiglie ammontavano a poco meno di 1.500 miliardi, il 94 per cento del PIL; gli investimenti in titoli di Stato erano pari a circa 350 miliardi. La congiuntura assai sfavorevole comprime oggi la domanda di credito.
   La contrazione dei prestiti riflette la flessione degli investimenti delle imprese, la caduta degli acquisti di beni durevoli e la debolezza del mercato immobiliare. Ma alla diminuzione degli impieghi contribuisce, in misura significativa, l'irrigidimento dell'offerta, legato al deterioramento del merito di credito della clientela e ai suoi riflessi sulla qualità degli attivi bancari.
   Le condizioni di offerta del credito incidono a loro volta negativamente sull'attività economica, in una spirale negativa che bisogna spezzare.
   Le restrizioni all'offerta, acute alla fine del 2011 come riflesso delle diffi- coltà di raccolta, venivano attenuate dall'Eurosistema mediante l'offerta illimitata di liquidità a tre anni e l'ampliamento delle attività stanziabili nelle operazioni di rifinanziamento.
   La Banca d'Italia ha consentito alle controparti italiane di utilizzare garanzie illiquide e con merito di credito meno elevato, assumendo in questo caso integralmente nel proprio bilancio i relativi rischi.
  Attualmente il collaterale stanziato presso la Banca d'Italia basato su prestiti bancari ammonta a circa 180 miliardi di euro, poco meno di un terzo del complesso delle attività stanziabili per il rifinanziamento presso la banca centrale, metà di quelle depositate a garanzia. Grazie a queste misure i rischi immediati di liquidità sono oggi rientrati.
   I fondi ottenuti con le operazioni di rifinanziamento triennali non sono però una risorsa permanente. Le tensioni sui mercati dei titoli di Stato non sono del tutto sopite; rimangono incertezze sulla capacità delle banche di riconquistare pienamente l'accesso ai mercati internazionali, soprattutto nei segmenti a lunga scadenza.
   Stiamo lavorando, confrontandoci con gli intermediari e in collaborazione con la BCE, per ampliare il novero di attività potenzialmente utilizzabili a garanzia.
   L'aumento del rischio di insolvenza delle imprese spinge al rialzo i tassi sui prestiti. Dalla metà del 2014 esso ha compensato gli effetti della riduzione dei tassi ufficiali e, più recentemente, della diminuzione dei rendimenti dei titoli pubblici. Le tensioni nell'offerta di credito sembrano riguardare, seppure con minore intensità, anche imprese con condizioni finanziarie equilibrate. Le difficoltà sono accentuate per le aziende medie e piccole, meno in grado di ricorrere a fonti di finanziamento alternative al credito bancario.
   Le emissioni lorde di obbligazioni delle imprese, pari lo scorso anno a circa 35 miliardi, sono quasi interamente riconducibili a grandi gruppi.
   Nel 2014 il differenziale di tasso tra i prestiti bancari fino a un milione di euro e quelli di importo superiore è stato pari in media a 160 punti base, circa il doppio del valore osservato nel triennio precedente la crisi.
   Alla fine del 2014 la consistenza dei prestiti in sofferenza è salita al 7,2 per cento degli impieghi complessivi, dal 3,4 del 2007; quella degli altri crediti deteriorati al 6,3 per cento, dall'1,9. Per le imprese, il flusso delle nuove sofferenze in rapporto agli impieghi ha recentemente superato, su base annua e al netto di fattori stagionali, il 4 per cento, un livello non toccato da venti anni. In base agli indicatori prospettici, il flusso di sofferenze rimarrebbe elevato nella restante parte del 2013.
    Per mitigare le difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese e soddisfarne le esigenze di liquidità, negli ultimi anni sono state adottate numerose iniziative da parte sia del Governo, sia delle associazioni di categoria, con il potenziamento di misure già sperimentate e nuovi interventi.     Tra il 2009 e il 2014 sono stati pari a poco meno di 60 miliardi i benefici finanziari per le piccole e medie imprese derivanti dalle moratorie e dagli interventi della Cassa depositi e prestiti e del Fondo centrale di garanzia. Le risorse del Fondo possono essere aumentate, avendo cura che alle garanzie da prestare corrispondano prestiti addizionali e condizioni più favorevoli, con piena informazione alle imprese beneficiarie.
  A fronte del deterioramento dei prestiti, la Banca d'Italia ha intensificato il vaglio sull'adeguatezza delle rettifiche di valore effettuate dagli intermediari. 
  Sono state condotte verifiche a distanza e in loco, chiedendo alle banche di vagliare nel continuo l'adeguatezza del tasso di copertura dei prestiti deteriorati e, quando necessario, sollecitando interventi correttivi. Questa azione continuerà, anche in collegamento con gli analoghi esercizi concordati in sede internazionale, in vista della vigilanza unica europea.
   Per i 20 gruppi bancari grandi e medi sin qui sottoposti ad accertamenti i tassi di copertura hanno smesso di ridursi, registrando nel secondo semestre del 2014 un miglioramento di due punti percentuali, al 44 per cento.
   Incrementi si sono registrati anche per le altre banche.

  Se la Vigilanza fosse stata meno incisiva, i rischi per le banche e per l'economia sarebbero stati ingenti. La tempestività e la credibilità dell'azione di supervisione hanno rassicurato gli investitori internazionali sulla qualità dei bilanci delle banche italiane, evitando l'ondata destabilizzante che ha colpito altri sistemi europei, consentendo agli intermediari di continuare a fornire credito a famiglie e imprese. È necessario mantenere, in alcuni casi accrescere, i livelli di copertura raggiunti. Al fine di minimizzare gli effetti pro-ciclici degli interventi abbiamo chiesto alle banche di aumentare le risorse generate internamente, contenendo ulteriormente costi operativi, dividendi, remunerazioni di amministratori e dirigenti, in coerenza con la situazione reddituale e patrimoniale.
   Per gli intermediari che dovranno intraprendere azioni correttive più ampie, un contributo dovrà venire dalla cessione di attività non strategiche. È opportuno correggere l'attuale penalizzazione fiscale delle svalutazioni sui crediti. La diluizione nel tempo della loro deducibilità, assente nei maggiori paesi dell'Unione europea, disincentiva gli impieghi alle imprese in fasi di congiuntura negativa.

   Muovendo da condizioni di partenza solide, il sistema bancario italiano ha comunque resistito, nell'ultimo quinquennio, alla crisi finanziaria globale, all'instabilità del mercato del debito sovrano, a due profonde recessioni.
   Dall'avvio della crisi il capitale di migliore qualità è salito dal 7,1 al 10,7 per cento delle attività ponderate per il rischio per il complesso del sistema, dal 5,7 al 10,9 per cento per i cinque maggiori gruppi. La solidità del sistema, la sua resistenza sono state di recente confermate dal Fondo monetario internazionale, al termine del periodico programma di valutazione del sistema finanziario italiano. In base alle prove di stress sin qui condotte dal Fondo, nel loro insieme le nostre banche appaiono in grado di fronteggiare shock avversi grazie alla loro patrimonializzazione e alla liquidità fornita dall'Eurosistema.
   Il Fondo ha sottolineato il contributo fondamentale alla stabilità del sistema fornito dall'azione di vigilanza. Il divario negativo di capitalizzazione dei nostri intermediari rispetto alla media europea, sceso a circa due punti percentuali, riflette in ampia misura le massicce ricapitalizzazioni bancarie effettuate con fondi pubblici in altri paesi.

   Lo scorso dicembre il sostegno dello Stato alle banche ammontava all'1,8 per cento del PIL in Germania, al 4,3 in Belgio, al 5,1 nei Paesi Bassi, al 5,5 in Spagna, al 40 in Irlanda. In Italia l'analoga quota è pari allo 0,3 per cento includendo gli interventi per il Monte dei Paschi di Siena. Questi ultimi, ora al vaglio della Commissione europea, sono stati resi necessari dalla raccomandazione dell'Autorità bancaria europea alle banche dell'Unione di dotarsi di mezzi patrimoniali addizionali, straordinari e temporanei, per fronteggiare le oscillazioni di valore dei titoli di Stato posseduti; varranno anche a facilitare l'attuazione del piano di ristrutturazione varato dalla nuova dirigenza.
   Lo Stato italiano ha concesso un finanziamento a condizioni onerose per la banca; il piano di ristrutturazione ha obiettivi ambiziosi; il suo successo dipenderà anche dall'evoluzione del contesto economico e finanziario del Paese.
   La leva finanziaria delle banche, misurata dal rapporto tra attività di bilancio e capitale, è pari a 14 da noi e a 20 in media nel resto dell'Unione europea.
   Nell'ultimo biennio le banche italiane che partecipano al monitoraggio periodico coordinato dal Comitato di Basilea hanno fortemente ridotto, da 35 a 9 miliardi, il fabbisogno di capitale che si registrerebbe se i nuovi requisiti di "Basilea 3" (incluso il capital conservation buffer) fossero già oggi pienamente in vigore. Il rafforzamento patrimoniale, la trasparenza contabile, il rigore nei criteri di valutazione dei rischi sostengono la fiducia degli investitori e contribuiscono a contenere il costo dei finanziamenti esterni per le banche in una congiuntura particolarmente avversa.

NINO LUCIANI, Le “considerazioni” sono un pò contraddittorie e reticenti, per quanto riguarda le banche. Sarebbe stata utile una ferma indicazione della via per sconfiggere il credit cranch. Anche autoreferenziale (troppo) l'esaltazione della bravura della "Vigilanza della Banca d'Italia" sulle banche, come se l'entità delle sofferenze bancarie non ne sia la smentita, oggettivamente.
Si consideri la curva di Laffer, passando dalla ragioneria all'economia
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1.- Le contraddizioni. Esse emergono nel fatto che le banche traggono, per definizione i loro utili dalle differenze tra tassi attivi e tassi passivi. E siccome il Governatore rileva una "caduta della redditività delle banche", evidentemente il motivo è che il deposito e il giro ( compito tipico delle banche) funzionano poco.
  Ma il punto veramente notevole, che manca nelle considerazioni (una caratteristica comune a tutte le autorità monetarie, anche internazionali: BCE, FMI), è il non avere mai fatto una diagnosi "veritiera" delle ragioni delle grande crisi finanziaria (ed economica) mondiale.
  Nessuno dice ... di certe assonanze tra la crisi del 1929 e quella del 2008, e che la dicono lunga, pur se queste cose (che evochiamo) le sentiremo solo tra 20, 30 anni.
   Trattasi del fatto che la crisi del 1929 veniva dopo la prima guerra mondiale e le varie mini guerre susseguite in quegli anni, sono state finanziate, da sempre, dai banchieri impiegando a rischio fuori limite i depositi dei risparmiatori. A loro volta gli Stati si indebitavano verso i banchieri, e alla fine (causa il mancato “ritorno” del denaro) la domanda aggregata si trovava a secco di potere acquisto.
  Anche la crisi del 2008 è venuta dopo la guerra "mondiale" contro l'IRAK, e dopo quella "minore" contro l'AFGHANISTAN...  .
   Questi fenomeni hanno creato un capovolgimento totale dei tradizionali circuiti del denaro, infine andato ad accumularsi nelle casse dei controllori dei giri di affari collegati con le guerre (i fallimenti bancari connessi con i mutui sub prime sono stati solo le prime avvisaglie del cambiamenti dei circuiti monetari). Alla fine è risultato: in date mani, troppo denaro, e in altre mani poco denaro.
   Via via verso la fine della guerra, tutto è diventato critico: la domanda effettiva (vale dire accompagnata da potere d'acquisto va a secco) cessa, il sistema produttivo non vende più, subentrano aspettative pessimiste estese all'intero sistema. A sua volta, chi ha accumulato denaro a iosa non lo investe in attesa di nuovo chiarore.  Gli Stati si trovano pieni di debiti verso le banche; le banche si   trovano piene di debiti verso i risparmiatori depositanti, ma il denaro prestato non ritorna ed entrano in sofferenza.

2.- La via che tradizionalmente ha sbloccato. La cancellazione del grande debito è stato, da sempre la via maestra, pagando i creditori con fabbricazione di nuova carta moneta, ma al tempo stesso introducendo severe regole bancarie, a tutela del risparmio. Così fu con la legge bancaria del 1936, ma che abbiamo demolito nel 1993 (anche gli USA) fino a ridefinire le banche come comuni imprese.
   Gli Stati Uniti hanno fatto la stessa cosa, in qualche modo, sia pure fabbricando dollari aggiuntivi in modo contenuto. E invece, noi, NO: noi non abbiamo più il potere sovrano sulla moneta (LIRA).
  Quanti premono in queste settimane sullo sforamento autonomo (vale dire, solo dell'Italia) del rapporto deficit/PIL hanno idee di questo tipo, ma senza rendersi conto che, nella nuova situazione, faremmo un disastro. Infatti, nella situazione odierna noi non possiamo sanare il debito pubblico con fabbricazione di moneta aggiuntiva. Anzi, sforare nuovamente il 3% del rapporto deficit/PIL implica aumento del debito pubblico, vale dire deviare verso ulteriori  impieghi pubblici (la cosa peggiore, in questa fase)  il risparmio privato, anzichè in impieghi privati (ciò di cui c'è molto urgenza).
  Dunque, se via monetaria ci deve essere, la sola possibilità seria è marcare visita in UE ? Ad es., la BCE potrebbe comprare il 50% del debito pubblico italiano, fabbricando Euro; e poi potrebbe farlo convertire in debito trentennale a tasso simbolico. Cosa sono le "misure non convenzionali" a cui accenna DRAGHI ?

3.- Torniamo a VISCO e alle vie nuove per sbloccare. Per risolvere i problemi della moneta e dell'economia, Visco si allinea con quanti chiedono "riforme", quelle di cui tutti si riempiono la bocca, in Europa, ma senza chiamarle con nome e cognome.
   [Non si tratta della riforma della legge bancaria (del 1993) che definì (art. 10) le banche come imprese orientate al profitto, in un quadro concorrenziale, che non esiste; vale dire di quella legge, troppo permissiva, che ha reso oggettivamente “debole” la Vigilanza, inibendola, pro quota. Men che meno si tratta del ritorno alla legge precedente, sorta sulle ceneri della crisi del 1929, che vedeva l'attività bancaria come servizio orientato all'interesse pubblico, e alla tutela del risparmiatore depositante].
   Si tratta della destatalizzazione dell'economia, ma che è una cosa strutturale ..., non anticongiunturale. Vediamo meglio.
   - La destatalizzazione, come via per riprendere la via della crescita, è apparsa in Europa una necessità inconfutabile dopo la caduta del muro di Berlino e della intera URSS. Il "socialismo reale" era risultato burocratico ed autodistruttivo: perchè non aveva salvato il PIL, il presupposto per la distribuzione della "torta" sociale. Nel caso nostro, nel 1988 fu subito chiaro che quella diagnosi valeva anche per noi, in proporzione al grado di statizzazione del sistema economico (55%-60%).
   Ma, a tuttora, avendo fatto poco per tornare verso il mercato, non c'è spazio per usare lo Stato in senso congiunturale, seguendo Keynes (alimentare la domanda col deficit spending, finanziato da moneta aggiuntiva). Anzi lo Stato è diventato un elefante talmente pesante, che  non riesce neanche a spendere quanto di suo già "autorizzato" e finanziato con nuove entrate (questo è il motivo del fallimento del governo Monti). Lo vediamo nel fatto che lo Stato paga con ritardi biblici i propri fornitori.
   Sia chiaro che è stato così da sempre, ma con la differenza che in passato il compito dell'anticipazione monetaria era svolto dalla banche, cosa che oggi non avviene perchè le banche sono in tilt. Questo ci riporta a VISCO.
    Se non capiamo cosa sono i reali poteri bancari, non capiremo mai il "credit cranch" (la B.d'I. ci ha informato ultimamente, che i prestiti alle imprese sono ulteriormente diminuiti, aprile: -3,7%, rispetto a un anno fa).     Una banca vive su aspettative di reddito, e dunque accetta il deposito (in questo caso, della BCE) se vede rosa nel giro di quella moneta. Ma in questa fase, il sistema produttivo è in crisi ... e, poichè la banca non è "un benefattore dell'umanità", non può fare credito. Dunque, per sbloccare le banche, non basta pensare di riempirle con gli Euro di Draghi.

4.- La sola via d'uscita. Se è vera la diagnosi della crisi monetaria (troppa moneta presso alcuni, poco moneta presso altri), la sola via d'uscita (preso atto che la spesa pubblica è paralizzata di suo) è fare il travaso forzato tra le due categorie.
  Il mezzo è quello fiscale, non nel senso tradizionale (prelievo e spesa pubblica), ma nel senso di incrementare le aliquote dell'IRPEF sui redditi medio-alti (includendo i "paradisi fiscali), e il corrispondente sgravio dei redditi medio-bassi. E’ uno strumento , immediatamente operativo ed equo, in Italia, ed è coerente con la ricetta Keynesiana, sia pur sviluppata dai suoi continuatori (Lerner, E. d’Albergo, per l’Italia).:
  Va benissimo anche il "DECRETO del fare", di questi giorni, ma siamo ancora al livello delle carezze ...

5.- Torniamo alle riforme, chieste dall’Europa. Siamo consapevoli che l’eccesso di Statalismo è la causa primaria (causa eccesso di pressione fiscale, improduttività della spesa pubblica, a partire da una determinata soglia della spesa medesima) della crisi economica italiana (in primis, la non concorrenzialità delle nostre imprese, verso l’estero). Dunque l'aumento della pressione fiscale genera la caduta del gettito (vedi sopra, la curva di Laffer) se l'economia si trova in un punto B (a destra del punto Max), e si direbbe che questa sia la situazione attuale.
   Siamo anche consapevoli che la transizione dallo Stato al Mercato richiederà tempo (10 anni, per essere ottimisti). Dunque l'UE smetta di dire sciocchezze, all'insegna della pura ragioneria.
  Al tempo stesso, almeno fosse chiaro subito che, pur se alla fine dovremo forse tagliare parte dei servizi sociali (scuola, sanità, pensioni), il costo dei nostri servizi sociali è elevato perché la politica ci mangia sopra. E dunque la prima cosa da fare è semplificare è l’organizzazione dello Stato (Stato centrale, Regioni, Province, Comuni, varie imprese pubbliche ombelicali). Potremmo cominciare da qui ?
   Le Regioni costano il 16% di pressione fiscale: servono davvero, tolta la parte sanitaria, da loro gestita per delega statale, e che sarebbe opportuno tornasse allo Stato, sicuramente più economico come gestione.
  Tutti i quattro livelli di enti territoriali sono “enti a fini generali”, vale dire potenzialmente fanno le stesse cose, pur se varie leggi tentano di delimitare ma anche a vuoto (è il caso di un ente che non provvede per mancanza di soldi, per cui, alla fine, deve provvedere l’altro).
   Il caso delle Province è piuttosto strano. Invocata l’abolizione da anni…, ma poi Monti (che ci ha provato) non c’è riuscito: per farlo davvero, serve una legge costituzionale e, poi, le strade provinciali rimangono, gli edifici scolastici di II grado rimangono …
   Non sarebbe il caso di rivedere, con legge costituzionale, la struttura organizzativa dello Stato. Perché non trasformare le regioni in enti amministrativi, con i compiti delle Province (abolite) ? Perchè le Regioni dovrebbero continuare a legiferare, se il Parlamento della Repubblca basta e avanza ?
   (Continua: VISCO)
   Ma la garanzia ultima della stabilità delle banche è la loro capacità di generare reddito. In prospettiva, la caduta della redditività rischia di indebolirne il patrimonio e di comprometterne la capacità di finanziare il rilancio dell'economia reale. Dal 2007 al 2014 il rendimento del capitale e delle riserve è peggiorato; nel 2014, al netto delle poste straordinarie connesse con la svalutazione degli avviamenti, è stato pari allo 0,4 per cento. Il rischio di un'evoluzione sfavorevole nei prossimi anni deve essere contrastato, in primo luogo mediante incisivi interventi sui costi. In un'industria ad alta intensità di lavoro, come quella bancaria, vanno considerate misure, anche di natura temporanea, per ridurre le spese per il personale in rapporto ai ricavi.
  Gli accordi a livello aziendale volti a coniugare flessibilità e solidarietà, contenuti nel contratto nazionale firmato nel 2011, muovono nella giusta direzione. Per far fronte alle difficoltà contingenti degli intermediari, per salvaguardare la stessa occupazione, è necessario proseguire con determinazione lungo queste linee. Il cambiamento nell'impiego dei fattori produttivi e dei canali distributivi va favorito, sfruttando appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Negli ultimi quindici anni è cresciuta l'importanza del canale telematico nei rapporti con la clientela. Modeste sono state, tuttavia, le implicazioni sulla rete tradizionale.
   La differenziazione nell'utilizzo di questi canali, rispettivamente per la distribuzione di servizi standardizzati e per l'offerta di prodotti e servizi più complessi e personalizzati, potrebbe contribuire a invertire la tendenza alla crescita del rapporto tra costi e ricavi registrata nell'industria bancaria italiana negli ultimi dieci anni.
   Resta comunque centrale il rapporto di fiducia con la clientela. Su questo fronte sono stati compiuti progressi, ma si deve ancora migliorare, per accrescere la qualità e la completezza delle informazioni, per garantire la piena rispondenza tra le condizioni contrattuali pubblicizzate e quelle effettivamente applicate, per evitare l'imposizione di oneri indebiti alla clientela.
   La Banca d'Italia ha stabilito regole incisive; ne verifica il rispetto anche attraverso apposite ispezioni, comminando sanzioni quando rileva irregolarità. Da alcuni anni per le controversie individuali opera l'Arbitro bancario finanziario, organizzato in tre collegi territoriali e indipendente dalla Banca d'Italia. Si è rivelato uno strumento efficace e apprezzato. Intendiamo rafforzarne le strutture, prendendo in considerazione un incremento del numero dei collegi. La prontezza nell'adeguarsi alle sue decisioni è un elemento di valutazione delle banche da parte della Vigilanza.

Le difficoltà nel finanziamento delle imprese devono stimolare una riflessione sull'assetto complessivo del sistema finanziario italiano, sullo scarso sviluppo dei mercati obbligazionari e azionari e sulla conseguente eccessiva dipendenza delle imprese dai prestiti bancari.  Come abbiamo sottolineato in altre occasioni, tale assetto riflette in parte la riluttanza ad aprirsi delle aziende italiane. Ma le banche non hanno spinto a sufficienza le imprese ad avvicinarsi ai mercati.

   La situazione odierna richiede a entrambe le parti di superare queste esitazioni. Per le aziende solide, con buone prospettive di crescita, le difficili condizioni sul mercato del credito bancario costituiscono uno stimolo potente ad accedere al mercato dei capitali. Per le banche, un sistema finanziario sviluppato permette di diversificare le fonti di ricavo, di mantenere un rapporto equilibrato tra impieghi e depositi, di condividere con i mercati i rischi insiti nel finanziamento alla clientela. Anche se occorre fare attenzione ai potenziali conflitti di interesse, le banche possono favorire il ricorso delle imprese al mercato avvalendosi dei vantaggi nella valutazione del merito di credito derivanti dalle relazioni di lungo periodo che con esse intrattengono.

  Il rafforzamento patrimoniale delle imprese e la loro apertura al mercato dei capitali richiedono anche profondi cambiamenti nell'intero sistema finanziario: è indispensabile che si ampli il ruolo dei fondi pensione e degli investitori con orizzonte di lungo periodo; l'accumulo del capitale di rischio deve essere opportunamente incentivato.

    In questa difficile fase congiunturale e nella prospettiva di una profonda revisione del modello di attività delle banche, gli azionisti svolgeranno un ruolo cruciale; dovranno essere in grado di sostenere finanziariamente le banche, rinunciando ai dividendi quando necessario, di vagliare la gestione senza interferire con essa, di accettare la diluizione del controllo favorendo all'occorrenza l'aggregazione con altri istituti. Saranno ricompensati dalla redditività nel più lungo periodo.
   Negli anni della crisi, le fondazioni di origine bancaria hanno assecondato e sostenuto il processo di rafforzamento patrimoniale di alcuni tra i maggiori intermediari italiani. Esse devono esercitare nei confronti delle banche partecipate un ruolo rispettoso della forma e dello spirito della legge, senza condizionarne le scelte gestionali e l'organizzazione; al pari di ogni altro azionista, devono promuovere la selezione degli amministratori sulla base della competenza e della professionalità, con criteri trasparenti.
   La disciplina sulle banche popolari fu concepita per intermediari con attività circoscritta in ambiti geografici ristretti, con il tratto distintivo, come nel caso delle banche di credito cooperativo, di un elevato tasso di mutualità.
   Essa può risultare oggi inadeguata per intermediari di grande dimensione, operanti a livello nazionale o anche internazionale, quotati in borsa, partecipati da investitori istituzionali rappresentativi di una moltitudine di piccoli risparmiatori che hanno finalità e interessi diversi da quelli cooperativi. Per intermediari di questa natura, l'applicazione rigida di alcuni istituti tipici del modello cooperativo può anche incidere negativamente sulla capacità di rafforzare la base patrimoniale.
   Abbiamo in più occasioni indicato possibili interventi, tendenti a facilitare la partecipazione dei soci, a rendere più incisivo il ruolo degli investitori istituzionali. Andrebbe resa più agevole, per le popolari quotate, la trasformazione in società per azioni, quando necessaria, in funzione delle dimensioni delle banche e della natura delle loro operazioni. Nei limiti delle nostre attribuzioni, ai fini del conseguimento della sana e prudente gestione, promuoviamo modifiche nell'applicazione delle prassi di governance; le richiediamo laddove le manchevolezze sono più rilevanti.