Convegno a Bologna sul cattolicesimo politico: per la riforma dei partiti in Italia. Sul finanziamento pubblico e una magistratura speciale per i partiti..
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UNIVERSITAS  News

Foglio on line sull'università, fondato nel 2004, con  Forum di politica generale.
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PROF. NINO LUCIANI * - Direttore responsabile

* Professore Ordinario di Scienza delle Finanze, Università
Breve curriculum vitae

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Nino Luciani

http://amsacta.unibo.it/

Comité de Patronage: F. Bonsignori, A.De Pa, Elena Ferracini, Dario Fertilio, Enrico Lorenzini, Nino Luciani, Bruno Lunelli, Marco Merafina, Franco Sandrolini

PAESI VISITATORI nel 2015, n. 55 : Algeria - Angola - Argentina - Australia - Belarus - Benin - Brazil - Canada - Chile - China - Colombia - Costa Rica - Ecuador Egypt - France - Georgia - Germany - Guatemala - Hungary - Iceland - Iran - Israel - Italy - Japan - Kazakstan - Korea, Republic of Libyan Arab - Mexico - Morocco - New Zealand - Nicaragua - Nigeria - Pakistan - Panama - Peru - Poland - Romania - Russian Federation - Saudi Arabia - Senegal - South Africa - Spain - Switzerland - Tanzania - Thailand - Tunisia - Turkey - Ukraine - United Arab Emirates - United Kingdom - United States - Uruguay - Venezuela - Vietnam - Zambia

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Progetto
di nuova UE

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La curva di Pareto della distribuzione
dei redditi

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INCONTRO alla ACCADEMIA DELLE SCIENZE

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Convegno sul cattolicesimo politico: per riforma dei partiti in Italia

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Luciani, La possibile BASE POLITICA
ED ECONOMICA per una
NUOVA UNIONE EUROPEA.
Cosa disse MACRON alla SORBONA

(università di Parigi)
 

Dalla distribuzione
dei redditi risulta che il grosso della materia imponibile è compresa tra 20.000 e 70.000 €

DEMOCRAZIA DIRETTA

Prof. Mauro Fabrizio, " Se esaminiamo la disputa fra Galileo e gli inquisitori solo sul piano scientifico, bisogna partire dall’osservazione che le motivazioni che hanno.portato al caso Ga.
DOCUMENTI: ASDU-Tondelli ; Asdu-Tolomelli ;
ASDu-Trento - Genio italici - Camilleri

Alberto Alessi, AVE GIULIO.
Romanzo Breve:

Alessi commenta Andreotti
giunto all' aldiilà

AVE GIULIO, ROMANZO BREVE

1) L. Goriup, Partiti e Dottrina sociale chiesa cattolica;
2) G. Rossi, Lo scudo crociato nella comunicazione politica;
3) N. Luciani, Motivazioni dei partiti tra buon governo e affari.

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Rubrica Speciale

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Sette anni dopo il 60º Anniversario dei Trattati di Roma, 25.3.2017 - Consilium : 

"La dichiarazione di Roma dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo,
del Parlamento europeo e della Commissione europea".
IDEE PER UN RIORDINO POLITICO-AMMINISTRATIVO della UE-UNIONE EUROPEA

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Nino LUCIANI, Quale base scientifica per una grande UE

Cosa disse MACRON alla SORBONA (università di Parigi)

DIrei anche che vada appellata la RUSSIA, contro la "evidenza" di crisi, attuale,
e compresO una diverso ruolo strategico della UCRAINA in Europa


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Nota. In questo studio mi propongo di delineare un progetto di Unione Europea con poteri fiscali e di spesa per compiti di interesse generale europeo.
Questo progetto ipotizza il trasferimento di poteri fiscali statali a livello UE e ciò crea le condizioni per completare il trasferimento del potere monetario europeo, per quanto riguarda il coordinamento tra potere fiscale e potere monetario.
Precisamente (cosa non trattata qui), nella nuova situazione la BCE dovrebbe poter essere banchiere di ultima istanza nei confronti del Tesoro UE;  e il Tesoro UE dovrebbe potere aver rapporti finanziari con quello dei singoli Stati, come oggi avviene normalmente tra gli Stati nazionali ed i rispettivi enti locali.

Sintesi dei temi considerati dal Presidente francese: cosa disse Macron, per la nuova UE
(Sorbona 27 sett. 2017)

- Bilancio più forte nel cuore della zona euro - investimenti comuni (superministro) - eurozona sottoposta a un controllo democratico" (Parlamento ad hoc) - budget non per mutualizzare i debiti pubblici accumulati dai singoli Paesi"- immigrazione - difesa "una forza militare comune d'intervento" con budget comune di difesa progressivo - accademia europea di intelligence - procura europea anti-terrorismo - protezione civile per rispondere a catastrofi come i terremoti e le inondazioni" - immigrazione - polizia europea delle frontiere - un ufficio Difesa - università europee - tassa sulle emissioni di gas serra - tribunale europeo - agenzia per l'innovazione - budget per gli investimenti dell'eurozona - tassa europea sulle transazioni finanziarie destinata allo sviluppo dell'Africa europeo dell'asilo politico - stesse regole per le imprese, il diritto degli affari e i fallimenti.

A titolo esemplificativo: i Ministeri in Italia. Quali esportare a livello in UE ?

- Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale  - Università e Ricerca - Beni e Attività Culturali - Turismo  - Politiche Sociali - Difesa (?) - Giustizia - Salute  - Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare - Grandi Infrastrutture e Trasporti  - Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Economia e Finanza - Interno - Sviluppo Economico  - Coesione territoriale e  Mezzogiorno - Sport.

SOTTO : 
UN PROSPETTO IDENTIFICATIVO DI COMPITI E DI MINiSTERI EUROPEI
A PARTIRE DALLA DICHIARAZIONE DI ROMA (25 marzo 2017)
E DALLA ATTUALE STRUTTURA AMMINISTRATIVA  DELLA COMMISSIONE EUROPEA

Nel 60º Anniversario dei Trattati di Roma, 25.3.2017 - Consilium

La dichiarazione di Roma
dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea.

Noi, i leader dei 27 Stati membri e delle istituzioni dell'UE, siamo orgogliosi dei risultati raggiunti dall'Unione europea: la costruzione dell'unità europea è un'impresa coraggiosa e lungimirante.
Sessanta anni fa, superando la tragedia di due conflitti mondiali, abbiamo deciso di unirci e di ricostruire il continente dalle sue ceneri. Abbiamo creato un'Unione unica, dotata di istituzioni comuni e di forti valori, una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare.

L'unità europea è iniziata come il sogno di pochi ed è diventata la speranza di molti. Fino a che l'Europa non è stata di nuovo una. Oggi siamo uniti e più forti: centinaia di milioni di persone in tutta Europa godono dei vantaggi di vivere in un'Unione allargata che ha superato le antiche divisioni.

L'Unione europea è confrontata a sfide senza precedenti, sia a livello mondiale che al suo interno: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche. Insieme, siamo determinati ad affrontare le sfide di un mondo in rapido mutamento e a offrire ai nostri cittadini sicurezza e nuove opportunità.
Renderemo l'Unione europea più forte e più resiliente, attraverso un'unità e una solidarietà ancora maggiori tra di noi e nel rispetto di regole comuni. L'unità è sia una necessità che una nostra libera scelta. Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni.
Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato, in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desiderano associarsi successivamente. La nostra Unione è indivisa e indivisibile.
Per il prossimo decennio vogliamo un'Unione sicura, prospera, competitiva, sostenibile e socialmente responsabile, che abbia la volontà e la capacità di svolgere un ruolo chiave nel mondo e di plasmare la globalizzazione. Vogliamo un'Unione in cui i cittadini abbiano nuove opportunità di sviluppo culturale e sociale e di crescita economica. Vogliamo un'Unione che resti aperta a quei paesi europei che rispettano i nostri valori e si impegnano a promuoverli.

In questi tempi di cambiamenti, e consapevoli delle preoccupazioni dei nostri cittadini, sosteniamo il programma di Roma e ci impegniamo ad adoperarci per realizzare:
1. Un' Europa sicura: un'Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali; un'Europa determinata a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata.
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2. Un' Europa prospera e sostenibile: un'Unione che generi crescita e occupazione; un'Unione in cui un mercato unico forte, connesso e in espansione, che faccia proprie le evoluzioni tecnologiche, e una moneta unica stabile e ancora più forte creino opportunità di crescita, coesione, competitività, innovazione e scambio, in particolare per le piccole e medie imprese; un'Unione che promuova una crescita sostenuta e sostenibile attraverso gli investimenti e le riforme strutturali e che si adoperi per il completamento dell'Unione economica e monetaria; un'Unione in cui le economie convergano; un'Unione in cui l'energia sia sicura e conveniente e l'ambiente pulito e protetto.
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3. Un' Europa sociale: un'Unione che, sulla base di una crescita sostenibile,favorisca il progressoeconomico e sociale,nonchéla coesione elaconvergenza, difendendo nelcontempo l'integritàdel mercato interno; un'Unione che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo fondamentale delle partisociali; un'Unioneche promuova la parità tra donne e uomini ediritti epari opportunità per tutti; un'Unioneche lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l'esclusione sociale e la povertà; un'Unionein cui i giovani ricevano l'istruzione e la formazionemigliori e possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente; un'Unione che preservi il nostro patrimonio culturalee promuova la diversità culturale.
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4. Un' Europa più forte sulla scena mondiale: un'Unione che sviluppi ulteriormente i partenariati esistenti e al tempo stesso ne crei di nuovi e promuovala stabilità e la prosperitànel suo immediato vicinato a est e a sud, ma anche in Medio Oriente e in tutta l'Africa e nel mondo; un' Unione pronta ad assumersi maggiori responsabilità e a contribuire alla creazione diun'industria della difesapiùcompetitiva eintegrata; un'Unione impegnata a rafforzare la propria sicurezza e difesa comuni, anche in cooperazionee complementarità con l'Organizzazione delTrattato del Nord Atlantico, tenendo conto degli impegni giuridici e delle situazioni nazionali; un' Unione attiva in seno alle Nazioni Unite che difendaun sistema multilaterale disciplinato daregole, che sia orgogliosa dei propri valori e protettiva nei confronti dei propri cittadini, chepromuova un commercio libero ed equo e una politica climaticaglobale positiva.

Perseguiremo questi obiettivi, fermi nellaconvinzione che ilfuturo dell'Europaè nelle nostre manie che l'Unioneeuropeaè ilmigliore strumento perconseguire inostriobiettivi. Ci impegniamo a dareascolto e risposte alle preoccupazioniespressedai nostri cittadini edialogheremo coni parlamenti nazionali. Collaboreremoa livello di Unioneeuropea, nazionale, regionale o locale perfare davvero ladifferenza, in uno spiritodi fiduciae di lealecooperazione, sia tragli Stati membri che tra diessie le istituzioni dell'UE, nel rispetto del principio di sussidiarietà.Lasceremo ai diversi livelli decisionali sufficiente margine di manovra perrafforzare il potenziale di innovazione e crescita dell'Europa. Vogliamo che l'Unione sia grande sulle grandi questionie piccolasullepiccole.Promuoveremo un processo decisionale democratico, efficace e trasparente, e risultatimigliori.
Noi leader, lavorando insieme nell'ambito del Consiglio europeo e tra le istituzioni, faremo sì che ilprogramma di oggi sia attuato e divenga cosìlarealtà di domani.Ci siamo uniti per un buon fine.
L'Europa è il nostro futuro comune.

Nino Luciani, Uno schema di nuova  UE

1.- Verso quale UE si potrebbe andare. L'Ipotesi è che in Europa si voglia andare verso uno stato federale: dunque ad uno Stato europeo Centrale che convive, in sovrapposizione, con 26 Stati locali.
  a) Il presupposto, delineato dalla scienza delle finanze, è che in un determinato territorio (Europa) esistano degli interessi generali europei e degli interessi differenziati degli Stati, per cui conviene che  lo Stato centrale federale provvedere al soddisfacimento dei bisogni di interesse generale; e che gli Stati provvedano differenziatamente a soddisfare i rispettivi bisogni differenziati..
  Corrispondentemente viene creato, rispettivamente, un sistema fiscale centrale federale e vengono creati n sistemi fiscali statali, quanti sono gli Stati.
  Attualmente la RUSSIA non vi è ricompresa. Ma essa ha fatto già parte del CONSIGLIO DI EUROPA. Questo quadro va recuperato su base pià realistiche (compreso uno diverso ruolo strategico della UCRAINA in Europa )., a fine guerra.
  b) Una volta delineato lo schema di base (o di prima approssimazione), passo poi ad un integrarlo.
   Per un approccio di teoria generale, rinvio ad un mio studio, Federalismo fiscale, p. 499 http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf
  Esso, pur se ha come fulcro, l'Italia (Stato centrale, Regioni, Comuni) è largamente esportabile alla Europa. In luogo di Italia, leggi UE; in luogo di Regioni, leggi Stati; in luogo di Comuni, leggi Comuni, perchè ci sono in tutti gi Stati con una tradizione storica molto simile.
  Per quanto riguarda i bisogni di interesse generale, il fatto che che essi siano generali comporta che siano comuni a tutti. Per questo, anzichè gestirne l'amministrazione direttamente, può convenire che lo Stato centrale federale deleghi la relativa gestione agli Stati, dopo avere fissato gli obiettivi quantitativi, da attuare uniformemente in tutti gli Stati, e la dotazione dei congrui strumenti finanziari.
(Segnalo che la cosa non fa funzionato, tra Stato e Regioni, in Italia, tant'è che le sanità risultano diverse da Regione a Regione).

2.- Per quanto riguarda i sistemi fiscali , il criterio di prima approssimazione è che ad ogni livello di enti, corrisponda un rispettivo sistema fiscale.
  Ma questi sistemi a più livelli non sono neutrali tra i livelli di Stati (lo Stato centrale federale e gli Stati) perchè le persone, le merci, i capitali circolano tra i livelli di Stati.
  Va fatta attenzione anche al fatto che, a fronte di una molteplicità di Enti tassatori (in sovrapposizione), la tasca del contribuente è unica
  Questo fatto porta alla necessità di regolare le interferenze. Il modo ritenuto più corretto è che venga pensato un sistema fiscale unitario per la federazione, e al suo interno sia fatta una ripartizione delle imposte tra gli Stati. Ad es. quali imposte attribuire allo Stato centrale federale e quali agli Stati federati. (Questo fu il criterio della fondamenrale riforma fiscale Cosciani, per l'Italia).
  Sul piano pratico, tuttavia, qualcosa può non funzionare perchè gli imponibili delle identiche imposte nominali potrebbero essere diversi come sostanza.
  Nei confronti internazionali il PIL (Prodotto Interno Lordo) da prendere a riferimento è, di solito, quello al "costo dei fattori", vale dire calcolato al netto delle imposte indirette (dunque è pari al Valore aggiunto interno). Questo, però, può condurre a forti disparità, a seconda del peso relativo delle imposte indirette nei vari Stati e perchè, a dispetto dei sistemi di contabilità, non sempre le imposte indirette sono trasferibili sui prezzi finali.
  Suggerirei , fatto il calcolo della spesa pubblica della UE, che per il riparto del finanziamento siano presi a riferimento più imponibili: il PIL al costo dei fattori, la dimensione del territorio, le teste (popolazione).
  Lascerei perdere il valore dei beni finali di consumo, perchè rimettono in campo le imposte indirette e (per lIVA) tutto il gioco connesso  del carico sulle importazioni e dello scarico sulle esportazioni.
  A puro titolo di curiosità scientifica, voglio ricordare ho cercato di definire (a fianco della pressione fiscale, comunemente intesa) la "pressione fiscale internazionale". Chi vuole, clicchi http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf , p. 126. (Continua)

(continua ) 3.- Quale struttura amministrativa di una possibile nuova UE.  Su questa strada, non si parte da zero, perchè :
a) una parte (non pochissimo) si può trarre dalla struttura amministrativa già in essere nella UE;
b) una seconda parte si trae dalla  dichiarazione comune degli Stati, lo scorso anno (2017) , a Roma, in occasione del 60 anniversario della istituzione del MEC - Mercato Comune Europeo;
c) una terza parte si trae dalle anticipazioni di alcuni Leaders euopei, ad es. del Presidente francese Macron nel 2017 alla Sorbona di Parigi.
  Per un primo approccio qui sotto, parto dalle 4 voci della  dichiarazione comune dei paese UE (prima colonna), e vi associo associo (nella seconda colonna)  le voci ministeriali pertinenti (prese dal Governo Italiano) che, grosso modo, si ritrovano nei Governi degli altri Stati della UE.
  Nella terza collonna riporto l'elenco delle 53 voci amministrative già funzionanti presso la Commissione. Affido alla burocrazia della Commissione la attribuzione migliore di queste voci aii ministeri ipotizzati.

UN PROSPETTO IDENTIFICATIVO DI COMPITI E DI MINiSTERI EUROPEI

FUNZIONI ASSEGNATE ALLA UE
dalla Dichiarazione di Roma, 25.03.17

Ipotesi di denomimazioni di ministeri UE
per svolgere le 4 funzioni

Attuali amministrazioni UE,
da allocare dentro i ministeri

1) Una  Europa sicura; - un ministero della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico
2) Una Europa prospera e sostenibile;
- un ministero delle finanze e del bilancio (entrate fiscali e spesa pubblica);
- un ministero dell'ambiente (territorio e mare);
- un ministero dello sviluppo economico (infrastrutture e trasporti, terrestri e marittimi, di interesse europeo, fonti di energia, riequlibrio economico delle aree depresse);
3) Una Europa sociale
- un ministero della salute;
- un ministero della giustizia;
- un ministero della istruzione (università e ricerca);
4) Una Europa più forte sulla scena mondiale
- un ministero della difesa*;
- un ministero per gli affari esteri.

* Sulla difesa va fatto un pensiero che comincia da lontano.
L' ideale è un sistema di difesa mondiale (tipo la ONU) ma che non riuscirà mai a funzionare. In subordine vanno fatto sistemi di difesa regionali, ma ricordando che un sistema di difesa efficiente è molto costoso.
Resterei ancorato a quello Atlantico USA-UE, magari contribuendo (noi euroopei) con qualche EURO in più come vuole TRUMP.
Non è il caso di impostare un  costosissimo sistema di difesa europeo, autonomo rispetto a quella degli USA.
Anzi dobbiamo valorizzare la larga base etnica comune di americani ed europei.

Strutture ammnistrative della Commissione:
- Totali 53 unità amministrative, di cui: 6 Agenzie, 31 Direzioni Generali (Dipartimenti), 16 Servizi .
________________________________________
1.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva del Consiglio europeo della ricerca
  2.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per i consumatori, la salute, l’agricoltura e la sicurezza alimentare
  3.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per la ricerca
  4.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per l'innovazione e le reti
  5.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per l'istruzione, gli audiovisivi e la cultura
  6.- AGENZIA ESECUTIVA - Agenzia esecutiva per le piccole e medie imprese
  7.- DIREZIONE GENERALE - Affari economici e finanziari
  8.- DIREZIONE GENERALE - Affari marittimi e pesca
  9.- DIREZIONE GENERALE - Agricoltura e sviluppo rurale
10.- DIREZIONE GENERALE - Ambiente
11.- DIREZIONE GENERALE - Azione per il clima
12.- DIREZIONE GENERALE - Bilancio
13.- DIREZIONE GENERALE - Centro comune di ricerca
14.- DIREZIONE GENERALE - Commercio
15.- DIREZIONE GENERALE - Comunicazione
16.- DIREZIONE GENERALE - Concorrenza
17.- DIREZIONE GENERALE - Energia
18.- DIREZIONE GENERALE - Eurostat - Statistiche europee
19.- DIREZIONE GENERALE - Fiscalità e unione doganale
20.- DIREZIONE GENERALE - Giustizia e consumatori
21.- DIREZIONE GENERALE - Informatica
22.- DIREZIONE GENERALE - Interpretazione
23.- DIREZIONE GENERALE - Istruzione, gioventù, sport e cultura
24.- DIREZIONE GENERALE - Mercato interno, industria, imprenditoria e PMI
25.- DIREZIONE GENERALE - Mobilità e trasporti
26.- DIREZIONE GENERALE - Occupazione, affari sociali e inclusione
27.- DIREZIONE GENERALE - Politica europea di vicinato e negoziati di allargamento
28.- DIREZIONE GENERALE - Politica regionale e urbana
29.- DIREZIONE GENERALE - Protezione civile e operazioni di aiuto umanitario europee
30.- DIREZIONE GENERALE - Ricerca e innovazione
31.- DIREZIONE GENERALE - Risorse umane e sicurezza
32.- DIREZIONE GENERALE - Salute e sicurezza alimentare
33.- DIREZIONE GENERALE - Stabilità finanziaria, servizi finanziari e Unione dei mercati dei capitali
34.- DIREZIONE GENERALE - Traduzione
35.- DIREZIONE GENERALE - Cooperazione internazionale e sviluppo
36.- DIREZIONE GENERALE - Migrazione e affari interni
37.- DIREZIONE GENERALE - Reti di comunicazione, contenuti e tecnologie
38.- SERVIZIO - Centro europeo di strategia politica
39.- SERVIZIO - Gestione e liquidazione dei diritti individuali
40.- SERVIZIO - Infrastrutture e logistica a Bruxelles
41.- SERVIZIO - Infrastrutture e logistica a Lussemburgo
42.- SERVIZIO - Responsabile della protezione dei dati
43.- SERVIZIO - Segretariato generale
44.- SERVIZIO - Servizio degli strumenti di politica estera
45.- SERVIZIO - Servizio dell'archivio storico
46.- SERVIZIO - Servizio di assistenza per le riforme strutturali
47.- SERVIZIO - Servizio giuridico
48.- SERVIZIO - Servizio interno di revisione
49.- SERVIZIO - Task force per la preparazione e lo svolgimento dei negoziati con il Regno Unito, art. 50 del TUE
50.- SERVIZIO - Ufficio delle pubblicazioni
51.- SERVIZIO - Ufficio europeo di selezione del personale
52.- SERVIZIO - Ufficio europeo per la lotta antifrode
53.- SERVIZIO - Biblioteca e Centro risorse elettroniche

.

.L'ITALIA IN CERCA DI UN PROGRAMMA, DOPO LE ELEZIONI POLITICHE 2022

MA RIMANE LA PALLA AL PIEDE DEL DEBITO PUBBLICO, MOLTO ALTO, TROPPO ALTO
Fonte: http://ec.europa.eu/economy_finance/eu/public_finances/faq_fiscal_sustainability_report_2015_en.pdf.

 

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J.P. Juncher, Presidente Commissione Europea

.COME CIRCOSCRIVERNE GLI EFFETTI DI RISCHIO,
dopo il flop del Governo Berlusconi nel 2009

.

1) La UE non crede alla sostenibilià fiscale dell'Italia, causa l'alto debito pubblico; e l'obbligato aumento della spesa pubblica per le future pensioni sociali di vecchiaia. ( A queste si attacca, come cigliegina, la pressione sociale per il  "reddito di cittadinanza" e per la "flat tax" ).

2) Nessuno può tirare fuori dal cappello quello che non c'è. Nè è pensabile di provvedere con aumenti automatici dell'IVA, avendo l'Italia già una pressione fiscale sopra le righe.

3) In questo servizio mi propongo di indicare una via minima per il calcolo certo delle entrate disponibili, dopo avere messo in sicurezza il debito.

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Coalizione centro-destra: Salvini-Berlusconi-Meloni

Anche una antifona di Mattarella circa il legame Italia-Europa: breve stralcio del Discorso di Mattarella alla Columbia University (2016)
Per il testo completo clicca su: http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=269

PROPOSTA

1.- Considerato che il debito pubblico (133% del PIL) crea problemi di sostenibilità del sistema finanziario dello Stato (per il rischio di improvvisi sbalzi dei mercati finanziari) si potrebbe fare un piano di ammortamento in 25 anni (per la messa in sicurezza) alimentato da una percentuale del gettito fiscale, da destinare al pagamento del debito.
2.- Se si valuta sufficiente garantire il debito eccedente il 100% del PIL, la cifra è di € 544 miliardi e la percentuale suddetta sarebbe 8,5%, al tasso di interesse del 5%; oppure è 6,9% al tasso di interesse del 3%. A quel punto, il minore gettito fiscale restante è quello destinabile al programma.
3.- Ma va da se che, diminuendo il gettito disponibile, e volendo anche ridurre la pressione fiscale bisognerà anche mettere mano a riforme strutturali dello Stato. La serie storica del debito (vedi sotto) segnala il 1977, come inizio della deriva. Fu l'anno di avvio dell'ordinamento regionale (?).
4.- Nota. E' invece costume dello Stato italiano pagare il debito in scadenza con accensione di nuovo debito. Una famiglia per bene non pagherebbe mai cambiali accendendo nuove cambiali. In questo malcostume sta l'origine della montagna dei debiti che strozzerà l'Italia..

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Sergio MATTARELLA, “Leadership in the age of change: managing current  development in the Mediterranean through Europe" (a proposito del rapporto tra Italia e UE).
Breve stralcio dall'Intervento alla Columbia University, USA, 11/02/2016
...........

   L'Unione Europea è il risultato di un lungo e vitale processo ed è la sua progressiva integrazione che ha consentito agli europei di vivere un periodo di pace e di sviluppo sociale, culturale ed economico, veramente unico e di creare un'area di attrazione divenuta preziosa, come, da ultimo, si sono incaricati di dimostrare gli eventi successivi alla caduta del Muro di Berlino.
   E' una storia che ha prodotto diritti e accresciute tutele per tutti. Che ha generato sicurezza e offerto un modello di convivenza plurale.
   Sono traguardi ai quali non possiamo rinunciare.
   Nel mondo multipolare nel quale viviamo, la partnership atlantica rimane un punto di riferimento essenziale e, nel suo ambito, l'Europa deve saper assumere le proprie responsabilità. E, in questo quadro l'Unione Europea non può cedere alla tentazione di indebolire la propria coesione.
   Gli elementi di instabilità presenti ai suoi confini suggeriscono, al contrario, il rafforzamento di politiche attive di vicinato, di politica estera e di difesa. Suggeriscono la attivazione di rapporti di collaborazione feconda con le organizzazioni regionali presenti sul Continente africano per realizzare un futuro sempre più condiviso.
   Oggi agli Stati Uniti e all'Unione Europea, alla comunità transatlantica, si chiede di esercitare una leadership all'altezza della comune tradizione.
  In questo quadro generale, l'Italia sta operando in coerenza con i principi basilari che ispirano la sua politica estera, europeismo, atlantismo, multilateralismo, per contribuire ad affrontare e sciogliere i nodi che abbiamo di fronte, con spirito propositivo e convinzione.  
   L'Italia attraversa un periodo di cambiamento, sotto il profilo sia politico sia economico.
   Dopo anni di dibattito, il Parlamento sta per approvare definitivamente un'importante riforma della Costituzione ( poi, non approvata dal Referendum . NdR) che trasforma il ruolo del Senato da seconda Camera politica - con le medesime attribuzioni della Camera dei Deputati - in Assemblea rappresentativa delle Regioni e dei poteri locali.

NINO LUCIANI, Come circoscrivere gli effetti del debito pubblico, e come interrogare il grafico storico (1961-2017).

I.- PREMESSA. Dal punto di vista economico di Scienza delle Finanze, l'entità delle delle risorse disponibili è un dato vincolante per il programma dei servizi, e ogni partito può avere legittamente gusti diversi.
Diverso è, invece, il giudizio sulle risorse effettivamente impiegate, che deve essere minimo, tra le alternative ipotizzabili , per i vari servizi-obiettivo.
Nel caso del debito pubblico, ci sono ragioni per ritenere che la sua entità non sia un minimo, e stupisce il fatto che la Corte dei Conti non lo abbia mai rilevato.
 Nel caso italiano, la costosità del debito è dovuta al modo precario, come si provvede a pagarlo, alla scadenza.
  Ma andiamo per gradi. In generale il saldo negativo di bilancio (coperto con il debito) è riferibile a due casi principali:
a) le spese correnti superano le entrate correnti, e ciò determina un disavanzo in conto corrente, coperto con il debito o con una imposta straordinaria (di solito non applicata per la ordinarietà);
b) sono in scadenza dei debiti pregressi, e ciò determina un disavanzo, in conto capitale, che va coperto con il debito o con una imposta (di solito non applicata per l'ordinarietà).
2.-  Copertura con il debito, come ?
Nel caso dell'Italia sono previsti due modi:
- con un Fondo di ammortamento da alimentare con la vendita degli immobili dello Stato. (Ma dalle relazioni del Ministero delle Finanze risulta che, in 19 anni (1995-2015), il fondo ha ammortizzato il debito per soli € 170 miliardi ... causa ostacoli impossibili alle vendite... soprattutto il fatto che i Comuni non concedono facilmente i cambi di destinazione);
- con accensione di nuovo debito. Questa modalità, associata al fatto che l'entità del debito è di solito molto grande, è per sua natura insicura, circa la raccolta, a parte i rischi da turbolenze dei mercati finanziari.
  Nel caso della UE,poi, l'ombrello della BCE (vale dire l'acquisto dei titoli pubblici non collocati presso il pubblico) è proibito ufficialmente, pur se non sono mancati modi "temporanei" equivalenti, tipo il Fondo Salva Stati (ma accompagnato da accordi severi al rientro tra BCE e gli Stati), o tipo operazioni della BCE sul mercato aperto (val dire acquisto indiretto di titoli pubblici).
3.- Conclusione. Una famiglia per bene non paga il debito con nuovo debito con nuovo debito, ma con un piano di ammortamento con rispettive rate annuali, compatibili con il proprio reddito.
  Penso che anche uno Stato per bene dovrebbe fare la stessa cosa, e se così è, il rischio di insolvenza viene ad essere radicalmente ridimensionato, e la UE non abbia più nulla da dire...
  Vediamo meglio: come potrebbe essere un Piamo di ammortamento del debito pubblico in Italia ?
  Poniamo che l'obiettivo sia di riportare al 100% del PIL il debito da coprire nel modo tradizionale, e invece di sanare l'eccedenza con un vero e proprio piano di ammortamento (poniamo 25 anni, al tasso di interesse del 5%).
  Nel caso dell'Italia l'eccedenza da ammortizzare sarebbe di € 544 miliardi, con una rata annuale di € 39 miliardi, pari al 8,5% del gettito fiscale (€ 450 miliardi annui).

 

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Ritrovata la storia dell'Antica Abbazia di Cella Volana dei Frati Lateranensi, distrutta dal PO nel 1152

SCRITTA NEL 1914 DAL PROF. SANTE RAMES BERTARELLI - INTRODUZIONE DI NINO LUCIAN - INTERVENTO DI MARCO FERRONI
PER IL VOLUMETTO CLICCA SU: CENNI STORICI SU VACCOLINO

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All'Università Bocconi di Milano

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MARIO DRAGHI PROCLAMA LE SUE "CONCLUSIONI" SUL MODO DI VINCERE LA CRISI ECONOMICA:


M. Draghi: "Puntare su riduzioni di spesa corrente e non su aumenti di tasse",
in quanto ciò "avrebbe le minori conseguenze negative sul PIL".

Nino Luciani, Tesi auto-referenziale. La diagnosi è la stessa del 1929,
e dunque anche la ricetta sia la stessa, fermi i vincoli di bilancio della UE.
Il compito di Monti traghettatore è finito. Si vada all'alternanza tra
i grandi partiti, come nei Paesi democratici: adesso col PD.

                                                                                               PRECISAMENTE
   La diagnosi è: "il  potere d'acquisto è finito nelle mani di persone che hanno una relativa alta propensione al risparmio e anzi trattengono la liquidità come antidoto per fronteggiare le maggiori difficoltà".
   In queste condizioni la ricetta è ancora quella Keynesiana: creare domanda effettiva (vale dire accompagnata da potere di acquisto), e questo è possibile in tre modi:
   1 ) accelerare i tempi tecnici della spesa pubblica, già approvata in bilancio, in quanto finanziata dal gettito fiscale realizzato.
       Questo punto mi sembra un atto dovuto, rispetto al quale c'è qualche responsabilità del Governo Monti.
   2 )  fabbricare moneta aggiuntiva e fare spesa pubblica ( per lavori pubblici, ecc. ) per creare lavoro e redditi per coloro che hanno alta propensione al consumo.
    In questa fase economica, la UE, non permetterebbe questa via, perchè inflazionistica;;
   3 )  spostare potere d'acquisto dai cittadini con alta propensione al risparmio, ai cittadini con alta propensione al consumo. Lo strumento è quello fiscale: alzare le aliquote IRPEF sui redditi medio alti, e abbassare le aliquote sui redditi medio-bassi. Questo non alza la spesa pubblica.
   Questa via è risolutiva. Ma
è verosimile che essa non sia approvata dalla destra "conservatrice", pur se sarebbe nel suo interesse superare la crisi economica.  Attendiamo, pertanto, le elezioni politiche, per un chiarimento popolare.

M. Draghi, La politica monetaria della Banca Centrale Europea e la sua trasmissione nell’area dell’euro
Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, Università Bocconi, Inaugurazione anno accademico 2012/2013 Milano, 15 Novembre 2012

1.- I mercati finanziari e le disfunzioni causate alla trasmissione della politica monetaria
    L’anno che sta per terminare verrà ricordato non solo per gli effetti che la crisi del debito sovrano europeo ha avuto sull’euro e per il significativo indebolimento dell’economia europea, ma anche per le risposte che a queste sfide sono state date da BCE, dai governi nazionali, dall’Unione Europea.
La artificiale tranquillità dei mercati antecedente la crisi aveva in Europa per lungo tempo permesso politiche economiche sbagliate o semplicemente incoraggiato l’inazione in paesi che avevano profondo bisogno di consolidamento di bilancio e di riforme strutturali.
L’esplodere della crisi accresce drammaticamente l’avversione al rischio: le debolezze di questi paesi vengono crudamente identificate; in un contesto di crescita già debole, gli investitori si allontanano, gli spread sovrani iniziano il loro aumento.
    Presto la solvibilità dei governi di questi paesi viene messa in discussione e con essa la solvibilità delle istituzioni finanziarie che vi risiedono. All’interno dell’area dell’euro, il denaro circola sempre meno tra banche di paesi diversi. I dubbi sulla sopravvivenza dell’euro nel suo attuale disegno incoraggiano un movimento speculativo che induce ulteriori aumenti negli spread sovrani. Tutti i governi dei paesi più deboli rispondono con politiche di consolidamento di bilancio, all’inizio esitanti, poi sempre più energiche.
  
   Ma l’attività economica continua a indebolirsi e gli spread continuano a crescere. Il che pone l’accento sulla forma che deve avere il consolidamento fiscale "ideale", cioè quello che riduce il deficit e il debito con le minori conseguenze negative sul prodotto di un paese.
    L’evidenza prevalente indica che esso deve essere centrato su riduzioni di spesa corrente e non su aumenti di tasse.
Anche chi non condivide questa impostazione è però d’accordo sul fatto che è essenziale che il processo sia percepito come credibile, irreversibile e strutturale perché abbia effetto sugli spread sovrani e che le condizioni di stabilità dei prezzi e dei mercati finanziari siano tali da non ostacolare il consolidamento fiscale.

    In risposta all’aggravarsi delle condizioni economiche, la BCE ha abbassato i tassi di interesse di riferimento. In circostanze normali, tali riduzioni sarebbero state trasmesse in maniera relativamente uniforme a famiglie e imprese di tutta l’area dell’euro. Ma non è quanto abbiamo riscontrato.
    In alcuni paesi, le riduzioni dei tassi sono state trasmesse integralmente. In altri, i tassi sui prestiti bancari all’economia reale sono diminuiti solo di poco o addirittura per nulla. E in altri ancora, sono di fatto aumentati, almeno in qualche caso.
   Perché questa difformità? Nell’attività di banca centrale è fondamentale il concetto di "trasmissione della politica monetaria", cioè il processo con cui le modifiche del tasso di interesse di riferimento di una banca centrale vengono trasmesse attraverso il sistema finanziario all’economia reale.
    In un sistema che funziona correttamente, vi è una relazione stabile tra le variazioni dei tassi della banca centrale e il costo dei prestiti bancari per famiglie e imprese. Le banche centrali possono così influenzare la situazione economica generale e mantenere la stabilità dei prezzi.
    Ma nel sistema finanziario dell’area dell’euro si è verificata una grave frammentazione del mercato finanziario unico. I costi del finanziamento bancario sono molto diversi nei vari paesi. L’accesso al mercato interbancario dell’area dell’euro è stato di fatto precluso a numerose banche e in certi paesi al loro intero sistema bancario. Gli aumenti dei tassi di interesse sui titoli di Stato hanno aggravato i costi di provvista delle banche nazionali e fortemente limitato il loro accesso ai mercati.
    Ciò ha reso difficile la trasmissione degli impulsi che venivano da una politica monetaria accomodante attraverso aggiustamenti nei tassi di interesse sui prestiti a famiglie e imprese da parte delle banche.
I tassi di interesse non possono e non devono essere identici nell’area, ma non è accettabile che emergano disparità rilevanti a causa della frammentazione dei mercati dei capitali o di una presunta disgregazione dell’area dell’euro. In un’economia come quella dell’area dell’euro, dove circa tre quarti del finanziamento alle imprese proviene dal settore bancario, le ripercussioni sull’economia reale, sugli investimenti e sull’occupazione sono gravi. La frammentazione del mercato finanziario unico ha indotto una frammentazione della politica monetaria unica.
    Per questo motivo, i paesi più esposti alla crisi di fiducia non potevano se non limitatamente avvantaggiarsi dei bassi tassi di interesse: erano entrati in un circolo vizioso.
    La crescita economica si contraeva. Le finanze pubbliche peggioravano. Banche e governi si vedevano costretti a corrispondere tassi di interesse ancora maggiori. E il credito e la crescita economica calavano ulteriormente, con un aumento della disoccupazione e una flessione di consumi e investimenti.
    Le prospettive per l’economia dell’area dell’euro si facevano sempre più fragili. Si delineavano conseguenze potenzialmente avverse per il mercato unico europeo, in quanto l’accesso ai finanziamenti dipendeva in misura crescente dalla residenza più che dal merito di credito e dalla qualità del progetto.
     L’interruzione della trasmissione della politica monetaria ha implicazioni profonde. Mette a repentaglio la politica monetaria unica e la capacità della BCE di assicurare la stabilità dei prezzi in entrambe le direzioni. Ecco perché abbiamo agito.

   2.- Ripristinare un’adeguata trasmissione della politica monetaria.      Per decidere il tipo di azione appropriato, occorreva valutare due aspetti fondamentali. Innanzitutto, dovevamo diagnosticare con precisione il motivo per cui la trasmissione si era interrotta.
    In secondo luogo, dovevamo individuare lo strumento di politica monetaria più efficace per porvi rimedio, rimanendo sempre entro i limiti del nostro mandato che è quello di preservare la stabilità dei prezzi.
    I paesi più colpiti sono quelli dove la politica economica del passato è stata più inadeguata, dove la risposta dei governi all’inizio della crisi è stata più fiacca e incerta. Spetta ai governi di questi paesi lo sforzo maggiore nella riconquista della credibilità.
    Per intensità e rapidità, straordinaria è stata la risposta di tutti questi governi; eppure i tassi di interesse continuavano ad aumentare. Vi era un fattore di paura nelle valutazioni dei mercati che i governi, da soli, non sembravano capaci di fugare.
    Si stava producendo una situazione di instabilità sistemica che minava l’eurozona e vanificava la speranza negli effetti positivi delle riforme intraprese per ripristinare la trasmissione della politica monetaria.
Occorreva fugare i timori infondati sul futuro dell’euro. Occorreva creare un meccanismo di sostegno credibile in grado di scongiurare scenari catastrofici, il cui esercizio ricadesse nel mandato della BCE.
    Le OMT sono state concepite proprio a questo scopo, per ripristinare la trasmissione della politica monetaria.
    Le OMT prevedono interventi sui mercati dei titoli di Stato senza limiti prestabiliti ma non incontrollati, né svincolati da condizioni. Questi interventi riguardano le obbligazioni con scadenza residua fino a tre anni. Il segnale agli investitori sull’infondatezza dei loro timori sul futuro dell’area dell’euro è chiaro.
    Ma non abbiamo dimenticato qual è l’origine dei problemi del mercato del debito sovrano in Europa. Uno dei presupposti per la conduzione di OMT è che i paesi interessati devono aver negoziato con gli altri governi dell’area dell’euro un programma nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilità (MES) che imponga condizioni rigorose, efficaci e credibili su un orizzonte temporale esteso. In tal modo, i governi si vincolano a continuare le riforme necessarie, anche in uno scenario in cui la BCE interviene. Il coinvolgimento del Fondo monetario internazionale (FMI), con la sua esperienza nel monitorare programmi di aggiustamento, è un’ulteriore salvaguardia.

   3.- Le conseguenze degli interventi della BCE.   In primo luogo, le OMT non implicano finanziamenti dissimulati ai governi.I nostri interventi sono stati concepiti proprio per evitare tali esiti. Saranno eseguiti solo sui mercati secondari, in cui sono negoziate obbligazioni già emesse. Qualora si decida di effettuare OMT, saranno acquistati strumenti del debito pubblico presso gli investitori, e non presso i governi. Queste condizioni sono pienamente in linea con il divieto di finanziamento monetario sancito dal Trattato. Inoltre, gli interventi saranno concentrati sulle scadenze più brevi, lasciando margine di manovra alla disciplina di mercato sulle scadenze più estese.
    In secondo luogo, le OMT non mettono a repentaglio l’indipendenza della BCE. La BCE continuerà a prendere tutte le decisioni relative alle OMT in piena autonomia. Deciderà se intervenire in base alla propria valutazione della trasmissione della politica monetaria, al fine di salvaguardare la stabilità dei prezzi. Il fatto che i governi debbano attenersi a determinate condizioni, in realtà, proteggerà la nostra indipendenza. La BCE non si vedrà costretta a intervenire a causa di inadempienze da parte della politica.
    In terzo luogo, la OMT non generano rischi eccessivi per i contribuenti dell’area dell’euro. Questi rischi si manifesteranno solo se un paese attuasse politiche poco oculate. Ma il programma del MES impedirebbe proprio il verificarsi di tale evenienza. E noi abbiamo affermato in modo inequivocabile che, quando un programma è in fase di riesame, sospenderemo di norma le operazioni, per riattivarle solo in caso di esito positivo. Così la BCE interverrà solo per quei paesi in cui l’economia e le finanze pubbliche seguono un percorso di sostenibilità.
     Infine, le OMT non causano inflazione. Le nostre operazioni sono state modulate per far sì che i loro effetti sulle condizioni monetarie siano nulli. Per ogni euro immesso, vi sarà un euro ritirato. In base alla nostra valutazione, il rischio maggiore per la stabilità dei prezzi è allo stadio attuale è associato alla possibilità di un calo dei prezzi in alcuni paesi dell’area dell’euro. In tal senso, le OMT non sono in contrasto con il nostro mandato, ma sono invece indispensabili, affinché possiamo continuare a preservare la stabilità dei prezzi. Peraltro, non abbiamo evidenza che l’annuncio del programma di OMT si sia riflesso sulle aspettative di inflazione. Le attese di inflazione continuano a essere saldamente ancorate. Ciò testimonia i risultati da noi conseguiti negli ultimi dieci anni sul fronte della stabilità dei prezzi e la credibilità del nostro impegno a preservarli. Disponiamo di tutti gli strumenti necessari per mantenere la stabilità dei prezzi e, in presenza di rischi al rialzo, per riassorbire l’eccesso di liquidità.
    Dall’annuncio della possibilità di intraprendere OMT si sono avuti diversi segni di una maggiore tranquillità nei mercati finanziari: la significativa discesa degli spread sovrani, la ripresa dei flussi di capitali da parte dei fondi di mercato monetario degli Stati Uniti che erano cessati da circa un anno, alcune emissioni di obbligazioni sovrane e corporate da paesi che avevano perso l’accesso al mercato da quasi tre anni come Irlanda e Portogallo, il completamento dei piani di finanziamento dei tesori Italiano e Spagnolo, il fatto che la quota di debito pubblico italiano detenuta da non residenti sia cresciuta e infine la stabilizzazione dei saldi TARGET-2 che sono la vera misura degli squilibri finanziari ed economici nell’area dell’euro. Infine è di ieri la notizia che il ricorso presso la BCE da parte delle banche di alcuni grandi paesi che versavano in condizioni di provvista difficili è diminuito per il secondo mese consecutivo. È importante capire che la stabilità finanziaria all’interno dell’area dell’euro è nell’interesse di tutti ma in primis dei paesi creditori che hanno le esposizioni maggiori.
     Non vi è dubbio che tali miglioramenti non sarebbero stati sostenibili, né lo sarebbero in futuro, senza una straordinaria, persistente e soprattutto strutturale azione di consolidamento dei bilanci pubblici e di riforme strutturali in tutti i paesi dell’area dell’euro.

  4.- Il completamento dell’Unione economica e monetaria. Uno sguardo al passato ci aiuta a ricordare gli ostacoli che il processo di integrazione europea ha incontrato finora, e superato.
    I mandati di Tommaso Padoa-Schioppa alla Banca d’Italia e alla Commissione europea sono stati contrassegnati da riallineamenti nell’ambito degli Accordi europei di cambio del Sistema monetario europeo. È risaputo che per Tommaso il problema cruciale risiedeva nel "quartetto inconciliabile", ossia tassi di cambio fissi, libero scambio, mobilità dei capitali e politiche monetarie nazionali.
    La soluzione è stata trovata nella moneta unica.
    Oggi vediamo che questa soluzione è incompleta. La crisi ha messo in luce la necessità di portare a compimento l’Unione economica e monetaria.
    Insieme ai presidenti del Consiglio europeo, della Commissione europea e dell’Eurogruppo, abbiamo individuato quattro pilastri su cui edificare un’Europa stabile e prospera: un’unione bancaria con un’unica autorità di vigilanza; un’unione fiscale in grado di prevenire e correggere bilanci non sostenibili; un’unione economica in grado di garantire una competitività atta a favorire un’occupazione elevata e, infine, un’unione politica in grado di coinvolgere profondamente i cittadini dell’area dell’euro.
    Stiamo compiendo progressi in tutte queste direzioni. Ovviamente non è semplice attuare un progetto così ambizioso. Ma confido che l’Europa, ancora una volta, emergerà rinvigorita dalle difficoltà del momento.
    Tommaso era convinto che "una forte valuta richiede una forte economia e una forte politica, non solo una banca centrale forte e autorevole" . La sua convinzione è anche la mia.
    La risposta della BCE alla crisi si pone in un rapporto chiaramente definito con il processo di integrazione europea.
    Con le nostre misure non convenzionali di politica monetaria abbiamo preservato la funzionalità del meccanismo di trasmissione e, quindi, abbiamo potuto mantenere la rotta ferma sull’obiettivo della stabilità dei prezzi iscritto nel nostro mandato. Si sono sventati esiti potenzialmente rovinosi della crisi; si è guadagnato tempo prezioso ma non infinito. La BCE però non può sostituirsi all’azione dei governi nazionali né sotto il profilo dell’efficacia della politica economica, né sotto quello della legittimità democratica. In ultima analisi spetta ai governi il compito di dissolvere definitivamente le incertezze che persistono nella percezione dei mercati e nei timori dei cittadini.
    L’obiettivo finale è l’unione politica, un’Europa stabile e integrata con un destino comune. Ci vorrà molto tempo, lungo un percorso incerto. Ma nel frattempo sarebbe un errore non agire.
    È già stato fatto molto. I governi hanno attuato interventi correttivi dei conti pubblici. Con il fiscal compact si è sancito il principio del pareggio di bilancio nelle legislazioni nazionali. Con il MES si è offerta la possibilità di un’assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà, per contenere il contagio della crisi. E alle misure non convenzionali di politica monetaria della BCE si affiancherà l’unione bancaria, una struttura europea unica di vigilanza bancaria.
    È essenziale che tutti i soggetti che contribuiscono all’ampio e articolato percorso di riforma dell’Europa mantengano gli impegni presi. Dobbiamo procedere lungo questa via con calmo pragmatismo, chiedendoci quali siano i requisiti minimi per completare l’Unione economica e monetaria. Sono tutti alla nostra portata, comprese le riforme fiscali e le politiche strutturali per la competitività e la crescita.
    Lungo il cammino dobbiamo farci guidare dal principio secondo cui nessun paese è legittimato a condurre politiche che danneggino gli altri membri della comunità di cui fa parte. La costruzione di un’architettura istituzionale europea basata su questo fondamento non risponde solamente a un’istanza di responsabilità. Senza la condivisione della sovranità nazionale a livello europeo la stessa sovranità dei singoli Stati è in pericolo.
    Questa è la prima lezione della crisi per noi europei. Non si tratta solo di economia e finanza. Possiamo, con Zygmunt Bauman, estenderla ad ambiti assai più ampi. Bauman ha scritto: "la casa europea non va a detrimento delle culture nazionali, ma provvede a una sorta di tetto comune a tradizioni, valori, differenze locali. E il paradosso è che ogni singolo paese è molto più a rischio di perdere la sua identità specifica, se si espone senza protezione, cioè senza questo scudo europeo, alle forze globali che sono violentemente e spudoratamente sovranazionali, ignorano i temi e le specificità locali".
    Vorrei concludere con un aneddoto su Tommaso, cui oggi dedichiamo questa cattedra. Come sapete, negli ultimi mesi ho ribadito il principio dell’irreversibilità dell’euro. E questo è proprio il senso di una delle più note arguzie di Tommaso. Nel 2004 parlando dell’ "emu", che è l’acronimo di Economic and Monetary Union, rilevò che questo è anche il nome di un uccello australiano simile allo struzzo. E aggiunse: "nessuno dei due può andare a ritroso". Mario Draghi

FONTE: http://www.viasarfatti25.unibocconi.it/notizia.php?idArt=11154&key=jq

NINO LUCIANI, Un Draghi troppo autoreferenziale, e una BCE inadeguata (detto da lui, circa le manovre già sperimentate)

1.- La posizione di DRAGHI ( e della BCE - Banca Centrale Europea) sulla crisi economica). Come è noto, l'essenza della crisi economica sta nella lentezza esasperante del circuito monetario (nel sistema macroeconomico), per cui la metà del nostro sistema produttivo sta soffrendo di grave asfissia monetaria. Detto con le parole di J.M. Keynes, c'è molta capacità produttiva inutilizzata, ma non c'è "domanda effettiva"  (vale dire, accompagnata da "potere di acquisto").

  Dalla colonna qui a sinistra, riproduciamo (in essenziale), come Draghi dice di aver affrontato (e di volere affrontare) la crisi del PIL:
a) "All’interno dell’area dell’euro, il denaro circola sempre meno tra banche di paesi diversi. I dubbi sulla sopravvivenza dell’euro nel suo attuale disegno incoraggiano un movimento speculativo che induce ulteriori aumenti negli spread sovrani. Tutti i governi dei paesi più deboli rispondono con politiche di consolidamento di bilancio, all’inizio esitanti, poi sempre più energiche (in Italia con maggiori imposte, NdR);
 
b) "In risposta all’aggravarsi delle condizioni economiche, la BCE ha abbassato i tassi di interesse di riferimento. In circostanze normali, tali riduzioni sarebbero state trasmesse in maniera relativamente uniforme a famiglie e imprese di tutta l’area dell’euro. Ma non è quanto abbiamo riscontrato.
"
  c) Ma l’attività economica continua a indebolirsi e gli spread continuano a crescere;
  d) L’evidenza prevalente indica che il consolidamento fiscale "ideale" (cioè quello che riduce il deficit e il debito con le minori conseguenze negative sul prodotto di un paese)
deve essere centrato su riduzioni di spesa corrente e non su aumenti di tasse".

2.- La visione miope del "RAGIONIERE" Draghi. Draghi è un professore ordinario di economia politica, arrivato (a suo tempo al Tesoro) come Direttore Generale, poi arrivato alla Banca d'Italia come Governatore. Questo spiega la sua prevalente formazione "ragionieristica". Secondo la visione del ragioniere, un bilancio, lo risani in due modi alternativi: o aumentando le imposte (lui le chiama "tasse", e questo già rivela la sua carenza di "scienza delle finanze"), o riducendo le spese.
   Secondo la visione economica, un bilancio lo risani inserendo nel conteggio gli effetti dell'imposta e della spesa sul PIL.
  In questa fase, è sotto gli occhi di tutti che la politica fiscale è "recessiva". Ne segue, dice lui, che il minor male (quello con "le minori conseguenze negative") è il "taglio delle spese".
   Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non è grandine che distrugge i raccolti, perchè alla imposta segue la spesa, e dunque in termini complessivi il potere di acquisto non cambia.
   Questo in teoria, ma questo non sta avvenendo. Dall'Annuario Finanziario della Ragioneria Generale dello Stato, apprendiamo che lo Stato sta spendendo, in media, l'80% di quanto è autorizzato a spendere. Apprendiamo, inoltre, dai giornali che lo Stato non paga i fornitori (pur se i soldi sono già stati stanziati a suo tempo). Apprendiamo che degli esattori fiscali non versano il gettito ai titolari del gettiti; che in base al patto di stabilità, i Comuni non possono spendere denaro disponibile in cassa.
  Ma ignorata la "velocità" della spesa pubblica. Un bravo ragioniere dovrebbe guardare se la spesa preventivata va al suo buon fine. Ma non viene fatto neppure questo.
  Invece darei ragione a Draghi, per la riduzione di spese pubbliche assolutamente inutili: questo riguarda gli interessi sul debito pubblico che il Tesoro rimborsa (ex-ante) ai sottoscrittori di titoli di Stato.
  Come è stato più volte chiarito dai grandi Maestri della Scienza delle Finanze italiana (vedi: Ernesto d'Albergo, non più vivente) questi interessi sono partite di giro, nel bilancio del Tesoro.
  Avrà, DRAGHI, il coraggio di chiedere l'eliminazione di questa imposta (agendo in coerenza, con la TOBIN TAX, che esenta i titoli di Stato ? ).
 
3. Banche impossibilitate a fare anticipazioni di cassa al sistema produttivo. Possibile che Draghi non sappia queste cose ?  
  La situazione (di spesa pubblica a rilento, si vegga sopra) non è, però, solo di adesso. Da sempre lo Stato è stato una macchina lenta nella spesa. In passato questa carenza è stata colmata con le anticipazioni di cassa delle banche, ai soggetti creditori dello Stato.
    Ma questo oggi non è possibile, per due motivi:
  - Le banche oggi sono in tilt, di loro. Lo vediamo dalle sofferenze (abbiamo detto in altre sedi anche delle gravi responsabilità della legge bancaria del 1993, quella che ha ridefinito le banche come "imprese orientate al profitto" e le ha configurate come "banche universali").
  A queste sofferenze, la BCE pensava di avere provveduto con alcune grosse iniezioni di liquidità, a loro favore. Ma queste sono state dirottate dalle banche per impieghi sicuri (per acquisto di Buoni del Tesoro), non per fare credito il sistema produttivo.
  Non potevano fare diversamente. Una banca non può, non deve, caricare su di se il rischio delle imprese, che domandano moneta. E infatti, in questa fase, il sistema produttivo non vende prodotti, per mancanza di domanda effettiva. Dunque è corretto che la banca non faccia anticipazioni di cassa. Peggio, le imprese non investono, per mancanza di luce in fondo al tunnel.
  Resta il fatto che la spesa, finanziata da imposte, va a rilento, e questo probabilmente spiega l'ulteriore aumento del debito fluttuante (BOT) (ossia, per  supplire a questa lentezza).
Torniamo a Draghi: la sistemazione delle banche non può prescindere da tagli chirurgici, se si vuole al ritorno (di quelle sane) al ruolo di anticipazione di cassa per le imprese, fornitrici dello Stato.

4. Come creare domanda effettiva ? Preso atto che, in questa fase, non è possibile fare assegnazione sulla spesa pubblica, anche perchè le banche sono fuori uso), l'unica via importante che resta è lo strumento fiscale, ma in modo tutto diverso: che è l'uso combinato (temporaneo) degli "sgravi - aggravi fiscali", in quanto ciò non ha effetti diretti sul bilancio, e invece importanti effetti economici.
  Anzi, proprio in questi giorni viene pubblicato da Domenico da Empoli (per i tipi dell'editore Franco Angeli, di Milano) un libro
("ATTILIO DA EMPOLI, 1904-1948, Uno studioso partecipe del suo tempo, a cura di M. Di Matteo e E. Longobardi, Convegno di Bari, Franco Angeli, Milano 2012). Dentro (tra i contributi di altri ) c'è un mio saggio sulla teoria degli "sgravi fiscali" nelle visioni di "equilibrio generale" e di "macroeconomia" di A. da Empoli e di E. d'Albergo.
   La via è  sgravare (in parte) i redditi medio-bassi, e recuperare il minor gettito gravando i redditi medio-alti, in sede IRPEF.
  Il motivo è che i primi hanno una propensione marginale al consumo che è maggiore di quella dei secondi (anzi questi non stanno spendendo, dice Draghi).
C'è un risvolto: l'azione amministrativa per il prelievo fiscale ha un costo, che nel caso dei redditi bassi, è maggiore del prelievo, e dunque si viene ad ottenere anche una economia di spesa amministrativa (a parte che gli esattori non la riconoscerebbero facilmente).
 
5. L'imposta patrimoniale sarebbe una alternativa valida, in confronto alla rimodulazione dell'IRPEF ? Per la re-immissione di danaro nel circuito produttivo, anche l'imposta patrimoniale può essere motivata dal fatto che i ricchi medio-alti stanno alla finestra, in attesa che si esca dalla crisi.
   Ma non abbiamo, in Italia, un corretto funzionamento del sistema tributario, a riguardo della conoscenza dei capitali immobiliari e mobiliari.
  - Nel caso dell'IMU, abbiamo già un sistema catastale cola-brodo. Per capirlo, occorre tener presente che il valore del capitale è calcolato moltiplicando la Rendita catastale per un "moltiplicatore". Se questo è 100, il tasso di interesse presupposto per il calcolo del moltiplicatore è 1%. Se il moltiplicatore è 160, il tasso di interesse  presupposto è 0,625%. Infatti, la formula di base della matematica attuariale è: C=R / i%, ove C è il Capitale, R è la rendita, i% è il tasso di interesse per l'attualizzazione della Rendita.
  Ciò ricordato, è facile osservare che il valore è calcolato facendo uso di due elementi, entrambi scorretti:
  - il tasso di interesse del mercato dei capitali è intorno al 5%, ossia relativamente molto maggiore, nella gran parte dei casi.
- i redditi catastali sono minori della realtà del mercato. Questo "errore" compensa, di fatto, i valori maggiorati per via dell'errato tasso di interesse.
  Domanda: è corretto rettificare un errore con un secondo errore ?
  - Nel caso dei capitali mobiliari, la via possibile sarebbe il valore di borsa, ma in questa fase, è una via impraticabile, dacchè la borsa è in tilt.
  Ne deriva che l'unica patrimoniale in qualche modo passabile è l'IMU, che è quella già esistente.
  Tuttavia, uno Stato serio dovrebbe evitare certi abusi (se vuole affrontare a testa alta gli evasori di altre imposta:
non tassare le seconde case sfitte, i ruderi, ..., sia per giustizia fiscale, a parte che sono "capitali" (spesso) di cittadini con redditi medio-bassi (il classico risparmio delle nostre famiglie, dopo il lavoro di una vita).
   Non si dovrebbe, poi, dimenticare che il reddito catastale fu inventato (vedi Einaudi, ecc. ) come media di redditi nel triennio (e dunque, anche per i casi di reddito=0, in un singolo anno). Per questo esso si sarebbe tassato con aliquota mite.
  Non mi pare che questo avvenga nel caso dell'IMU (in quanto essa è collegata al valore del capitale, basato reddito catastale).

6.-. Ma, tornando a Draghi, lo Stato non dovrebbe ridurre mai la spesa pubblica ? Una cosa è la politica congiunturale, una cosa è quella strutturale.
  Per l'Italia, il problema della transizione dallo Stato al Mercato è strategico e necessario. Lo abbiamo capito fin dalla caduta del sistema sovietico. Allora (1988) l'Italia era statizzata per il 60%, oggi siamo al 55%. Avevamo, già allora, gli stessi difetti, in proporzione.
   Nel 1994, con la discesa in campo di Berlusconi, in politica, molti avevano pensato che, la transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato fosse finalmente cominciata. Ma da allora è stato fatto troppo poco.
   Lo Stato imprenditore è anche una fabbrica di debito pubblico. Già più volte CATRICALA' (adesso al Governo con Monti) ci ha ricordato che siamo ancora molto indietro con le privatizzazioni delle imprese pubbliche.
  Ma, attenzione: non facciamo nuovi errori. La "gattina" frettolosa ha fatto i gattini ciechi. La Germania dell'OVEST ha impiegato 20 anni per inglobare nell'economia di mercato, la Germania dell'EST, dopo l'unificazione tedesca. NINO LUCIANI

 

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DI NUOVO LA RIFORMA UNIVERSITARIA IN PRIMO PIANO
MARTEDI' 14 GIUGNO 2021 ALLA COMMISSIONE CULTURA ALLA CAMERA
PER MODIFICHE ALLA LEGGE GELMINI

NINO LUCIANI, RIFORMA, COME ?
I SINDACATI, CONTRO !
LE UNIVERSITA' , COSA ?

 . 
1.-  La nuova proposta di legge si chiama:"
Modifiche alla legge 30 dicembre 2010, n. 240" vale dire la "legge GELMINI".
    Fu la legge che, sull'onda di insulti di parlamentari di FI (sotto si riferisce quanto avvenne in Senato) volle privatizzare (all'americana) l'università pubblica, tipo commissionare i compiti a progetto, dare in mano a pochi le gestioni (tipo abolire i consigli di Facoltà, per cui i professori sentivano il senso di appartenenza).
    Risultato? Aumentare la precarietà e nessuno sa quanto avviene. Unica certezza: il comando sta, a Roma, al Ministero del Tesoro, che dà ordini contabili
al Ministero dell'Università ma che (essendo fatto di burocrati con la sola laurea) non capisce niente dell'Università. Adesso ricomincia il giro.
  .

  2.- La sola alternativa che può funzionare è richiamare il DPR 382/1980 che aveva data la autonomia universitaria (prevista dalla Costituzione) e il ruolo unico della docenza, quale modo di dare eccellenza alla ricerca e alla docenza, e porre fine del precariato.
   Queste conquiste furono fatte nel 1980-89 grazie al dialogo tra il Comitato Nazionale Universitario e la DC, allora rappresentata da Giancarlo Tesini.
  I temi della lotta al precariato, che adesso sono ripresi, non possono aver luogo fuori di un quadro certo che restituisce la autonomia Universitaria e riprende il ruolo unico per completare quanto ancora non concluso per la stabilita' del personale docente e ricercatore, e dare risorse finanziarie di entita' dignitosa.

3.- Iintanto, il 28 aprile 2021, il governo ha fatto un decreto legge (correttivo di alcune conseguenze della legge Gelmini) che ha dato un po'
di ossigeno al martoriato precariato degli atenei, sempre poco, rispetto a quanto serve alle distruzioni creati dai governi berlusconi alla ricerca e alla docenza universitaria italiana (posti per progressione in carriera, dei ricercatori", ma non postper professore ordinario). clicca su: PIANO STRAORDINARIO

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RESTA IL FATTO CHE, IN COINCIDENZA CON LA RIFORMA PRINCIPE DI TUTTE LE RIFORME
(QUELLA CHE RIGUARDA LA RICERCA SCIENTIFICA E LA FORMAZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE)

DRAGHI NON COMPARE NE' DAVANTI NE' DI DIETRO.
SAREBBE GIUSTO FARGLI DUE DOMANDE :
a) RUOLO UNICO DELLA DOCENZA ?; b) AUTONOMIA UNIVERSITARIA ?

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PROPOSTA DI LEGGE, SOTTOPOSTA :
Modifiche alla legge 30 dicembre 2010, n. 240, in materia di abilitazione scientifica e di chiamata dei professori universitari, di reclutamento e status dei ricercatori e di dottorato e assegni di ricerca

Art. 1.

1. Nel titolo III della legge 30 dicembre 2010, n. 240, all'articolo 15 è premesso il seguente:

«Art. 14-bis. – (Istituzione del ruolo dei professori di terza fascia) – 1. È istituito il ruolo dei professori di terza fascia. 2. Accedono al ruolo dei professori di terza fascia i ricercatori di cui all'articolo 24 i quali, al termine del terzo anno del contratto di cui al comma 1 del medesimo articolo 24, ne fanno richiesta, previa valutazione positiva espressa dal dipartimento al quale afferiscono. 3. Al professore di terza fascia spetta il trattamento previsto per i ricercatori dalla tabella di cui alla lettera c) dell'allegato 1 annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, commisurato all'anzianità calcolata comprendendovi il periodo di servizio prestato come ricercatore a tempo determinato in base al contratto di cui al comma 1 del medesimo articolo 24».

Art. 2.

1. All'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, secondo periodo, dopo le parole: «di prima e di seconda fascia» sono aggiunte le seguenti: «e per quelle di ricercatore universitario»;

b) al comma 1, terzo periodo, dopo le parole: «dei professori» sono aggiunte le seguenti: «e alla qualifica di ricercatore universitario»;

c) al comma 3, lettera f), primo periodo, dopo le parole: «di prima e di seconda fascia» sono inserite le seguenti: «e di ricercatore universitario».

Art. 3.

1. All'articolo 18 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 3, le parole da: «comma 3, lettera b),» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»;

b) al comma 4, le parole: «comma 3, lettere a) e b)» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»;

c) alla rubrica sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «di prima e di seconda fascia».

Art. 4.

1. All'articolo 19 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

«3-bis. I dottorandi di ricerca dell'area medica già specialisti che frequentano attività di formazione presso le aziende ospedaliero-universitarie sede del dottorato, a domanda e su parere favorevole del direttore del corso di dottorato, del direttore dell'unità operativa complessa di riferimento e della direzione sanitaria dell'azienda ospedaliero-universitaria, possono svolgere attività assistenziale esclusivamente all'interno dell'azienda ospedaliero-universitaria di riferimento. Per il periodo di svolgimento dell'attività assistenziale essi sono equiparati ai dirigenti medici di primo livello e hanno diritto a un'indennità aggiuntiva all'importo della borsa di studio da essi percepita, pari alla differenza tra quest'ultima e il trattamento retributivo minimo previsto per la dirigenza medica».

2. All'articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n. 210, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. I corsi di dottorato di ricerca forniscono le competenze necessarie per esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di coordinamento e direzione di ricerca di alta qualificazione. Il titolo di dottore di ricerca costituisce titolo necessario per l'accesso al ruolo di ricercatore a tempo determinato e titolo preferenziale nelle procedure di valutazione comparativa per la progressione della carriera accademica»;

b) il comma 6-bis è abrogato.

Art. 5.

1. All'articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 8 è inserito il seguente:

«8-bis. I titolari di assegno di ricerca dell'area medica già specialisti che frequentano attività di formazione presso le aziende ospedaliero-universitarie sede dell'attività di ricerca, a domanda e su parere favorevole del direttore del dipartimento universitario al quale afferiscono, del direttore dell'unità operativa complessa di riferimento e della direzione sanitaria dell'azienda ospedaliero-universitaria, possono svolgere attività assistenziale esclusivamente all'interno dell'azienda ospedaliero-universitaria di riferimento. Per il periodo di svolgimento dell'attività assistenziale essi sono equiparati ai dirigenti medici di primo livello e hanno diritto a un'indennità aggiuntiva all'importo dell'assegno di ricerca da essi percepito, pari alla differenza tra quest'ultimo e il trattamento retributivo minimo previsto per la dirigenza medica»;

b) il comma 9 è abrogato.

Art. 6.

1. All'articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, primo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «di durata triennale»;

b) al comma 2, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b) ammissione alle procedure dei soggetti in possesso del titolo di dottore di ricerca e dell'abilitazione scientifica nazionale per le funzioni di ricercatore universitario»;
c) il comma 3 è abrogato;
d) il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. I contratti di cui al comma 1 sono svolti in regime di tempo pieno. L'impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti è pari a 350 ore»;
e) al comma 5, il primo e il secondo periodo sono sostituiti dai seguenti: «Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di svolgimento del contratto di cui al comma 1, il titolare del contratto stesso è valutato da parte del dipartimento al quale afferisce. In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori di terza fascia»;
f) i commi 5-bis e 7 sono abrogati;
g) il comma 8 è sostituito dal seguente:
«8. Per il trattamento economico dei ricercatori universitari si applica la tabella stipendiale di cui all'allegato 3 annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232»;
h) il comma 9 è sostituito dal seguente:

«9. I ricercatori dell'area medica confermati e quelli non confermati, a richiesta, possono svolgere attività assistenziale all'interno del dipartimento al quale afferiscono, con equiparazione ai dirigenti medici di primo livello»;
i) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Ricercatori universitari».

 

Il DPR n. 382/1980 e la AUTONOMIA, le rivoluzioni conquistate e tradite
della ORGANIZZAZIONE UNIVERSITARIA DELLA DOCENZA E DELLA RICERCA

GIANCARLO TESINI E CNU - COMITATO NAZIONALE UNIVERSITARIO

1.- Il DPR n. 382/1980 fu la grande rivoluzione nella ORGANIZZAZIONE UNIVERSITARIA DELLA DOCENZA E DELLA RICERCA.
La riforma fu condotta da G. TESINI (della DC) in metodico dialogo con il CNU - Comitato Nazionale Universitario, rappresentazione unitaria dei sindacati universitari autonomi. Unico neo, devo dire, fu l'esclusione dell'USPUR dalle trattative, con conseguenze gravi, quali il sabotaggio successivo della liberalizzazione della docenza, sabotaggio a danno dei professori associati. Ma non voltiamoci, indietro. Poi, nel 1989, arriverà, con Antonio Ruberti, l'autonomia universitaria, disposta dalla Costituzione, art. 33.

2.- Questo vuole dire che l'Università doveva essere fondata su un ruolo unico di professori di ruolo (il professore Ordinario) che guida la ricerca e la didattica. Intorno al professore c'erano i tradizionali Assistenti ordinari, convertiti in "ricercatori" (intesi con qualche indipendenza giuridica) e figure in costruzione relativamente brevi, verso la posizione del ricercatore. Il rapporto tra numero di ricercatori e numero di professori ordinari doveva essere preordinato e ragionevole in modo che le aspettative di carriera fosser realistiche, nell'interesse della società civile.
Quando ho lasciato l'università (2009) i professori e ricercatori di ruolo erano 63.000; oggi sono 55.426.
  Il FFO Fondo di Finanziamento Ordinario nel 2009  era 7,5 milioni di euro; oggi (2021) è di 8,2 milioni di Euro. Ma voglio ricordare che nel 2002 (inizio dell'Euro) fu di 6,2 milioni e, siccome in quell'anno i prezzi raddoppiarono, ben si capisce che in quell'anno i professori divennero poveri, e che cifra attuale (8,2) è ben lontana dal raddoppio necessario per adeguarlo al 2002. Poi con la legge 240/2010 (legge Gelmini) è stato deteriorato tutto in peggio.

3.- Veniamo alla situazione attuale del personale docente e ricercatore.
La tabella pubblicata dal Ministero dell'Università è ben lungi dall'essere sincera, ma vi ho provveduto io grazie all'ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica). Si nota che, mentre (in base al DPR 382/80) via via con il tempo ci sarebbe dovuta essere una sola categoria di professore, e una sola categoria di ricercatori, nel 2021 ci sono ancora le due categorie di professori (ossia ordinari e associati), e tre categorie di ricercatori (a tempo indeterminato, di tipo A, di tipo B); a cui vanno aggiunti gli innumeri "avviati alla ricerca e alla docenza" (denominazione mia) costituiti da "borsisti", "assegnisti" e quant'altro (la fantasia non manca). POSCRITTO.
A fianco del disegno di legge sullo stato giuridico, va menzionato un decreto del governo, del 28 aprile 2021, che si preoccupa di agevolare l'immissione in ruolo di categorie a lungo tenute in parcheggio: sono i ricercatori delle varie distinzioni.

4.- Qui l'aspetto più tragico è dover constatare che, alla faccia della autonomia universitaria (rimasta nella Costituzione), i posti sono regolamentati direttamente dal Ministero dell'Università, che da Roma "capisce poco" e, che pur con questo, vuole dire e fare.
Non finisce qui. A Roma c'è un ulteriore comando sull'Università, che è il Ministero dell'Economia, e che, pur capendoci ancor meno del MUR, condiziona lo condiziona rigidamente.

5.- Sul modo di comandare, da Roma, sulle università. Nella legge Gelmini le università vanno finanziate in base al costo standard per studente sia pur opportunamente ponderato.
Ma esiste il costo standard di una singola merce, non il costo unico di riferimento per un bene composito, nelle varie città, ben diverse l'una dall'altra). A suo tempo, questo costo fu dichiarato incostituzionale, in seguito ad un ricorso dell'università di Macerata. Ma non ho più seguito come sia andata a finire.

6.- Concludo. In questa storia, assai pesa per la ricerca scientifica e la formazione della classe dirigente, DRAGHI non compare mai.
Ritengo che, dovendo egli avere gli Euro della UE solo facendo le riforme, questo vuoto nella massima riforma non sia bello. Ma non sento e non vedo. DRAGHI, SE CI SEI, BATTI UN COLPO. DIREI CHE VADA RIPRESO TUTTO DAL PRINCIPIO E PRECISAMENTE RIMETTERE I CRITERI DEL DPR 382/80 E RIMETTERE LA AUTONOMIA UNIVERSITARIA.

ANCHE UNA STORIA DEL MIUR,
MOLTO FUORI BINARIO

1.- Precariato, fenomeno ciclico italiano ogni 20 anni: 1977, 1997, 2017. Sul finire degli anni '70, l'accumulo di precariato era già una malattia endemica, trascinata da 10 anni. E' già di allora l'invenzione della categoria dei "professori stabilizzati", dato il precedente blocco dei concorsi a professore ordinario, e la crisi della libera docenza. Poi, l'assistente ordinario era licenziato, se, entro 10 anni dalla immissione in ruolo, non diventava Libero Docente).
Si arrivò all'idea di una radicale riforma universitaria (divenuta il DPR 382/1980), con la possibilità di una immissione in ruolo, per tutti, in una gradualità, e con la creazione di nuove figure accademiche:
- il ricercatore divenne solo "ricercatore" (in luogo di assistente ordinario e portaborse), autonomo dal professore ordinario, e non licenziabile. La libera docenza fu abolita;
- fu istituito il professore associato, professore di ruolo autonomo (ma con divieto di carriera nei poteri accademici, salvo per piccole cose), con immissione immediata per titoli, per tutti i docenti precari (e, in seguito, mediante un regolare concorso);
- il professore ordinario restava la figura apicale classica per chi superasse un regolare concorso. Era, poi, prevista una corsia preferenziale, nei successivi concorsi a prof. ordinario, per i professori associati novennalisti. Quella riforma apparve, fin da subito, ben fatta, e aperta ad un periodo di lunga stabilità per l'università.
Soprattutto essa fu "costruita con l'università" (come confermato in un recente convegno del CNU, e raccontata recentemente, da Giancarlo Tesini, allora responsabile dell'ufficio scuola della Democrazia Cristiana), non contro l'università, come dai governi Berlusconi, recentemente.
2.- Ma poi come andò a finire ? Anche allora, finì come lamentato oggi dai due pre-ricercatori.
I professori ordinari (raccolti nell'USPUR, il loro sindacato) ostacolarono la norma dei novennalisti, e questo indusse i professori associati a coalizzarsi per denunciare anomalie dei concorsi (così nacque il CIPUR di Salvatore Sorriso, di Perugia). Addirittura, nella Facoltà di Giurisprudenza di Roma "La Sapienza" non fu mai chiamato nessun professore associato.
Non solo questo. Il DPR 382 prevedeva un concorso ogni 2 anni. In realtà ne furono fatti 3, dei 9 previsti nel 1980-98. E questo generò una nuova ondata di precari a tutti i livelli.
Le nuove assunzioni ricominciarono solo nel 1998, con una nuova legge 210, sui concorsi, che facilitò le assunzioni locali.
Questo ritardo determinò la emarginazione di una intera generazione di professori associati, in quanto i rispettivi maestri (potenziali membri di commissione giudicatrice) erano via via usciti dalla università (per collocamento a riposo). I commissari subentranti, più giovani, anzichè guardare solo al merito, privilegiarono i loro allievi (i giovani ricercatori, di allora), a diventare prof. ordinari.
Con i governi Berlusconi (Moratti, 2008; Gelmini 2010) c'è stato, poi, un nuovo blocco dei concorsi, e addirittura la soppressione di oltre 10.000 posti. Questo fatto ha rilanciato una grave invivibilità tra ricercatori e professori, e la esasperazione di un nuovo precariato, specialmente tra i giovani ricercatori, con un massimo previsto per il 2017;  anche chiusura verso l'esterno.
C'è dell'altro: la esasperazione dei problemi interni di turnover ha indotto i professori a una netta chiusura verso l'esterno, dove non mancavano validissimi aspiranti alla carriera universitaria. Un nome illustre, sacrificato, fu l'ambasciatore SERGIO ROMANO, storico.
Chi volesse farsi una idea del veleno esterno contro l'università, accumulato negli anni, e scaricato su di essa, vegga il resoconto del dibattito, in Senato, del 28 luglio 2009, per la legge Gelmini.
3.- Conclusione. Oggettivamente, dai fatti risulta che i mali dell'università sono stati procurati dai professori e ricercatori, per incapacità di risolvere correttamente il problema del turnover.
Arriviamo alle cattedre Natta: un colpo di mano del MIUR, in una notte d'estate, dato il permanente contrasto tra gli addetti alla università: vale dire il MIUR ha risolto il problema sostituendosi ai professori, e questo è esattamente il contrario dell'unversità.

4.- Ma altro è la responsabilità oggettiva, altro è quella soggettiva. Su questo va tirato in ballo il MIUR. Se guardiamo un campo di football, e troviamo che i giocatori si azzuffano, di chi è la colpa ? Di solito, l'indisciplina dei giocatori è una causa delle deviazioni .
Le deviazioni furono estreme, e dunque ci deve essere stato qualcos'altro. Nel caso del football, lo scenario è ideato in modo che si svolga una partita regolarmente, con il concorso di un arbitro, ne cives ad arma ruant. E se l'arbitro sa fare il suo mestiere, e i giocatori sono collaborativi, il gioco funziona. Dobbiamo parlare del MIUR. Non ricordo il numero infinito di colloqui che tutti i sindacati hanno avuto al Miur. Ma andiamo per gradi, e distinguiamo l'Amministrazione, dai politici (governo e parlamento).
a) I politici del parlamento erano, per tradizione, poco competenti, salvo alcuni in Commissione Cultura/Istruzione, ma in aula guardati come marziani da non considerare assolutamente, oltre che dal ministro del Miur.
Questa idea del parlamento è mia. Ma l'idea di Giovanni D'Addona (a suo tempo, Direttore Generale, Capo Dipartimento del MIUR, per lunghi anni, seguìto dott.ssa Olimpia Marcellini e poi da Antonello Masia e via ...) era catastrofica: "Assolutamente inconcepibile che parlamentari possano fare una riforma universitaria".          

                  CONTINUA

CONTINUA L'ho conosciuto a suo tempo, quando ero vice-presidente nazionale del CIPUR, associazione fondata da Salvatore Sorriso, e che allora contava qualcosa. Poi, si deve sapere che, prima di trattare qualsiasi argomento, i membri della Commissione Cultura/Istruzione erano "istruiti" da un funzionario del MIUR e, se qualcuno osava mettersi di traverso, erano i guai suoi. (Ne sa qualcosa il deputato Mario Pepe, medico e ricercatore universitario, al quale neppure i rapporti con Berlusconi furono di sufficiente soccorso). Ne deriva che la ricorrente rissa di campo universitario (tra professori, ricercatori...) era frutto della incapacità dell'arbitro (miur) che ha fatto pessime leggi universitarie. b) Non solo questo: leggi fatte male male e applicate in modo perverso. Basti pensare che le leggi erano, di solito, solo abbozzate e rinviate al regolamento per l'attuazione, vale dire rinviate al MIUR per il dettaglio e che, poi, li tratteneva per anni, prima di fare il regolamento attuativo. C'è stato anche che alcune leggi furono applicate all'incontrario di quanto disponevano. Il caso più grave fu quella sui mega-atenei (D.P.R. 25 luglio 1997, n.306). Essa disponeva che un ateneo con studenti di numero superiore a 40.000 dovesse essere frazionato, e altrettanto una Facoltà con più di 7000 studenti. Ma, come si dice: "fatta la legge, trovato l'inganno". Nel 1997-98 (per quanto ricordo... ero consigliere di amministrazione nell'unibo) venne a Bologna Giovanni D'Addona, e qui l'idea che maturo' fu che, se Bologna avesse ceduto studenti (allora erano 120.000) alla Romagna (candidata a costituire 5 sedi decentrate, ben lontane tra loro), si sarebbe ottenuto di fatto il risultato di smagrire Bologna. Sul piano storico, Bologna si è fermata sugli 80.000 studenti, non scese mai sotto i 40.000. Le 5 sedi decentrate sono sedi mai divenute università sufficienti autonome, con l'aggravante di risultare un pozzo finanziario senza fondo e una pessima didattica, e quasi niente ricerca. Altrettanto è avvenuto in Italia, dove la proliferazione degli atenei avvenne in modo generalizzato (con la benedizione del Miur-D'Addona). Quali ricadute sui professori ? Mi pare ovvio che, per l'applicazione della legge, essi abbiano collaborato in prima persona, dunque risultarono colpevoli, anzi unici colpevoli del pozzo finanziaro senza fondo. Ma la verità vera era ben diversa: la colpa primaria era dell'arbitro (MIUR). Nel corso degli anni, nei miei numerosi incontri al Miur, ho anche constatato che i ministeriali non conoscevano l'università se non per quanto l'avevano vista da studenti. Con l'aumento della spesa, è arrivata una severa stretta di bilancio dopo il 2008, ma troppo. Ricordo che nel 2002 il FFO fu di € 6,2 miliardi, e oggi è poco più di € 7 miliardi, pur se i prezzi sono raddoppiati, da allora. c) Non solo questo. Va messa sul piatto, come causa di rovina qualitativa dell'università, la riforma delle lauree "3+2". Risulta che le aziende, tuttora, siano insoddisfatte della laurea breve triennale, e dunque da riportare a 4 annni. Circa le responsabilità del proponente, esse furono scaricate su Luigi Berlinguer (ministro), non sul Miur. In verità la cosa non è stata mai chiarita 5) Con la legge Gelmini è arrivato il finanziamento in base al costo standard per studente frequentante. Esso è l'ultimo ritrovato diabolico, non perchè errato quale principio di efficienza, ma perchè calcolato in modo non controllabile dagli Atenei. Non esiste il costo standard di strutture complesse, ma di singoli componenti (es., il costo di una siringa). Invece per il Miur, questo costo va calcolato, per corsi di studio, secondo tipologie teoriche di dimensioni di aule, di rapporto tra studenti e professori ..., riferibili ad atenei da costruire e far funzionare ex-novo. Ma un edificio di Palermo ha un costo ben diverso, rispetto a Milano...e non è omogeneo rispetta quello di Milano. Esiste invece il costo della impresa rappresenativa (Alfredo Marshall), e non può prescindere dall'analisi dei costi storici, università per università, per risalire infine alla individuazione della università rappresentativa virtuosa. Clicca su: Costo standard. Rispetto alla nuova situazione creata dal Miur, le università si trovano impreparate ed impossibilitate a reagire, e dunque esposte a difficoltà insuperabili, finchè il costo standard sarà maledetto e si comincerà con un nuovo ciclo. 5.- Per rimettere in piedi l'università, si dovrebbe ripartire dalla legge Ruberti, (finalmente) utilizzando i bilanci universiari. Mi risulta che il MIUR non analizzi i bilanci delle singole università, e neppure ai fini della contabilità nazionale. Penso che si dovrebbe riprendere la legge Ruberti, per l'autonomia universitaria, e aggiungere l'autonomia di entrata, oltre che l'obbligo del pareggio del bilancio, e inoltre il controllo della Corte dei Conti sia sul bilancio preventivo, che consuntivo. L'autonomia di entrata (per quanto riguarda i rapporti con il Miur) dovrebbe stare nel fatto che gli atenei fissino (in base ai propri bilanci) il proprio costo standard per studente, come una qualunque scuola fissa la propria retta scolastica. A quel punto, il miur concorda con gli atenei la quota (di costo standard) da accollarsi, a seconda delle politiche scolastiche del governo, regione per regione, e indirizzo scolastico.

....

EDIZIONI PRECEDENTI

.L'ITALIA IN CERCA DI UN PROGRAMMA, DOPO LE ELEZIONI POLITICHE 2018

MA RIMANE LA PALLA AL PIEDE DEL DEBITO PUBBLICO, MOLTO ALTO, TROPPO ALTO
Fonte: http://ec.europa.eu/economy_finance/eu/public_finances/faq_fiscal_sustainability_report_2015_en.pdf.

 

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J.P. Juncher, Presidente Commissione Europea

.COME CIRCOSCRIVERNE GLI EFFETTI DI RISCHIO,
dopo il flop del Governo Berlusconi nel 2009

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1) La UE non crede alla sostenibilià fiscale dell'Italia, causa l'alto debito pubblico; e l'obbligato aumento della spesa pubblica per le future pensioni sociali di vecchiaia. ( A queste si attacca, come cigliegina, la pressione sociale per il  "reddito di cittadinanza" e per la "flat tax" ).

2) Nessuno può tirare fuori dal cappello quello che non c'è. Nè è pensabile di provvedere con aumenti automatici dell'IVA, avendo l'Italia già una pressione fiscale sopra le righe.

3) In questo servizio mi propongo di indicare una via minima per il calcolo certo delle entrate disponibili, dopo avere messo in sicurezza il debito.

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Coalizione centro-destra: Salvini-Berlusconi-Meloni

Anche una antifona di Mattarella circa il legame Italia-Europa: breve stralcio del Discorso di Mattarella alla Columbia University (2016)
Per il testo completo clicca su: http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=269

PROPOSTA

1.- Considerato che il debito pubblico (133% del PIL) crea problemi di sostenibilità del sistema finanziario dello Stato (per il rischio di improvvisi sbalzi dei mercati finanziari) si potrebbe fare un piano di ammortamento in 25 anni (per la messa in sicurezza) alimentato da una percentuale del gettito fiscale, da destinare al pagamento del debito.
2.- Se si valuta sufficiente garantire il debito eccedente il 100% del PIL, la cifra è di € 544 miliardi e la percentuale suddetta sarebbe 8,5%, al tasso di interesse del 5%; oppure è 6,9% al tasso di interesse del 3%. A quel punto, il minore gettito fiscale restante è quello destinabile al programma.
3.- Ma va da se che, diminuendo il gettito disponibile, e volendo anche ridurre la pressione fiscale bisognerà anche mettere mano a riforme strutturali dello Stato. La serie storica del debito (vedi sotto) segnala il 1977, come inizio della deriva. Fu l'anno di avvio dell'ordinamento regionale (?).
4.- Nota. E' invece costume dello Stato italiano pagare il debito in scadenza con accensione di nuovo debito. Una famiglia per bene non pagherebbe mai cambiali accendendo nuove cambiali. In questo malcostume sta l'origine della montagna dei debiti che strozzerà l'Italia..

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Sergio MATTARELLA, “Leadership in the age of change: managing current  development in the Mediterranean through Europe" (a proposito del rapporto tra Italia e UE).
Breve stralcio dall'Intervento alla Columbia University, USA, 11/02/2016
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   L'Unione Europea è il risultato di un lungo e vitale processo ed è la sua progressiva integrazione che ha consentito agli europei di vivere un periodo di pace e di sviluppo sociale, culturale ed economico, veramente unico e di creare un'area di attrazione divenuta preziosa, come, da ultimo, si sono incaricati di dimostrare gli eventi successivi alla caduta del Muro di Berlino.
   E' una storia che ha prodotto diritti e accresciute tutele per tutti. Che ha generato sicurezza e offerto un modello di convivenza plurale.
   Sono traguardi ai quali non possiamo rinunciare.
   Nel mondo multipolare nel quale viviamo, la partnership atlantica rimane un punto di riferimento essenziale e, nel suo ambito, l'Europa deve saper assumere le proprie responsabilità. E, in questo quadro l'Unione Europea non può cedere alla tentazione di indebolire la propria coesione.
   Gli elementi di instabilità presenti ai suoi confini suggeriscono, al contrario, il rafforzamento di politiche attive di vicinato, di politica estera e di difesa. Suggeriscono la attivazione di rapporti di collaborazione feconda con le organizzazioni regionali presenti sul Continente africano per realizzare un futuro sempre più condiviso.
   Oggi agli Stati Uniti e all'Unione Europea, alla comunità transatlantica, si chiede di esercitare una leadership all'altezza della comune tradizione.
  In questo quadro generale, l'Italia sta operando in coerenza con i principi basilari che ispirano la sua politica estera, europeismo, atlantismo, multilateralismo, per contribuire ad affrontare e sciogliere i nodi che abbiamo di fronte, con spirito propositivo e convinzione.  
   L'Italia attraversa un periodo di cambiamento, sotto il profilo sia politico sia economico.
   Dopo anni di dibattito, il Parlamento sta per approvare definitivamente un'importante riforma della Costituzione ( poi, non approvata dal Referendum . NdR) che trasforma il ruolo del Senato da seconda Camera politica - con le medesime attribuzioni della Camera dei Deputati - in Assemblea rappresentativa delle Regioni e dei poteri locali.

NINO LUCIANI, Come circoscrivere gli effetti del debito pubblico, e come interrogare il grafico storico (1961-2017).

I.- PREMESSA. Dal punto di vista economico di Scienza delle Finanze, l'entità delle delle risorse disponibili è un dato vincolante per il programma dei servizi, e ogni partito può avere legittamente gusti diversi.
Diverso è, invece, il giudizio sulle risorse effettivamente impiegate, che deve essere minimo, tra le alternative ipotizzabili , per i vari servizi-obiettivo.
Nel caso del debito pubblico, ci sono ragioni per ritenere che la sua entità non sia un minimo, e stupisce il fatto che la Corte dei Conti non lo abbia mai rilevato.
 Nel caso italiano, la costosità del debito è dovuta al modo precario, come si provvede a pagarlo, alla scadenza.
  Ma andiamo per gradi. In generale il saldo negativo di bilancio (coperto con il debito) è riferibile a due casi principali:
a) le spese correnti superano le entrate correnti, e ciò determina un disavanzo in conto corrente, coperto con il debito o con una imposta straordinaria (di solito non applicata per la ordinarietà);
b) sono in scadenza dei debiti pregressi, e ciò determina un disavanzo, in conto capitale, che va coperto con il debito o con una imposta (di solito non applicata per l'ordinarietà).
2.-  Copertura con il debito, come ?
Nel caso dell'Italia sono previsti due modi:
- con un Fondo di ammortamento da alimentare con la vendita degli immobili dello Stato. (Ma dalle relazioni del Ministero delle Finanze risulta che, in 19 anni (1995-2015), il fondo ha ammortizzato il debito per soli € 170 miliardi ... causa ostacoli impossibili alle vendite... soprattutto il fatto che i Comuni non concedono facilmente i cambi di destinazione);
- con accensione di nuovo debito. Questa modalità, associata al fatto che l'entità del debito è di solito molto grande, è per sua natura insicura, circa la raccolta, a parte i rischi da turbolenze dei mercati finanziari.
  Nel caso della UE,poi, l'ombrello della BCE (vale dire l'acquisto dei titoli pubblici non collocati presso il pubblico) è proibito ufficialmente, pur se non sono mancati modi "temporanei" equivalenti, tipo il Fondo Salva Stati (ma accompagnato da accordi severi al rientro tra BCE e gli Stati), o tipo operazioni della BCE sul mercato aperto (val dire acquisto indiretto di titoli pubblici).
3.- Conclusione. Una famiglia per bene non paga il debito con nuovo debito con nuovo debito, ma con un piano di ammortamento con rispettive rate annuali, compatibili con il proprio reddito.
  Penso che anche uno Stato per bene dovrebbe fare la stessa cosa, e se così è, il rischio di insolvenza viene ad essere radicalmente ridimensionato, e la UE non abbia più nulla da dire...
  Vediamo meglio: come potrebbe essere un Piamo di ammortamento del debito pubblico in Italia ?
  Poniamo che l'obiettivo sia di riportare al 100% del PIL il debito da coprire nel modo tradizionale, e invece di sanare l'eccedenza con un vero e proprio piano di ammortamento (poniamo 25 anni, al tasso di interesse del 5%).
  Nel caso dell'Italia l'eccedenza da ammortizzare sarebbe di € 544 miliardi, con una rata annuale di € 39 miliardi, pari al 8,5% del gettito fiscale (€ 450 miliardi annui).

 

debito-pil-storico-orizzzontale.jpg (108038 byte)

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EDIZIONI PRECEDENTI

Grafico 2 - 0,23 12000 irpef.JPG (87560 byte)

berlusconi-colpa di.jpg (17978 byte)
Silvio Berlusconi

RIFORMA dell'IRPEF -
Verso la FLAT TAX di Silvio BERLUSCONI ?
La vecchia idea del mio amico Antonio MARTINO
La combinazione (aliquota fissa 23% e detrazione di € 12.000 per tutti i redditi) ha
per risultato un'imposta progressiva continua, tendente al 23%, senza mai arrivarci.


Nel servizio, subito sotto:
Si vegga anche
DEBITO PUBBLICO ITALIA: COME RISOLVERE

Martino A.jpg (5521 byte)
Antonio Martino

LUCIANI: Questa imposta ha senso come traguardo per fine legislatura, grazie ad economie di spesa, via via con la riforma dello Stato, in una gradualità. Essa è ottima tecnicamente, perchè è semplice da applicare ed è progressiva, con scaglioni non  per salti, ma infinitesimali. Si potrebbe applicarla fin da subito con una aliquota fissa del 33%, ferma la detrazione di € 12.000 per tutti i redditi, perchè darebbe un gettito vicino all' IRPEF attuale. Si vegga il grafico 3, sotto. ________________________________________________________________________________________________________________________

a) In questo servizio mi propongo una breve riflessione sull'IRPEF attuale in Italia in confronto con l'IRPEF come sarebbe trasformata in base alla proposta di BERLUSCONI, nota come FLAT TAX, con una aliquota unica del 33% su tutti redditi, ma con una fascia di esenzione di € 12.000 per tutti. Segue nel servizio, più sotto, un inquadramento del debito pubblico in Italia .
b) L'IRPEF è la principale imposta in Italia, con un gettito del 38% del totale entrate tributarie. Essa si ispira ad un principio della uguaglianza del sacrificio tra i cittadini, per cui un ricco deve pagare più che in proporzione al reddito (art. 53 Costituzione), in base alla ipotesi che, ad es. 1000 euro pagati da un povero determinino un sacrificio maggiore di 1000 euro pagati da un ricco.
c) Questo criterio ha alcuni difetti (oltre i suoi pregi equitativi ) :

  Esso sacrifica il principio secondo cui l'imposta va pagata in base al costo dei servizi pubblici usufruiti.
  Essa, inoltre, trascura il fatto che nessuno è obbligato a lavorare e investire, se l'imposta è sproporzionata rispetto ai servizi pubblici effettivamente fruiti e disponibili. In questi casi si incentiva la evasione fiscale, la elusione fiscale, e si disincentiva il lavoro e l'impresa per i percettori di alti redditi.
d) Qui di seguito è esaminato il caso della FLAT TAX, nel programma di FI - Berlusconi, che prevede una aliquota unica del 23% sul reddito, dopo aver detratto € 12.000, per tutti.

  Si tratta di una proposta rivoluzionaria di estremo valore civile, purchè percepita con intelligenza: non quello dell'abbattimento fiscale improvviso, dopo le elezioni, ma quello di un traguardo per fine legislatura, dopo una serie di riforme dello Stato, in una gradualità temporale, appena accennate nel programma di Berlusconi, che andrebbero dichiarate, anche se impopolari.
  - Nel caso dell'Italia, il nodo (penso) è creare un solo ente intermedio tra lo Stato e i Comuni, e abolire la delega di gestione del Servizio Sanitario Nazionale alle Regioni, e da riportare alle Regioni. Questo taglierebbe la principale fonte di mangerie dei partiti, e permetterebbe di uniformare il servizio sanitario in tutto il territorio nazionale.
  - Occorrerebbe, inoltre, non tanto abolire varie partecipazioni di enti territoriali a imprese societarie, ma vincolare queste al pareggio del bilancio sul mercato, esclusa quindi ogni forma di copertura dei disavanzi di bilancio a carico di enti territoriali pubblici (questo criterio è tipico del socialismo di mercato, ad es. come per le ferrovie dello Stato in Italia, e come in Cina su larga scala ).
e) Tuttavia, un segnale fiscale potrebbe essere dato fin da subito, applicando una flat tax con aliquota 33%. La curva del gettito sarebbe vicina quello dell'IRPEF attuale (si vegga il grafico 3), ma meno pesante per i bassi redditi e per gli alti redditi. Dal punto di vista degli effetti sul lavoro, questa sarebbe un gran cosa.

f) Ultimo ma non ultimo: c'è anche una storia di troppe "piccole tasse", numericamente, sulle comuni imprese individuali, che finiscono per costare allo Stato (come spese amministrative di accertamento e riscossione) più del gettito e da unificare più che da abolire, a parte alcune anche poco giustificate, visto che in un paese civile (come modalità principe) c'è già l'imposta personale sul reddito (IRPEF).

graf 1.1 irpef 0-8000.jpg (96737 byte)IRPEF 2018- Aliquote attuali per scaglioni

REDDITO PERSONALE
(= somma di tutti i redditi
ALIQUOTE
0 - 15.000 23%
15.001-28.000 27%
28.001- 55.000 38%
55.001-75.000 41%
Oltre 75.000 43%
Nota. Dentro la IRPEF, esistono varie forme di sgravio: es. una fascia esente di € 8.000 (circa) per il lavoro dipendente e assimilato, varie deduzioni dal reddito a vario titolo (spese sanitarie...), varie detrazioni dall'imposta.....
Vanno aggiunte addizionali nel limite del 3% per le Regioni, e dello 0,8% per i Comuni (con eccezioni: Roma 0,9%).
La contabilizzazione dell'imposta risulta complicata, per cui vanno aggiunte spese per valersi di un commercialista.
Il grafico, qui sopra, ipotizza la regola generale con sgravio di € 8.000, ma senza altre esenzioni (deduzioni e detrazioni), e senza addizionali.

                     Le 28 IMPOSTE E TASSE attuali, per una impresa individuale "tipica"

1.- Addizionale comunale sull'Irpef
2.- Addizionale erariale tassa automobilistica per auto di potenza >185 kw
3.- Addizionale regionale sull'Irpef
4.- Bollo auto
5.- Canoni su telecomunicazioni e Rai Tv
6.- Cedolare secca sugli affitti
7.- Contributi consorzi di bonifica
8.- Contributi INPS
9.- Diritti catastali
10.- Diritti delle Camere di commercio
11.- Imposta di bollo su cc
12.- Imposta di registro e sostitutiva
13.- Imposta municipale propria (Imu)
14.- Imposta plusvalenze cessioni azioni (capital gain)
15.- Imposta regionale sulle attività produttive (Irap)
16.- Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef)
17.- Imposta sul valore aggiunto (Iva)
18.- Imposta sulle assicurazioni
19.- Imposta sulle assicurazioni Rc auto
20.- Imposta sulle patenti
21.- Imposta sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax)
22.- Imposta sull'energia elettrica
23.- Imposte su assicurazione vita e previdenza complementare
24.- Imposte sulle successioni e donazioni
25.- Ritenute sugli interessi e su altri redditi da capitale
26.- Tassa smaltimento rifiuti (TARI)
27.- Tributo per i servizi indivisibili (TASI)
28.- Tributo speciale discarica

SULLA RIFORMA DELL'IRPEF NEL PROGRAMMA DEL PARTITO "FORZA ITALIA"
http://dait.interno.gov.it/documenti/trasparenza/Doc/52/52_Prog_Elettorale.pdf
http://dait.interno.gov.it/elezioni/trasparenza

Nino Luciani, Non trascurare la lRPEF di Berlusconi, ovvero la sua FLAT TAX, ma quale obiettivo finale di legislatura, in associazione al taglio della spesa pubblica (intendi: riforma dello Stato), in una gradualità.

1.- Tutti i programmi dei partiti hanno come carattere, che più eccelle, un lungo elenco di benefici che i partiti promettono agli elettori, a carico della GRANDE MUCCA da mungere, e che è lo Stato.
Perfino le varie imposte che, oggettivamente, sono oneri sulla società civile, sono proposte come benefici, e il modo di farlo è di proporne l'abbattimento. Il caso più memorabile è quello del dimezzamento dell'IRPEF, nel programma di Berlusconi, sotto la veste di  "FLAT TAX" (imposta piatta), ma che, nel caso specifico è una "imposta progressiva per detrazione", ottenuta associando una aliquota fissa (23%) sul reddito, ad una esenzione fissa di Euri 12.000 per tutti i redditi. Tecnicamente l'imposta T è calcolata del seguente modo:
T = t * (R - K) , in cui t=0,23, e K=12.000.
Questi parametri (23% e 12000) non sono scritti nel programma, ma dedotti da fonti giornalistiche, vicine a FI .
La progressività per detrazione ha avuto, a suo tempo, un grande sostenitore nel Presidente americano Donald Reagan. In Italia, il suo maggiore sostinitore è Antonio Martino (ma che Berlusconi inviò al Ministero della Difesa, in luogo al Ministero delle Finanze).

2.- Qui sono sotto riportati alcuni grafici. Nel Grafico 1.1 è descritto l'andamento della IRPEF attualmente in vigore in Italia.
Essa è una imposta progressiva per scaglioni, con esenzione di € 8000 circa per i lavoratori
dipendenti e assimilati. Il grafico considera questi redditi (non anche il caso di chi non ha questa esenzione) .
  Nel grafico 2 è descritto l'andamento della irpef di Berlusconi. Si vede un calo drastico del peso fiscale individuale che, ovviamente, non è applicabile in pratica, perchè cadrebbe la struttura dello Stato, con tutte le sue prestazioni.
  Per primo cosa, segnalo, al tempo stesso, che la FLAT TAX di Berlusconi non va percepita come un progetto applicabile subito dopo le elezioni, ma un obiettivo (in una gradualità) per fine di legislatura, dopo avere riformato lo Stato (in una gradualità) dal lato spesa strutturale, elemento che pure è nel programma di FI, ma molto (troppo) sintetico, quasi senza avere coscienza della sua rilevanza strategica fondamentale.
  Per seconda cosa, segnalo che la progressività per detrazione è un fatto di costume fiscale di estrema rilevanza perchè è semplicissima da applicare e quindi non richiede i macchinosi calcoli della IRPEF attuale, che costringono il contribuente a valersi di commercialisti e quindi ad aggiungere oneri alla imposta in senso stretto; ed è una progressivita senza salti, come nella imposta progressiva per scaglioni, discrimatrice tra redditi prossimi al termine dello scaglione e quelli subito all'inizio dello scaglione successivo.     Nel caso caso dell'irpef progressiva per detraziobe è, invece, come se lo scaglione sia infinitesimale.

La detrazione (€ 12.000, in questo caso) ha motivazioni trasparenti: non tassare il reddito minimo vitale (€ 1000 al mese, in questo caso), ed evitare spese amministrative di riscossione nei casi in cui il prelievo fiscale è minore del costo amministrativo della imposta, da parte della Agenzia delle entrate.

  Questa detrazione fissa può essere variata in modo da tener conto di determinati elementi meritevole di tutela, dallo Stato, quali il numero dei figli in età scolastica (previa verifica, se vanno davvero a scuola)..., in luogo delle attuali numerose detrazioni e deduzioni, un vero vespaio che va solo ad aumentare il carico fiscale, per via degli oneri extra (tipo valersi di un commercialista).

  3.- Riprendo il problema della caduta del gettito, nella versione FI. Come passo iniziale si potrebbe programmare l'applicazione della FLAT TAX in una gradualità.
  Nel Grafico 3, sotto riportato, è considerato il caso di aliquota t = 33%. Si viene ad ottenere una soluzione molto simile a quella della IRPEF attuale, ma con un picco che non supera il 30% effettivo per gli alti redditi.

4.- Voglio anche rilevare che questo, dal lato della evasione e della eluzione fiscale, è un vantaggio enorme. Spiego perchè.
a) Il principale fattore di evasione è l'eccesso di tassazione, in quanto l'evasore trova conveniente tentare di evadere, quanto più è grande il beneficio atteso;
b) un teorema della scienza delle finanze (teorema della rimozione della imposta, di Enrico Barone, 1859-1924) dimostra che, l'imposta sul reddito modifica la propensione al lavoro.
Io ho approfondito le relative condizioni (clicca su: 
http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf, p.161) ed ho trovato che l'aumento della imposta  disincentiva il lavoro per gli alti redditi (non, invece, per i redditi bassi e per i redditi medi). E siccome gli alti redditi sono, di solito, quelli degli imprenditori industriali, ne deriva anche una ricaduta sulla occupazione dei lavoratori dipendenti in generale.

Grafico 3 - 0,33 12000 irpef.JPG (89505 byte)

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DEBITO PUBBLICO ITALIA: COME RISOLVERE

.L'ITALIA VERSO LE ELEZIONI POLITICHE 2018

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DEBITO: PERICOLO DI FALLIMENTO PER L'ITALIA:

  "PARTITI PREOCCUPATI" CERCANSI (G. La Malfa)
In questo servizio:
a)  si parte dal recupero (da Il Sole 24 ORE) di una riflessione di Giorgio La Malfa, preoccupato di sollecitare una riflessione sul grande e annoso DEBITO PUBBLICO in Italia, anche perchè vede nei partiti un grande disinteresse per esso, contrariamente alle passate elezioni politiche. Ma le due vie di La Malfa prescindono dalla diagnosi. Cui prodest ?
b) si prosegue la riflessione deviando l'interesse sulle diagnosi per poi arrivare alla terapia: quella dell'equilibrio generale (Stato o Mercato ?) in quanto si ritiene che le terapie macro-economiche siano inappropriate per l'Italia, in questa fase.
Si ritiene anche inappropriata e troppo burocratica la terapia ragionieristica (di Paolo Savona, Il Sole 24 ORE, 7 set 2017) di ripianare il debito con il ricavo dalla vendita del patrimonio. La retta via è un fondo di ammortamento 30ennale, da coprire col 6% del gettito fiscale (per il debito sopra il 60% del PIL), secondo l'impostazione ricardiana (1817) e le richieste attuali della UE. Il discorso Savona prosegue al punto 5, qui sotto.

M5S - Movimento 5 Stelle

PD - Partito Democratico

PDP - Partito Democratici e Progressisti

FI - Forza Italia

grillo.jpg (4118 byte)

"Siamo bravi ragazzi,
ma non ne capiamo....
Assumeremo,

però, professori di scienza delle finanze, anche per lezioni appropriate"

RENZI GATTO.jpg (3748 byte)

"Mi interessa e non mi interessa...

Ma so di aver aggravato le cose, non seguendo la UE. Andrò a lezione...con i Grillini

D'Alema massimo.jpg (38977 byte)

Si potrebbe cercare un accordo con Berlusca, ma

bersani2.jpg (3715 byte)

solo per la riforma della Governance dello Stato, in Costituzione. Questo sarebbe prioritario per l'Italia"

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"Ho pagato con le dimissioni, per aver esposto l'Italia al fallimento. Però, vorrei recuperare....

Ho capito che lo Stato deve spendere meno, se si vuole ridurre le tasse (non spendere di più e indebitarsi...")

LUCIANI: Oggi l'alternativa e' tra Stato e Mercato (è ambiguo dire tra "spesa pubblica e riforme"). E le tasse vanno pagate per i servizi pubblici ricevuti in contropartita, non perche' si e' ricchi o poveri.
  Per quanto riguarda i poveri, ricordo il buon senso di sempre (Vangelo): "Quod superest date pauperibus"
(associatamente al rilievo che la vedova, nel Tempio, dando due spiccioli, aveva dato di più del Fariseo, che aveva dato talenti - cfr. E.d'Albergo, http://amsacta.unibo.it/2571/1/Volume_I__unico.pdf ,p. 116) e, inoltre, che le vergini prudenti (quelle che pensano al futuro incerto) vanno apprezzate e quelle stolte, disapprovate."
FONTE: Il sole 1 sett 2017, p.8
LA MALFA G1.jpg (3455 byte) GIORGIO LA MALFA, "Oltre il «sentiero stretto, le due vie possibili per abbattere il debito sono:
a) Un deficit superiore al 3% per due-tre anni;
b) o ulteriori tagli di spesa".

(STRALCIO) I dati mostrano che l’Italia non è affatto sulla strada giusta. Lo si vede dal fatto che il rapporto fra il debito e il reddito nazionale in questi anni è progressivamente peggiorato. Esso era pari a 129 nel 2013 ed è salito al 131,8 nel 2014, al 132,1 nel 2015 ed al 132,6 nel 2016. Dunque, il peso (e il rischio) del debito pubblico si è accresciuto e ciò pure in presenza delle condizioni favorevoli sui tassi di interesse generati dal Qe della Bce che stanno per venir meno. La politica del sentiero stretto non ha funzionato e bisogna chiedersene il perché.

  La risposta è che il tentativo di conciliare il sostegno alla ripresa economica con la riduzione del rapporto debito-Pil (il sentiero stretto) non ha funzionato, perché la ripresa non è stata abbastanza forte per assumere una dimensione significativa, mentre il deficit annuale è rimasto troppo elevato per consentire una riduzione del rapporto debito-Pil. Si sono fatte due mezze politiche, per non scegliere una strada più chiara.
  Non vi è stato un sostegno alla ripresa proveniente dal bilancio pubblico, perché in questi anni il deficit è progressivamente diminuito (anche se in misura inferiore a quello che l’Europa avrebbe voluto). Di conseguenza la politica economica ha avuto un tono fondamentalmente restrittivo. Crescendo poco il reddito, il deficit relativamente elevato ha fatto lievitare il rapporto debito-Pil. Vi è stato in sostanza un doppio fallimento.

In vista della prossima legislatura ed avendo presenti le peggiori condizioni di partenza e le meno favorevoli circostanze monetarie che prevarranno non si potrà evitare, ancora una volta, come è stato fatto in questi anni, di scegliere una politica economica. Solo una crescita più forte consentirebbe di ridurre il rapporto debito-Pil e tale crescita più forte richiederebbe, almeno per due anni, se non tre, un deficit superiore al 3% (che peraltro potrebbe essere compensato con delle cessioni di attività patrimoniali).
Se questo viene ritenuto troppo rischioso date le condizioni attuali del debito pubblico, allora bisogna passare a una politica di vera compressione del deficit attraverso ulteriori tagli di spesa e maggiori entrate, affrontando il rischio di innescare una nuova recessione.

Io non sceglierei mai la seconda strada che rischierebbe di aumentare la disoccupazione e di non far scendere il deficit.
Ma la vera scelta è fra queste due strade.
......"

NINO LUCIANI, Per una transizione da Stato a Mercato, ripercorrendo la pista dello "equilibrio economico generale" Walras-Paretiano.

1.- Oltre la macro-economia. L'abbattimento del debito pubblico è oggi affidato solo alla crescita del PIL, da stimolare con politiche espansive Keynesiane, preso atto che le riforme strutturali vengono invocate come "genere" ma senza il coraggio di chiamarle con nome e cognome. Questo soprattutto è l'idea dei grandi banchieri.
  Ma sarà possibile la crescita del PIL, anche considerato il calo delle risorse rinnovabili ? Il razionamento dell'acqua, a Roma, è un preavviso significativo, improvviso.
  Dette politiche espansive sono fondate sulla macro-economia "monetaria". Invece, le riforme strutturali sono fondate sulla analisi costi-benefici, applicata alla alternativa tra Stato e Mercato, dentro la teoria dell'equilibrio generale (in termini di produttività comparata dei due mondi).

Per scegliere tra le due vie di La Malfa, dobbiamo mettere il dito sulla diagnosi degli eventi.

2.- Politiche espansive. Nella impostazione Keynesiana, la spesa pubblica aggiuntiva viene giustificata come "compensativa" della mancata spesa privata per investimenti o per consumi.
 
A sua volta (sempre in quella impostazione), la mancata spesa privata per investimenti è indotta dalle aspettative pessimistiche degli operatori, nelle crisi congiunturali, associatamente alla evidenza che gli investitori privati si regolano in orizzonti brevi, per cui non si indebitano oltre stretti limiti, per investire.
  Lo Stato, invece, si regola in orizzonti di lungo periodo e quindi può permettersi di indebitarsi anche molto, pur di riempire il vuoto dei privati.
  Ciò premesso, se è vero che ultimamente si sta aprendo una stagione di qualche ottimismo, viene meno l'importanza della spesa pubblica compensativa, in quanto si può puntare su investimenti privati aggiuntivi.
  C'è poi, oggi, un pessimismo (soprattutto della piccola e media impresa) indotto dall'eccesso di fiscalità: profitti tassati al 65-67%; chiuse 158.000 imprese negli ultimi 8 anni (vedi Cgia di Mestre).
  Ne deriva che un rilancio del PIL, come strada che permette di ridimensionare il pericolo del debito (in senso relativo) attraverso la crescita, andrebbe reimpostato riducendo le imposte, in base a concetti di equilibrio generale, non di "macro-economia".

  Come fare ? Partiamo dal fondamento classico distintivo delle due impostazioni (l'una di J.M.Keynes, l'altra di L. Walras e di V. Pareto):
a) Nella teoria dell'equilibrio generale, " l'offerta crea la domanda" (nel senso che le imprese, per fare investimenti, comprano macchine, materie prime, operai, e dunque danno monte a loro, che infine spendono per acquistare la produzione ...delle imprese);
b) Nella macroeconomia, "la domanda crea l'offerta", vale dire i consumatori (nel fare domanda "effettiva", ossia accompagnata da potere di acquisto) creano entrate per le imprese, che sono infine indotte a investire. Dunque, è possibile indurre investimenti

privati, se si alimenta domanda effettiva. Questo si può fare mediante la spesa pubblica, finanziata da fabbricazione di moneta aggiuntiva (dunque, non da gettito fiscale aggiuntivo). Qui un pensiero va alla Qe di Draghi, sia pure impropria (perchè essa non è un ombrello mirato ai singoli Stati, ma al vento incerto da uragano...).

Osservazione. Tra le due impostazioni non v'è contrapposizione, in quanto la tesi macroeconomica trae fondamento dalla scoperta di una falla della teoria dell'equilibrio generale.
  Meglio dire questa teoria è statica o, se si vuole, ha come sfondo l'orizzonte temporale lunghissimo, mentre la macro-economia è centrata nell'osservare gli equilibri e squilibri di breve periodo e nell'affidare un ruolo compensativo allo Stato (che ha orizzonte di lungo periodo). Qui trovi che la macroeconomia va a saldarsi con la teoria dell'equilibrio generale.
  Dov'è la falla, vista da Keynes ? Essa sta nella scoperta della legge della propensione marginale al consumo: "Al crescere del reddito nazionale, il consumo aumenta, ma meno che in proporzione". Il consumo, inoltre, è sensibile a fatti emotivi (l'annuncio di una guerra, di un terremoto ... induce a risparmiare aggiuntivamente; sotto Natale si spende di più, nel dopo si recupera...). Ne derivava la necessità di una politica pubblica compensativa, durante il ciclo economico, relativamente al consumo.
Conclusione: per attaccarsi a ricette macro-economiche bisogna partire da diagnosi congiunturali, ben precise e dimostrate. E, nella fase attuale del ciclo economico, tutto marcia per la non-applicazione di ricette macro-economiche. Lo vedi dal fatto che la spesa pubblica è già a livelli abnormi, e non puoi superarli; e che oggi sta subentrando un qualche ottimismo in Europa (Draghi l'ha detto ieri), a parte l'Italia. Dunque devi risalire alla fonte primaria (che è la teoria dell'equilibrio generale), se vuoi far ripartire fondatamente il PIL. E qui, il nodo è riconsiderare la produttività comparata della spesa privata e della spesa pubblica.
   C'è oggi qualcuno che osa dire che, al margine, la spesa pubblica è più vantaggiosa della spesa privata ?
  A mio modo di vedere la invocata stagione delle riforme è da chiamare finalmente con il suo nome e cognome. Essa ha nome "transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato", finanziando il settore privato, ai danni del finanziamento dello Stato.
  C'è qualche partito "matto" che se ne assume la impopolarità ? Da parte di Berlusconi, non sarebbe un problema, vista l'età.

3. I problemi della transizione. La mia tesi è che l'Italia ha i problemi strutturali propri delle "economie di transizione" da un sistema economico a prevalente «economia pubblica» a un sistema a prevalente «economia di mercato». Ci sono qui anche i problemi congiunturali, ma questi hanno un'ampiezza talmente grande da rinviare, paradossalmente, ai problemi di struttura.
  Questa tesi fu subito evidente in Italia nel 1988-89 con la caduta del muro di Berlino e poi della URSS, sia pur in proporzione, in Italia, al peso occupato dal settore pubblico.
  Ma vediamo meglio. In Italia ci fu, nel 1961, una transizione inversa, ossia dal Mercato allo Stato, con i governi di centrosinistra. Si passa da un rapporto tra spesa pubblica e PIL del 30% a un rapporto del 56-60% nel 1992 (oggi 65%, comprese le imprese pubbliche).
  La motivazione (giusta) di allora fu che l'Italia aveva raggiunto (nel 1958-60) un grande sviluppo economico, ma in permanenza di squilibri settoriali e territoriali. Bisogna indirizzare le nuove risorse verso uno sviluppo armonico.
   Dal 1992 ci troviamo di fronte i problemi della transizione in senso inverso. Già da allora bisognava restituire risorse dal settore pubblico al settore privato, in quanto da ritenere più produttivo, per ritrovare un nuovo sviluppo.
 
  Questo obiettivo è oggi imposto dalla sopravvenuta distruzione macroscopica di risorse da parte del settore pubblico (partiti, in testa).
  C'è l'aggravante che oggi le transizioni inverse non sono più possibili con la distruzione del debito tramite la grande inflazione, come avvenne nel primo dopo guerra, seguita da drastica politica di stabilizzazione (non fu così, nell'analogo tentativo degli anni '80).
  Oggi non lo puoi fare... perchè sei in Europa. Dunque decidi:
-   a) se vuoi fare inflazione, devi uscire dall'Euro, magari associandovi preventivamente una seconda moneta (la nuova Lira). Uscire dall'Euro non è peccato... E ci fai pensiero, se pensi all'evoluzione in atto nel cambio Dollaro/Euro: a sett. 2016 il cambio dollaro/euro era 1,12; oggi esso è 1,20. Infatti, questo vuole dire che i prezzi in Euro sono diminuiti dell'8% per le imprese italiane di esportazione e invece sono diminuite di altrettanto le importazioni (per imprese e famiglie), e quindi stimola la domanda interna;
  b) se non vuoi fare inflazione (perchè non puoi) devi fare le riforme: dimagrire lo Stato e forse con fortuna se crei un buon feeling con il settore privato (intendi: calo delle tasse... ma non sostituendole con il debito..., come aveva fatto Berlusconi).

  Questa transizione verso il mercato richiede adattamenti importanti nelle abitudini di vita della popolazione: si tratta di un problema che, per sua natura, richiede un periodo medio-lungo (5-10 anni).Tale periodo è:
a) il tempo necessario per riallocare verso il settore privato la mano d'opera via via licenziata dal settore pubblico;
b) l tempo necessario per affidare al settore privato quei servizi pubblici che verranno via via dismessi dal settore pubblico e che dovranno continuare ad essere erogati per i cittadini disposti a pagarli;
e) il tempo necessario per privatizzare le imprese pubbliche non strategiche, e che ovviamente non si può cominciare a fare con una estrazione a sorte delle imprese da privatizzare, ma solo dopo aver fatto una opportuna classificazione della loro situazione: ad esempio, imprese con buona capacità di reddito e buona situazione finanziaria;... imprese con buona capacità di reddito ma precaria situazione finanziaria; imprese in perdita ma per carenze gestionali e quindi facilmente risanabili ...

4.- Abbassare le tasse è divenuto di sinistra, dopo il tradimento di Berlusconi ?
   Gorbaciov
aveva capito che il sistema comunista (di cui era Segretario Generale nell'Unione Sovietica) era sull'orlo della catastrofe economica e si propose di salvarlo tornando indietro nella statalizzazione (allora 95%) del sistema economico.
  Gorbaciov ci aveva raccontato che (a dispetto della fame del popolo) nel sistema sovietico il controllo dell'economia era tutto in mano al PCUS-Partito Comunista e alla NOMENCLATURA (burocrazia ministeriale). Essi erano categorie privilegiate, a cui non mancava niente.
  Sia chiaro che in un sistema socializzato è normale che comandi il partito (così come è normale che in una impresa comandi l'imprenditore), ed è normale che comandi la burocrazia. Non è invece corretto che la classe partitica dirigente si arricchisca rubando fuori limite.
   Si può tornare indietro in un Paese socializzato ?  Gorbaciov voleva tornare indietro, quanto bastava per rimettere in moto il mercato e la produzione (la Cina, invece, ci è riuscita con il socialismo di mercato, e usando l'esercito).
  Ma tornare indietro senza il potere politico dell'esercito in un sistema tutto socializzato, è un processo irreversibile, perchè nessuno vuole rinunciare spontaneamente ai privilegi conquistati, e la sola via di uscita è il fallimento.
  Qui sta la ragione del fallimento di Gorbaciov, ma anche (di conseguenza) del successo della rivoluzione di ELTSIN che abbattè il sistema sovietico.
  E' possibile in Italia abbattere il grado di socializzazione di un 15% del PIL ?  Questa scelta richiede una radicale riforma dello Stato:
  a) eliminare le Regioni come enti legislativi (doppioni dello Stato e sacche dove i partiti possono rubare il danaro pubblico) , e trasformarle in enti amministrativi con i poteri delle province e delle aree metropolitane. Dovrebbero essere il nuovo e unico ente intermedio tra Stato e Comuni;
  b) il servizio sanitario dovrebbe essere gestito direttamente dallo Stato (basta quelle differenze tra regioni);
  c) privatizzare le imprese pubbliche (salvo quelle strategiche, non poche...).

4.- I partiti vorranno questo in Italia ? La realizzazione della transizione richiede una classe politica appropriata. Ma su questo punto non dobbiamo dimenticare che la classe politica oggi chiamata ad attuare la seconda transizione è quella stessa che ha realizzato la prima transizione sulla quale essa fonda a tuttora il suo potere in termini di clientela elettorale e di tangenti, non solo ma anche senza una netta distinzione tra maggioranza di governo e opposizione.
  Questo vuol dire che qui troviamo il primo collo di bottiglia.
  In ogni caso appare evidente l'urgenza di operare per una nuova legge elettorale che separi nettamente la responsabilità di governo da quelle di opposizione, in modo da permettere un rimedio ai mali della politica attraverso l'alternanza tra persone e programmi diversi.
  Tuttavia, meglio sarebbe dire di riforma della governance, più che di riforma della legge elettorale, per stroncare quanto meno il consociativismo e la frammentazione nel governo nazionale (e nei governi locali), altrimenti ci si può attendere solo il congelamento dell'attuale sistema. Per la legge elettorale, rinvio a FORUM1.
 
5.- Ultimo ma non ultimo. C'è chi (Paolo Savona, Il Sole 24 ORE, 7 set. 2017) vorrebbe  abbattere il debito con introiti dalle vendite del patrimonio immobiliare dello Stato. A parte che c'è già una legge che lo prevede e che è inapplicabile perchè i Comuni non concedono il cambio di destinazione, questa cura ragionieristica non merita neanche di essere presa in considerazione, perchè ha convenienza economica.
  La retta via è un fondo di ammortamento 30ennale, costruito con il 5-10% del gettito fiscale, per il debito sopra ill 60% del PIL, secondo la impostazione di Ricardo dell'alternativa tra prestito pubblico e imposta straordinaria.

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DIBATTITO SULLA NUOVA UNIONE EUROPEA A PIU' VELOCITA'

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Signora Merkel

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MERKEL: .

Un budget in Eurozona per aiutare i Paesi propensi alle riforme !

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MACRON:

Convergenza fiscale graduale e investimenti europei !

prof. Luciani: "La via Italy verso Merkel e Macron: prime ipotesi
che includono la riforma fiscale europea

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Matteo Renzi

Nino Luciani, Sintesi del testo, qui sotto. La dichiarazione dei 27 (riportata, qui sotto, per intero), indica quattro obiettivi per la riforma della UE. Essi, tuttavia, non sono accompagnati dalla previsione di strumenti finanziari nel bilancio comunitario.
Assente del tutto anche la previsione dell'attribuzione alla BCE del potere di banchiere di ultima istanza, quale ombrello verso il bilancio medesimo, in caso di tempeste finanziarie sull' Euro moneta.
Ultimamente sono, invece, circolate alcune idee (della Signora Merkel e di Monsieur Macron) che sono il riciclo delle note ricette della UE, ma (forse) qualcosa in più. Le nuove parole d'ordine sono: "budget europeo ai paesi propensi alle riforme, convergenza fiscale, investimenti europei".
1.- Budget europeo pro-riforme. Parrebbe implicito che tutti sappiano cosa vuol dire "riforme". Invece, esse sono l'oggetto misterioso, prova dell'ipocrisia di tutti. Provo a darvi un contenuto:
a) Pareggio del bilancio. Esso fu messo in Costituzione dal Governo Monti, in ottemperanza alla UE. Ma nessuna terapia fiscale fu mai recessiva quanto questa. Il motivo tragico non fu la tassazione in se e per se, ma il fatto che lo Stato italiano non spende prontamente il gettito, per cui parte del gettito rimane incastrato nelle maglie burocratiche e non torna nel circuito economico.
b) Taglio della spesa pubblica strutturale. Per l'Italia, i problemi del debito pubblico sono collegati a scelte degli ultimi 35 anni per il finanziamento delle grandi infrastrutture autostradali e per l'attuazione dell'ordinamento regionale (dal 1977, la spesa pubblica totale è aumentata annualmente, del 15% in termini di PIL).
  Penso che, dentro il debito, andrebbe fatta una distinzione tra quello causato da spese di interesse europeo, e tutte le altre.
- Le grandi infrastrutture autostradali, ferroviarie, portuali sono anche di interesse europeo. Il carico di parte di questo debito sul bilancio europeo mi parrebbe giusto;
- L'ordinamento regionale dovrebbe, invece, essere l'oggetto di specifica riforma italiana. Si dovrebbe creare un unico ente intermedio tra lo Stato e i Comuni: la Regione. Andrebbe abolita la Regione come ente legislativo, e ricostruita come ente di programmazione dei Comuni, e come ente amministrativo con i compiti delle attuali Provnce.
- La gestione del servizio sanitario nazionale (oggi delegata alle Regioni) dovrebbe tornare allo Stato, sia per spendere meno (a parità di servizi sanitari), sia per uniformare la sanità in tutto il territorio nazionale;
- "Enti inutili".  Considerata la impraticabilità della "razionalizzazione" delle imprese locali, partecipate dagli enti locali,  la cosa migliore è mantenerle tutte a condizione che siano capaci di stare alle regole del socialismo di mercato, praticato dalla Cina: vale dire sono capaci di pareggiare i conti sul mercato. Questa riforma potrebbe soddifare alle condizioni della Signora Merkel.
2.- Convergenza fiscale. Il concetto esso parrebbe significare che la UE concederebbe una gradualità temporale, da pattuire con gli Stati, per arrivare al pareggio del bilancio (o al disavanzo del bilancio 3% del PIL). Questa rinvio ha un senso se nei vari Paesi ci fossero risorse inutilizzate (il presupposto per politiche Keynesiane). In verità la sola risorsa disponibile è la mano d'opera, ma mancano gli imprenditori perchè impediti dalla eccessiva tassazione dei profitti (65-67%).
  Dunque, la dilazione programmata ha un senso se il disavanzo è creato dal minor gettito, causa riduzione tassazione sui profitti
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 3.-  Investimenti europei. Si vuore costituire un fondo europeo a tal fine ha un senso se per ivi trasferire gli oneri, già nei bilanci degli Stati, per infrastrutture riclassificabili di interesse europeo.
  La UE potrebbe fare qualcosa per il debito degli Stati ? Certamente sì, se il debito eccedente il 60% del PIL (o una sua quota)  fu acceso per finanziare infrastrutture di perdurante interesse europeo. Non c'è dubbio che le autostrade greche o il Pireo o Patrasso siano di interesse europeo, visto il numero di turisti europei che vi transitano.
Per un Sistema fiscale europeo. Dentro la convergenza fiscale, ci può stare un impegno comune a fare un sistema fiscale unitario europeo, al cui interno gli Stati scelgono le imposte locali. Esso sarebbe la via maestra per arrivare all'obiettivo finale di una unione anche politica.
  Nel frattempo, potrebbero bastare obiettivi limitati, ma importanti economicamente: quali il fare un sistema meno costoso (per la amministrazione delle imposte) grazie alla riduzione del numero delle imposte.
  L'IVA andrebbe abolita è sostituita da una imposta generale sulle vendite dei beni finali di consumo.
60º Anniversario dei Trattati di Roma, 25.3.2017 - Consilium

Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea.

La dichiarazione di Roma

Noi, i leader dei 27 Stati membri e delle istituzioni dell'UE, siamo orgogliosi dei risultati raggiunti dall'Unione europea: la costruzione dell'unità europea è un'impresa coraggiosa e lungimirante.
Sessanta anni fa, superando la tragedia di due conflitti mondiali, abbiamo deciso di unirci e di ricostruire il continente dalle sue ceneri. Abbiamo creato un'Unione unica, dotata di istituzioni comuni e di forti valori, una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare.

L'unità europea è iniziata come il sogno di pochi ed è diventata la speranza di molti. Fino a che l'Europa non è stata di nuovo una. Oggi siamo uniti e più forti: centinaia di milioni di persone in tutta Europa godono dei vantaggi di vivere in un'Unione allargata che ha superato le antiche divisioni.

L'Unione europea è confrontata a sfide senza precedenti, sia a livello mondiale che al suo interno: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche. Insieme, siamo determinati ad affrontare le sfide di un mondo in rapido mutamento e a offrire ai nostri cittadini sicurezza e nuove opportunità.

Renderemo l'Unione europea più forte e più resiliente, attraverso un'unità e una solidarietà ancora maggiori tra di noi e nel rispetto di regole comuni. L'unità è sia una necessità che una nostra libera scelta. Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni.
Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato, in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desiderano associarsi successivamente. La nostra Unione è indivisa e indivisibile.

Per il prossimo decennio vogliamo un'Unione sicura, prospera, competitiva, sostenibile e socialmente responsabile, che abbia la volontà e la capacità di svolgere un ruolo chiave nel mondo e di plasmare la globalizzazione. Vogliamo un'Unione in cui i cittadini abbiano nuove opportunità di sviluppo culturale e sociale e di crescita economica. Vogliamo un'Unione che resti aperta a quei paesi europei che rispettano i nostri valori e si impegnano a promuoverli.

In questi tempi di cambiamenti, e consapevoli delle preoccupazioni dei nostri cittadini, sosteniamo il programma di Roma e ci impegniamo ad adoperarci per realizzare:

1. Un' Europa sicura: un'Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali; un'Europa determinata a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata.
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2. Un' Europa prospera e sostenibile: un'Unione che generi crescita e occupazione; un'Unione in cui un mercato unico forte, connesso e in espansione, che faccia proprie le evoluzioni tecnologiche, e una moneta unica stabile e ancora più forte creino opportunità di crescita, coesione, competitività, innovazione e scambio, in particolare per le piccole e medie imprese; un'Unione che promuova una crescita sostenuta e sostenibile attraverso gli investimenti e le riforme strutturali e che si adoperi per il completamento dell'Unione economica e monetaria; un'Unione in cui le economie convergano; un'Unione in cui l'energia sia sicura e conveniente e l'ambiente pulito e protetto.
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3. Un' Europa sociale: un'Unione che, sulla base di una crescita sostenibile,favorisca il progressoeconomico e sociale,nonchéla coesione elaconvergenza, difendendo nelcontempo l'integritàdel mercato interno; un'Unione che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo fondamentale delle partisociali; un'Unioneche promuova la parità tra donne e uomini ediritti epari opportunità per tutti; un'Unioneche lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l'esclusione sociale e la povertà; un'Unionein cui i giovani ricevano l'istruzione e la formazionemigliori e possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente; un'Unione che preservi il nostro patrimonio culturalee promuova la diversità culturale.
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4. Un' Europa più forte sulla scena mondiale: un'Unione che sviluppi ulteriormente i partenariati esistenti e al tempo stesso ne crei di nuovi e promuovala stabilità e la prosperitànel suo immediato vicinato a est e a sud, ma anche in Medio Oriente e in tutta l'Africa e nel mondo; un' Unione pronta ad assumersi maggiori responsabilità e a contribuire alla creazione diun'industria della difesapiùcompetitiva eintegrata; un'Unione impegnata a rafforzare la propria sicurezza e difesa comuni, anche in cooperazionee complementarità con l'Organizzazione delTrattato del Nord Atlantico, tenendo conto degli impegni giuridici e delle situazioni nazionali; un' Unione attiva in seno alle Nazioni Unite che difendaun sistema multilaterale disciplinato daregole, che sia orgogliosa dei propri valori e protettiva nei confronti dei propri cittadini, chepromuova un commercio libero ed equo e una politica climaticaglobale positiva.

Perseguiremo questi obiettivi, fermi nellaconvinzione che ilfuturo dell'Europaè nelle nostre manie che l'Unioneeuropeaè ilmigliore strumento perconseguire inostriobiettivi. Ci impegniamo a dareascolto e risposte alle preoccupazioniespressedai nostri cittadini edialogheremo coni parlamenti nazionali. Collaboreremoa livello di Unioneeuropea, nazionale, regionale o locale perfare davvero ladifferenza, in uno spiritodi fiduciae di lealecooperazione, sia tragli Stati membri che tra diessie le istituzioni dell'UE, nel rispetto del principio di sussidiarietà.Lasceremo ai diversi livelli decisionali sufficiente margine di manovra perrafforzare il potenziale di innovazione e crescita dell'Europa. Vogliamo che l'Unione sia grande sulle grandi questionie piccolasullepiccole.Promuoveremo un processo decisionale democratico, efficace e trasparente, e risultatimigliori.

Noi leader, lavorando insieme nell'ambito del Consiglio europeo e tra le istituzioni, faremo sì che ilprogramma di oggi sia attuato e divenga cosìlarealtà di domani.Ci siamo uniti per un buon fine.

L'Europa è il nostro futuro comune. FINE

Nino Luciani, La via italiana verso Merkel e Macron

1.- Premessa. In questo servizio delineo alcune ipotesi di riforma strutturale della UE, a partire dalla dichiarazione di Roma del recente 25 marzo 2017 e da alcune idee operative, successive, di Leaders europei.
La dichiarazione (riportata, qui a sinistra, per intero), ha indicato, come priorità, i seguenti obiettivi (quattro):
1.- Europa sicura;
2.- Europa prospera e sostenibile;
3.- Europa sociale;
4.- Europa più forte sulla scena mondiale.
Questi obiettivi, però, per essere avanzati in modo serio, sarebbero dovuti essere accompagnati dalle previsioni:
- di strumenti finanziari, nel bilancio comunitario;
- e della trasformazione della BCE in banchiere di ultima istanza verso il bilancio comunitario (non verso i singoli Stati, neppure in modo indiretto, come avviene attualmente con il Qe). Tutt'altro.
Poi, a distanza di qualche settimana, sono arrivati alcune idee pratiche, quali i proclami:
- della Signora Merkel in favore di "un budget in Eurozona per aiutare i Paesi propensi alle riforme";
- di Monsieur Macron (sostenuto dalla Signora Merkel, a Berlino), in favore di "convergenza fiscale e investimenti europei".
Al tempo stesso, non sono mancate le ipotesi interpretative di esperti (in gran parte su Il Sole 24 ORE), a parte che gli Stati mediterranei (anche la Francia di Hollande) avevano già parlato chiaro, in senso no-austerity (Carta di Atene, mesi fa).
Conclusione: per avvicinarci all'arte del realistico, non possiamo partire (come, invece si dovrebbe) dagli obiettivi enunciati, ma dai detti proclami, in pratica da rattoppi. Ma andiamo per gradi, cominciando dai presupposti minimi.

2.- Fino a quale punto le situazioni degli Stati sono compatibili con le condizioni poste dalla Signora Merkel ?
a) I problemi del debito pubblico. Le tensioni finanziarie degli ultimi 30 anni derivano da scelte sociali (più o meno di avanguardia, dei vari Stati socialisti, anche l'Italia) o per lo sviluppo, tutte finanziate oltre la sostenibilità da parte del sistema economico, costituita da imposte, e dunque sforate su prestito pubblico.
   In Italia, questa politica era sulla scia della politica di centro sinistra, avviata nel 1961. Ma questa era stata sempre graduata in base alla sostenibilità fiscale.
   Adesso, chi vorrebbe sottrarsi alla proprie responsabilità circa l'indebitamento, ne riversa la colpa sulla evasione fiscale, ma mente. In realtà vuole distruggere l’economia di mercato rimasta.

b) Ci soffermiamo sulle scelte negli ultimi 30 anni.
- Le scelte per lo sviluppo furono il proseguimento dell'espansione delle grandi infrastrutture autostradali.
- Le scelte sociali (del 1977 e oltre) furono l'attuazione dell'ordinamento regionale e la delega (dello Stato) alle Regioni di gestione del servizio sanitario nazionale.
- Ci metterei dentro anche l'ampliamento delle partecipazioni degli enti locali nelle imprese di servizi sociali.

L'attuazione delle Regioni doveva comportare la eliminazione dei corrispondenti uffici statali. Ma la cosa rimase un proposito. Ad es. ancora oggi, se vuoi la istituzione di un liceo classico, devi attivare la Provincia, che dovrà proporlo sulla base di un programma di indirizzo della Regione, e infine attivare il Provveditorato Regionale e Provinciale del Ministero della Istruzione che pagherà il personale, e implicitamente attivare anche il Comune, per un qualcosa.
  Fin da allora fu subito chiaro che l'Italia aveva fatto il passo oltre la gamba. Infatti dal 1977 la spesa pubblica aumentò per sempre del 15% in termini di PIL.
  Non solo questo. Non fu mai messo in atto in piano di ammortamento del debito, la cui rata annuale fosse finanziata con parte del gettito fiscale, come farebbe ogni famiglia per bene. Anzi il debito in scadenza era (ed è) pagato con accensione di nuovo debito.
  Circa le partecipazioni degli enti locali, è divenuto un luogo comune chiamarle enti inutili, e da decenni.

b) Come utilizzare la cura Merkel per i problemi del debito.
Come si è precisato, la cura Merkel ipotizza che i Paesi si impegnino per le riforme, per eliminare le cause del disavanzo di bilancio, e da non ripianare con nuovo debito.
Teoricamente le strade sono due:
a) l'aumento del prelievo fiscale;
b) il taglio della spesa pubblica strutturale.
Ma, poi, nei fatti l'una e l'altra via sono risultate impercorribili.
- La soluzione sub a) è stata applicata massimamente dal governo Monti, e fu un disastro. Il motivo tragico non fu la tassazione in se e per se (a parte che in Italia essa è già proibitiva per gli imprenditori, essendo i profitti, tassati al 65%) ma il fatto che lo Stato italiano non spende prontamente il gettito (grosso modo esso preleva 100, e spende 70-80 in tempo reale, a causa dei tempi burocratici). Per cui parte del gettito finisce rimane incastrato presso la burocrazia e non ritorna prontamente nel circuito economico.

Ciò contraddice il teorema famoso di Haavelmo, con moltiplicatore del PIL pari alla unità, vale dire una spesa pubblica aggiuntiva, finanziata da una uguale entrata fiscale, genera un reddito aggiuntivo (sia pur in una gradualità temporale) pari a quella spesa. Esso ipotizza che la propensione alla spesa statale sia pari a 1 (mentre, in realtà, quella dello Stato italiano è 0,7-0,8 come sopra ricordato); e che, invece quella dei privati cittadini sia minore di 1.
  ( A questo proposito, ricordo che io avevo scoperto un secondo teorema con moltiplicatore pari all'unità: mediante sgravio da imposta indiretta, bilanciata da aggravio di imposta diretta, a parità di spesa da finanziare. Clicca su: http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf , "Da Attilio da Empoli a Ernesto d'Albergo, Sgravi fiscali, p. 689.

Ne deriva che la sola via che ha un senso economico è il taglio della spesa corrente strutturale, pubblica, ma anche la soppressione delle imprese pubbliche non strategiche.
- Sul primo punto, tutti gli attuali enti locali internedi (Regioni e Province e altri enti intermedi) andrebbero aboliti, e sostituiti da un ente intermedio unico tra lo Stato e i Comuni: la Regione opportunamente riformata. Precisamente, se ne dovrebbe sopprimere il potere legislativo, e trasformarla in ente di programmazione di tutti gli enti locali, e di amministrazione dei servizi oggi di competenza dei vari enti intermedi, invece da abolire (Province, Città metropolitane, Camere di Commercio …).
- Sanità. La delega statale, di gestione del servizio sanitario nazionale alle Regioni, andrebbe revocata, ed essere gestita dallo Stato. Costerebbe meno, a parità di servizi, e questi potrebbero essere erogati uniformemente nel territorio nazionale.

Teoricamente, (in alternativa) potresti lasciare le Regioni e smagrire lo Stato, in tutti i casi di doppio compito Stato-Regione.
  Le Regioni sono, però, risultate pessime dal lato amministrativo e anche corrotte. Devi preferire lo Stato.
  Conclusione: questa riforma sarà impossibile in pratica, perchè comporta togliere molti soldi ai partiti.
  Al tempo stesso, non conosco un solo partito che la proponga.

- Sul secondo punto (abolire gli enti inutili), la cosa è stata rilanciata in queste settimane. Il criterio principe rimane sempre quello della razionalizzazione…, una specie di selva impenetrabile, anche perchè nessuno ha bacchetta magica per classificare utile o inutile un ente.
Qui la via migliore (quella meno peggio) sarebbe copiare i Cinesi (maestri del socialismo di mercato): vale dire ammetterli tutti, a condizione che pareggino il bilancio solo con entrate di mercato, fermo per tutte il controllo del saldo di bilancio da parte della Corte dei Conti.
  Potremmo sperare che questo criterio sia posto dalla UE. Per questa via, la condizione della Signora Merkel sarebbe praticabile.

c) Come utilizzare la cura Macron: convergenza fiscale e investimenti europei.
- Convergenza fiscale.
Pur se il concetto è poci chiaro, esso parrebbe significare che la UE concederebbe una gradualità temporale pattuita, per arrivare al pareggio del bilancio (o al disavanzo del bilancio 3% del PIL). Invece con il patto del fiscal compact comporta di farlo subito, se non vuoi sanzioni (a parte che l'impegno dura dal 1986).
  Questo non sana il pericolo di default dello Stato, se non è accompagnato da un fondo di garanzia presso il bilancio europeo, associato al permesso alla BCE di operare come banchiere di ultima istanza, verso il bilancio UE, limitatamente al fabbisogno previsto per il patto di convergenza fiscale.
- Investimenti europei. Questo vuol dire (o dovrebbe) consistere in fondi europei per le infrastrutture stradali ecc. che già sono nei bilanci degli Stati, ma da spostare sul bilancio europeo. La condizione è che queste infrastrutture siano riclassificabili di interesse europeo.

d) La UE potrebbe fare qualcosa per il debito degli Stati ?
Il debito eccedente il 60% del PIL (o una sua quota) dovrebbe essere caricato sul bilancio europeo se, in origine, esso fu acceso per finanziare infrastrutture di perdurante interesse europeo. Questo potrebbe riguardare le grande infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali.
  Non c'è dubbio che le autostrade greche o il Pireo o Patrasso siano di interesse europeo, visto il numero di turisti europei che vi transitano.
  Anche a fronte del debito degli Stati, assunto sul bilancio europeo, la BCE potrebbe divenire banchiere di ultima istanza verso il bilancio UE (non verso quello dei singoli Stati).

e) Per un Sistema fiscale europeo. Dentro la convergenza fiscale, ci può stare un impegno comune a fare un sistema fiscale unitario europeo, al cui interno gli Stati scelgono le imposte locali. Questo sistema dovrebbe essere meno costoso  ed essere più armonico.
- Costo della gestione delle imposte. Questo dovrebbe potersi fare riducendo il numero delle imposte, ed aumentando le aliquote. Quando le imposte sono molte, in molti casi, il gettito individuale è minore del costo per applicare l'imposta.
  In Italia, un precedente illustre fu un libro di Vincenzo De Nardo (dirigente del Ministero delle Finanze): Il costo dei tributi in Italia, 1960.
  - Armonizzazione fiscale. Come base di riferimento, si dovrebbe puntare ad un sistema fiscale europeo unitario. Poi, dentro il sistema delle varie imposte, gli Stati dovrebbero poter determinare le aliquote tra limiti massimo e minimo.
  Per le imposte indirette, l'armonizzazione ha ancora molto da fare, per non distorcere la concorrenza tra le merci.
(No problem, invece, per i rapporti con gli Stati non membri, in quanto i problemi di aggiustamento delle bilance dei pagamenti internazionali sono largamente risolti dal mercato dei cambi).
  Mi soffermo sull'IVA. Essa è una vera calamità, a causa della elevatezza della aliquota (stimolo alla evasione), e di tutte le problematiche contabili connesse, che ne elevano i costi amministrativi.
  Una imposta migliore, sostitutiva, potrebbe essere una imposta generale sulla vendita dei beni finali di consumo.
L'equivalenza teorica dell'imponibile totale si realizza nel fatto che il valore finale di un bene è la somma dei valori aggiunti parziali del  bene, via via conseguiti durante il processi di trasformazione da materia prima, a semilavorato ..., a bene finale.
  Questa imposta andrebbe caricata sulle imprese, relativamente a tutte le vendite ed essere trasferibile. Ma, poi, l’imposta sui beni finali di investimento andrebbe dedotta in sede di versamento dell’imposta sulle vendite.

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DEBITO PUBBLICO

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J.P. Juncher, Presidente Commissione Europea

Rapporto UE sulla sostenibilità fiscale del debito pubblico
nei 26 Paesi della UE (esclusa la GRECIA dalla Commissione)

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DATI DI FATTO :

1) Da un lato, la UE non crede alla sostenibilià fiscale dell'Italia, causa il debito pubblico; e per l'obbligato aumento della spesa pubblica, per le future pensioni sociali di vecchiaia.
2) Da altro lato, RENZI obietta un diritto alla flessibilità, ma forse per prendere tempo, in attesa di potere prendere decisioni importanti impopolari, grazie alla nuova Governance,  derivante dalla riforma costituzionale e dall'ITALICUM

renzi contro merkel.jpg (22271 byte)M. Renzi Presidente del Consiglio

Sotto: a) documento originale della UE sull'Italia; b) grafici che provano i fatti;
c) Discorso di Mattarella alla Columbia University;
d) Commento di Nino Luciani (inflazione per cancellare il debito ?)

NOTA 1. L'analisi congiunta degli anni del debito e della durata dei governi, dimostra che nella storia d'Italia la montagna del debito e la breve durata dei governi sono state due facce della stessa medaglia. Per questo, la riforma costituzionale e l'ITALICUM, di Renzi, sono il minimo per avere governi con la forza parlamentare necessaria ad affrontare i grandi problemi strutturali dell'Italia, dagli anni '70 e già nell'aria alla fine anni '50. Si ricorderà che De Gasperi cadde nel 1954, e gli subentrò tutta una volatilità che parve rientrare nel 1961, con l'entrata dei socialisti nel governo.
  Ma RENZI fa anche altro: dice che la politica degli USA è corretta, mentre quella della UE è sbagliata... Ma negli USA il rapporto debito/PIL è 100% (in Italia è 130%) e la pressione fiscale in USA è 25% (in Italia è 45%). Dunque qui lo Stato non ha margini per aumentare la spesa pubblica, a parte che è anche incapace di spendere.

NOTA2. . La fine del "bicameralismo perfetto" (intendi trasformazione del Senato) fu posta nel 1988 (Seminario di Villa Miani, Edizioni Parlamento, Speciale X Legislatura, pag. 55) dalla DC di Mino Martinazzoli, Ciriaco De Mita, Leopoldo Elia, Giuseppe De Rita, ma fu boicottata dai faccendieri con cappello "scudo crociato", poi approdati sulla zattera di Forza Italia.  Sono i medesimi che oggi si giocano tutto, e l'ultima dea è il Referendum del prossimo settembre 2016. Sono anche alcuni "perbenisti" (non andati a scuola di storia), e alcuni costituzionalisti che forse puntano sullo sfascio totale della Repubblica per arrivare, poi, a un "salvatore della patria".

Secondo l'art. 138, le riforme costituzionali (qualora approvate dalle Camere, a maggioranza assoluta e, dunque, non di due terzi) "sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali". La riforma (art. 75) "è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validi espressi".
 
Su questo scoglio cadde nel 2006 la riforma costituzionale di BERLUSCONI, molto puntata sul rafforzamento del Premier e delle Regioni, mentre quella di RENZI è puntata sul rafforzamento del  Parlamento (una sola camera per il voto di fiducia, limitazione della proliferazione dei partiti) e sulla riduzione dei poteri delle Regioni.

UE, Rapporto sulla sostenibilità fiscale dei Paesi della Unione, p. 89
Fonte:
http://ec.europa.eu/economy_finance/eu/public_finances/faq_fiscal_sustainability_report_2015_en.pdf.

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Nota. Si chiarisce che il Debito netto è pari al Debito lordo (quello giuridicamente in essere), al netto della cassa liquida e delle disponibilità prontamente liquidabili.Ma  questa distinzione inquina le graduatorie del debito, in quanto una disponibilità liquida potrebbe essere già impegnata di fatto su altro (non per il debito).

 

Italia - Debito pubblico 1942 - 2015 in % del PIL
associato al cambiamento dei Governi, in quegli anni

debito 1942-78.JPG (41388 byte)debito 1978-15.JPG (59351 byte)

 

Per il testo completo di Sergio Mattarella, clicca su: http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=269

PARERE DELLA UE SULL'ITALIA

Testo originale, tradotto in italiano

" In base alle previsioni (d'autunno 2015) della Commissione, l'Italia dovrebbe avere un calo significativo del saldo primario strutturale (SPB, circa -1,5%, del PIL)), rispetto al recente picco del 4% del PIL nel 2013, e al 2,5% nel 2017. La crescita reale del PIL dovrebbe salire dal 0,9% nel 2015 (era -0,4%, nel 2014), al +1,5% nel 2016 e al +1,4% nel 2017. In seguito agli sviluppi previsti, il debito pubblico lordo avrebbe raggiunto il picco al 133% del PIL nel 2015 (vale dire + 0,7%, rispetto al 2014), e poi diminuire leggermente nel 2016 (132,2% del PIL), e più significativamente nel 2017 (130% del PIL). Il debito pubblico rimarrebbe comunque molto elevato, rappresentando così una delle principali fonti di vulnerabilità per l'economia italiana.
   L'elevato debito pubblico limita la capacità del paese di reagire agli shock economici e lo lascia esposto a possibili aumenti dei rendimenti dei titoli sovrani, mentre lo spazio per l'aumento della spesa pubblica per investimenti è limitato anche dagli interessi (sul debito) relativamente elevati (4,3% del PIL nel 2015).
   Circa le sfide della sostenibilità fiscale a breve termine nel breve periodo (entro l'anno), l'Italia non appare capace di affrontare i notevoli rischi di stress fiscale, come evidenziato da un valore dello specifico, che è al di sotto della soglia critica.
  Alcune delle variabili fiscali, vale a dire il debito pubblico lordi e netto e, in particolare, il fabbisogno di finanziamento lordo in termini di percentuale del PIL, fanno comunque pensare a possibili sfide a breve termine.
    Mentre la consistenza del debito pubblico è critica, la struttura del finanziamento del debito pubblico ( sia in termini di scadenza che di tipologia dei creditori (residenti rispetto ai non residenti), non dà luogo a rischi a breve termine. Al contrario, la quota di crediti in sofferenza nel settore bancario potrebbe rappresentare una fonte importante di rischi di responsabilità civile contingente a breve termine.
   Circa le sfide sulla sostenibilità fiscale, l'analisi della sostenibilità del debito, guardando alle sfide di sostenibilità a medio termine, un'analisi della sostenibilità del debito (DSA) per l'Italia mostra che, in condizioni economiche normali (in cui il saldo strutturale primario rimane invariato, al il livello dello scorso anno, con politiche invariate), nella previsione della Commissione il debito pubblico italiano continuerà a diminuire: 125% del PIL nel 2020 e circa il 110% nel 2026 (ultimo proiezione anno).

  Questa previsione della riduzione di circa 20 punti percentuali in un orizzonte di 10 anni 10 è legata alla ipotesi che il rapporto deficit/PIL (SPB - saldo primario strutturale del bilancio) rimanga costante al 2,5% fino al 2026. Questo potrebbe essere un relativamente troppo alto SPB per essere mantenuto più di 10 anni (solo un quinto dei SPB, constatati in tutti i 28 paesi sopra 1980-2015, è superiore a questo). Questo evidenzia la necessità di una forte determinazione nel migliorare la politica di bilancio (per assicurare il rispetto della norma sul debito).
   L'ancora elevato rapporto debito italiano al termine delle proiezioni (2026), sulla base di un presupposto di politica fiscale invariato, con un relativamente alto SPB per un periodo prolungato di tempo, porta al paese ad alto rischio, stando alle proiezioni del debito nel medio termine.
   Dato l'elevato debito iniziale, shock negativi nei confronti della crescita (dovuti a shock di crescita reale nei confronti del PIL o dell'inflazione) e nei confronti dei tassi di interesse avrebbero un impatto notevole sugli sviluppi del tasso del debito. Infatti, i test di sensibilità standard su crescita nominale e tassi di interesse comporterebbero un rapporto debito, alla fine delle proiezioni (2026), di circa 7 pps. superiore (117% del PIL) rispetto alla linea di base.
  Tutto sommato, una grande serie di shock simulati congiuntamente alla crescita, i tassi di interesse, e il saldo primario, che riflette la dimensione e la correlazione degli shock passati sotto proiezioni del debito stocastico, porta a una probabilità dell' 11%( del rapporto debito italiano). nel 2020, maggiore che nel 2015 (vale a dire 133% del PIL).
  Se la convergenza del saldo strutturale verso l'obiettivo di medio termine (OMT) fosser rispettati, in conformità con il patto di stabilità e crescita (PSC) e in linea con l'aggiustamento di bilancio indicato nella comunicazione della Commissione sulla flessibilità nella SGP (come nello scenario PSC), il debito pubblico italiano si ridurrebbe sensibilmente di più che in base alle proiezioni di base, fino a quasi il 100% del PIL nel 2026 (10 punti percentuali in meno rispetto alla linea di base non-fiscale, senza cambiamento di scenario di politica fiscale).
   Tuttavia, questo richiederebbe un SPB medio significativamente più elevato (1,3 punti percentuali) più alto che nella proiezione corrente (3,8% del PIL nel 2017-2026).
  Tutto sommato, vista la diversa proiezione scenari e risultati principali, l'Italia presenta un rischio elevato a medio termine, da una prospettiva DSA.

  Nel complesso, a breve termine l'Italia appare senza rischi significativi dello stress fiscale anche se alcune variabili (debito lordo e netto, fabbisogno lordo di finanziamento, quota e variazione della quota di crediti in sofferenza) indicano possibili sfide a breve termine.
  I rischi sembrano essere elevati nel medio termine, partendo invece da una prospettiva di analisi della sostenibilità del debito, a causa del debito ancora elevato alla fine delle proiezioni (2026) e dell'elevata sensibilità a possibili shock ai tassi di crescita e di interesse nominali.
  Shocks simulati congiuntamente sulla crescita, sui tassi di interesse e sul saldo di bilancio primario indicano una probabilità di che il rapporto debito/pil sia nel 2020 maggiore dell'11%, che nel 2015. Questo comporta rischi, dato il livello del debito di avviamento.
  Alti rischi a medio termine emergono anche dall'analisi dell'indicatore S1 del divario di sostenibilità, ancora una volta a causa l'elevato rapporto debito pubblico e PIL di essere ben al di sopra del valore di riferimento del 60%, determinando in tal modo rischi complessivi elevati per il paese nel mezzo termine. Senza rischi per la sostenibilità appaiono nel lungo periodo, assumendo la piena attuazione delle riforme pensionistiche adottate in passato e subordinato al mantenimento del governo saldo primario strutturale ad un livello alto come previsto dai servizi della Commissione per il 2017 (2,5% del PIL) bene al di là di quello stesso anno."

LE ASPETTATIVE FONDATE SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE

Sergio MATTARELLA, “Leadership in the age of change: managing current  development in the Mediterranean through Europe".
11/02/2016

Stralcio dall'Intervento alla Columbia University,
USA, 11/02/2016
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   L'Unione Europea è il risultato di un lungo e vitale processo ed è la sua progressiva integrazione che ha consentito agli europei di vivere un periodo di pace e di sviluppo sociale, culturale ed economico, veramente unico e di creare un'area di attrazione divenuta preziosa, come, da ultimo, si sono incaricati di dimostrare gli eventi successivi alla caduta del Muro di Berlino.
   E' una storia che ha prodotto diritti e accresciute tutele per tutti. Che ha generato sicurezza e offerto un modello di convivenza plurale.
   Sono traguardi ai quali non possiamo rinunciare.

   Nel mondo multipolare nel quale viviamo, la partnership atlantica rimane un punto di riferimento essenziale e, nel suo ambito, l'Europa deve saper assumere le proprie responsabilità. E, in questo quadro l'Unione Europea non può cedere alla tentazione di indebolire la propria coesione.

   Gli elementi di instabilità presenti ai suoi confini suggeriscono, al contrario, il rafforzamento di politiche attive di vicinato, di politica estera e di difesa. Suggeriscono la attivazione di rapporti di collaborazione feconda con le organizzazioni regionali presenti sul Continente africano per realizzare un futuro sempre più condiviso.

   Oggi agli Stati Uniti e all'Unione Europea, alla comunità transatlantica, si chiede di esercitare una leadership all'altezza della comune tradizione.
  In questo quadro generale, l'Italia sta operando in coerenza con i principi basilari che ispirano la sua politica estera, europeismo, atlantismo, multilateralismo, per contribuire ad affrontare e sciogliere i nodi che abbiamo di fronte, con spirito propositivo e convinzione.
  
   L'Italia attraversa un periodo di cambiamento, sotto il profilo sia politico sia economico.
   Dopo anni di dibattito, il Parlamento sta per approvare definitivamente un'importante riforma della Costituzione che trasforma il ruolo del Senato da seconda Camera politica - con le medesime attribuzioni della Camera dei Deputati - in Assemblea rappresentativa delle Regioni e dei poteri locali.
   (Risulta che, a voce, il Presidente abbia spiegato: "La legge influirà sulla efficienza e velocità delle decisioni di governo e sulla capacità di governare i problemi quando nascono, e non dopo.
NdR)
   In questi mesi sono entrati in vigore anche altri importanti provvedimenti: una profonda riforma del mercato del lavoro; una riforma del sistema scolastico; una riforma della Pubblica Amministrazione, cui si sta gradualmente dando attuazione, che permetterà di aumentare l'efficienza dell'apparato statale; un miglioramento del sistema fiscale che mira a ridurre l'evasione e l'elusione fiscale, rafforzando il rapporto fra cittadini, imprese e Stato; una riforma del sistema previdenziale e quella, in parte realizzata e in parte in corso, della giustizia.

  Si tratta di passi che stanno consentendo un significativo recupero di efficienza e di competitività per il nostro Paese, la cui economia, non a caso, è tornata a crescere nel 2015 e - secondo le previsioni più attendibili - consoliderà questa dinamica positiva nel 2016. Anche in momenti di più acuta difficoltà economica, l'Italia non è venuta meno al suo impegno in campo internazionale a favore della pace e della stabilità internazionale.
    Siamo presenti in tutti i principali teatri di crisi, dall'Afghanistan all'Iraq, dalla Somalia al Libano, dal Kosovo al Mediterraneo, al Corno d'Africa contro la pirateria marittima nell'Oceano Indiano, e partecipiamo ai più importanti tavoli negoziali: penso alla Siria, alla Libia e al coordinamento della coalizione anti-Daesh.

   Al livello europeo, l'Italia continuerà a proporre una linea politica fra le più avanzate in tema di integrazione, di crescente integrazione, d'intesa con i partner che condividono questa visione.

   Turbolenze finanziarie, crisi politiche e umanitarie si sovrappongono in un intreccio di spinte centrifughe che è imperativo bilanciare e - soprattutto - governare.
   Dobbiamo saper essere all'altezza di questo compito, esercitando un'azione intelligente e decisa. Lo dobbiamo fare insieme, mostrando l'attualità dei nostri principi, il coraggio delle nostre idee, la forza delle nostre democrazie, la solidità delle nostre Istituzioni.

COMMENTO di NINO LUCIANI:
Diritto della Italia alla flessibiltà,
ma solo per prendere tempo,
in attesa della nuova Governance ?

Nota. In questo servizio commento il fondamento delle critiche della UE, e il diritto alla flessibilità invocato da RENZI, meglio dire (forse)  il fatto che egli prenda tempo, in attesa della riforma della Governance, in arrivo con la riforma costituzionale.

I.- PREMESSA.   Dato il riesplodere del contrasto tra la UE (Juncher, PPE, Commissione Europea) e l’Italia (RENZI, Padoan), il primo pensiero corre a TSIPRAS il greco. Anche allora la UE molto sopportò …, finchè alla fine (con un semplice gioco da ragazzi) buttò il "birillo" fuori dal tavolo. Quel gioco fu di chiudere a tutta la Grecia i rubinetti della liquidità. Forse ancora ricordiamo quel vecchietto che piangeva, in piazza, per non poter avere la sua pensione.
  La sorte di Renzi (e di tutti noi) sarà la stessa, se non si fa una precisa scelta, tra:
  a) restare nell’Euro e rispettarne i trattati, secondo cui il debito non può superare il 60% del PIL. L’impegno decorreva dal maggio 1998 (Trattato di Amsterdam,1997, che applicava quello di Maastricht,1992), ma la prima tabella, sopra, mostra che il debito l’Italia (130% del PIL) è tuttora in testa insieme con Portogallo e Belgio.
  b) uscire temporaneamente dall'Euro, e recuperare la Lira (in affiancamento all'Euro), per risolvere i problemi del debito nel modo classico ( inflazione) e con il taglio delle imposte per rimettere in piedi il settore privato, visto che lo Stato non è più capace di funzionare per i troppi impegni. Ma andiamo per gradi, seguendo le due ipotesi.

II.- PRIMA IPOTESI: RESTARE NELL'EURO. Già Monti volle restare nell’Euro e, acconsentì alla UE di fare lo strozzamento fiscale dell’Italia. Ma non considerò che lo Stato non era capace di spendere il maggior gettito fiscale in tempo reale, per cui la manovra risultò restrittiva oltre le aspettative. C’è, infatti, un teorema della Scienza delle Finanze (teorema di Haavelmo) secondo cui una spesa aggiuntiva (bilanciata da entrata di pari ammontare) genera (in una gradualità temporale) un aumento del PIL nominale, pari alla spesa aggiuntiva. Il presupposto è che la propensione marginale alla spesa (da parte dello Stato sia pari al "100%", mentre quella dei privati cittadini sia "minore del "100%".
   Ma per lo Stato italiano, la capacità di spesa pubblica in tempo reale e’ intorno a "70%-80%" del gettito fiscale ( minore di quella dei privati: "80-90%" del reddito ). Pertanto quella manovra fu gravemente restrittiva e determinò il tracollo del settore privato (i casi di imprenditori suicidati sono nella nostra memoria), e il debito è anzi aumentato.
   Né alcuno, credo possa plaudere alla famigerata lotta alla evasione fiscale, visto che colpisce gli "evasori secondo la legge", a prescindere se abbiano ancora "capacità contributiva" reale (art. 53 della Costituzione). E che dire dell’IMU sulle seconde case, il cui imponibile è maggiore della "rendita catastale" ?
   Ciò considerato, ritengo che il solo scenario valido (per la crescita) sia puntare sul settore privato (rilancio degli investimenti privati), preso atto che il nostro Stato non è in condizioni di svolgere le sue funzioni (avendo un bilancio impegnato su tutto, e nulla disponibile sui problemi nuovi).
  Come partire da un progetto preciso sul debito.

a) L’Italia cosa ha fatto finora, per abbattere il debito pubblico ? Storicamente il grande debito è nato con la spesa pubblica per  fare guerre: così fino al 1945. Invece, nell'Italia della fine degli anni '70, il grande debito è nato per motivi sociali (completare le grandi infrastrutture autostradali, ferroviarie, portuali, energetiche, fare le scuole e gli ospedali dappertutto…, più extra-tangenti ai partiti).
   Ma, in corso d’opera, in quegli stessi anni, c'è stato anche un grande allargamento del settore pubblico:
  - creazione delle Regioni a statuto ordinario;
  - delega di gestione della sanità alle Regioni;
  - aumento den numero delle imprese municipalizzate;
  - totale carico della spesa degli enti locali sul bilancio dello Stato (era stato abolito il potere fiscale locale).
  Dal punto di vista della Scienza delle Finanze, a fronte di spese straordinarie, un Governo opta per il debito se, per i cittadini, una imposta straordinaria di grande ammontare più onerosa (nel senso che, egli dovrebbe indebitarsi a tassi di interesse maggiori di quelli possibili allo Stato o finanche dover svendere il patrimonio per pagare l'imposta straordinaria).
  Ma (come farebbe un comune cittadino per bene) si deve creare un fondo di ammortamento, alimentato da una imposta ordinaria, annuale, pari alla rata di ammortamento del debito, per tutta la durata del debito (25-30 anni ?) . 
  Oggi, nel caso dell’Italia, per ammortizzare tutto il debito (€ 2.200 miliardi) in 25 anni:
  - al tasso di interesse del 3%, la rata annuale dovrebbe essere di 126 miliardi all’anno (pari al 5,72% del PIL);
  - al tasso di interesse del 5%, la rata annuale dovrebbe essere di 156 miliardi all’anno (pari al 7,1% del PIL).
  Volendo ammortizzare solo il debito eccedente il 60% del PIL, le suddette cifre si dimezzebbero. Non sono cifre impossibili se la pressione fiscale non fosse già molto alta (nel 2015, è stata il 45% del PIL in media, e il 65% per le imprese. (Continua sotto).

(Continua Luciani).

Dal punto di vista politico (vale dire, del governo che fa il debito), il debito genera un vantaggio in termini di voti, grazie alla popolarità della spesa, mentre l’impopolarità della imposta viene caricata sui governi futuri, che dovranno pagare il debito: dunque non c'è bilanciamento delle relative responsabilità. La tabella sopra riportata ci informa che il grande debito scoppiò nel 1981.
  Ma non è stato mai creato un Fondo di ammortamento, finanziato da una imposta ordinaria, anzi la regola è stata di pagare il debito in scadenza accendendo nuovo debito.
   Tuttavia, nel mezzo del periodo 1972-2015, qualcosa è stato fatto :
   a) Un primo modo positivo, nel 1973-1985 (quando l’Italia disponeva del potere monetario) è stato di cancellare tutto il debito precedente, svalutando la Lira. Infatti i prezzi aumentati dal 10% al 21% nel periodo 1973-85, come già si fece nel primo dopo-guerra .
   Ma, in parallelo, in quegli stessi anni, anche un modo contraddittorio, quello di allargare il settore pubblico (si vegga sopra) come questo sia esonerato dalle buone regole, così che il debito riprese alla grande, anche causa la coincidenza dei tassi di interesse sopra il 20% ( data l’alta inflazione, il tasso si sconto arrivò fino al 19%,1981).
   Il risultato fu che il debito risalì, come è descritto nella terza tabella.
   b) Un secondo modo positivo, nel 2003,  è stato la istituzione di un Fondo di ammortamento, da alimentare con il ricavato dalla vendita degli immobili dello Stato.
   Ma dalle relazioni del Ministero delle Finanze risulta che l’introito ha ammortizzato il debito per soli € 170 miliardi in 19 anni (1995-2015).
  Dal punto di vista politico dei governi in carica, c’è stato ancora una volta un vantaggio in termini di voti, considerato che introitare soldi dalla vendita di immobili (a basso prezzo) crea voti, non bilanciato dalla impopolarità fiscale.

3.- La sorte del governo RENZI e la retta via per affrontare il debito. Renzi, ultimo governo arrivato, si trova col cerino in mano. Un comune cittadino che paga le cambiali con nuove cambiali, alla fine si espone al suicidio. RENZI dovrà suicidarsi ? Fortunatamente per lui, questo non è necessario, perché il debito non grava su di lui personalmente.
  Ma nessuno s'illuda. Il monte di impopolarità da affrontare è talmente grande, che con l'attuale governance non potrà che fare quanto hanno fatto i predessori: vale dire rinviare e questo, oggi, ha nome "flessibilità".
   Infatti il problema del debito comporta il taglio drastico della spesa pubblica (non l'aumento delle imposte), e precisamente la riforma dello Stato (bilanciata dal rilancio del settore privato produttivo).
   Riformare lo Stato vuole dire mettere lo Stato in condizioni di svolgere i suoi compiti fondamentali (sicurezza, difesa,...) ed i compiti sociali essenziali (sanità, scuola,...), sgravando lo Stato medesimi da compiti che il settore privato svolge meglio ed eliminando gli enti inutili. Precisamente:

  - fare un solo ente intermedio tra Stato e Comuni (abolire le Regioni come enti legislativi e trasformarle in enti amministrati sul modello delle Province abolite);
  - privatizzare tutte le imprese pubbliche non strategiche;
  - abolizione delle imprese municipalizzate, un veicolo dei Comuni per vantaggi illeciti ai politici e burocrati locali (salvare quelle per l'acqua e il gas domestico)
  - abolizione degli enti doppioni, per le stesse funzioni
  - revocare la delega di gestione della sanità alle Regioni.
   Ma questo presuppone che il governo abbia forza, cosa che rende necessaria, prima, la riforma costituzionale della Governance.
 
4) Il governo non ha poteri sufficienti per compiti così onerosi. Infatti, allo stesso modo dei predecessori:
  - il Presidente del Consiglio vive sulla fiducia del parlamento (due camere), per cui è sotto il ricatto quotidiano dei gruppi e partitini della sua maggioranza, che chiedono vantaggi, pena la sfiducia;
  - il Presidente del Consiglio non può dimettere i ministri, se tradiscono le sue direttive;
  - il Ministro del Tesoro conta più del Presidente del Consiglio.
  Renzi, se ci provasse a farlo ora,
susciterebbe la rivolta dei partiti (prima, del suo PD) e poi di tanti comuni cittadini abituati a vivere di "spesa pubblica". Dunque sarebbe sfiduciato, come tutti governi passati. Le tabelle, sopra, ci informano che l’Italia è stata afflitta da grave ingovernabilità: 67 governi in 74 anni (1943-2015).

5) Conclusione. Per affrontare i problemi finanziari fondamentali, il presupposto è la riforma della governance, e questo allo scopo di avere governi non ricattabili durante la legislatura, nell’applicare il programma approvato dagli elettori.
  a) Cosa fa Renzi per la governance ?
Su questo punto, Renzi è in viaggio, e vi è quasi riuscito con le riforme costituzionali e la nuova legge elettorale già approvata, che andrà in vigore il 1 luglio 2016. Di sicuro non mancherà, fino all'ultimo, chi vorrà farlo cadere, e l'ultima speranza è il referendum costituzionale di settembre 2016.
   Le riforme di Renzi sono il minimo, rispetto a quanto si dovrebbe (ad es., repubblica presidenziale come in USA). Ma tant’è che il meglio è nemico del bene, e accontentiamoci, per ora).

b) Quale risultato finanziario ?
  - la pressione fiscale dovrebbe essere ridotta al 35%, a cui aggiungere grosso modo una imposta del 6% per la rata di ammortamento del debito.
  - la spesa pubblica andrebbe ridotta, conseguentemente di pari ammontare (e dunque essere ridotta al 40-41/ del PIL).

III.- SECONDA IPOTESI : USCITA TEMPORANEA DALL'EURO. Uscire dall'Euro vuole dire rimettere la LIRA, come seconda moneta, affiancata all'Euro, a una determinata parità, fermo che è’ impensabile l’abbandono dell’UE, perché è garanzia di "mai più guerre in Europa".
   Ma questo non comporta accettare di morire di Euro (vedi l’Inghilterra).
  Si potrebbe anche integrare il Trattato di Maastricht inserendo una modalità di uscita temporanea (cosa mancante, come Draghi ha già chiarito) per delineare la modalità della transizione dall’Euro alla nuova Lira.
   Fatto questo, l’Italia provvederebbe a risolvere i problemi finanziari, senza "dipendere" da Bruxelles.
  In questo modo, ferme la riforma della governance, il progetto della riduzione reale del debito avrebbe un’arma alternativa che è la svalutazione monetaria.
   Ad es., per un dimezzamento in 5 anni, sarebbe necessaria una svalutazione della nuova moneta nell’ordine dell’8% all’anno.
  Al tempo stesso, questa strada sarebbe un buon ossigeno per le esportazioni, ma creerebbe problemi ai cittadini con reddito fisso.
  Forse la strada, dentro l’Euro, è quella meno peggio, associata alla strada di Draghi del Qe, ma che dovrebbe realizzare una inflazione un po’ più del 2%, accompagnata da una politica di indennizzo del reddito fisso.
  Si potrebbe riformare qualcosa, a livello di riforma dei Trattati, ossia centralizzando in UE:
- gli investimenti per le aree depresse della UE;
- certe garanzie comuni dal lato finanziario, al fine di controllare i mercati;
  - dare alla BCE il potere di banchiere di ultima istanza nei confronti della UE (non di singoli Paesi)
  - prevedere una modalità per l’uscita temporanea dall’Euro, per i Paesi in impossibilità di pagare il debito (mai più quanto fatto alla Grecia, nell’estate 2015).
   TUTTAVIA: non si prenda sottogamba la tensione sociale che si accompagnerebbe alla svalutazione. Si tratterebbe:
-  del fatto che risparmiatori truffati insorgerebbeto, perchè si troverebbero con un pugno di mosche in mano, ossia moneta svalutata) ;
-  e che il sistema economico sarebbe sovvertito (in quanto, in caso di grande inflazione: a)  l'indice dei prezzi si apre a ventaglio, vale dire non rispettamente le proporzioni precedenti; b) i fondi di ammortamento, azzerati).
  La storia della Germania ci ricorda che la grande inflazione del 1924 generò il nazismo.
  Anche l'Albania ha avuto nel 1997 (con Berisha) grandi sommovimenti sociali.
  In Italia conosciamo esperienze di svalutazione non seguite da rivoluzione:
- quella del primo dopoguerra;
- quella parziale degli anni '80, ma che non risolse la questione del debito, perchè si persistette accendendo nuovo debito ai nuovi tassi di interesse (intorno al 20%).

IV.- Ultimo, ma non ultimo. Chi paventa la dittatura di RENZI si metta il cuore in pace:
   1.- L'Italia rimane una repubblica parlamentare, fondata sulla fiducia del parlamento;
   2.- A riforma conclusa, tutti i riformatori finiscono male (hanno l'ostilità degli amici, percheè esautorati; conservano l'ostilità dei nemici, per ragioni di bandiera). Vedi Gorbaciov, Mario Segni, ...

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RIPROGETTARE   LA  UE ?
PARTE I - Punto di vista monetario

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MERKEL: "Facciamo una UE a due velocità"
DRAGHI: "Un concetto forse non ancora tutto sviluppato"

LUCIANI: Quali possibilità ha RENZI, di un ritorno per dare un contributo alla nuova UE ? Direi che il nodo stia nel convincere di aver un programma, che risolve i nodi dello Stato e degli Enti Locali, e rilancia la libertà dei privati, di produrre (abbassando le tasse del 15% del PIL).
In Italia il settore pubblico è decotto, e va ripensato come spesa.
Quella cosidetta lotta all'evasione fiscale è una pianta malevola,
perchè non si è mai risolta nel ridurre le tasse per chi le paga.

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Nino Luciani, Le premesse, per capirne qualcosa, di questi progetti
PARTE I - Punto di vista smonetario

1) Cosa vuol dire UE a due velocità ? Preso atto che, economicamente,  la UE si identifica in un mercato unico con una moneta unica, la possibilità di due velocità vuole dire un mercato unico delle merci e dei capitali, ma con più monete e più mercati monetari.
a) Nella UE veloce, ci starà solo l'EURO, governato dalla BCE;
b) Nella UE lenta ci saranno tante monete, quanti i paesi usciti dall'Euro, e ci saranno tanti cambi tra Euro e ognuna du queste monete, e tanti cambi tra le monete non Euro.
c) Rinasceranno le banche centrali, in ognuno dei Paesi usciti dall'Euro

2) Saranno possibili più monete ? Sarà possibilissimo, se vi si arriva consensualmente; più complicato se unilateralmente.
  A proposito della Grecia, la uscita ci sarebbe già stata se la BCE non avesse strozzato la Grecia, tagliando i rubinetti della liquidità (si ricorderà quel vecchietto in piazza che piangeva per non poter incassare la sua pensione).
Sia chiaro che la strozzatura ci fu perchè Tsipras non aveva, preventivamente, ri-creato la Dracma. E, infatti, anche adesso qualunque Paese potrebbe uscire dall'Euro, se avesse già pronta una propria moneta (vedi REGNO UNITO)
  Meglio sarebbe una uscita concordata ? Non lo so fin a quanto.

Ci sarebbe, nei Paesi in uscita, il problema di una riserva monetaria in Euro, Dollaro,... che (d'intesa con la BCE) sarebbe agevolata (ad es., gli attuali Euro, distribuiti tramite la B.d'I., potrebbero essere attribuiti all'Italia. E c'è anche il FMI, ...
Forse una uscita concordata e programmata avrebbe qualche vantaggio del Paese uscente,  nei confronti dei Paesi non europei, perchè si potrebbe salvaguardare la cintura doganale unica del 10%.
Non solo questo. Sarebbe possibile e opportuno istituire:
- un Fondo UE per la stabilizzazione delle monete, quanto al cambio tra l'Euro e le monete uscite (tipo FMI);
- un Fondo UE per i problemi economici di tipo strutturale, aventi un riflesso sulle bilance dei pagamenti (tipo BIRSS).

3) Ma Draghi dice che "le due velocità" sono "un concetto forse non ancora completamente sviluppato".
La forza di Draghi sta nel potere usare l'EURO come moneta di ultima istanza nel caso estremo di situazioni finanziarie sovrane in pericolo di default.
Più problematica è situazione di debolezza dell'Euro, in caso di futuri disavanzi strutturali UE della bilancia commerciale (e dei pagamenti internazionali).
Tuttavia le monete non hanno mai retto, se non sorrette dai mercati delle merci e dei capitali reali. Infatti, nel modello macroeconomico il flusso del reddito è circolare a doppio circuito: la moneta circola in un senso e i beni in senso opposto, in modo che tra moneta e merci si realizzi un interfacciamento continuo. In particolare, è determinante il grado di equilibrio della bilancia dei pagamenti dellla UE in Euro, e che attualmente si direbbe solido (e lo sarà, finchè i Paesi mediterranei stanno in piedi, in qualche modo).
Questo vuol dire che DRAGHI non può illudersi, oltre un certo segno: in questo occorre preoccuparsi per tempo delle situazioni dei paesi mediterranei. Dunque gli attuali squilibri finanziari strutturali restano una minaccia.

4) In caso di uscita, cosa potrebbe accadere per gli squilbri strutturali ? Sicuramente si potrebbe smantellarli in poco tempo mediante la svalutazione, ma con pericoli gravissimi per le democrazie. Nel senso che, come è avvenuto nel primo dopoguerra, chi aveva risparmiato un soldo, si è trovato in mezzo alla strada privato di ogni potere d'acquisto.

Memento che l'avvento del nazismo, in Germania, fu il frutto della grande svalutazione del marco (1924), studiata da C.Bresciani Turroni, a suo tempo.

4) Il caso dell'Italia.
I problemi strutturali finanziari sono notevoli.
Dunque, conviene uscire dall'Euro e svalutare ?
  Forse si potrebbe uscire, se l'idea è realisticamente (anche nel senso di evitare rivoluzioni) svalutare al ritmo del 5% all'anno per 5 anni, per un totale del 30%, e corrispondentemente adeguare le aliquote fiscali al ribasso.
  L'alternativa sarebbe non uscire e fare le riforme strutturali, a cui il governo RENZI è risultato assolutamente inadeguato.
  Tutto quello che RENZI ha saputo fare è vivere alla giornata, insultare la UE per colpe della Italia, ma girate gratis sulla UE.
  Precisamente il pensiero di RENZI (e di PADOAN, suo Ministro dell'Economia) è che la economia riprenda solo con politiche di spesa pubblica aggiuntiva. Ma ciò ignoro che i potenziali maggiori ricavi delle imprese (derivanti da questa spesa pubblica aggiuntiva) non scalderebbe un dente all'imprendiore, se il fisco si porta via il 65% del potenziale maggore utile.
   Purtroppo la macro-economia, tuttora insegnata nelle università, è quella teorizzata per gli anni '30, quando la spesa pubblica si aggirava intorno al 30-33% del PIL, ed effettivamene c'era spazio per una espansione del settore pubblico, capace di fare aumentare il PIL.
Oggi, il settore pubblico è ampiamente improduttivo e il gettito fiscale non serve solo a finanziare le infrastrutture e i servizi pubblici e sociali necessari, ma anche (troppo) a creare profitti esagerati ai politici.  La ruota che gira tuttora è la grande ruota del centro-sinistra avviata nel 1961. Essa ha continuato a girare correttamente fino alla fine degli anni '70, dopo di che quella ruota ha preso dimensioni gigantesche, con la espansione abnorme del debito pubblico.
  E adesso nessuno vuole rinunciare ai privilegi conquistati, e siamo sull'orlo dell'abisso ogni giorno, come se siamo avvisati dalla ricomparsa dello spread tra bond italiani e bond tedeschi.
  Quella cosidetta lotta all'evasione fiscale è una pianta malevola,
perchè non si è mai risolta nel ridurre le tasse per chi le paga.

5) Domanda: RENZI si è mai posto il problema di come affrontare la situazione strutturale di fondo dell'Italia ?
  Direi proprio di no e, con lui, le sue ministre, sprovvedute di ogni preparazione professionale e di memoria storica.
Con tutto questo, penso che RENZI non abbia nessuno possibilità di tornare, se non si ritira in convento per studi intensivi sullo Stato e sulla Economia e Finanza Pubblica, per poi presentarsi con un programma "lacrime e sangue".

6) Quale programma ? Se si esclude l'uscita dall'Euro, ill criterio è che per generare socialità, devi (prima) produrre. E siccome lo STATO oggi non ha più capacità di  produrre (lo vediamo dalle sue SpA, a capirale pubblico, di maggioranza: ENI, ENEL, TERNA, POSTE,...), la retta via sta nel liberare le imprese private dall'attuale giogo fiscale (calando le tasse, pari al 15% del PIL).
  RENZI, come farai ? Dovrai riordinare lo Stato, eliminando tutti gli enti intermedi tra lo Stato e i Comuni, e dovrai anche riordinare i Comuni accorpandoli obbligatoriamente, in modo che la dimensione minima non stia troppo sotto i 10.000 abitanti.
RENZI, ne vuoi qualche prova, per grandl linee ? Sotto, trovi due grafici che raccontano cosa è successo nella storia d'Italia dal 1960: un lusso che dal 1975 non possiamo permetterci.
  TROVI che nel 1977-70 la burocrazia prendeva intorno ai 50 miliardi di Euro. Dal 1990 la cifra è quadruplicata.
  TROVI che dal 1977-79 (anni di entrata in vigore delle Regioni), trovi che spesa pubblica è passata dal 33% al 46% del PIL.
  Dovrai far tornare indietro le lancette dell'orologio.

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MENTRE SI RI-DISCUTE
PER UNA NUOVA UE

Tsipras: Mi arrendo
Renzi: Basta politiche restrittive...
           ma poi sbatte la testa


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.

 

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La GRECIA di nuovo sotto il tiro della UE: avrà la metà dei finanziamenti promessi.
Non se parla perchè oscurata dall'ITALIA per motivi più o meno uguali e sotto REFERENDUM

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.
IN GRECIA RIMANE UNA FASE DI INCERTEZZA, CON L'ECONOMIA
SOFFOCATA, COME FU GIA' IN ITALIA CON LA CURA DEL GOVERNO MONTI

IOANNIS VOGIATZIS *, I nuovi dati statistici ci fanno vedere che lo Stato greco
ha avuto una piccola crescita negli ultimi 6 mesi con maggiori entrate fiscali
allo Stato, grosso modo 5,4 miliardi di euro, aggiuntivi. Per il resto, tutto resta grigio.

*Imprenditore in Grecia

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Ioannis Vogiatzis

LUCIANI, I dati dell'UFFICIO STATISTICO ELLENICO dimostrano che la GRECIA è un Paese in avanzato stato socialista
(spesa pubblica pari al 55% del PIL), frutto dei lunghi governi del Pasok. La retta via UE sarebbe il calo delle spese
pubbliche per gli enti inutili e, a ruota, il calo delle tasse per rilanciare il settore produttivo. Inoltre la (madre)
UE dovrebbe caricare su di sè una parte del debito pubblico, per ridurlo al 100% del PIL.

Fonte: UFFICIO STATISTICO GRECO -  http://www.statistics.gr/en/statistics/ - Elaborazioni di Universitas News

Anno

Rapporto
deficit/pil

Rapporto spesa
pubblca/pil

Rapporto entrate pubbliche/pil

Pil a prezzi costanti (2012)

Rapporto Export/pil

Rapporto
Import/pil

Rapporto occupati
/popolazione

Rapporto debito pubblico/pil

Rapporto disavanzo estero/pil

Reddito pro-capite
a prezzi costanti (2012)

2002

6,0%

45,79%

39,77%

157,578

20,11%

30,23%

40,27%

108,3%

10,12%

14.310

2003

7,8%

46,59%

38,76%

172,292

18,54%

29,64%

40,76%

103,9%

11,10%

15.621

2004

8,8%

47,61%

38,78%

187,262

20,70%

29,19%

41,79%

105,09%

8,48%

16.997

2005

6,1%

45,56%

39,37%

194,154

21,31%

29,58%

41,98%

106,6%

8,27%

17.540

2006

5,9%

45,11%

39,17%

209,724

21,17%

31,67%

42,63%

103,5%

10,50%

18.897

2007

6,7%

47,06%

40,36%

224,160

22,52%

35,00%

43,07%

103,1%

12,48%

20.138

2008

10,1%

50,81%

40,64%

231,055

23,36%

35,96%

43,51%

109,4%

12,60%

20.702

2009

15,1%

54,06%

38,90%

230,7259

18,98%

28,76%

43,19%

126,7%

9,77%

20.639

2010

11,2%

52,46%

41,25%

223,689

22,10%

30,72%

42,09%

146,2%

8,62%

20.013

2011

10,2%

54,23%

43,99%

204,628

25,53%

32,30%

39,28%

172,0%

6,77%

18.347

2012

8,8%

55,26%

46,44%

191,204

28,68%

33,13%

36,95%

159,6%

4,44%

17.211

2013

13,0%

62,03%

49,02%

184,320

30,35%

33,16%

36,16%

177,7%

2,81%

16.673

2014

3,6%

50,54%

46,90%

180,620

32,50%

34,93%

36,35%

180,1%

2,43%

16.420

2015

7,2%

55,44%

48,18%

176,893

31,91%

31,77%

36,69%

176,9%

0,00%

16.148

tsipras psg arreso.jpg (8084 byte)

In queste immagini,
si ipotizza che
TSIPRAS e RENZI
si parlino

renzi socialismo.jpg (10626 byte)

Fonte: UFFICIO STATISTICO GRECO -  http://www.statistics.gr/en/statistics/ , Miliardi di € 

Anno

Deficit
di bilancio

 Spesa pubblica

Entrate pubbliche

Pil a prezzi correnti

Export

Import

Occupati
(migliaia)

Turisti stranieri
(migliaia)

Popolazione
(migliaia)

2002

9,847

74,860

65,013

163,461

32,877

49,424

4.434

14.180

11.011

2003

14,009

83,355

69,346

178,905

33,177

53,037

4.495

13.969

11.029

2004

17,101

92,237

75,136

193,716

40,115

56,546

4.604

13.313

11.017

2005

12,329

90,778

78,449

199,242

42,463

58,953

4.646

14.765

11.069

2006

12,954

98,292

85,338

217,862

46,130

69,010

4.731

16.039

11.098

2007

15,607

109,528

93,921

232,695

52,403

81,453

4.795

16.165

11.131

2008

24,606

122,957

98,351

241,990

56,533

87,039

4.856

15.939

11.161

2009

35,990

128,412

92,422

237,534

45,089

68,319

4.829

14.915

11.179

2010

25,333

118,586

93,253

226,031

49,958

69,452

4.705

15.007

11.177Un

2011

21,205

112,282

91,077

207,029

52,866

66,889

4.381

16.427

11.153

2012

16,870

105,675

88,805

191,204

54,845

63,353

4.105

15.518

11.109

2013

23,503

112,068

88,565

180,654

54,835

59,915

3.997

17.920

11.055

2014

6,476

89,939

83,463

177,941

57,837

62,171

3.999

22.033

11.000

2015 12,757 97,749 84,662 175,697 56,074 55,821 4.020 23.600 10.954
Ioannis Vogiatzis. I nuovi dati statistici ci fanno vedere che lo Stato greco ha avuto una piccola crescita negli ultimi 6 mesi con maggiori entrate fiscali allo Stato, grosso modo 5,4 miliardi di euro, aggiuntivi. La gente paga quello che deve pagare e il governo e' soddisfatto per questo.
  Va comunque precisato che questa piccolissima crescita si vede solamente presso le imprese piccole.
  Invece le grandi imprese soffrono e sono tantissime quelle che hanno chiuso.
  La crescita continua ad andare molto lentamente e noi imprenditori non aspettiamo dei miracoli.
  Vorrei fare un paragone di questo governo di Tsipras con l' ex governo di Samaras. Direi che la crescita dello 0,1% di quest anno sia piu' importante e migliore della crescita del 2% del Governo di Samaras.
  Specialmente per le piccole imprese, questo fa vedere una dis-analogia di numeri e del punto di riferimento da quale la stiamo guardando.
  Questo fa anche vedere che alla fine le riforme di Tsipras hanno avuto piu' risultati di quelli di Samaras, pur se hanno fatto anche male al "settore privato alto". uindi la realta' dell'economia fa vedere che, prima, bisogna aspettare prima che si facciano riforme e riforme; e, dopo, giudicare se l'indicatore dell' economia corrisponde alla realta' economica pragmatica.
  Il problema e' quanto aspettare ancora, dopo 7 anni di crisi, che le cose cambiano davvero verso il meglio. Il fattore tempo rispetto anche su come si e fatto lo stato greco e specialmente il suo settore privato dovevano dall' inizio fare pensare bene alla squadra della troika come agire e cosa fare.
  Se fossero dei cambiamenti diversi nel settore privato e se fosse un forte sostegno potremmo ora parlare di una crescita decisamente piu veloce.
   Non vorrei fare affidamento alle privatizzazioni che in corso, e ai nuovi fondi che si troverebbero con esse .
   Ho sentito tante volte domandare cosa, alla fine, vuole essere lo Stato greco. Vuole essere un paese che si va avanti in base al turismo e agricoltura, oppure vuol essere un paese magari piu' produttivo?
   Sono della opinione che non dobbiamo giudicare qualsiasi cosa che si fa ora, anche se ha un risultato positivo e porta piu' soldi allo Stato e diminuisce anche la disoccupazione . Forse e' meglio lasciare le cose cosi' come sono e aspettare quanto sia grande il risultato.
  Rinviando il giudizio, troveremo la creazione anche di nuove imprese e un aumento anche della concorrenza che fa bene per l economia. Per ora ritengo che non abbia abbia senso parlare di patriottismo e fare delle discussioni su le cose in cui ci appartengono o no. Sono contrario.
Nino Luciani. A supporto delle considerazioni dell'imprenditore greco VOGIATZIS, viene presentato (qui sotto) un quadro di elementi della struttura macro-economica della Grecia, che permette di far luce sulla effettiva situazione greca e se se c'è una via di uscita dalla crisi.
  Le riflessioni dell'imprenditore VOGIATZIS sono pessimistiche.
  Poi, dall'esame dei dati, si trae che la Grecia è un Paese in avanzato stadio di socialismo, frutto delle politiche del PASOK a lungo al governo, e adesso ereditato da TSIPRAS, anch'egli socialista, sia pure di un altro partito. In Grecia la spesa pubblica è il 55% del PIL, come in Italia, altro Paese in avanzato stadio di socialismo, frutto dei lunghi governi di centro-sinistra (1961-92).
I dati mostrano che il popolo greco ha molto sofferto, consideratp che la popolazione è calata di 225.000 unità, dal 2010 al 2015.
   Unico supporto positivo è stato il turismo.
  In Grecia, si è confermato che puntare a pareggiare i conti aumentando le tasse è una follia, così come lo fu in Italia con il governo Monti. E il motivo più drammatico è che lo Stato non è capace di spendere in tempo reale: vale dire, il prelievo fiscale rimane congelato uno, due anni prima di tormare in circolo.
  Purtroppo un socialista (come Tsipras, o il nostro Renzi) non capirà mai che il socialismo non si fa con i bruscolini, e che solo Paesi coma la Norvegia se lo possono permettere grazie al petrolio, che "gli esce dalle orecchie".
  La Grecia ( reddito medio € 16.000, metà di quello in Italia) dovrebbe soprattutto preoccuparsi di incentivare il numero delle imprese, obiettivo realizzabile solo se le tasse sono basse.
   Ma per fare questo si devono eliminare gli enti inutili (in Italia, le Regioni), restringendo il socialismo ai servizi pubblici veramente importanti, e al sostegno delle fasce più deboli.
  Vorrei accompagnare questa riflessione con un brano del Vangelo, che dice: "Quod superest, date pauperibus".
   Questo indirizzo è stato sempre interpretato come riduttivo del socialismo. Invece esso è la premessa fondamentale per arrivare, più tardi, al socialismo.
  Infatti, il superfluo è ciò che resta dopo avere assolto alle esigenze importanti della vita, e che per una impresa sono quelle di assicurare gli ammortamenti e le innovazioni per restare sul mercato, vincendo la concorrenza. Da qui derivano, poi, il lavoro e quant'altro, compreso pagare le tasse perchè lo Stato faccia le strade, la scuola, gli ospedali e quant'altro.

.LE CIFRE DI PIU' SOPRA, TRASFORMATE IN GRAFICI

Grecia primo gruppo.JPG (122613 byte)

Grecia secondo gruppo.JPG (129974 byte)

Grecia terzo gruppo.JPG (72634 byte)

 

.

 
RENZI si coalizza contro la UE, con i Leader UE del Mediterraneo: NO AUSTERITY
e vuole una manovra espansiva con la nuova legge di bilancio

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AL TEMPO STESSO RENZI CHIEDE UN SI'
alla SUA RIFORMA COSTITUZIONALE
perchè l'Italia abbia governi più stabili,
.
ma tace sulle future riforme strutturali (fisco, Regioni...),
essenziali per il successo di una politica espansiva.
Cominciamo dal risvegliare il CETO MEDIO, con meno tasse
.
Però la UE sbaglia se è solo interessata al pareggio del bilancio

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LUCIANI: Una politica espansiva non può funzionare se il fisco taglieggia l'utile di impresa (in Italia: 65%, senza corrispondenti
servizi pubblici). Non vale, poi, dare bonus e detrazioni fiscali, se sono recuperati su altre voci, così che il totale fisco non cambia.
Negli Stati Uniti la politica espansiva per gli investimenti ha successo perchè la tassazione degli utili d'impresa è la metà.
Più coerente (pur se sbagliato) sarebbe per il PD  ampliare il socialismo attuale, o adottare il socialismo di mercato dei Cinesi.
Sbagliata la persecuzione fiscale sul ceto medio, a cominciare dal 2006 (Governo Prodi:
Clicca su ceto medio, musica )

TASSE UTILE.jpg (43599 byte)

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La Carta di Atene per il futuro della UE
Firmata da Francia, Grecia e Cipro, Italia,
Malta, Portogallo e Spagna il 9 sett. 2016

(Nostra traduzione libera. Per l'originale in inglese:
http://primeminister.gr/2016/09/09/15173 )

  Noi, i capi di Stato e di governo della Repubblica di Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna, ci siamo riuniti ad Atene, con l'obiettivo di migliorare la nostra cooperazione e di contribuire al dialogo sul futuro dell'UE .

Sottolineiamo il nostro forte impegno per l'unità europea e la nostra ferma convinzione che, agendo insieme, i nostri paesi sono più forti ed cittadini europei sono in una posizione migliore per controllare il loro futuro.

Noi rispettiamo il desiderio del popolo britannico espresso nel recente referendum. La notifica dell'intenzione del Regno Unito di recedere dal UE dovrebbe essere fatto il più presto possibile. In futuro, speriamo di avere il Regno Unito, come uno stretto partner dell'UE.

Siamo convinti che l'Unione europea abbia bisogno di un nuovo impulso al fine di affrontare le sfide comuni che gli Stati membri si trovano ad affrontare, sostenendo i propri valori di libertà, democrazia e Stato di diritto, così come la tolleranza e la solidarietà.

Questa visione dell'Europa deve basarsi su misure concrete che contribuiranno alla sicurezza dei cittadini europei e di migliorare la loro vita, affermare il ruolo globale e regionale in Europa, migliorare il funzionamento delle istituzioni europee e di assicurare la loro responsabilità democratica. Cultura e l'istruzione devono essere al centro delle azioni europee, in questo quadro.

Inoltre, crediamo fermamente che, nell'interesse di Europa come un tutt’uno, il nostro progetto comune europeo sia basato su una visione del Mediterraneo come una regione di pace, stabilità e prosperità

Noi crediamo che il (prossimo, ndr) vertice informale a Bratislava il 16 settembre dovrebbe gettare le basi politiche di questa nuova visione, delle priorità fondamentali per il futuro, così come di un ordine del giorno con iniziative concrete da adottare.

In questo contesto, i nostri paesi propongono le seguenti priorità e le misure:

1. Garantire la sicurezza interna ed esterna dell'Europa

L'UE deve rafforzare la nostra capacità di garantire la sicurezza dei nostri cittadini e il nostro territorio e fa vivere la nostra responsabilità di rispondere alle crisi e di agire per la pace e la stabilità nel nostro ambiente e nel mondo, a sostegno di una politica di sicurezza e di difesa comune e nel pieno rispetto della Carta delle Nazioni Unite. A questo fine, abbiamo bisogno di aumentare la nostra cooperazione ed i nostri beni comuni nei settori della sicurezza e della difesa, in uno spirito di solidarietà.

Il rispetto per la sovranità e l'integrità territoriale degli stati, così come l'inviolabilità delle frontiere deve restare principi fondamentali per l'UE.

A questo proposito, sosteniamo il processo di negoziazione, per una soluzione equa, praticabile e globale della questione di Cipro, senza malleverie (guaranties), basata sulle rilevanti risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU, e sullo status di Cipro come uno Stato membro dell'UE. In particolare, l'Unione europea dovrebbe:

• Assicurare la protezione delle sue frontiere esterne, attraverso controlli sistematici, le tecnologie necessarie, l'interconnessione delle banche dati e l'effettiva istituzione della frontiera europea e della guardia costiera entro la fine dell'anno;

• rafforzare decisamente la cooperazione per la lotta al terrorismo, fornendo gli strumenti necessari, in particolare nei settori della polizia e della giustizia, nonché lo sviluppo della cooperazione per affrontare il fenomeno della radicalizzazione, incluso (attraverso la promozione di una iniziativa concreta) l’attivazione di investimenti di rigenerazione, della pianificazione e di politiche adeguate per le periferie dei centri urbani europei. La condivisione delle informazioni dovrebbe essere rafforzata, in particolare con la creazione di una piattaforma dedicata, in tempo reale, e lo scambio multilaterale. Noi rafforzeremo anche1 la cooperazione con i partner mediterranei;

• Ri-energizzare la sua politica estera e di sicurezza in linea con la strategia globale per la guida strategica e aumentare iniziative diplomatiche per la risoluzione dei conflitti e gestione delle crisi, tenendo anche in considerazione le lezioni imparate;

Sviluppare le capacità militari europee e l'industria della difesa, al fine di raggiungere l'autonomia strategica, in particolare attraverso un programma di ricerca europeo e di un fondo per la sicurezza e la difesa e impostare progressivamente una capacità di pianificazione e di condotta dell'UE per le missioni PSDC europei e le operazioni. Dovrebbe essere effettuato una applicazione piena del Trattato di Lisbona.

2. Rafforzare la cooperazione nel Mediterraneo e con i paesi africani

Le partnership tra noi nel Mediterraneo, e quelle con i paesi africani, sono essenziali per la nostra sicurezza comune, la stabilità e la prosperità. L'UE dovrebbe:

aumentare la cooperazione e il finanziamento al fine di sostenere gli sforzi dei nostri partner per garantire la propria sicurezza, per la lotta contro l'immigrazione irregolare e di favorire il loro sviluppo economico;

• In particolare, aggiornare la dimensione esterna della politica migratoria dell'UE e integrarla nella azione esterna e di sviluppo dell'UE. Su questa base, e tenendo conto del piano d'azione di La Valletta e di altri quadri di riferimento, gli sforzi (per accrescere il partenariato in materia di migrazione e concludere patti con i paesi di origine e di transito) devono essere rafforzati e adeguatamente finanziati;

• Migliorare gli sforzi diplomatici per risolvere le crisi e per contribuire alla pace e alla stabilità nel suo vicinato.

3. Promuovere la crescita e gli investimenti in Europa.

L'Europa deve mantenere la sua promessa di prosperità e di giustizia sociale. Abbiamo bisogno di più crescita e più investimenti per superare la crisi economica, creare posti di lavoro, proteggere il nostro modello sociale e preparare il futuro delle nostre economie. Siamo determinati a difendere l'acquisito sociale europeo e per promuovere la coesione sociale e la convergenza.

Affermiamo il nostro impegno nei confronti del processo di integrazione europea e lo sviluppo sostenibile dell'Europa sulla base della crescita economica equilibrata, della stabilità dei prezzi, e di un'economia sociale di mercato altamente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. In particolare, l'UE dovrebbe:

• promuovere gli investimenti raddoppiando la capacità di finanziamento del Fondo europeo per la strategica per gli investimenti ( "Piano Juncker"), concentrandosi sulle priorità chiave come l'economia digitale, progetti a basso tenore di carbonio per l'energia, comprese le interconnessioni energetiche e di trasporto, le infrastrutture così come la ricerca e formazione.

• Il problema delle strozzature, ove esistano, deve essere indirizzata al fine di promuovere gli investimenti e favorire la crescita economica, a beneficio di tutti i cittadini.

• Dovrebbe essere integrato da politiche europee il sostegno finanziario e di investimento, tra cui il completamento della Unione Bancaria e gli incentivi per gli investimenti a livello nazionale, così come le politiche e le normative per il mercato unico digitale, l'Unione per la energia e una strategia industriale.

• promuovere l'occupazione e il miglioramento condizioni di vita e di lavoro. A tal fine abbiamo bisogno di portare avanti decisive riforme strutturali orientate alla crescita, al fine di migliorare il funzionamento dei mercati, accrescere la competitività e creare posti di lavoro.

• Inoltre, i progetti di investimento negli stati membri con elevata disoccupazione e progetti transfrontalieri di interesse comune europeo che favoriscono l'innovazione e l'integrazione dei mercati, dovrebbero essere promossi.

• combattere l'evasione fiscale, la pianificazione fiscale aggressiva così come il dumping fiscale.

• Lotta contro il dumping sociale, affrontando le questioni relative alla frode, abusi e elusione delle norme.

Dovrebbero essere fatti nuovi passi per aumentare la crescita, la convergenza e la stabilità nella zona euro.

Il processo di ratifica dell'accordo di Parigi COP21 per l'UE ei suoi Stati membri, deve essere accelerato in modo che diventino parti dell'accordo come della sua entrata in vigore.

4. Rafforzamento di programmi per la gioventù

Abbiamo bisogno di iniziative più ambiziose a livello europeo per agevolare la mobilità e l'accesso alla formazione e posti di lavoro per i giovani. L'Europa dovrebbe, in particolare, estendere e amplificare l'iniziativa per l'occupazione giovanile e ampliare il programma Erasmus.

5. Affrontare il problema della migrazione

La protezione effettiva delle frontiere esterne dell'Unione e la gestione ordinata della politica di asilo e la migrazione costituiscono le principali sfide per il futuro dell'Europa. Essa dovrebbe essere basata sul diritto internazionale e comunitario e sui principi di solidarietà e responsabilità. Razzismo e xenofobia non possono essere tollerati.

Una politica migratoria globale dell'UE dovrebbe comprendere:

• Rendere il sistema europeo di asilo più efficace e più convergenti, rivedendo il sistema di Dublino, sulla base dei principi di responsabilità e di solidarietà, in particolare verso gli Stati in prima linea;

• Intensificare il distacco di personale a FRONTEX e all'UESA per il sostegno dei sistemi di asilo degli Stati in prima linea; attuare le conclusioni del Consiglio europeo per quanto riguarda la necessità di accelerare il trasferimento, che sta ancora avanzando molto lentamente; perseguire l'attuazione dell'accordo UE-Turchia, al fine di continuare a prevenire le morti tragiche e flussi migratori nel Mar Egeo;

• Sviluppare la nostra politica migratoria combattendo contro l'immigrazione irregolare, stabilendo un forte riammissione e modalità di ritorno, privilegiando la migrazione legale e le possibilità di mobilità legale e affrontare le cause di migrazione irregolare.

Sosteniamo la leadership di tutte le istituzioni europee. Siamo d'accordo di continuare il nostro scambio sulle priorità per il futuro dell'Europa, nonché in materia di cooperazione nel Mediterraneo.

Il 2 ° vertice dei paesi Ue del Mediterraneo si terrà in Portogallo.

(FONTE: Il Sole 24 ORE, 3 ott. 2016, pp. 1 e 5)

Il sentiero stretto della spesa pubblica, secondo Riccardo Sorrentino

Quanta spesa pubblica serve?
La discussione sui budget dei Paesi dell’area euro inciampa continuamente su questa domanda. La più difficile, anche perché condizionata da considerazioni puramente elettorali. Per i governi ne serve tanta, tantissima, e il sentiero in cui si muovono appare sempre troppo stretto.

Per la Commissione - e la Germania, che dei conti in ordine ha fatto un imperativo categorico - lo spazio a disposizione, tenuto conto delle deroghe, è invece sufficiente, mentre l’obiettivo del contenimento del deficit è prioritario.

La verità? Non è facile da individuare. Aumentare i consumi (acquisti e stipendi) e gli investimenti pubblici - che sono solo una parte della spesa pubblica, intorno al 40% in Italia - aumenta banalmente la domanda interna e il pil, di cui è parte. In questo senso, la spesa pubblica può "gestire la domanda", ma questa non è crescita economica, per la quale occorrono tecnologia (in senso molto ampio), capitale fisico, capitale umano - l’istruzione è l’investimento pubblico migliore - e tante nuove imprese.

Molti economisti - da Keynes in poi - ipotizzano però che ogni euro pubblico (comunque speso!) si "moltiplichi", creando un aumento della domanda interna e/o del pil di 1,5, forse due euro. Le ricerche per valutare l’entità dell’effetto sono numerose, molto sofisticate e molto articolate, ma i risultati sono altrettanto variabili: si passa da zero a quattro e torna in mente il vecchio adagio secondo cui se si torturano abbastanza i dati, prima o poi qualcosa confesseranno. Ne emerge un monito: è un po’ rischioso fare affidamento su queste valutazioni, meglio restare con i piedi per terra.

Non è difficile capire che molto dipende in realtà dalla composizione della spesa. Il presidente della Bce, Mario Draghi, chiede infatti una struttura della spesa «orientata alla crescita». Quanto vuole fare la Germania, con il suo margine di 15 miliardi, è interessante: ricerca, istruzione, innovazione. Più la sicurezza, perché le spese pubbliche non servono solo a far crescere l’economia, ma anche - anzi, soprattutto - a fornire beni pubblici e a redistribuire le risorse a favore dei più deboli (compito nel quale l’Italia è particolarmente debole: è tra i paesi "più eguali" prima dell’intervento pubblico e "più diseguale" dopo).

Francia e Italia hanno scelto un percorso diverso: ridurranno le tasse sulle imprese, che al 50-55% sono in realtà "pagate" dai dipendenti e in buona parte dai consumatori. In questo caso c’è il rischio che, in assenza di sufficiente concorrenza, il beneficio vada soprattutto a profitti che somigliano molto a rendite: la politica fiscale, senza vere riforme - sui mercati dei prodotti e dei servizi -, può essere inutile o dannosa. Soprattutto quando il deficit va ridotto.

Ha però senso - con tanti compiti da svolgere e in una situazione difficile come l’attuale - l’obiettivo di ridurre il deficit? Per un paese molto indebitato sì: il debito alto di per sé potrebbe rallentare la crescita. Senza contare una considerazione tutta politica. Un aumento del debito, o anche solo l’aspettativa di un atteggiamento troppo indulgente, può mettere un paese "nelle mani" dei mercati finanziari e spesso in quelle di investitori stranieri. Per chi ritiene che una società debba rimanere libera da questi condizionamenti, l’obiettivo della scrupolosità fiscale vale decisamente gli sforzi.

Nino Luciani, L'Italia verso il referendum, ma senza obiettivi di riforme strutturali dichiarati da parte di Renzi, anzi pasticci ...

RIASSUNTO. La UE spera in un SI', per avere in Italia governi stabili, con cui interloquire.... Ma non tutti gli Italiani capiscono ... Infatti, una manovra espansiva non può avere effetti, se non è preceduta dal taglio della pressione fiscale (-10%). In particolare, alle imprese medie e piccole non interessa avere maggiori utili, se lo Stato ne prende il 65% con la tassazione; e questo parrebbe valere anche per le grandi imprese, se la FIAT (FCA) ha trasferito la sede in Olanda... Ma tagliare la fiscalità comporta tagliare (di conseguenza) la spesa pubblica. Si dovrebbe cominciare dal trasformare le Regioni in ente amministrativo intermedio unico tra lo Stato e i Comuni (e non più con potere legislativo).

 1.- Premessa. Il SI' REFERENDUM non si lega con la NO AUSTERITY. In questi giorni di presentazione della legge di stabilità 2017, RENZI è tornato ad esercitarsi contro la UE: "no-AUSTERITY". Ma non manca chi ricorda che la spesa pubblica è già molto alta (55% del PIL) e non c'è margine per aumentarla (si vegga il testo di Sorrentino, qui a fianco).
  In questo servizio mi propongo di dimostrare che, comunque, una manovra espansiva (fondata sulla spesa pubblica) non può funzionare, a causa di alcuni gravi ostacoli strutturali in Italia. Il maggiore è l’alta pressione fiscale sulle imprese: 65% sull'utile.
  Lo vediamo dal fatto che, dal marzo 2015, è in atto (senza risultati) la manovra espansiva di DRAGHI (Qe, vale dire fabbricazione di carta moneta, che acquista a valanghe titoli del debito pubblico, anche italiano, sul mercato secondario). Riprendo questa tesi al punto 2, lettera b.
 
Questo fatto ci ricorda la carenza, da anni, dei Governi italiani sul versante delle strozzature strutturali, e questo ci rimanda alla riforma costituzionale: più forza e stabilità al governo (un solo voto di fiducia – quello della sola Camera dei Deputati) e più forza e coesione al parlamento (una sola camera perchè non più frazionato tra 2 camere) ?
  La UE ne sarebbe contenta: avrà anche in Italia un governo interlocutore non traballino, e più responsabile nell’affrontare i problemi.
  Ma RENZI sarà più responsabile verso la UE, o vorrà fare la fine di TSIPRAS o di quel vecchietto che piangeva in piazza ad Atene, perchè (a causa della stretta monetaria di DRAGHI) non poteva incassare la sua pensione ?
  RENZI è risultato anche senza troppa veggenza. Qui va ricordato che il COMITATO PER NO non ha raggiunto il quorum delle 500.000 firme, mentre il COMITATO PER IL SI' le ha superate. Se RENZI non sosteneva questo COMITATO, la riforma sarebbe già definitiva senza bisogno di Referendum .

I cittadini italiani non sono tutti convinti di votare SI’ al Referendum.Tra i contrari ci sono i benpensanti, quelli che temono per limitazioni della democrazia. Ma è forse utile ricordare che i Romani (del 500 a.C.) chiamavano (dall'orto) Lucio Quinzio CINCINNATO ad assumere la dittatura.  quando dovevano fare la guerra, Finita la guerra, tornavano alla democrazia e CINCINNATO era rispedito all'orto.
  La riforma costituzionale italiana è molto meno di una dittatura: la repubblica rimane parlamentare, sia pur con solo voto di fiducia (quella della Camera), e rimane il controllo di legittimità costituzionale degli atti del Governo, da parte del Presidente della Repubblica.
  Tra i contrari ci sono anche quelli (soprattutto dentro i partiti) che temono di perdere privilegi, perché il comando della immensa pubblica amministrazione italiana permette a loro di lucrare molti profitti, come una qualsiasi impresa privata, anzi di più perché i privati rispondono alle leggi, mentre i partiti si fanno le leggi su misura e finanche leggi interpretative con decorrenza retroattiva.
  La nuova Costituzione ha dei difetti ? Ne ha, ma (nella nuova stesura) sarà più facile modificarla.
  Storicamente, poi, è sempre esistito anche un filone di pensiero, secondo cui l’intervento pubblica fa guai, e quindi tutto va meglio se il governo funziona al minimo. Altri ancora sono indifferenti a qualsiasi riforma: un governo vale l’altro.
  Ma tant’è che anche in politica (non solo in fisica) esiste la forza d’inerzia e, questa volta (come ha detto più volte la UE), se un Governo non interverrà davvero, l’Italia andrà nel burrone, per forza di inerzia.
  Ahimè, perché dovremmo votare SI’ al Referendum, anche se RENZI rimmarrà su altra sponda ?
  Penso che al momento il riformare la Governance dello Stato è comunque un passo avanti necessario.
 
E penso che RENZI cadrà comunque vadano le cose. Anche in caso di vittoria del SI', avrà nemici sia quelli che hanno perso privilegi (a partire dal suo partito), sia quelli dell'opposizione, che gli rimarranno nemici per motivi di bandiera. (Così è capitatp a Gorbaciov e a Mario Segni).

 2.- Quale la retta strategia per l'Italia ? Per un quadro di insieme (e per spiegare che, senza taglio delle tasse sulle imprese, ancha una manovra espansiva fallisce), dobbiamo essere coscienti che, oggi, il potere politico in Italia è bicefalo:
- il potere monetario è in mano alla UE;
- il potere fiscale è rimasto in Italia, e dunque il governo ha poteri su questo,
non sul primo.

a) Sul potere monetario. Qui l’Italia può agire solo mediatamente (ossia con il proprio voto dentro gli organi collegiali della UE, magari coalizzandosi con altri), non con un corpo a corpo con la UE.
  Sulla via della coalizione si sono mossi i Paesi firmatari dellla Carta di Atene (riportata qui a fianco): Francia, Grecia e Cipro, Italia, Malta, Portogallo e Spagna. Ma vediamo meglio, circa la dirittura di marcia.
   Questi Paesi, per lunghi anni ispirati a programmi socialisti (tranne Malta, e l’Italia di destra, di Berlusconi) hanno accumulato un grande debito pubblico (compresa l’Italia dei governi Berlusconi) e mai hanno invertito la rotta verso l'economia di mercato. Troppo difficile costringere i partiti e molti altri a rinunciare a privilegi …
  La Carta di Atene vuole due cose:
- obiettivi sovranazionali della UE: la sicurezza interna e difesa estera, la cooperazione nel mediterraneo e con l’Africa, un piano europeo per gli investimenti (in particolare per eliminare le strozzature), definire una frontiera europea verso in non europei, la stabilità dell’Euro, indicazioni a favore della gioventù (ma non la uniformazione dei sistemi scolastici e universitari);
  - la economia sociale di mercato.

 La sovra-nazionalità per compiti politici di interesse europeo mi pare una buona strada, volendo ridisegnare la nuova UE.
  Invece la "economia sociale di mercato", direi che è un pasticcio,perché indica che, al proprio interno, ognuno dei 5 Paesi si riserva di continuare come prima, circa il modo di fare socialità: nel senso che si prescinde dalla salvaguardia del sistema produttivo (tassato fuori limite).
  Molto più serio (volendo detti Paesi restare socialisti) sarebbe stato dire socialismo di mercato, come dei Cinesi, che obbligano le imprese pubbliche a pareggiare i conti con prezzi di mercato, e hanno una pressione fiscale nell'ordine del 25% (in UE la pressione fiscale complessiva è nell’ordine del 48%.
   Penso, però, che l'Italia dovrebbe rilanciare il sistema produttivo con la economia di mercato. Quanto sia pericolosa (per l’Italia) quella strada, lo vediamo dal PIL (vedi tabella 1).
  Ma volendo, ad ogni costo, tenere duro sul socialismo, bisognerebbe puntare sulla svalutazione dell'Euro, molto più di quanto vuole Draghi (+2% all'anno), cosa impossibile, sia perchè vi sono contrari i Paesi del Nord Europa, sia perchè la Carta di Atene vuole "la stabilità della zona euro" (e questo è tutta una contraddizione.
  Dunque RENZI non è ancora sulla buona strada, in compagnia con i ribelli.
  Non insisto sullo stato dell'economia in Italia, ma per non intristirci troppo, rinvio ad una canzone di Maurizio Crozza - Abba, del 2006, sulla distruzione del ceto medio con la fiscalità. Siamo ai tempi del governo Prodi 2006-08, a cui seguirà il governo D’Alema. Clicca su ceto medio, musica (per le parole clicca su ceto medio, testo).

 b) Sul potere fiscale. Esso è pienamente controllato dall’Italia, purchè senza effetti monetari (vale dire, sia rispettato il pareggio del bilancio).
  Fatta questa lunga premessa, posso riprendere la tesi principale (punto 1): che è di dimostrare che il taglio delle imposte è essenziale, nella presente situazione.
  In premessa, va data una occhiata alla tassazione delle imprese in 10 Paesi europei (vedi tabella 2). Si vede che, in Italia, la pressione fiscale totale sulle imprese è 65%, e anche la più alta nei 10 Paesi. Questo vuol dire che, ancorchè si ipotizzi un aumento dei ricavi delle imprese (grazie al sostegno dei consumi con la spesa pubblica), il maggiore utile dovrà essere ripartito per il 65% allo Stato, e per il 35% alle imprese.
  Su questo 35%, l’imprenditore dovrà metterne una parte a riserva, per le innovazioni; il resto dovrà servire a far campare lui e la famiglia. In queste condizioni, un impresa media e piccola non ci sta dentro. Va considerato, poi, che l’utile dovrà confluire con gli altri redditi, in sede personale IRPEF e questa è una ulteriore complicazione.
  C'è chi penza che solo la grande impresa ci può stare dentro. Ma troviamo che la FIAT (FCA) ha trasferito la sede in Olanda...

  In passato Renzi aveva puntato sulla lotta alla evasione fiscale a occhi chiusi, come se non bastasse che le attuali sofferenze bancarie sono dovute alla insolvenza di molte aziende, causa fallimento. Rinvio a: lotta evasione fiscale
  Penso che il taglio della pressione fiscale (almeno il 10% del PIL, in totale) è la via che può ottenere nuovi investimenti privati. Ma è credibile se si comincia dal taglio dlela spesa pubblica. Serve un taglio del 15% in termini di PIL (di cui il 5% andrebbe ripescato dalla UE, come vuole la carta di Atene).
  Il taglio della spesa pubblica, per il 15% del PIL, è troppo ? Se determinati compiti passeranno sul bilancio europeo, il discorso per l’Italia diviene socialmente meno pesante. Essa realizza comunque, per l’Italia, una austerity per i percettori attuali di spesa pubblica, ma bilanciata da un vitale sollievo per le imprese e il lavoro.

3.- RENZI è pronto al taglio delle tasse? Egli ogni tanto annuncia tagli fiscali, ma la cosa non è credibile, se non taglia la spesa pubblica.
  La strategia del MINISTRO PADOAN è stata finora di tipo congiunturale (Keynes).     Ma il 22 sett. 2016 egli ha detto:" Il consolidamento progressivo (delle finanze pubbliche) è una necessità inderogabile per un paese ad alto debito come l'Italia,... . Il governo sta rimuovendo gli ostacoli strutturali ". Spera nel REFERENDUM ?
  La riforma costituzionale si giustifica, in fondo, per decisioni finanziarie importanti, il giorno dopo, vale dire per fare cose che, dal 1980, i tanti governi precari (e anche il governo Renzi-Padoan) non sono riusciti a fare, salvo che scaricarne il peso su quelli successivi.
  Ma finora RENZI tace circa le riforme strutturali. O, forse, nulla dice ..., per non aggiungere ostacoli al Referendum.

Immagino 4 riforme strutturali, dopo il Referendum, :
  a) abolizione delle Regioni come enti legislativi e loro trasformazione in ente amministrativo unico tra lo Stato e i Comuni, con i poteri delle vecchie Province e qualcos’altro, con adeguato potere fiscale.
 
Ho sempre pensato che esse siano un lusso che non possiamo permetterci. Questi doppioni dello Stato costano il 15% del PIL. Lo vediamo dalla Tabella 4. Essa mostra che dall’entrata in funzione delle Regioni (1977, Governo Andreotti, la spesa pubblica è aumentata del 15% in termini di PIL, facendo le stesse cose che faceva lo Stato). La riforma costituzionale fa qualche passo in questo senso, tagliando le competenze "concorrenti" delle Regioni, e abolisce il CNEL.
  b) Lo Stato dovrebbe revocare la delega di gestione (alle Regioni) del servizio sanitario, sia perché divenuto costoso oltre limite, pur avendo tagliato i servizi sanitari (oggi si viaggia in "libera professione" dentro gli ospedali), sia perché il servizio sanitario deve essere uniforme in tutto il territorio. Giuridicamente, questo si potrebbe fare senza riforma costituzionale, se ci fosse un governo forte.
  c) Si potranno abolire gli enti inutili, se non altro nel senso che basterà stabilire che gli enti pubblici o a partecipazione pubblica potranno restare solo se pareggiano il bilancio con mezzi di mercato, fatta eccezione per un elenco esplicito di grande valenza umanitaria e sociale (vedi: acqua).
  d) si dovrebbe creare un fondo di ammortamento del debito pubblico in 30 anni, da alimentare con una quota del gettito fiscale (non con la vendita del patrimonio immobiliare, rivelatosi impraticabile per ragioni tecniche).

4.- La legge elettorale ? Su questa mi riservo un pensiero nella prossima edizione.

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PARLAMENTO EUROPEO GIUDICA LO STATUS DI ECONOMIA DI MERCATO DELLA CINA
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"LA CINA NON E' UNA ECONOMIA DI MERCATO ?"
Testo della risoluzione dell'euro-parlamento
(12 maggio 2016)
    
LUCIANI: "La UE ha un'alta pressione fiscale, in confronto
alla Cina, e dunque pianga se stessa, prima di tutto..."

E chi è senza peccato lanci la prma pietra

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Nota. Il basso prezzo dei prodotti cinesi fa il danno dei produttori europei, e il vantaggio dei consumatori europei. I dati statistici comparati di UE e Cina mostrano che i prezzi cinesi sono bassi perchè la Cina ha una bassa pressione fiscale, al contrario della UE  Ciò non toglie che ci siano ragioni europee valide a favore di forme di protezionismo e sono quelle a favore di prodotti altamente stratetici (il ferro lo è, pur se meno che in passato), o a favore di prodotti altamente rappresentativi di determinate tradizioni e specialità, che si vogliono salvaguardare.
  Invece le violazioni della concorrenza assolutamente inammissibili (della Cina) sono il dumping (doppio prezzo interno ed estero), la concorrenza sleale medianti prodotti di qualità scadente o dannosa, i dazi privilegianti specifici prodotti senza una ragione di pubblica utilità, adeguatamente motivata e condivisa.
  Ultimo, ma non ultimo: è assolutamente inaccettabile che il Cambio Euro/Yuan non sia determinato come incognita che realizza il pareggio della bilancia commerciale delle due aree, salvo che l'eventuale squilibrio sia temporaneo, e comunque in intesa con il FMI.

NOTA. Per dati di contabilità  nazionale cinese, clicca su: http://it.tradingeconomics.com/china/government-spending

I CINQUE CRITERI DELLA UE PER   RICONOSCERE UN PAESE, A  ECONOMIA DI MERCATO
http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2015/571325/EPRS_IDA%282015%29571325_EN.pdf, page 14)

1. Un livello scarso di influenza da parte del governo nella allocazione delle risorse e nelle decisioni delle imprese;
2. La assenza di distorsioni nel funzionamento dell'economia privatizzata;
3. La effettiva attuazione del diritto societario con adeguate norme sulla corporate governance;
4. Un quadro giuridico efficace per la conduzione degli affari e il corretto funzionamento dell?economia di libero mercato (tra cui i diritti di proprietà intellettuale, diritto fallimentare, ...);
5. La esistenza di un settore finanziario realmente indipendente
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SOTTO, IL TESTO IN INGLESE. e il LINK per le statistiche economiche della CINA

PARLAMENTO EUROPEO
Sullo status di economia
di mercato della Cina

Risoluzione del 12 maggio 2016
TESTO ORIGINALE

Il Parlamento europeo,

– viste la legislazione antidumping dell'UE (regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 nov. 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea) e la sua normativa antisovvenzioni (regolamento (CE) n. 597/2009 del Consiglio, dell'11 giugno 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea),

– visto il protocollo di adesione della Cina all'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), in particolare la sezione 15;

– viste le sue precedenti risoluzioni sulle relazioni commerciali tra l'Unione europea e la Cina,

– vista la Comunicazione della Commissione del 10 ottobre 2012 intitolata "Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica" (COM(2012)0582), che fissa l'obiettivo di portare al 20 % entro il 2020 il contributo dell'industria al PIL dell'Unione;

– visto l'articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A. considerando che l'Unione europea e la Cina sono due delle principali potenze commerciali del mondo e che la Cina è il secondo partner commerciale dell'Unione, mentre l'Unione è il primo partner commerciale della Cina, con un volume di scambi giornaliero ben superiore a un miliardo di EUR;

B. considerando che qualsiasi decisione sul modo in cui tener conto della scadenza della sezione 15, lettera a), punto ii) del protocollo di adesione della Cina all'OMC e sul modo in cui gestire le importazioni dalla Cina oggetto di dumping illegale dopo il dicembre 2016 deve garantire, come principio guida, la conformità della legislazione dell'Unione con la legislazione dell'OMC;

C. considerando che quando la Cina ha aderito all'OMC, una disposizione transitoria di tale adesione prevedeva una metodologia specifica per il calcolo del dumping, che è stata inserita nella sezione 15 del protocollo di adesione e che ha costituito la base di un trattamento differenziato delle importazioni cinesi;

D. considerando che la Cina non soddisfa allo stato attuale i criteri stabiliti dall'UE per la concessione dello status di economia di mercato, né certamente li soddisferà entro la fine del 2016;

E. considerando la necessità di esaminare le precise conseguenze giuridiche della scadenza della sezione 15, lettera a), punto ii), per quanto riguarda il metodo utilizzato attualmente per stabilire il valore normale dei beni cinesi esportati nell'UE ai fini delle misure antidumping, come pure gli effetti giuridici delle restanti parti della sezione 15;

F. considerando che, dato l'attuale grado di influenza dello Stato sull'economia cinese, le decisioni delle società in materia di prezzi, costi, produzione e fattori produttivi spesso non rispondono alle indicazioni di mercato che rispecchiano l'offerta e la domanda;

G. considerando che, vista la mancanza di trasparenza e cooperazione, risulta spesso difficile per l'UE verificare adeguatamente le denunce di manipolazione dei prezzi e di intervento governativo nel settore industriale cinese;

H. considerando che la sovraccapacità produttiva della Cina in taluni settori provoca un abbassamento dei prezzi mondiali e che i prezzi esigui delle esportazioni cinesi incidono su determinati settori industriali dell'UE, come testimoniano i recenti effetti deleteri sul settore siderurgico dell'Unione;

I. considerando che dalla consultazione pubblica e dallo studio condotti di recente sulle implicazioni delle eventuali modifiche alle procedure antidumping nei confronti della Cina potrebbero emergere informazioni supplementari potenzialmente utili per affrontare la questione;

   1. ribadisce l'importanza del partenariato strategico dell'Unione con la Cina, nel cui ambito il commercio e gli investimenti svolgono un ruolo centrale, la rilevanza della Cina nelle catene globali del valore e il fatto che numerosi posti di lavoro nell'Unione dipendono dai rapporti commerciali con la Cina;

   2. constata che la sezione 15, lettera a), punto ii), del protocollo di adesione della Cina all'OMC giunge a scadenza l'11 dicembre 2016; invita la Commissione, se del caso, a esaminare quali cambiamenti giuridici potrebbero essere necessari per tener conto di tale scadenza;

   3. insiste affinché qualsiasi proposta contemplata dalla Commissione sia saldamente fondata sui quattro seguenti principi chiave:

• la necessità di garantire che la legislazione dell'Unione resti pienamente conforme ai suoi obblighi derivanti dalla legislazione dell'OMC e dalle conseguenze giuridiche delle modifiche apportate a determinate parti della sezione 15 del protocollo di adesione della Cina;

• la necessità non solo di tenere conto degli effetti giuridici specifici della scadenza della sezione 15, lettera a), punto ii), ma anche di garantire la corretta interpretazione giuridica delle sezioni del protocollo di adesione che resteranno in vigore dopo l'11 dicembre 2016;

• la necessità di assicurare che l'Unione, riconoscendone l'importanza critica e cruciale, conservi la piena e costante capacità di adottare misure tempestive, necessarie ed efficaci per contrastare le pratiche di dumping e rafforzi la sua capacità di combattere le sovvenzioni e le sovraccapacità dei suoi partner commerciali, che ledono il settore industriale dell'Unione, nonché garantisca che le imprese dell'UE continuino a operare in condizioni di parità a livello mondiale;

• la necessità che qualsiasi proposta legislativa si basi su una valutazione attenta e ponderata degli aspetti giuridici di un'eventuale decisione, nonché delle potenziali ripercussioni economiche, sociali, industriali, politiche e strategiche a medio e lungo termine;

  4. chiede che tale riflessione non pregiudichi l'imminente necessità di una riforma di maggiore portata degli strumenti di difesa commerciale dell'Unione europea;

  5. invita la Commissione a proseguire il dialogo con i settori industriali dell'UE interessati (ad esempio quelli della siderurgia, della ceramica e della carta) sui prossimi passi da compiere;

  6. esorta la Commissione a coordinarsi con i suoi principali partner commerciali, anche nel contesto del prossimo vertice del G7, circa le misure da adottare in seguito alla scadenza di alcune disposizioni della sezione 15;

  7. insiste affinché la Commissione non presenti alcuna proposta durante la sospensione dei lavori parlamentari;

  8. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

COSTITUZIONE CINESE, 1982
Per l'originale completo, clicca:
.
http://www.tuttocina.com/Mondo_cinese/043/043_cost.htm#.VznalZVJlD8

Stralcio della parte economica, aggiornata con le riforme 1994, 1999, 2004 .

(b. Ordinamento economico)

6. Sostituito nel 1999 da:
Il Paese, nella fase iniziale del socialismo, mantiene un sistema economico di base in cui si sviluppa simultaneamente un sistema di proprietà multiforme in cui il pubblico è in posizione dominante, e mantiene un sistema di distribuzione in cui convivono diversi modelli di distribuzione, di cui la distribuzione in base al lavoro svolto da ciascuno è prevalente.

7. L'economia statale, ossia l'economia di proprietà di tutto il popolo, è la forza-guida (lingdao liliang) dell'economia nazionale. Lo stato assicura il consolidamento e lo sviluppo dell'economia statale.

8. Sostituito nel 1999 da:
L'organizzazione economica collettiva agricola adotta il sistema di gestione economica sul doppio livello della responsabilità contrattuale familiare e della combinazione tra centralizzazione e decentramento. L'economia cooperativa agricola, nei suoi vari aspetti di produzione, commercializzazione, credito e consumo, è un'economia socialista di proprietà collettiva delle masse di lavoratori. I lavoratori che partecipano alle organizzazioni economiche collettive delle campagne hanno il diritto, nei limiti prescritti dalla legge, a gestire i terreni e le terre collinose assegnati per il loro uso, a impegnarsi in occupazioni economiche collaterali su base familiare e ad allevare il bestiame da loro posseduto.

Nei limiti prescritti dalla legge, le attività economiche individuali e private ed altre attività economiche non pubbliche sono importanti aspetti costitutivi dell'economia socialista di mercato.
Lo stato protegge i diritti e gli interessi legittimi delle attività economiche individuali e private. Nei confronti delle attività economiche individuali e private lo stato esercita una funzione di guida, supervisione e controllo.

9. Risorse minerarie, corsi d'acqua, boschi, monti, pascoli, zone desertiche, litorali, ed altre risorse naturali sono tutte di proprietà statale, e cioè di proprietà di tutto il popolo, tranne boschi e monti, pascoli, zone desertiche, litorali ecc., che per norma di legge appartengono alla proprietà collettiva.
Lo stato assicura l'uso razionale delle risorse naturali, protegge fauna e flora preziose. È vietato a qualsiasi organizzazione e individuo di occupare le risorse naturali, oppure di danneggiarle (pohuai), con qualsíasi mezzo.

10. I terreni delle città (chengshi) sono di proprietà statale.
I terreni delle campagne e dell'area suburbana delle città sono di proprietà collettiva, tranne quelli che per norma di legge sono di proprietà statale; sono di proprietà collettiva anche i terreni di costruzione delle case, ed i terreni concessi e le alture concesse.
Lo stato, in conformità alle esigenze dell'interesse comune, può (keyi) requisire i terreni.
Qualsiasi organizzazione o qualsiasi individuo non deve (bude) occupare, comprare-vendere, o affittare i terreni, oppure trasferire illegalmente i terreni in altra forma.
Tutte le organizzazioni e tutti gli individui devono fare un uso razionale dei terreni.

11. Sostituito nel 1993,  da:
Lo stato permette al settore privato dell'economia di esistere e svilupparsi nei limiti prescritti dalla legge. Il settore privato dell'economia è un complemento all'economia pubblica e socialista. Lo stato protegge i diritti legittimi e gli interessi del settore privato dell'economia, ed esercita la guida, la supervisione e il controllo sul settore privato dell'economia.

12. I beni (caichan) pubblici socialisti sono sacrosanti (shengsheng) e inviolabili.
Lo stato protegge i beni pubblici socialisti. È vietato a qualsiasi organizzazione o individuo di occupare, di danneggiare, con qualsiasi mezzo, i beni statali e collettivi.

13. Lo stato protegge il diritto di proprietà dei cittadini su entrate legittime, risparmi legittimi, immobili legittimi e su altri beni legittimi.
Lo stato protegge, in conformità alle norme di legge, il diritto di eredità dei cittadini su beni privati.

Aggiunto nel 2004:
La proprietà privata è inviolabile. Lo Stato, secondo quanto stabilito dalla legge, protegge il diritto dei cittadini alla proprietà privata e all'eredità sulla stessa. Lo Stato può, nel pubblico interesse e nei modi previsti dalla legge, espropriare o requisire la proprietà privata provvedendo al relativo indennizzo.

14. Lo stato eleva l'attivismo e il livello tecnologico dei lavoratori, divulga scienze e tecnologie progredite, perfeziona (wanshan) le strutture (tizhi) di gestione economica e gli ordinamenti (zhidu) di gestione-amministrazione delle imprese, attua sistemi di responsabilità socialista (zerenzhi) di ogni forma, migliora l'organizzazione del lavoro, onde elevare ininterrottamente la produttività e sviluppare le forze produttive socialiste.
Lo stato opera in stretta economia, si oppone agli sprechi.
Lo stato dispone (anpai) razionalmente di accumulazione e consumi, provvede assieme agli interessi statali, collettivi e individuali; migliora gradualmente la vita materiale e la vita culturale del popolo, sulla base dello sviluppo produttivo.

15. Sostituito nel 1993,  da:
Lo stato pratica l'economia socialista di mercato. Esso migliorerà la legislazione economica e migliorerà il macro-controllo dell'economia.
Lo stato può, in accordo con la legge, proibire il disturbo dell'ordine socioeconomico da parte di qualsiasi organizzazione o individuo.

16. Sostituito nel 1993,  da:
Le imprese di proprietà statale hanno potere decisionale operativo con riguardo a operazioni nei limiti prescritti dalla legge.

17. Sostituito nel 1993,  da:
Le organizzazioni economiche collettive hanno potere decisionale nel condurre attività economiche indipendenti, a condizione che obbediscano alle leggi attinenti.
Le organizzazioni economiche collettive praticano la gestione democratica in accordo con la legge. Il corpo intero dei loro lavoratori elegge o rimuove il personale manageriale e decide sulle questioni maggiori riguardo all'operatività e alla gestione.

18. La Rpc permette che imprese e altre organizzazioni economiche o singoli imprenditori stranieri, investano fondi in Cina, portino avanti varie forme di cooperazione economica con imprese o altre organizzazioni economiche della Cina, in conformità alle norme di legge della Rpc.
Entro i confini della Cina, le imprese straniere e le altre organizzazioni economiche straniere, come pure le imprese a capitale-gestione mista cinese-straniera devono osservare le leggi della Rpc. I loro legittimi diritti ed interessi sono protetti dalle leggi della Rpc.

Nino Luciani, La Cina è una economia di mercato ?

 1.- Premessa. La Cina ha aderito, nel 2001, alla Organizzazione Mondiale del commercio (OMC) e questo ha aperto una fase, diciamo transitoria,di rapporti commerciali con la UE, che sta in mezzo tra liberalizzazione e impedimento degli scambi. Questa fase transitoria scade nel dicembre 2016 e la Cina si aspetta il riconoscimento automatico di Paese con economia di mercato, con l'accettazione del solo dazio generico del 10%, che la UE applica ai Paese non-UE.
  Nella prospettiva della scadenza, il Parlamento europeo ha approvato, la settima scorsa, la risoluzione allarmata, riportata per intero qui a fianco, e che appare voler negare tout court il riconoscimento dello status di economia di mercato, salvo che la Cina accetti determinate condizioni, che l'esecutivo di Bruxelles sta preparando.
  Ma il Global Times (giornale vicino al PCC) ha subito censurato detta risoluzione come «atto irresponsabile».
  Chi ha ragione e chi ha torto ? Andiamo per gradi.

2.- La Cina non ha una economia di mercato e invece la UE, SI' ? La risposta più semplice è che "chi è senza peccato, lanci la prima pietra".
  Sia la Cina sia i Paesi UE hanno "economie miste", ma in CINA il settore pubblico in senso stretto (Stato) è largamente prevalente sul settore privato (che, secondo la contabilità europea comprende le imprese pubbliche operanti sul mercato), mentre in UE c'è un fifty-fifty.
  Poche cifre chiariscono la realtà:
- in Cina la spesa pubblica (CNY-HML 175.768,00) è il 28% del PNL (CNY-HML 634.367,30), vale dire del PIL al netto della % di esso spettante a residenti esteri., a cui va aggiunta una cifra imprecisata di spesa delle imprese pubbliche (nell'intorno del 50% del PNL). Il residuo (nell'intorno del 20% del PNL), è ripartito tra privati cinesi ed esteri;
- in UE la spesa pubblica è il 48,1% del PIL .
  Se (e questo è corretto) si assume il rapporto Spesa pubblica/PIL come una misura della pressione fiscale effettiva (e che andrebbe approfondita nelle due componenti imposte dirette e imposte indirette), questa prima differenza spiega perchè i prodotti cinesi costano meno di quelli europei.
  Rimane da chiarire la rilevanza delle imprese pubbliche per il bilancio dello Stato: vale dire se le imprese pubbliche (cinesi ed europee) coprano i costi, interamente con prezzi di mercato o anche con aiuti di Stato.
  Per la Cina non ci sono informazioni sicure, ma solo dubbi. Ma non metterei la mano sul fuoco circa la imprese europee, pur se la UE boccia gli "aiuti di Stato".

5.- Ruolo del Cambio
Euro/Yuan. Nel mezzo di queste problematiche, esiste comunque un giudice che non fa sconti a nessuno, e quindi è fondamentale non imbrigliare il giudice: questo è il cambio tra le due monete.
  Nel caso della Cina, i dati di contabilità nazionale permettono di dedurre (con qualche calcolo a parte) che le entrate pubbliche totali (nel 2014) sono state pari a $ 2.630, di cui entrate fiscali solo $ 215 miliardi.
  Ne ho dedotto, indirettamente, che una parte della spesa pubblica è finanziata a carico delle imprese pubbliche. Comunque appare che le imprese cinesi sono gravate da un basso fisco.
  Circa il cambio, come noto, esso si forma come rapporto tra prezzi esterni e prezzi interni, e dunque includendo nel prezzo delle merci le imposte indirette, ma un ruolo importante viene dai portafogli comparati di titoli obbligazionari e di riserve di moneta estera. Da parte della Cina, gli elementi finanziari possono svolgere squilibri temporanei sconvolgenti.
  Questo fatto porta a ridiscutere tutto quanto sopra delineato. Ne deriva che il riconoscimento della qualifica di paese ad economia di mercato è impossibile senza un chiarimento sul meccanismo del cambio, che dovrà essere (anch’esso) di mercato. Questo problema non sarà risolvibile al di fuori del FMI.

 3.- Prima conclusione. Non starei a giocare sulle definizioni e infatti, in base alla Costituzione cinese, riportata qui a fianco, la Cina ha un sistema socialista di mercato, ossia è regolata dal mercato, e dunque con il vincolo di dover pareggiare il bilancio con entrate di mercato.
  In generale, prezzi bassi cinesi:
- fanno gli interessi dei consumatori europei, e il danno dei produttori concorrenti europei;
- fanno gli interessi degli investitori europei in Cina, e il vantaggio dei consumatori europei.
Chi preferire ? Le supreme regole economiche guardano ad altro, come criterio di decisione. Le copio dal mio libro (Economia Generale, ed. Franco Angeli, 2005, p. 377 ).

 a) Il teorema di Ricardo è alla base delle teorie in favore del libero scambio internazionale. Dalla sua applicazione i Paesi traggono un beneficio reciproco che è di godere di un maggiore benessere, date le risorse iniziali.
  Tuttavia, una cosa è il fatto statico (che prescinde dal tempo); una cosa è il divenire che porta ad esso come situazione finale, e che giustifica il protezionismo ( l'opposto del libero scambio).
  Il protezionismo consiste:
- nell'applicazione di dazi alla importazione, in modo che i prezzi dei prodotti esteri, maggiorati del dazio, non possano essere minori (e quindi più concorrenziali) dei prezzi degli uguali beni, prodotti all'interno;
- e in genere in tutte quegli interventi pubblici (es. contingentamenti quantitativi, agevolazioni fiscali e creditizie, ecc.) che favoriscono "artificialmente", all'interno, la vendita del prodotto interno rispetto all'uguale prodotto estero ;
- esiste anche il dumping, che è il doppio prezzo, interno ed estero.
Questo è un comportamento palesemente contraddittorio circa la verosimiglianza del "prezzo di mercato" della merce.
  - Esiste anche la frode commerciale, come l’impiego di materie prime a basso costo, dannose alla salute sia del lavoratore sia del consumatore. Questa non dovrebbe avere nessuna forma di libertà.

Torniamo al teorema. Esso si riferisce ad un quadro economico statico, esistente. Ma se le imprese dei vari Paesi avessero il tempo necessario per cambiare le loro strutture produttive (ad es. di industrializzarsi) e, una volta realizzate queste strutture, si tornasse ad applicare il teorema, il commercio determinerebbe un benessere maggiore che in precedenza. Su questa base, il protezionismo sarebbe eco­nomicamente giustificato, come misura temporanea per le industrie nascenti. Questo è un primo aspetto e ci sono altri aspetti, tutti importanti, tra cui alcuni riguardanti le produzioni strategiche e quelle alimentari.

  Queste considerazioni valgono soprattutto per i beni di prima necessità e per i prodotti strategici (fonti di energia, ferro, alluminio, ecc.), a meno che ci sia la garanzia assoluta che essi saranno forniti dai paesi partners, in caso black-out totale dei mercati. Ma questa garanzia non ci può essere nel lungo andare.
  Dunque, la UE dovrà proteggersi dalla Cina, per il ferro ?

 Va messo sul piatto il fatto che il Paese protezionista danneggia i Paesi potenzialmente esportatori verso di esso, e quindi esso di solito genera misure di ritorsione internazionale: vale dire il Paese danneggiato creerà, a sua volta, dazi all'importazione dal Paese che per primo ha introdotto il dazio.

Quando accade questo, il protezionismo diviene una calamità pubblica internazionale e il solo modo di ovviarvi è di affrontare il problema a livello di concerto internazionale, in modo che esso sia lasciato operare per i casi effettivamente meritevoli e per il tempo convenuto.

4.- Seconda conclusione: la specializzazione deve coniugarsi con la diversificazione delle produzioni. C'è un secondo aspetto: un paese, che si specializza eccessivamente, viene a dipendere totalmente dall'estero per il restante del proprio fabbiso­gno. Ad es. se l'Italia producesse solo vino e per tutto il resto si approvvigionasse dall'estero, sarebbe in una situazione di forte debolezza sul piano inter­nazionale. Infatti il mercato del vino non è stabile.
   Casi clamorosi si sono avuti sul piano internazionale per il cotone per l'Egitto e per il rame per il Cile. Questi erano paesi che esportavano il primo soltanto cotone e il secondo soltan­to rame. Perciò quando il mercato mondiale del cotone o il mercato mondiale del rame per una qualche ragione crollava (ad es. in una annata parti­colarmente buona per la produzione di cotone negli altri paesi, la domanda di cotone egiziano crollava) erano guai.

  Vi sono anche ragioni di benessere in senso generale, legate alla difesa delle tradizioni: un paese ha le proprie tradizioni e se dovesse specializzarsi a produrre solo una merce dovrebbe adattarsi a cambiare mestiere su tutto. Anche la conservazione delle tradizioni di vita locale può avere la sua importanza. Ad es. la trasformazione troppo rapida di un Paese da agricolo a industria­le, o da religioso a laico, potrebbe creare delle grandi sofferenze alla popola­zione, fino a indurre sollevazioni popolari e instabilità politica.
  Questi problemi di difesa della propria identità è messa a dura prova dalle immigrazioni di massa, anche cinesi nei paesi europei. 

Testo in inglese:
1. A low degree of government influence over the allocation of resources and decisions of enterprises, whether directly or indirectly (e.g. public bodies), through the use of state-fixed prices or discrimination in the tax, trade or currency regime;
2. An absence of state-induced distortion in the operation of enterprises linked to privatisation and the use of non-market trading or compensation;
3. The existence and implementation of a transparent and non-discriminatory company law, which ensures adequate corporate governance - application nof international accounting standards, protection of shareholders, and public availability of accounting information;
4. The establishment and implementation of a coherent, effective and transparent set of laws, which guarantee the respect of property rights and the operation of a functioning bankruptcy regime;
5. The existence of a genuine financial market, operating independently from the state and which, in law and practice, is subject to sufficient guarantee provisions.

Nota. Per statistiche economiche, clicca su: http://it.tradingeconomics.com/china/gross-national-product

.

 

La BCE per la crescita nella UE, Bollettino Economico del 24 marzo 2016

Nel recente Bollettino, la BCE comunica la sua prossima azione "per facilitare ulteriormente le condizioni di
finanziamento, stimolare la nuova disposizione di credito e, quindi, di rafforzare lo slancio della ripresa economica della zona euro e accelerare il ritorno dell'inflazione a livelli inferiori ma prossimi al 2%", anche grazie alle riforme, dai Governi.

padoan dorme.jpg (5165 byte)C. Pdoan, Ministro Finanze

In Italia l'obiettivo fondamentale, dagli anni '90,
è transitare l'Italia dallo Stato al Mercato,
a parte qualche aggiustamento di tipo congiunturale.

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Il Governo RENZI appare logorato non dalla lotta contro
la austerity, ma dalla impossibilità politica di fare il transito.

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In questi giorni il parlamento ha approvato la riforma
costituzionale, che tuttavia è soggetta ad un possibile referendum.

.
Ma questo diviene un obbligo solo se richiesto (entro tre mesi).
Auspichiamo che gli aventi diritto rifiutino di dare la firma,
in modo da anticiparne, a fine luglio, la entrata in vigore.

renzi-alla frutta.jpg (32282 byte)
M. Renzi Presidente del Consiglio

NOTE.

1) Sotto il profilo congiunturale, la diagnosi di Keynes (anni '30) è che il malato sia il settore privato (che non consumava nè investiva) e il medico è lo Stato (lo Stato aveva ampi margini per spendere... , la pressione fiscale era intorno al 30% del PIL).

 

2) Oggi, il malato è lo Stato (spende troppo, e troppo lentamente; la pressione fiscale è 45% del PIL; è pieno di debiti).
Invece, il settore privato è sano e avrebbe volontà ..., ma (causa troppe tasse) consuma e investe all'estero (i pensionati vanno in Portogallo, le imprese vanno in Giappone e dintorni). Pertanto la terapia di Keynes va applicata in modo invertito.

Seduta n. 591 di mer. 16 marzo 2016 Comunicazioni, alla Camera, del Presidente del Consiglio dei ministri M. RENZI in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 marzo 2016.

I.- Problemi dell'emigrazione (omessi)
II. Questioni della crescita.

1.- Questioni della crescita. " Su questo, ancora una volta, non posso che ribadire la posizione italiana. Il fiscal compact e le sue declinazioni hanno comportato, a mio giudizio, a nostro giudizio, un danno alla direzione politica economica dell'Europa: non dell'Italia, anche dell'Italia, ma dell'Europa. Lavorare per avere un approccio diverso richiede tanta energia, tanta determinazione e tanta tenacia.
  Nei primi mesi del nostro mandato, sfruttando il semestre, siamo riusciti ad affermare un principio di flessibilità, che è una delle due colonne su cui si regge l'accordo politico che ha portato all'elezione di Jean-Claude Juncker:
- da un lato gli investimenti;
- dall'altro la flessibilità.
  Sono questi i due elementi di novità, che hanno portato tre gruppi a sostenere la candidatura del Presidente Juncker e a votarla in sede di Parlamento.
  Tre gruppi: tutti e tre decisivi, perché PPE, ALDE e PSE non avrebbero avuto la forza di eleggerlo, vedendo i numeri, senza qualcuno soltanto dei tre.
   Il principio della flessibilità e il principio degli investimenti sono stati letti, nella stampa, in particolar modo, italiana e nel dibattito politico, in particolar modo, italiano, come una richiesta dell'Italia o, se volete, una concessione, come appunto si trattasse di una elargizione octroyée, secondo i principi francesi del tempo, come se ci fosse dunque stato fatto un regalo, un gentile cadeau per la nostra partecipazione.
  Noi pensiamo, invece, che questi due elementi - il tema della flessibilità e il tema degli investimenti - siano la chiave per cambiare la politica economica in Europa.
   Possiamo discutere di quanto si sia lavorato, tanto in ordine alla flessibilità, quanto in ordine agli investimenti. Quello che a me pare significativo è che, dopo qualche periodo di polemica e di discussione, appare ormai evidente a tutti - almeno nel palcoscenico europeo, che è quello in questo senso più rilevante - che la posizione dell'Italia non è una posizione tesa a rivendicare qualcosa per sé: è  (e questo mi pare finalmente chiaro, nonostante le polemiche dell'inizio di questo anno solare) una posizione che cerca di spostare la direzione politica ed economica dell'Europa.

   Il Consiglio europeo di domani sarà un ulteriore passaggio in questa direzione.
   Nelle parole del Presidente Mark Rutte, il Presidente di turno, il Primo Ministro olandese, sarà soprattutto il Consiglio di giugno quello dedicato e destinato ai temi della competitività.
   È nostra intenzione proporre ai più alti livelli, ai livelli di premi Nobel, ai livelli di discussione degli accademici, degli scienziati, degli economisti, una discussione su qual è la strategia di politica economica che viene indirizzata; fatto sta che oggi la realtà dei fatti vede finalmente qualche piccolo segnale nella giusta direzione, ma ancora decisamente troppo timido, in una condizione e in una contingenza nella quale l'economia globale sembra rallentare.
   E sembra rallentare non più per le difficoltà dei Paesi trainanti, ma per le difficoltà dei Paesi emergenti.

   Poi, naturalmente, in questo scenario il fatto che l'Europa cresca meno è un elemento che dovrebbe farci riflettere con grande attenzione. Dunque, il tema della crescita vede una posizione molto chiara da parte del Governo italiano e, mi permetto di dirlo in quest'Aula, anche una posizione che finalmente è presa da almeno qualche forza politica a livello continentale, nel senso che negli ultimi incontri fatti - e qui parlo, ovviamente, sulla base della mia appartenenza al gruppo dei Socialisti e dei democratici europei - vedo finalmente una condivisione ampia su questo punto che, se messa in atto e finalmente resa operativa, potrà portare a delle risposte, che poi si misurano sul grado degli occupati e non più sulle virgole e sui decimali dei parametri.

2.- Problemi di coerenza tra scelte e governabilità. Questo scenario è uno scenario che, però, non può che fare i conti con una situazione di progressiva ingovernabilità di alcune nazioni.
  Può sembrare paradossale che torni al punto dal quale sono partito: la difficoltà di far decidere e di far rendere operative le decisioni che vengono prese.
  Questo vale per il complicato giuoco degli equilibri europei e continentali. Ma questo sta valendo sempre di più nella dinamica politica europea.
  Si tende a rappresentare questa dinamica come un crescente sguardo verso il populismo, ma si ignora o si fa finta di ignorare che stiamo parlando di due fenomeni diversi.
a) Se è vero che c'è un'onda di rabbia, di rifiuto della politica tradizionale, di populismo (ognuno lo chiami col nome che preferisce); se è vero che in Europa (e, mi permetto di dire con il rispetto che si deve, non soltanto in Europa) cresce un'onda di rabbia verso i sistemi tradizionali della politica e ottiene risultati significativi, dalle primarie americane alle regionali in Germania; se è vero che questo c'è ed è un fatto di natura politica, di sociologia politica, di lettura politica,
  b)  c'è un fatto che, invece, attiene alla sfera istituzionale, cioè a come funzionano le regole del gioco.
   Quando noi abbiamo iniziato questa legislatura (o, meglio, più correttamente, quando abbiamo iniziato il percorso di riforme con questo Governo), la discussione (che era fatta e che naturalmente ha visto molte divisioni anche al nostro interno) era sul modello di legge elettorale.
  Ricorderete che ciascuno aveva una proposta e, talvolta, anche all'interno dei partiti c'erano più proposte.
  Ricordo con grande attenzione come il modello spagnolo era immaginato, senza entrare nel merito delle valutazioni, come il sistema della governabilità.
  Nella nostra discussione si diceva che il modello spagnolo avrebbe garantito governabilità. Oggi vediamo quello che accade in Spagna, ma, se mi permettete, fate l'elenco dei Paesi che, avendo votato, si trovano in difficoltà.
 3.- Austerity e cambiamento dei governi.  C'è una parte di Paesi in cui l'austerity come minimo porta al cambiamento di Governo.
   Io lo dico scherzando ai miei colleghi che sono contro le nostre proposte sulla crescita: guardate che, non parlo di politica, ma l'austerity come minimo porta sfortuna. Infatti, guardate cosa sta succedendo in tutti i Governi che sono guidati da una politica economica legata all'austerity.
  Ma al di là di queste che sono poco più che battute c'è un punto politico e, cioè, che le istituzioni in molti Paesi non riescono più a eleggere il Governo o meglio non riescono più ad avere un Governo in grado di rappresentarli.
  Non so come andrà a finire in Spagna e ho pieno rispetto per un Paese amico e alleato. È possibile che si torni a elezioni.    Non so come andrà a finire in Irlanda, fatto sta che non ci sono i numeri, se non con una grande coalizione.
  Non so come andrà a finire in Slovacchia.
  So che in Portogallo il partito che è arrivato primo si è trovato all'opposizione sulla base di un accordo degli altri partiti.
  Era già accaduto in Lussemburgo.
  Si è votato due volte in Grecia.
  Allora, sul sistema istituzionale prima o poi qualcuno farà una riflessione scoprendo forse che il modello istituzionale italiano rischia - può sembrare un paradosso - di essere il più stabile con buona pace delle tante critiche che abbiamo sentito in questo periodo".

Banca Centrale Europea
Bollettino Economico, 24 marzo 2016
(Stralcio): https://www.ecb.europa.eu/

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Sviluppi fiscali.

1.- Il deficit di bilancio nell'area dell'euro è destinato a rimanere largamente invariato nell’orizzonte temporale, considerato che è attesa una politica di bilancio un po’ espansiva che compenserà la riduzione del disavanzo con il miglioramento delle condizioni cicliche, e una diminuzione dei pagamenti degli interessi sul debito.

Anche se la attuale stanza fiscale aggregato dell'area euro può essere considerato largamente adeguata, la politica di bilancio in vari Stati membri solleva preoccupazioni in termini di rischio di non conformità con il Patto per la stabilità e la crescita (SGP).

In particolare nei paesi con livelli di debito elevati, sono necessari sforzi di risanamento aggiuntivi per impostare con fermezza il loro tasso di debito pubblico su un percorso discendente, aumentando così la resistenza agli shock avversi.

Il deficit di bilancio delle amministrazioni pubbliche dell'area dell'euro dovrebbe rimanere sostanzialmente invariata nel periodo in rassegna, interrompendo la tendenza al ribasso iniziata nel 2011.

Secondo le proiezioni macro-economiche, del marzo 2016, di un Gruppo di esperti della BCE, il tasso di disavanzo delle amministrazioni pubbliche per l'area dell'euro dovrebbe rimanere intorno al 2,1% del PIL fino al 2017, prima di variare, in calo, di 0,1 punti percentuali nel 2018.

 

Rispetto alle proiezioni del dicembre 2015, la proiezione fiscale è peggiorata leggermente nell’orizzonte osservato, tra l'altro, a causa di strascichi conseguenti alla revisione, al ribasso. del 2015 PIL nominale del 2015, e di misure di politica fiscale leggermente più espansive.

La politica di bilancio nell'area dell'euro [9] dovrebbe essere leggermente più espansiva nel periodo in rassegna.

Il leggero allentamento della politica di bilancio aggregato può essere visto come largamente adeguata alla luce della ripresa ancora fragile.

 

L'allentamento è in gran parte il risultato di tagli fiscali discrezionali e aumenti della spesa pubblica legati al flusso di rifugiati, che vengono proiettati per compensare pienamente il contributo favorevole della componente ciclica e l'impatto positivo di pagamenti di interessi più bassi per il deficit nominale.

L'allentamento della politica di bilancio è destinato a essere particolarmente rilevante in Germania, Italia e Paesi Bassi, mentre alcuni ulteriori sforzi di consolidamento sono attesi in Irlanda e Cipro.

Il debito pubblico dell'area euro diminuirà solo gradualmente, rispetto aal suo elevato livello.

Il rapporto debito/PIL dell'area dell'euro dovrebbe diminuire lentamente dal suo attuale (2104) picco del 92,1% del PI, per raggiungere il 89,2% del PIL entro la fine del 2018.

La prevista riduzione del debito pubblico, che è inferiore al previsto nel Dicembre 2015 proiezioni, è sostenuta da sviluppi favorevoli nel differenziale tra tasso di interesse e tasso di crescita, alla luce della ripresa economica prevista e agli ipotizzati bassi tassi di interesse.

Inoltre, i piccoli avanzi primari e gli aggiustamenti disavanzo-debito negativi ( tra l'altro, che riflettono i proventi delle privatizzazioni), contribuiranno anche a migliori prospettive del debito.

In alcuni paesi, tuttavia, il rapporto debito-PIL dovrebbe aumentare nel periodo considerato.

 

2. Entro il 2018 la grande maggioranza dei paesi della zona euro continuerà ad avere un rapporto debito-PIL ben al di sopra del valore di riferimento del 60%.

Ulteriori sforzi di risanamento sono necessari per impostare saldamente il rapporto debito pubblico su un percorso discendente.

 

I paesi con elevati livelli di debito sono particolarmente vulnerabili in caso di rinnovata instabilità dei mercati finanziari, dato il nesso fiscale-finanziario ancora forte.

Inoltre, la loro capacità di ospitare potenziali shock avversi è piuttosto limitata.

 

Nella recente pubblicazione Rapporto di sostenibilità fiscale, 2015 [10], la Commissione europea ha individuato otto paesi della zona euro, vale a dire il Belgio, Irlanda, Spagna, Francia, Italia, Portogallo, Slovenia e Finlandia, come essere esposti a rischi per la sostenibilità fiscale elevata a medio termine, principalmente a causa dei loro livelli di debito pubblico elevati e / o alte passività implicite.

Il Rapporto mostra che l’affrontare i rischi, ivi identificati, richiede la piena attuazione dei requisiti di regolazione, come prescritto dal Patto per la stabilità e lo sviluppo.

 

Tenuto conto di questa situazione, il Consiglio Ecofin dell’ 8 marzo 2016 ha sottolineato la necessità per gli Stati membri di garantire posizioni di bilancio sostenibili e di rispettare le norme di bilancio dell'UE.

Grosso modo, i paesi sono avvertiti che farebbero bene a utilizzare i profitti eccezionali derivanti dal contesto attuale a basso tasso di interesse, in modo da costruire protezioni e riserve a fronte di shock futuri.

Per un contributo più efficace e duraturo alla crescita economica nel medio termine, i paesi dovrebbero indirizzare la loro azione politica a una valida spesa per investimenti pubblici, tenendo a mente il margine fiscale utlizzabile.

Anche se la quantificazione degli effetti macroeconomici propende per una a elevata incertezza, ci si può aspettare che gli investimenti pubblici abbiano effetti positivi sulla domanda positivi e a fare aumentare la produzione, grazie all’aumento dello lo stock di capitale

Nino Luciani, Sulla proposta di Renzi di proporre un concorso tra Nobel, circa la giusta strategia per la crescita.

1.- Premessa. Senza essere un Nobel, riassumo le terapie (per la crescita):
a) la più invocata è quella di Keynes, ossia di alimentare (mediante la spesa pubblica in disavanzo), una "domanda effettiva" (ossia accompagnata da potere d'acquisto) di beni di consumo e investimenti. Fu la applicata negli anni '30, e funzionò (ma non adesso, in Italia).
b) La terapia di Draghi (fabbricazione di moneta aggiuntiva sotto forma di acquisto, in contanti, di titoli pubblici, sul mercato secondario) è di tipo keynesiano. In pratica finanzia la spesa pubblica, indirettamente. Questa appare solo impedire un peggioramento.
c) Dentro queste c'è (in qualche modo) quella di Renzi, di dare sgravi fiscali a redditi con presumibile alta propensione al consumo (deduzione di € 960 dall'irpef dovuta dai redditi fino a € 24.000 all'anno), ma che non ha funzionato.
d) Poi, c'è la terapia della UE: la stabilità monetaria, fondata sul pareggio (quasi) del bilancio. Questa fu applicata da L. Einaudi nel 1947 (con risultati positivi: rinvio a C. Bresciani Turroni, che ha studiato quella situazione), ma da Monti nel 2012 (con risultati disastrosi).

2.- Quale la retta terapia, oggi ?
  Il primo passo è fare una diagnosi. Se questa è sbagliata, la terapia (ancorchè di Keynes) non può funzionare.
  Un giovane, con la febbre alta, ha una malattia congiunturale e può guarire.
  Un vecchio estremo, con la febbre alta, ha una malattia congiunturale, ma in un corpo strutturalmente debole. Rischia la pelle, e non può aiutare il giovane.
  L'immagine della vecchiaia estrema non è appropriata, ma rende l'idea dello Stato Italiano.
  Osservazione. Lo Stato italiano spende già tantissimo (55% del PIL), e non ha margini per spese aggiuntive (causa debito pubblico, già alle stelle) e neppure riesce a spendere il gettito in tempo reale.
  Per la terapia di Keynes, bisogna partire da una spesa pubblica bassa. Ai tempi di Keynes (anni '30) la pressione fiscale girava intorno al 30%. Il Italia, nel 1950 era 24%, nel 1960 era 32,6% (ho ricostruito questi dati valendomi della Relazione sulla situazione economica di allora, del Ministero del Bilancio).
 Dunque la cura Keynesiana dovrà essere applicata in modo simmetrico: ossia si dovrà affidare al settore privato la cura dello Stato, non il contrario.
  Ma con le catene fiscali ai piedi, il settore privato non può funzionare, pur avendo volontà (infatti le nostre imprese vanno all'estero ... vedi Giappone).

3.-  Il caso della Unione Sovietica. Questo è il caso estremo della applicazione di un grande ideale (il socialismo), ma finito male, inclusa la negazione dei suoi principi di democrazia popolare, libertà, liberazione dell'uomo dal bisogno. La differenza tra l'Utopia del vescovo Tommaso Campanella e l'URSS è che il primo caso rimase uno schema ideale, mentre il secondo fu sperimentato.
  La sperimentazione ha dimostrato che il socialismo reale si vale di un partito unico che, a sua vota, si vale di un apparato burocratico statale onnipresente.
   Il partito unico nasce come una guida necessaria dello Stato ma , via via con il tempo, si impossessa dello Stato, nè più nè meno come Carlo Magno e la pletora dei suoi Marchesi, Duchi, Vassalli e via di seguito. Alla fine il popolo viene ridotto a servitù.
  Ma lo Stato feudale è "minimo". Lo Stato socialista è massimo (si impossessa di tutti i mezzi della produzione). Dunque, i politici (siccome sono "ignoranti"), dovranno servirsi di burocrati "tecnici", i quali (infine) si imporranno ai politici, grazie alla forza che viene a loro dalla conoscenza delle regole.
  Alla fine, in luogo del partito guida e della burocrazia tecnica, troveremo la "nomenclatura", così identificata da M. Gorbaciov, che ci ha raccontato la fase avanzata del socialismo.

4. Il caso dell'Italia.  Quando cadde l'URSS (1988-90), in Italia abbiamo percepito:
- che i mali italiani erano grosso modo simili, sia pure in proporzione al rispettivo grado di socialismo applicato;
 - e che il socialismo è difficilmente sanabile dal proprio interno, ma solo mediante un fallimento totale, a cui fare seguire un avvicendamento totale di una nuova classe dirigente, nella guida dello Stato.
  In generale, la mangeria dei partiti è legale (vale dire si mangia utilizzando leggi), e questo vale anche per l'Italia. Ad es., nel caso dei Comuni, un modo è delegare la gestione dei servizi sociali a cooperative e a vari enti esterni. I vantaggi sono duplici:
  a) anzichè dover assumere i dipendenti mediante concorso pubblici (questo è obbligatorio in caso di servizi erogati direttamente), si delega la gestione ad una cooperativa che:
-  si impegna ad assumere personale di partito (che garantisce il voto al partito);
 - a finanziare il partito.

4.- Il caso dell'Italia. La difficoltà di una redenzione dall'interno nasce dal fatto che la nomenclatura non vuole perdere i privilegi e si oppone al cambiamento.
  L'avvicendamento era necessario, in Italia, già ai tempi della DC negli anni '70, in proporzione al grado di socialismo applicato, via via, dal 1961 con i governi di centro-sinistra ('ingresso dei socialisti nel governo ed espulsione dei liberali).
  In parallelo, nei paesi a democrazia avanzata, appariva chiaro che lo Stato efficiente si può ottenere solo con l'alternanza tra grandi partiti, al governo
  In Italia, Aldo Moro diceva che "la DC deve essere alternativa a se stessa".
  Illuso, si dovrà arrivare al 1993 per vedere il grande capitombolo della DC (dominata dalla corrente di sinistra), del PSI, del PSDI e del PRI, e l'espulsione dei partiti mangiatori, dallo Stato.

Dopo il grande capitombolo dell'URSS apparvero maturi in Italia i tempi della transizione dell'economia dallo Stato al Mercato: nel senso che, senza la ricostruzione di un settore produttivo sano, non si può salvare neppure lo "Stato sociale".
  Nel 1992, la pressione fiscale e contributiva era il 41% del PIL; il rapporto deficit/PIL era il 12,8% (non il 3% max, come la UE chiede oggi); il rapporto debito/PIL era 105%.
  Allora, il settore privato fu salvato chiudendo un occhio sulla evasione fiscale fiscale.
  Nella fase attuale c'è il pericolo di un secondo scatafascio, dopo quello del 1993: perdura la mangeria conclamata dei partiti e della burocrazia (cos'altro sono le pensioni d'oro ?), oltre allo eccesso di fiscalità, la lotta alla evasione fiscale non da scampo a nessuno. Ma andiamo per gradi.

5.- L'astro Berlusconi. Nel 1993-94, la nascita di FI determinò l'arrivo di Berlusconi, astro nascente, espressione della imprenditoria privata, l'ideale per transitare l'economia italiana dallo Stato al Mercato.
  Rinvio a un mio intervento al Forum di Saint Vincent, 1993, organizzato da J. Iacobelli, a cui rinvio (Scritti scelti,
http://amsacta.unibo.it/., p. 492).
  Anche quel suo "Contratto con gli Italiani" pareva dare una affidabilità. Ma, poi, I. Montanelli (noto giornalista) ci dirà che, da un colloquio con lui, avesse tratto il convincimento che Berlusconi aspirasse al Governo italiano non per un progetto liberale, ma per coronare il suo sogno imprenditoriale di aggiungere, al suo impero aziendale, l'impero sull'Italia.
  Lasciamo ai posteri la sentenza.
  Fatto sta che nel 2011 Berlusconi accoglierà la preghiera di Napolitano, di dimettersi, per non indurre lo Stato italiano in bancarotta. Il grafico della storia del debito pubblico italiano (si vegga subito qui sotto) mostra, effettivamente, un aumento del debito, nel 2008-2011 (governo Berlusconi).
  Anche lui aveva fatto il furbetto: coprendo le spese con il debito, in luogo di imposte, vale dire avrebbe passato il "cerino acceso" alle future generazioni e ai futuri governi, e che ora si trova in mano a RENZI, senza colpa.

6.- Veniamo al dunque. Senza smantellamento parziale dello Stato, e senza abbattimento della pressione fiscale di almeno il 10% del PIL, il settore privato non potrà tornare in campo, per rimettere in piedi l'economia e il lavoro, il sociale vero.  Il punto è un taglio secco alla mangeria dei partiti e della burocrazia.
  Come farai ?
  Nella riforma costituzionale, già c'è un buon taglio ai compiti regionali. Ma servirà molto di più. Es.
a) abolire totalmente le Regioni come enti legislativi, e farne un solo ente amministrativo intermedio tra lo Stato e i Comuni;
b) ripristinare la separazione tra banca (pubblica o privata) e industria (pubblica o privata).
c) Ogni ente a fini generali (Stato, Regione, Comune) dovrà fornire i servizi in modo diretto, con divieto di delega di gestione a soggetti privati;
d) Potranno restare imprese pubbliche in settori strategici, ma con divieto di carico dei divavanzi sul bilancio pubblico, salvo per quelle di eccezionale rilevanza sociale esplicitamente riconosciuta dalla legge (es. l'acqua, la foresta, il trasporto dei pendolari).
5) Debito pubblico. Si dovrà creare un fondo di ammortamento di 25-30 anni, alimentato da una fetta del gettito fiscale.
Il debito non va pagato con nuovo debito nè con vendita di immobili pubblici, impossibile. Su questo, rinvio alla edizione precedente di questo Foglio (si vegga subito, qui sotto).

Sulle privatizzazioni. E' sbagliato chiedere allo Stato di privatizzare il patrimonio immobiliare pubblico, se poi la fruibilità comporta un impossibile cambio di destinazione (che rientra nei poteri dei Comuni).
  Da decenni sono richieste privatizzazioni di imprese pubbliche e abolizioni di enti inutili.
  Le imprese in disavanzo, operanti sul mercato, non sono privatizzabili, ma solo da chiudere.
  Il personale delle imprese chiuse va licenziato ? Esso deve ricevere un sussidio temporaneo pubblico, per un tempo ragionevole: il tempo per avviare una nuova attività, trovare un lavoro.


http://amsacta.unibo.it/

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ITALIA: legge di stabilità 2016 - semaforo giallo

semaforo giallo1.jpg (2389 byte)

renzi contro merkel.jpg (15327 byte)Matteo Renzi.

INTRECCI TRA LEGGE DI STABILITA' E IMPERATIVI EUROPEI
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Renzi a Madama Merkel:
" Non dite che donate il sangue all'Europa"
(Bruxelles, 18 dic. 2015)

Legge di stabilità: anche nel testo approvato dalla Camera,
il debito pubblico e lo strozzamento fiscale permangono, anzi...

Unico fatto nuovo, e provocatorio, di queste settimane è una Sentenza
della Corte Costituzionale che obbliga il Governo a ripristinare la Lira.

merkel.JPG (22914 byte)Angela Merkel

LUCIANI, Il nostro Renzi non ha ancora capito ...che in Italia,  prima che in UE, ha le mani legate dal lato finanziario. E se, invece, è sicuro del fatto proprio, non pietisca, ma agisca (non con parole al vento). La legge di stabilità 2016 non affronta nulla dei nodi strutturali, e infatti il debito pubblico è già tornato a crescere (2.211,8 mld), e le imposte aumentano. Questo è eccesso di socialismo. Urge, per salvare lo stato sociale, tornare a produrre. E per prevenire di non fare (troppo tardi) la giravolta di Tsipras, rifletta perchè il Governo Monti, in ossequio alla UE, aveva anticipato la cessazione del corso della Lira, ma fortunatamente rispristinato dalla Corte Costituzionale italiana.

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(Replica del Governo, al termine del dibattito alla Cameta – A.C. 3444-A e 3445-A)

PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze.

  Intenderei replicare ripercorrendo i tratti essenziali di questa legge di stabilità. Il quadro internazionale è più complesso di qualche mese addietro. La politica monetaria dalla Banca centrale europea continua a produrre effetti benefici sull'aspettative di inflazione, mentre la dinamica dei prezzi nell'eurozona è ancora decisamente lontano agli obiettivi.

Al tempo stesso la crescita di alcune grandi economie emergenti continua a rallentare, alimentando le pressioni al ribasso sui prezzi delle materie prime, dell'energia e dei prodotti finiti, penalizzando il commercio internazionale. Riflettendo anche queste tendenze l'inflazione in Italia continua ad evolversi secondo tassi molto contenuti, d'altro canto la Federal Reserve ha deciso ieri di alzare i tassi di interesse di riferimento, segnalando fiducia rispetto alle prospettive di crescita negli Stati Uniti.
    Nonostante lo scenario internazionale si stia facendo più difficile, la fase di ripresa dell'economia italiana si sta progressivamente rafforzando.
   Le stime di crescita del PIL presentata nel disegno di legge di stabilità 2016 vengono confermate. I dati di ottobre sul prodotto industriale suggeriscono che l'economia si sta muovendo nella giusta direzione, i consumi sono in moderata ripresa anche grazie alle misure adottate dal Governo.
   Lo sforzo del Governo si concentra ora su investimenti e competitività, oltre alle politiche di riequilibrio sociale e territoriale.   Rivitalizzare gli investimenti pubblici e privati in un contesto di rinnovata stabilità della finanza pubblica resta quindi un obiettivo prioritario.
  Ma le novità di contesto non riguardano solo lo scenario economico, il materializzarsi delle minacce del terrorismo globale a cui abbiamo assistito ha determinato la necessità di innalzare le misure di sicurezza nel nostro Paese, a livello europeo e internazionale.

Sentenza della Corte Costituzionale
216/2015 del  07/10/2015,

TORNA IL CAMBIO LIRA/EURO

Sintesi dei punti essenziali
(Per il testo completo, clicca su
LIRA/EURO )

1.- Premessa. La Corte Costituzionale, aveva dichiarato incostituzionale, e dunque nullo, l''art. 26 del decreto-legge 6 dic. 2011, n. 201 del Governo Monti. Il decreto aveva deciso che "le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata ed il relativo controvalore è versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato".
  Invece il diritto alla conversione sarebbe dovuto scadere il 28 febbraio 2012.
2.- Secondo la Corte, «il legislatore gode di ampia discrezionalità, con l’unico limite dell’eventuale irragionevolezza, qualora “esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce, e di conseguenza inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso”. ....
  "I possessori di banconote in lire avevano la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine fino alla sua prevista scadenza decennale, ...sia  il diritto di convertire le banconote in euro presso le filiali della Banca d’Italia".....
   "Nel caso in esame non risulta operato alcun bilanciamento fra l’interesse pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto ai possessori di banconote in lire, dal momento che l’incisione con effetto immediato delle posizioni consolidate di questi ultimi appare radicale e irreversibile, nel senso che la disposizione non lascia alcun termine residuo, fosse anche minimo, per la conversione.
   Né, d’altro canto, lo scopo perseguito imponeva un tale integrale sacrificio, visto che, come si poteva prevedere fin dall’approvazione della norma, per la maggior parte delle banconote in lire corrispondenti al controvalore versato all’entrata del bilancio dello Stato non sarebbe stata chiesta la conversione"...

COMMENTO di NINO LUCIANI

1.- Premessa. Qui a fianco è riportato il testo integrale della replica del Ministro dell'Economia ai vari interventi dei deputati della Camera, sulle modifiche apportate al testo del Senato.
  Le modifiche sono vari spostamenti di piccole cifre, secondo le richieste dei deputati. Ma la sostanza complessiva non è cambiata, come è mostrato dalle seguenti tabelle, dall'arrivo del disegno di legge dal ministero delle finanze alle camere, pur se non manca lo sbandieramento dei deputati, dei "successi ottenuti".
   In breve, il governo vanta il calo delle tasse, ma si tratta del calo per qualcuno e dell'aumento maggiore per qualcun altro. Tant'è che le entrate aumenteranno di 12 miliardi nel 2016.
   A riguardo delle spese, va invece preso atto della volontà del governo di bloccarle in futuro.
   Ma, poi, si viene a sapere in questi giorni, dalla Banca d'Italia, che il debito pubblico è salito a 2.211,8 miliardi. Non c'è credibilità.
 Tra l'altro, nel nuovo testo è previsto un aumento dell'indebitamento netto (dal 2,2% al 2,4% del PIL), espresso  in modo inaccettabile perchè il PIL del 2016 è solo una previsione, e dunque andrebbe messo, comunque, un tetto in valore assoluto.

Ma non è colpa del governo. Vediamo meglio.

TESTO DEL MINISTERO DELL'ECONOMIA ENTRATO AL SENATO
Milioni di €
Entrate finali Uscite finali Saldo
2015

523.325

575.659

- 52.334

2016

535.605

567.251

- 31.646

2017

553.740

572.803

-19.063

2018

566.915

577.844

- 10.929

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TESTO CHE ESCE DALLA CAMERA,
E TORNA AL SENATO
(Fonte: Servizio Studi della Camera)
Milioni di €
Entrate finali Uscite finali Saldo
2015

523.325

575.659

- 52.334

2016

535.759

567.484

- 31.725

2017

553.551

572.954

-19.403

2018

566.991

577491

- 10.499

.
Milioni di €
2015 2016 2017 2018
Ricorso al mercato

- 295.794

-254.360

- 283.749

- 249.992

(Continua Padoan)
   Con risoluzione adottata in data 8 ottobre 2015, ai sensi della legge n. 243 il Parlamento ha autorizzato il Governo al ricorso all'indebitamento nei limiti massimi indicati nella relazione 2015, deliberata dal Consiglio dei ministri lo scorso 18 settembre. Il Governo, anche in considerazione dei recenti avvenimenti internazionali relativi ai gravi fatti di terrorismo e al fine di rafforzare l'apparato di sicurezza nazionale intende da subito avvalersi dei margini finanziari consentiti nei limiti massimi indicati nella citata relazione al Parlamento, pari nel 2016 a un indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche del 2,4 per cento in rapporto al PIL, cui corrisponde un saldo netto da finanziare nel bilancio dello Stato pari a 35,4 miliardi, che le Camere hanno già autorizzato con le soluzioni sopra indicate.
La strategia del Governo si muove lungo due direttrici: contrastare i rischi legati alla possibilità che si verifichino episodi di terrorismo e rafforzare ulteriormente la difesa dei valori che rappresentano i pilastri della nostra società.
Sotto il primo profilo, gli interventi proposti attengono principalmente all'ammodernamento delle dotazioni strumentali in uso alle forze del comparto sicurezza e del comparto difesa, al potenziamento della capacità di sorveglianza, comunicazione, intervento e logistica delle forze di sicurezza e difesa, allo sviluppo della sicurezza informatica e all'incremento del trattamento economico del personale appartenente ai comparti indicati. Quanto al secondo aspetto, gli interventi riguardano in particolare la riqualificazione urbana e delle periferie, il rafforzamento della conoscenza del patrimonio culturale da parte dei giovani, il rafforzamento del diritto allo studio. Trattandosi di interventi che esplicano i propri effetti nel 2016 si conferma il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine nel 2018.
Le linee guida dell'azione di Governo restano invariate, il piano presentato nel disegno di legge di stabilità resta ispirato ad un consolidamento della finanza pubblica in parallelo ad una azione di sostegno alla crescita di consumi e investimenti. L'incertezza legata al contesto internazionale rende l'azione di Governo a sostegno degli investimenti pubblici e privati ancor più necessaria al raggiungimento degli obiettivi di crescita. Per quanto riguarda la finanza pubblica, l'intonazione della politica di bilancio più favorevole alla crescita si accompagna alla progressiva riduzione dell'indebitamento netto e sfrutta gli spazi fiscali liberati dalle clausole di flessibilità, definite dalla Commissione europea nella comunicazione del 13 gennaio di quest'anno.
Nonostante la bassa inflazione e la moderata crescita nominale, per la prima volta in otto anni di aumenti successivi, il debito pubblico diminuirà dell'1,4 per cento nel 2016, per poi ridursi più rapidamente, fino a scendere sotto il 120 per cento del PIL nel 2019. Per quanto riguarda l'alleggerimento fiscale, sulla pressione fiscale si interviene innanzitutto rimuovendo gli aumenti delle imposte, che a normativa vigente dovrebbero scattare all'inizio del 2016, per un gettito pari a 16,8 miliardi, circa un punto di PIL. Si riducono inoltre le imposte sulla proprietà di immobili residenziali adibiti ad abitazioni principali, che interessano circa

l'80 per cento dei nuclei familiari, e sui terreni agricoli e macchinari d'impresa cosiddetti imbullonati, per un valore complessivo di circa lo 0,3 per cento di PIL. Il primo intervento mira a migliorare le aspettative delle famiglie e le relative decisioni di consumo, gli altri due ad accrescere la competitività del sistema produttivo.
(Continua Luciani)
2.- La retta via.
Mi rifiuto assolutamente di mischiarmi con chi, dati i fatti, impreca contro il governo. La verità è che, in attesa delle riforme costituzionai e di nuove elezioni con l'ITALICUM, nessun governo (che si regge su una maggioranza frolla, come tutte quelle di questi anni, da 40 anni)  può affrontare i problemi di struttura dell'Italia.
  Domando: un governo di sinistra potrebbe riformare lo Stato, abolendo le Regioni, mentre Regioni come la Toscana e l'Emilia Romagna sono in mano al PD, fondamenta del governo in carica ?
  E potrebbe un qualunque Governo (di destra o di sinistra) ammortizzare in pochi anni (con una imposta straordinaria)  il debito pubblico (eccedente il 60% del PIL), se già la pressione fiscale è insostenibile ?
   E potrebbe un qualunque governo uscire dall'area Euro, mentre il potere sull'Euro è in mani della UE ? Riprendo questo tema nel punbo 3.
 
   Disprezzo al tempo stesso quelli di FI o la Lega, che gridano contro l'immobilismo finanziario del governo, fiduciosi che "tutti" gli italiani si siano dimenticati della mela avvelenata regalata dai Governi Berlusconi-Bossi ai governi successivi.
   Trattasi del fatto che quei governi di centro-destra hanno spinto molto in alto la spesa dello Stato, e l'hanno coperta con debito pubblico aggiuntivo, vale dire con imposte sulle future generazioni (che è la mela avvelenata nella borsa di Renzi).
  
3..- Il nodo del debito pubblico. Gli sberleffi (si fa per dire, ma non è così) di Renzi alla Merkel sono del tutto fuori posto, perchè lo Stato Italiano, così come è combinato, peggiorebbe tutto se aumentasse la spesa, e questo perchè non è neppure capace di spendere (infatti, è talmente borbonico che riesce a spendere in tempo reale solo il 70-80% del prelievo fiscale). Clicca su Ragioneria Generale dello Stato.
  Il problema finanziario vero è abbattere il debito pubblico, cosa che si può fare (a parte l'abbattimento della spesa, eliminando le Regioni) solo in due modi:
a) che la UE carichi su di se il debito pubblico eccedente il 60% del PIL (per stare a Maastricht), e da coprire con una imposta generale sui redditi di tutti i paesi aderenti);
b) oppure mediante una inflazione molto maggiore del 2% annuo, ma almeno del 5%.
   Ma la UE lo permetterà ? Penso di no e allora RENZI (o chi per lui) dovrà imboccare la stessa strada di Tsipras e di Varoufakis, ma provvedendo per tempo a non farsi "imbacuccare" (come Tsipras): vale dire farsi tagliare la liquidità. Questo ipotizza avere a disposizione una seconda moneta legale (Lira).
   A Tsipras, l'incidente non sarebbe accaduto se avesse per tempo ripristinato la dracma.

5.- Ripristinare la lira, come seconda moneta, accanto all'Euro ? Non dice nulla il fatto che il Governo Monti, in ossequio alla UE, abbia anticipato la fine della lira ?
  Senonchè "diavolo fa le pentole, ma non i coperchi". E' infatti delle scorse settimane la notizia che la Corte Costituzionale italiana abbia rispristinata la LIRA, sia pur ai fini dei ritardatari rimasti con lire in portafoglio.
  Direi che il "coperchio" ( vale dire la LIRA) sia ripristinato, e spero in modo permanente e pronto all'eventuale uso, se questi sia l'ultimo modo per abbattere la metà del debito pubblico, mediante l'inflazione (5%)..
(Continua Padoan)
Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, al fine di sostenere ulteriormente i segnali di ripresa dell'economia, il Governo ha definito una strategia di azione che si articola attraverso misure di accelerazione della spesa dei fondi europei e di rafforzamento delle strutture amministrative. Una porzione importante degli investimenti pubblici in Italia sono cofinanziati da fondi europei, quindi ci si può avvalere della clausola per gli investimenti prevista dalla comunicazione della Commissione sulla flessibilità. Tale clausola implica, oltre ad un accresciuto spazio di manovra per investimenti, anche un incentivo a migliorare l'efficienza e le procedure legate a tali investimenti. I fondi strutturali europei nel periodo 2014-2020 giocano un ruolo rilevante per il rispetto degli obiettivi di spesa definiti dalla clausola di flessibilità. Pertanto, al fine di assicurare condizioni di accelerazione dell'utilizzo di tali fondi, nel disegno di legge stabilità sono previste, tra le altre, importanti misure rivolte ad agevolare i processi di spesa dei fondi europei da parte delle regioni. A corollario di queste misure il Governo ha promosso una serie di azioni volte a rafforzare le competenze e le capacità delle strutture amministrative e tecniche responsabili dell'attivazione degli investimenti finanziati con risorse pubbliche.
Ma ci sono anche misure volte a rafforzare gli investimenti privati. Il super-ammortamento: nella legge di stabilità si introduce una maggiorazione del 40 per cento del costo fiscalmente riconosciuto per l'acquisizione, dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, di beni strumentali nuovi, in modo da consentire l'imputazione al periodo d'imposta di quote e ammortamenti e canoni di locazione finanziaria più elevati. Si tratta di una misura immediatamente attiva e che presenta caratteristiche di semplicità. L'avviamento: si interviene sulla disciplina delle aggregazioni aziendali, consentendo ai contribuenti di ridurre il periodo di ammortamento previsto per l'avviamento e i marchi d'impresa da dieci a cinque quote.
Vorrei dire comunque che la legge di stabilità esce rafforzata dal dibattito parlamentare, anche grazie a proposte dell'opposizione. Cito alcune di queste misure che hanno rafforzato la legge di stabilità. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, il Governo ritiene in via generale che nel Mezzogiorno sia innanzitutto necessario migliorare l'implementazione delle politiche nazionali. In questo quadro, analogamente alla misura del super-ammortamento valida sull'intero territorio nazionale, si introducono benefici fiscali aggiuntivi, nella forma di un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive nelle regioni del Mezzogiorno dal 1o gennaio 2016 fino al 31 dicembre 2019. La misura dell'agevolazione è differenziata in relazione alle dimensioni aziendali. Danno diritto al credito d'imposta gli investimenti facenti parte di un progetto d'investimento iniziale relativo all'acquisto, anche tramite leasing, di macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive nuove o già esistenti. Il tetto massimo per ciascun progetto d'investimento agevolabile è di 1,5 milioni di euro per le piccole imprese, di 5 milioni per le medie e di 15 milioni per le grandi. Non bisogna poi dimenticare che con la legge di stabilità 2016 si realizza il superamento del Patto di stabilità interno e si attivano meccanismi di gestione del bilancio che consentono di disporre complessivamente di risorse pari a 11 miliardi per investimenti pubblici, di cui più di sette per il Mezzogiorno.
Per quanto riguarda le regioni, per le regioni a statuto ordinario abbiamo aumentato di 600 milioni il contributo ai fini della riduzione del debito, portandolo da 1.300 a 1.900 milioni di euro. Il contributo è finanziato per l'esatto importo attraverso il Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili, istituito dal decreto-legge n. 35 del 2013.
In materia pensionistica l'impianto generale prevede che non venga modificato l'assetto del sistema pensionistico e che le misure adottate siano finanziate nell'ambito del sistema previdenziale, in parte estendendo l'intervento sull'indicizzazione delle pensioni introdotto nel 2013 e in parte prevedendo la razionalizzazione di fondi già programmati. Durante l'esame parlamentare tale impianto della legge di stabilità 2016 è stato confermato.
Per quanto attiene alle innovazioni apportate nel corso dell'iter parlamentare, segnalo, tra le altre: l'anticipo al 2016 della misura relativa all'innalzamento della «no tax area» contenuto nel disegno di legge con decorrenza 1o gennaio 2017; la sterilizzazione nel 2016, con recupero nel 2017, della restituzione da parte dei pensionati dello 0,1 per cento di indicizzazione ricevuto in più nel 2015 con riferimento alla rivalutazione per l'anno 2014.
In conclusione, con la legge di stabilità, continua l'azione di Governo di sostegno a crescita e a occupazione in un quadro di progressivo consolidamento dalla finanza pubblica, azione che si basa anche, come è noto, su un forte coinvolgimento sul piano delle riforme strutturali che continuerà nel 2016. Concludo, signor Presidente, associandomi al ringraziamento al Parlamento per il lavoro svolto. PADOAN

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ITALIA: legge di stabilità 2016

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J.P. Juncher, Presidente C.E.

Commissione Europea: semaforo verde
alla legge di stabilità del governo Renzi - Padoan ?

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TAGLIO IMU sulla prima abitazione
e presto anche dell'IRES sulle imprese
(Padoan)



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RENZI :"abbassare le tasse non è di destra, è giusto"
BERSANI :"la scelta cancellare per tutti la tassa sulla prima casa va contro il principio della progressività delle imposte."

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P.C. Padoan, Ministro Finanze

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LUCIANI: L'esame del disegno di legge, in dettaglio, mostra (per il 2015-18) una previsione  di spesa costante,
di entrate fiscali in aumento, e quindi deficit calante. Guardando alle singole decisioni, diresti che il senso
delle cose sia di tipo REAGANIANO, in reatà molto meno, ma che inducono alla speranza che
ci si prepari ad avviare una parziale transizione dell'Italia dallo STATO al MERCATO.

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DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI
15 ottobre 2015

COMUNICATO

LEGGE DI STABILITÀ 2016

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (disegno di legge)

Punti principali della legge:

ELIMINAZIONE AUMENTI ACCISE E IVA - Vengono totalmente disattivate per il 2016 le clausole di salvaguardia previste dalle precedenti disposizioni legislative per un valore di 16,8 miliardi. Di conseguenza non ci saranno aumenti di Iva e Accise.

TASI-IMU -  L’imposta sulla prima casa viene abolita per tutti per una riduzione fiscale complessiva pari a circa 3,7 miliardi. La Tasi viene abolita anche per l’inquilino che detiene un immobile adibito ad abitazione principale.

IMU AGRICOLA – Vengono esentati dall’Imu tutti i terreni agricoli – montani, semi-montani o pianeggianti - utilizzati da coltivatori diretti, imprenditori agricoli professionali e società. L’alleggerimento fiscale per chi usa la terra come fattore produttivo è pari a 405 milioni.

COMPENSAZIONI AI COMUNI – I Comuni saranno interamente compensati dallo Stato  per la perdita di gettito conseguente alle predette esenzioni di Imu e Tasi su abitazione principali.

PATTO STABILITÀ COMUNI – Le nuove regole consentiranno ai Comuni che hanno risorse in cassa di impegnarle per investimenti per circa 1 miliardo nel 2016. In aggiunta sarà consentito lo sblocco di pagamenti di investimenti già effettuati (e finora bloccati dal Patto) a condizione che i comuni abbiano i soldi in cassa.

IMU IMBULLONATI -  Gli imbullonati non saranno più conteggiati per il calcolo delle imposte immobiliari per un alleggerimento fiscale pari a  530 milioni di euro.

IRAP IN AGRICOLTURA E PESCA  – Dal 2016 viene azzerata.

AMMORTAMENTI - La misura è volta a incentivare gli investimenti in beni strumentali nuovi (a partire dal 15 ottobre 2015 e fino al 31 dicembre 2016) attraverso il riconoscimento di una maggiorazione della deduzione ai fini della determinazione dell’Ires e dell’Irpef. La maggiorazione del costo fiscalmente riconosciuto è del 40% portando al 140% il valore della deduzione.

IRES -  Si ridurrà del 3,5%, dall’attuale 27,5% al 24%, a partire dal 2017, con uno sgravio di 3,8 miliardi nel primo anno che arriverà a circa 4 miliardi dall’anno successivo. Si potrà anticipare di un anno l’entrata in vigore della riduzione dell’aliquota qualora le istituzioni europee accordino la ‘clausola migranti’.

PROFESSIONISTI E IMPRESE DI PICCOLE DIMENSIONI – La norma viene modificata per ampliare l’accesso al regime fiscale forfettario di vantaggio . La soglia di ricavi per l’accesso a tale regime viene aumentata di 15.000 euro per i professionisti (portando così il limite a 30.000 euro) e di 10.000 euro per le altre categorie di imprese. Viene estesa la possibilità di accesso al regime forfettario ai lavoratori dipendenti e pensionati che hanno anche un’attività in proprio a condizione che il loro reddito da lavoro dipendente o da pensione non superi i 30.000 euro. Per le nuove start up viene previsto un regime di particolare favore con l’aliquota che scende dall’attuale 10% al 5% applicabile per 5 anni (anziché 3 anni). In attesa di una riforma strutturale sulla fiscalità delle società di persone, aumenta la franchigia di deduzione IRAP per questa tipologia di imprese da 10.500 a 13.000 euro.

ASSUNZIONI -  Anche per le nuove assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2016 è prevista una agevolazione attraverso la riduzione dei contributi al 40% per 24 mesi, misura che complessivamente porta a un alleggerimento pari a 834 milioni nel 2016 per salire a 1,5 miliardi nel 2017.

BONUS EDILIZIA – Viene aumentata dal 36% al 50% la detrazione sulle spese sostenute per le ristrutturazioni edilizie, confermando l’attuale livello di agevolazione. La detrazione viene mantenuta anche per l’acquisto dei mobili e di grandi elettrodomestici.  Si conferma al 65% il cosiddetto ‘ecobonus’, la detrazione sulle spese per gli interventi di riqualificazione energetica degli immobili.

CONTRATTAZIONE DECENTRATA – Sulla quota di salario di produttività, di partecipazione agli utili dei lavoratori o di welfare aziendale derivante dalla contrattazione aziendale si applica l’aliquota ridotta del 10% con uno sgravio fiscale complessivo di 430 milioni nel 2016 che sale a 589 negli anni successivi. Il bonus avrà un tetto di 2.000 euro (estendibile a 2.500 se vengono contrattati anche istituti di partecipazione) e sarà utilizzabile per tutti i redditi fino a 50.000 euro.

CANONE RAI – Si riduce dagli attuali 113,50 a 100 euro. Si pagherà attraverso la bolletta elettrica della casa di abitazione. Restano in vigore le attuali esenzioni.

CONTANTE - La soglia per i pagamenti in contanti sale da 1.000 a 3.000 euro.

COOPERAZIONE – Crescono i fondi per la cooperazione internazionale: 120 milioni nel 2016.

SOSTEGNO AI PIU’ DEBOLI – 90 milioni nel 2016 per la Legge sul “Dopo di noi” per sostenere persone con disabilità al venir meno dei familiari. Rifinanziamento del Fondo per la non autosufficienza per un totale di 400 milioni di euro.

SEMPLIFICAZIONI FISCALI - Si anticipa di un anno la semplificazione delle sanzioni amministrative in campo fiscale. Le imprese si vedranno subito rimborsare l’IVA per i crediti non riscossi, senza dover aspettare la fine delle procedure concorsuali. Si permette lo scioglimento delle società di comodo.

CONTRASTO ALLA POVERTÀ – Viene istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il ‘Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale’ al quale è assegnata la somma di 600 milioni di euro per il 2016 e di un miliardo a decorrere dal 2017. Il Fondo finanzierà la legge delega sulla povertà che verrà approvata come collegato alla legge di stabilità. Parte la prima misura strutturale contro la povertà, che sarà prioritariamente rivolta alle famiglie povere con minori a carico. Viene poi istituito, in via sperimentale, un altro fondo finalizzato a misure di sostegno contro la povertà educativa, alimentato da versamenti effettuati dalle fondazioni bancarie. Attraverso questa seconda iniziativa si rendono disponibili ulteriori 100 milioni l’anno.

PENSIONATI – Aumenta la “no tax area”, ossia la soglia di reddito entro la quale i pensionati non versano l’Irpef. Per i soggetti sopra i 75 anni si passa dall’attuale soglia di 7.750 euro a 8.000. euro, sostanzialmente lo stesso livello previsto per i lavoratori dipendenti.  Per i pensionati di età inferiore ai 75 anni la “no tax area” aumenta da 7.500 euro a 7.750 euro.

SALVAGUARDIA PENSIONI – Viene prevista la settima operazione di “salvaguardia” a favore dei soggetti in difficoltà con il lavoro e che non hanno ancora maturato i requisiti della legge Fornero per accedere al pensionamento. Per finanziare la settima ‘salvaguardia’ si spendono le risorse non utilizzate nelle precedenti salvaguardie chiuse.

OPZIONE DONNA – Il regime sperimentale per le donne che intendono lasciare il lavoro con 35 anni di contributi e 57-58 anni di età (e la pensione calcolata con il metodo contributivo) viene esteso al 2016, anno in cui devono essere maturati i requisiti.

PART TIME – La norma è finalizzata ad accompagnare i lavoratori più anziani al pensionamento in maniera attiva. Si potrà chiedere il part time ma senza avere penalizzazioni sulla pensione perché lo Stato si farà carico dei contributi figurativi. Il datore di lavoro dovrà corrispondere in busta paga al lavoratore la quota dei contributi riferiti alle ore non prestate, che si trasformeranno quindi in salario netto.

CATTEDRE UNIVERSITARIE DEL MERITO – 500 nuovi professori saranno selezionati sulla base del merito tra i migliori cervelli, all’estero o “in trappola” in Italia, in settori strategici per il futuro del Paese. Per tale misura sono previsti 40 milioni per il prossimo anno e 100 milioni dal 2017.

GIOVANI RICERCATORI – All’assunzione di 1.000 nuovi ricercatori vengono destinati 45 milioni nel 2016, che salgono a 60 milioni nel 2017 e a 80 milioni nel 2018.

SPECIALIZZANDI MEDICI – 6.000 borse (ogni anno) per gli specializzandi medici, per assicurare qualità e prospettiva al sistema sanitario nazionale.

COMMENTO di NINO LUCIANI

1.- Premessa. Prendo atto del COMUNICATO del Governo (riportato qui a fianco) e passo al disegno di legge di stabilità originale, il cui testo si può leggere cliccando su: Stabilità).
  Appare subito difficilissimo capirne qualcosa, per due ragioni:
  a) il testo è un *.pdf ottenuto per stampa di 511 immagini, non un file in formato scrittura (*.word, *.htm, ...).
  Questo fatto lo rende di difficilissima e lunga consultazione. Purtroppo il Ministero delle Finanze tratta (vergognosamente, sono costretto a dire) da anni  il parlamento in questo modo,  e altrettanto tutti noi, così che da anni non riusciamo a decifrare con chiarezza il bilancio dello Stato.
  Ben altra cosa sono i documenti della Banca d'Italia, i soli da cui è possibile capire qualcosa, ma (al momento) non sul disegno di legge di stabilità.
   Ma facendoci forza, e passando, manualmente, una per una, le 511 pagine, si trova una infinità di informazioni particolari difficili da dominare, e subite secondo l'ordine della Ragioneria.
   A pag. 272-74 si trovano i dati numerici di sintesi, quelli che servono per un giudizio complessivo alla UE, vale dire tre tabelle da cui è possibile capire le verità o le bugie del ministero delle finanze. 

Milioni di €
Entrate finali Uscite finali Saldo
2015

523.325

575.659

- 52.334

2016

535.605

567.251

- 31.646

2017

553.740

572.803

-19.063

2018

566.915

577.844

- 10.929

   Se ho ben capito, in questi conti,   le previsioni di deficit appaiono resistere, ma in calo; le previsioni di spesa sono tenute costanti, mentre sono in aumento le previsioni di entrata.
   La conclusione è che non è in programma nessuna riforma strutturale di sostanza, il nodo di tutto; anzi, cosa grave, la tassazione non vira verso il basso.
  Dovremo prendere di petto RENZI ?
  Dobbiamo solo capire che nessun governo in Italia (da 30 trent'anni) fa riforme strutturali dello Stato perchè non c'è un sistema di governo capace di prendere decisioni strutturali.
  Vedremo l'anno prossimo se sarà fatta la riforma costituzionale e applicata la nuova legge elettorale. Solo a quel punto capiremo se si farà la vera riforma dello Stato e abbassate le imposte.

 

2.- In generale, abbassare le tasse è di destra o di sinistra ? L''alternativa tra Stato e Mercato è il terreno corretto per separare la destra (MERCATO) dalla sinistra ( STATO).
  Renzi è di sinistra, e Alfano (il suo Vice) è di destra.

  Fatti recenti. Le vicende del governo Monti sono le più tristi dell'Italia recente. Pur essendo di destra, egli è stato di una crudeltà fiscale fuori limite (anche colpire l'evasione sulla pelle delle imprese morenti - in questi casi si concede una dilazione), tale da chiudere l'Italia in un tunnel buio, senza speranza. Si vegga un nostro grafico di qualche mese fa.
   Monti ha anche ignorato che lo Stato spendeva in tempo reale solo il 70% di quanto prelevava, per cui la domanda del mercato cadeva in depressione, ulteriormente. Si vegga una nostra tabella sulla capacità di spesa della Pubblica Amministrazione.
  Donald Reagan ? Quel Presidente degli Stati Uniti è rimasto famoso per il suo programma di destra per  lanciare il PIL,  abbassando la pressione fiscale, e questo mentre negli USA  la tassazione del reddito era al 28%, ossia bassissima in confronto ai Paesi Europei. Secondo Reagan abbattere le tasse, induceva le imprese a produrre di più e questo avrebbe aumentato il gettito fiscale. (Non sempre il conto torna, ad es., se mancano le infrastrutture pubbliche).
  Non solo questo. Reagan voleva anche semplificare la tassazione personale progressiva del reddito (con la " progressività per detrazione"), vale dire una sola aliquota, tassando il reddito complessivo al netto di una detrazione fissa.
  La convinzione di Reagan si fondava su una grande verità. Un sistema fiscale giusto ma che impedisce la produzione, taglia il ramo su cui uno è seduto. Su questo verità, in generale gli uomini di sinistra sono spesso superficiali.
  Bersani, forse, non ha visto in quale situazione di degrado si trovano le case nelle grandi città, come Napoli, Palermo: una vera tristezza.

  Renzi vuole come Reagan ?  Anzi, guardando dentro le cose, la storia è più pesa: c'è di mezzo un secondo piccione, da prendere con una sola fava: salvare il socialismo italiano, già in atto ma in pericolo.

 3.- Perchè oggi abbassare le tasse è divenuto di sinistra.
   Gorbaciov
aveva capito che il sistema comunista (di cui era Segretario Generale nell'Unione Sovietica) era sull'orlo della catastrofe economica e si propose di salvarlo tornando indietro nella statalizzazione (allora 95%) del sistema economico.
  Gorbaciov ci aveva raccontato che (a dispetto della fame del popolo) nel sistema sovietico il controllo dell'economia era tutto in mano al PCUS-Partito Comunista e alla NOMENCLATURA (burocrazia ministeriale). Essi erano categorie privilegiate, a cui non mancava niente.
  Sia chiaro che in un sistema socializzato è normale che comandi il partito (così come è normale che in una impresa comandi l'imprenditore), ed è normale che comandi la burocrazia. Non è invece corretto che la classe dirigente si arricchisca rubando fuori limite.
   Quanto avvenne in URSS avviene oggi in Italia, in proporzione al grado di socializzazione del sistema economico (spesa pubblica, pari al 65% del PIL, di cui 55% è spesa pubblica in senso stretto e 10% è spesa delle imprese pubbliche).


4.- Si può tornare indietro in un Paese socializzato ?
 Gorbaciov voleva tornare indietro, quanto bastava per rimettere in moto il mercato e la produzione.
  Ma questo, in un sistema tutto socializzato, è un processo irreversibile, perchè nessuno vuole rinunciare ai privilegi conquistati, e la sola via di uscita è il fallimento.
  Qui sta la ragione del fallimento di Gorbaciov, ma anche (di conseguenza) del successo della rivoluzione di ELTSIN che abbattè il sistema sovietico.
  E' possibile in Italia abbattere il grado di socializzazione di un 15% del PIL ?  Questa scelta richiede una radicale riforma dello Stato:
  a) eliminare le Regioni come enti legislativi (doppioni dello Stato e sacche dove i partiti possono rubare il danaro pubblico) , e trasformarle in enti amministrativi con i poteri delle province e delle aree metropolitane. Dovrebbero essere il nuovo e unico ente intermedio tra Stato e Comuni;
  b) il servizio sanitario dovrebbe essere gestito direttamente dallo Stato (basta quelle differenze tra regioni);
  c) privatizzare le imprese pubbliche (salvo le necessarie eccezioni, non poche).
 
5.- Torniamo a Renzi. Con la riforma costituzionale del titolo V, saremmo in cammino verso la retta via.
  Ma anche da noi ci sarà la ribellione dei privilegiati del partito e, per vincerla, occorrerà avere un governo forte.
  Anche a questo proposito è attesa la riforma costituzionale (un solo voto di fiducia al governo).
  A sua volta la nuova legge elettorale dovrebbe privarci di un buon numero di partiti-bande, senza il senso dello Stato, in parlamento.

6.- E Berlusconi ?
Nel 1994, quando ottenne la Presidenza del Consiglio pareva l'astro predestinato a fare la rivoluzione liberale.
  Ma, poi, accadrà tutt'altro.
  E  nulla accadde anche nei successivi due suoi governi.
  Motivi ? Anche per lui abbattere privilegi dei partiti era una gara dura.

  Non abbatterà, infatti, la spesa pubblica.
  E non volendo (come uomo di destra) aumentare le imposte, aumenterà il debito pubblico.
  Peccato che egli abbia ignorato che il debito pubblico vuol dire maggiori imposte sulle generazioni future, il compito trasmesso a Monti.


7.- L'Italia in transizione dallo Stato al Mercato. Già nel 1992-94, con la caduta della DC e del PCI, e dopo la caduta del muro di Berlino (1988)   l'Italia era matura per la transizione verso il mercato.
  Mi onoro di rinviare ad un mio scritto, " I problemi della transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato", 1994, sul link: http://scritti scelti, pag. 492, in un Convegno organizzato da Jader Jacobelli,:"Dove va l'economia italiana ?", anche pubblicato nei SAGGI TASCABILI LATERZA 1995.

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Grecia: con la caduta di TSIPRAS, la Grecia restera in UE, ma schiava

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GRECIA

I FATTI DELL'ESTATE


ATENE PRESA PER FAME, COME ALESIA.

IL DIKTAT DI PACE DELLA COMMISSIONE ALLA GRECIA,
.mentre il FMI oppone che il nuovo debito è insostenibile per la Grecia

A conti fatti, la Grecia (per ottemperare alla UE) dovrebbe aumentare la pressione
fiscale del 9% (arrivando al 45%). A tanto ammonta la cifra annuale per ammortizzare
in 30 anni il debito attuale, al tasso del 2%. Inoltre, ..., dovrebbe fare altre cose ...

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Christine Lagarde, FMI

.   LUCIANI:.
  - Se, alla prima crisi di liquidità per panico, Atene avesse associato la "Dracma"
  all'Euro, le cose sarebbero andate molto diversamente, forse senza uscire dall'Euro.
- MEMENTO ITALIA quando, cessato il Qe di Draghi, dovrai affrontare il tuo debito
pubblico: o caricarne parte sulla UE, o cancellarne parte con la svalutazione della "Lira".

.

ALCUNI DATI STATISTICI  

Germany

Greece

Italy

Miliardi di €, a prezzi correnti*  

2014

2015

2014 2015 2014 2015
             
PIL - Prodotto Interno Lordo Totale 2.903,79 3.015,32 179,081 182,985 1.616,05 1.627,88
Risparmio Nazionale Lordo Percentuale del PIL

26,33

26,91 11,50 12,72 18,34 17,63
Tasso di disoccupazione Percent of total labor force

4,98

4,85 26,49 24,80 12,80 12,60
Popolazione Unità 81.100.000 81.360.000 10.993.000 10.982.000 59.960.000 60.236.000
Bilancio dello Stato: Pressione fiscale Percentuale del PIL

40,2**

  36,10**   43,80**  
Bilancio dello Stato: Spesa Percentuale del PIL

43,94

44,18 46,3 44,21 51,69 50,92
Debito Pubblico Totale 2.123,03 2.095,54             317,31 316,06 2.134,95 2.177,45
Debito pubblico Percentuale del PIL

73,11

69,50

177,19

172,73

132,11

133,76

IVA - Imposta sul valore aggiunto Aliquota standard

19***

  23***   22***  
* Fonte: International Monetary Fund, World Economic Outlook Database, April 2015        
** 2013. Fonte Eurostat, 2014; *** Fonte: Commissione Europea        

LE CONDIZIONI DELLA UE

Dichiarazione sulla Grecia, della Commissione europea in collaborazione con la Banca centrale europea *
13 agosto 2015  (Stralcio). TRADUZIONE LIBERA DA INGLESE
FONTE:
http://europa.eu/rapid/press-release_STATEMENT-15-5493_en.htm

1.-  L'11 agosto, la Commissione europea, la Banca centrale europea e il meccanismo europeo di stabilità, con l'apporto del Fondo monetario internazionale, ha raggiunto un accordo globale a livello di staff con il governo greco sul memorandum d'intesa che costituirà parte del Finanziamento accordo che dovrà essere firmato tra la Repubblica ellenica e l'ESM.
I negoziati del memorandum d'intesa sul terreno di Atene erano volti a concordare un pacchetto credibile e globale di riforme.
Il FMI ha fornito input nel l'analisi tecnica e il disegno delle condizioni per fare luogo al nuovo programma ESM.

::::::::::::::::::
La credibilità dell'accordo si basa su un numero significativo di riforme iniziali, comprese le misure importanti che affrontano lunga data sfide strutturali che affrontano l'economia greca, come la riscossione delle imposte, sistemi delle pensioni e della sanità, la concorrenza nel mercato dei prodotti e delle professioni e dell'energia, che mostrano l'intenzione del governo greco di normalizzare la situazione dell'economia in fretta.

2.- L'attuazione del programma di riforma fornirà la base per una ripresa sostenibile e le politiche sono costruiti attorno a quattro pilastri:
a) Ristabilire la sostenibilità fiscale: la Grecia si rivolgerà un primario surplus medio termine pari al 3,5% del PIL, da raggiungere attraverso una combinazione di riforme fiscali parametriche iniziali sostenuti da un ambizioso programma per rafforzare la conformità fiscale e la gestione delle finanze pubbliche, e combattere l'evasione fiscale, garantendo al tempo stesso un'adeguata tutela dei gruppi vulnerabili. Una grande riforma del sistema pensionistico eliminerà disincentivi al lavoro, e affrontare gli squilibri considerevoli che minacciano la sostenibilità fiscale. Nel perseguimento di questo obiettivo a medio termine e tenendo conto del deterioramento della situazione economica, le autorità di conseguenza intraprendere un nuovo percorso fiscale basata su un equilibrio surplus primario obiettivi di -¼, 0.5, 1¾, e il 3,5 per cento del PIL nel 2015 , 2016, 2017 e 2018 e al di là, rispettivamente. La traiettoria degli obiettivi di bilancio è in linea con i tassi di crescita attesi dell'economia greca come si recupera dalla sua più profonda recessione registrata.
b) Salvaguardare la stabilità finanziaria: la Grecia prenderà immediatamente misure urgenti per affrontare il problema dei non performing loans (NPL) nel settore bancario. Il livello straordinariamente elevato delle sofferenze e il debito nel correlata del settore privato distolgono importanti risorse da impieghi più produttivi e impedire il settore bancario di fornire il credito necessario a sostegno di una ripresa della crescita. Inoltre, un processo ricapitalizzazione delle banche, da completare entro la fine del 2015, contribuirà a una stabilizzazione della situazione nel settore bancario.

LA LETTERA DEL FMI

Statement by IMF Managing Director Christine Lagarde on Greece . TRADUZIONE LIBERA DA INGLESE
August 14, 2015 
FONTE: http://www.imf.org/external/np/sec/pr/2015/pr15381.htm

"Il pacchetto di politiche specificato nel memorandum d'intesa (MoU), recentemente concordato tra le autorità greche e le istituzioni europee, con il contributo di personale del Fondo, è un passo avanti molto importante. Si inverte non solo gran parte del criterio di base della politica precedente che portò fuori pista il programma precedente, ma mette in atto politiche di ampio respiro per ripristinare la sostenibilità fiscale del bilancio, la stabilità del settore finanziario, e un ritorno alla crescita sostenibile.
Accolgo con particolare favore gli sforzi delle autorità per superare la grave perdita di fiducia negli ultimi mesi attraverso forti azioni oltre il segno.
La maggior parte di queste azioni sono state pienamente specificate nel protocollo d'intesa, e misure chiave, dentro i settori strutturali fiscali, saranno attuate come azioni prioritarie per l'erogazione della tranche prima meccanismo europeo di stabilità (ESM).
  "In due aree, che sono di fondamentale importanza per la capacità della Grecia di tornare a un sostenibile sentiero fiscale e crescita ( la specificazione dei parametri fiscali, e non ultimo un ampio pacchetto di riforme delle pensioni, necessario per sostenere - del programma -  il tuttora ambizioso obiettivo di surplus primario a medio termine e le altre misure per migliorare in modo decisivo la fiducia nel settore bancario )- il governo ha bisogno di più di tempo per sviluppare il suo programma in modo più dettagliato.
   Questo è comprensibile, e sono incoraggiata in questo senso dall'impegno del governo a lavorare con i suoi partner europei e il Fondo per il completamento delle riforme indispensabili nei prossimi mesi.
  Con la specifica dettagliata di queste riforme in sospeso, il memorandum d'intesa recentemente concordato comporterà uno sforzo molto deciso e credibile da parte delle autorità greche di ripristinare una crescita economica solida e sostenibile.
"Tuttavia, rimango fermamente convinta che il debito della Grecia è diventato insostenibile e che la Grecia non può ripristinare la sostenibilità del debito unicamente attraverso azioni proprie.
  Così, è altrettanto critico per il medio e lungo termine la sostenibilità del debito che i partner europei della Grecia assumano impegni concreti nell'ambito della prima revisione del programma di ESM per fornire sollievo significativo al debito, ben oltre quello che è stato considerato finora.
   "In conclusione, credo che le azioni da intraprendere da parte delle autorità per il momento della prima verifica, in collaborazione con i criteri specificati nel memorandum d'intesa, una volta che sono state integrate dalle riforme fiscali, di cui sopra, nella struttura fiscale e finanziaria, nonché da riduzione del debito significativa, fornirà la base per un programma credibile e completo per ripristinare la sostenibilità a medio termine.
  Siamo ansiosi di lavorare a stretto contatto con la Grecia e i suoi partner europei nei prossimi mesi per mettere in atto tutti gli elementi necessari, secondo me, a raccoman- dare al Board esecutivo del Fondo di prendere in considera- zione un ulteriore sostegno finanziario per la Grecia.

COMMENTO di NINO LUCIANI

1.- Lieti della Grecia in UE, ma ...
Le dichiarazioni autentiche della UE e del FMI, riportate qui a fianco, sono la prova certa della drammaticità degli eventi d'estate, che hanno trattenuto la Grecia in area Euro, lasciando sott'acqua la verità sulle volontà delle parti, ma che i giornali hanno fotografato.
Detto in breve, la UE non ha mollato l'osso e ha fatto tutto quanto poteva per imporre alla Grecia di restare nell'area euro.
E, detto senza mezzi termini, si è trattato di una guerra con mezzi amministrativi, molto simile a quella con mezzi ingegneristici di Giulio Cesare nella Gallia nei confronti di Vercingetorice: "circondare Alesia, antica città su un colle, con doppio vallo tutt'intorno, in modo da impedirle rifornimenti alimentari, e prenderla per fame.
Non vedo altro signficato al taglio totale della liquidità alle banche (per mano della BCE). Del resto, abbiamo visto tutti il vecchietto piangere per strada senza poter mangiare, perchè la sua pensione era in banca e non poteva averla.

2.- Che dire del povero Tsipras ? Siccome è anche vero che i politici greci (come la gran parte di quelli italiani) sono presi dalla strada senza preparazione (vedi Tsipras, pur se bravo personalmente) e che quelli presi dalle università non hanno professionalità politica ( vedi Varoufakis, e vedi Monti), la conclusione non poteva che esser di vederli messi in buca, come tutti i capi-popolo e ben è andata a loro se non sono finiti ammazzati (come, invece, accaduto ad altri capi-popolo, anche della storia d'Italia: vedi Masaniello, eroe della rivolta fiscale a Napoli, antispagnola; e perfino il frate Savonarola, colpevole di essere "eretico, scismatico e predicatore di cose nuove").
 
Come sia potuto accadere la presa per fame, della Grecia, è abbastanza incredibile, date tutte le dichiarazioni europee per la crescita dei paesi europei: in questo ci si aspettava che, visto lo svuotamento della liquidità bancaria ad opera dei Greci direttamente, la BCE avrebbe fatto qualcosa. Infatti, in questa problematica, il caos ha natura psicologia (il terrore del popolo, di restare senza i propri risparmi e che corre a prendere i propri soldi in banca), per cui sarebbe bastato un appello serio della BCE, che nulla sarebbe andato perduto per i risparmiatori.
  Va anche detto che
se, alla prima crisi di liquidità per panico, Atene avesse creato la "Dracma", accanto all'Euro, le cose sarebbero andate diversamente, e senza uscire dall'Euro.
 
Ma visto che la BCE ha agito come Giulio Cesare  per Alesia (ha fatto mancare i rifornimenti), con il senno di poi capiamo anche certe dichiarazioni di Draghi: "Non è precisato nel trattato di Maastricht cosa la BCE possa fare in caso di uscita dall'euro, di qualche paese".
  Conclusione: non essendo nulla previsto, Draghi ha evitato di mettersi personalmente nei guai, però, onestamente qualcosa aveva detto, ma in modo troppo sibillino per essere capito.
.

Questo sarà accompagnata da misure concomitanti per rafforzare la governance del Fondo ellenico di stabilità finanziaria (HFSF) e delle banche. Insieme ad altre norme del programma si prevede di favorire una normalizzazione della situazione di liquidità nel settore bancario, permettendo una concomitante allentamento graduale dei controlli sui capitali.
c) Crescita, competitività e gli investimenti: Grecia progettare e realizzare una vasta gamma di riforme dei mercati del lavoro e dei mercati dei prodotti (compresa l'energia), che garantiscono non solo la piena conformità ai requisiti dell'Unione europea, ma che mirano anche a realizzare le migliori pratiche europee.Ci sarà un programma di privatizzazione ambizioso, e le politiche che sostengono gli investimenti. Il pacchetto di riforme strutturali per essere emanata è significativo, in particolare nel settore delle politiche ambientali affari e della concorrenza, che sono la chiave per sbloccare il potenziale di crescita dell'economia.
d) Uno Stato ed una pubblica amministrazione, moderni
dovranno essere la chiave di priorità del programma. Particolare attenzione sarà rivolta ad aumentare l'efficienza del settore pubblico nella fornitura di beni e servizi pubblici essenziali. Saranno adottate misure per migliorare l'efficienza del sistema giudiziario, anche attraverso l'attuazione del nuovo codice di procedura civile recentemente adottato, e di aggiornare la lotta contro la corruzione. Riforme rafforzare l'indipendenza istituzionale e operativa delle istituzioni chiave come la gestione delle entrate e l'istituto di statistica (ELSTAT). La strategia concordata tiene conto della necessità di giustizia sociale e di equità, sia tra le generazioni e all'interno. Vincoli fiscali hanno imposto scelte difficili, ed è quindi importante che l'onere dell'aggiustamento sia sostenuto da tutte le parti della società e tenga conto la capacità di pagare. La priorità è stata posta sulle azioni di lotta all'evasione  (Continua UE)

(Continua Luciani).
3.- Cosa dire delle dichiarazioni UE e FMI ? Il minimo che si possa dire della UE è che ha usato una fuberia infinita, ma vuota, ma che il FMI non ha lasciato passare, senza vedere. Questo ha detto che il debito imposto dalla UE non era sostenibile.
  Quanto alla dichiarazione UE, si trova infatti che la Grecia sarebbe rinsavita nel fatto che ha accettato i quattro punti, ivi rimarcati in neretto.Vediamoli, uno per uno:

a) ristabilire la sostenibilità fiscale. Qui verosimilmente la UE ha ragione, nel senso che i Paesi arretrati hanno di solito un pessimo sistema fiscale (contribuenti non registrati, e molta evasione). Dunque serve creare un buon sistema fiscale, tecnicamente. Per il resto non condivido nulla (surplus primario ...)
b) Salvaguardare la stabilità finanziaria. Siccome la salvaguardia va imposta in rapporto al debito pubblico, la richiesta è velleitaria, in quanto essa implica un aumento della pressione fiscale di almeno il 9% del PIL.
Infatti, facendo una botta di conti, va considerato che le stime di aprile del FMI indicavano un debito di 316 miliardi, ma dopo le vicende di luglio, la cifra è intorno a 370 miliardi. Al tasso agevolato del 2% (da noi ipotizzato), la rata di ammortamento in 30 anni è di 16,5 miliardi all'anno, per cui la pressione fiscale dovrebbe salire del 9%, e dunque diventare 45%. Mi sembra una possibilità solo matematica.
c) Crescita, competitività e gli investimenti. La dispobilità finanziaria è tutta impegnata sul debito. E l'aumento della pressione fiscale è contradditorio alla crescita. Dunque di cosa stiamo parlando ?
E siccome la Grecia ha solo la navigazione, il commercio e il turismo di buono, è da qui che bisogna cominciare. D'altra parte, tanto debito deriva dal fatto che i precedenti governi greci hanno puntato tutto sulle infrastrutture portuali e stradali, sia pur guardando troppo avanti.
Si vada in macchina a Salonicco, partendo da Igoumenitsa, e si troverà una bellissima e lunghissims autostrada, ma senza una anima.

Dunque se la UE vuole la crescita, e vuole la Grecia nell'Unione, metta soldi propri in Grecia per investimenti direttamente produttivi, considerato che le infrastrutture ne sono il presupposto, già realizzato dalla Grecia.
d) Uno Stato ed una pubblica amministrazione, moderni. Giustissimo, ma sono questioni politiche non di competenza della UE.
  Circa la correzione del sistema pensionistico, l'ammodernamento del sistema sanitario, il reddito minimo garantito, OK ! Ma sono cose politiche non di competenza della UE, e difficili per la Grecia da sola.
E se la UE le vuole, paghi di proprio, in quanto la Grecia non può fare le une e pagare il debito.
  Conclusione: il debito è la chiave di tutto, per cui:
a) la UE deve caricare su di sè l'eccedenza sul 60% del PIL (per stare a Maastricht);
b) oppure deve consentire alla Grecia di cancellarlo, uscendo dall'area euro, per creare la dracma e svalutare.

Ma la UE ha impedito alla Grecia di uscire...

(Continua UE) fiscale, alle frodi e grandi debitori morosi, in quanto impongono un onere per i cittadini onesti e le imprese che pagano le tasse e prestiti nel tempo.
Le riforme del mercato dei beni cercano di eliminare le rendite a favore di gruppi di interesse: attraverso un aumento dei prezzi, questi minano il reddito disponibile dei consumatori e alterano la competitività. Le riforme delle pensioni si sono concentrati su misure volte a fornire incentivi al mercato del lavoro a tempo indeterminato, alla continuazione del lavoro e a rimuovere il pensionamento anticipato. Per riportare la gente al lavoro e prevenire la disoccupazione a lungo termine, le autorità, lavorando a stretto contatto con i partner europei, inizieranno le misure per aumentare l'occupazione per 50.000 persone, a cominciare dai disoccupati di lungo termine. Una società più giusta richiederà che la Grecia migliori la progettazione del suo sistema di welfare, in modo che ci sia una vera e propria rete di sicurezza sociale che direzioni le risorse scarse risorse a chi ne ha più bisogno.

Le autorità prevedono di beneficiare, grazie alla l'assistenza tecnica da parte di organizzazioni internazionali, misure di accesso alle cure sanitarie per tutti (compresi i non assicurati) e di avviare una rete di sicurezza sociale di base in forma di un reddito minimo garantito (RMG). Le istituzioni si impegnano a continuare a lavorare con le autorità greche su tutti gli aspetti di questo accordo, anche per quanto riguarda fornire assistenza tecnica in una serie di aree di riforma previste dal programma. Rispetto delle condizioni del memorandum d'intesa sarà monitorata dalla Commissione, di concerto con la BCE e insieme all'FMI, come previsto dall'articolo 13 (7), del trattato ESM. *

* Questa dichiarazione è stata coordinata con il FMI e l'ESM. Il FMI ha rilasciato una dichiarazione relativa qui

.

EDIZIONI PRECEDENTI

In attesa del referendum della Grecia e per salvare l'EURO e L'UE

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MERKEL: "DISPONIBILE A UN COMPROMESSO
SE LA GRECIA VORRA' TRATTARE"
.

LUCIANI: L'impegno è valido se vuole cambiare i Trattati,
in modo che la UE si risvegli "patria", non "solo creditrice"

.

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Angela Merkel

                                                                                            I  FATTI SONO (da anni ormai):
1) Le strutture produttive del nord-UE sono "capital intensive", mentre quelle del Sud, sono "labour intensive". Dato il prevalere dell'export del nord, rispetto a quello del sud, deriva un cambio €/$ troppo forte per il sud. Questo di massima, ma ci sono eccezioni.
Nel caso della Grecia, il turismo (vedi: trasporto) è divenuto carissimo, quasi una merce rara, e questo è molto grave per l'UE.
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2) Il sud è gravato da un debito pubblico/PIL abnorme, ma anche da una pressione fiscale abnorme, che non potrebbe essere alzata per ammortizzare il debito. In Italia le piccole e medie imprese sono gravate da un fisco del 65% del reddito, dunque eccessivo;
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3) Ne deriva che l'unione monetaria può essere salvata solo se la UE grava sul bilancio europeo il debito eccedente il 60% del PIL (per stare a Maastricht) e ammortizzato con una imposta europea (es.: 1% sul PIL di tutti i Paesi della UE).
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P.S. Ai tempi di Roma, il debitore insolvente era portato dal giudice, che gli dava 30 giorni per pagare. Passati i 30 giorni, se non pagava, il debitore era dato alla mercè del creditore, che poteva farlo schiavo o ucciderlo.
La UE sta facendo come il giudice romano, con la Grecia ? Urge modificare i trattati: la
UE dovrà scoprirsi patria.

N. Luciani,  UNA VOLTA INDETTO IL REFERENDUM,
I MIRACOLI, ORMAI, NON SONO PIU POSSIBILI

1.- Premessa. Il prevedibile scenario greco, in caso di GR-EXIT è stato descritto su queste pagine, due mesi fa, compreso il dovere della BCE, per assecondare il passaggio, minimizzando l'attrito al movimento delle forze in campo. Si vegga il servizio, subito qui di seguito, e quello successivo.

2.- Tecnicamente, la Banca Centrale Greca sarà autorizzata ad emettere una nuova moneta: una nuova Dracma. Si formeranno dei nuovi prezzi in dracme, dati dal rapporto tra la "massa monetaria" e la "quantità" di beni e servizi che sono prodotti nel Paese, e che non sono scomparsi, come conseguenza della transizione dall'Euro alla Dracma. (Per un quadro scientifico, rinvio alla mia Economia Generale, ed. Franco Angeli, 2010, cap. 19.)

RICEVIAMO E GIRIAMO

  Ministro Padoan,
Lei che fa parte della famiglia “dipendente” del Fmi, conosce bene la Troika e Monti!

  I 39,9 miliardi di Euro di cui noi saremmo esposti in caso di uscita della Grecia, è dovuto al signor Monti presidente della Trilaterale e membro del direttivo Bilderberg, che ha firmato il MES“ ( il meccanismo europeo di stabilità”)  in rappresentanza dell’Italia !

  Il paradosso è che il denaro versato a fondo perduto da un Paese membro, nel caso ne avesse bisogno lo stesso gli verrebbe concesso in prestito con gli interessi.
  “Fondo Truffa Stati” ?

                                                                                   Antonio Sabella

  Per minimizzare le conseguenze contabili, la quantità di dracme da fabbricare potrebbe essere decisa pari a quella degli Euro greci attuali (meglio forse: 0,9:1, dando per scontato una certa speculazione al ribasso), e dunque il passaggio da Euro a Dracma dovrebbe essere al cambio 1:1.

3.- Cambio. A quel punto, si formerà, sia pure in una gradualità, un nuovo cambio tra la Dracma e le varie monete estere, grosso modo (ci direbbe Cassel) pari al rapporto tra i prezzi in dracme e i prezzi nelle singole monete, in condizioni di pareggio delle bilance commerciali tra la Grecia e ognuno dei vari Paesi.

4..- La BCE
dovrebbe seguire attentamente, ma non al ribasso, la formazione e aggiustamento definitivo del cambio Dracma/Euro.

5. Ultimo, ma non ultimo. Le conferenze stampa dei vari Leader (Juncher, e commissari vari, dei giorni scorsi) a difesa del proprio operato, e contro TSIPRAS, è molto disdicevole, perchè:
a)  una interferenza sull'interno della Grecia e sulla sovranità della Grecia;
b) perchè i burocrati europei non hanno responsabilità politica: hanno semplicemente hanno applicato i Trattati. Devono strarne fuori.
c) E', pero', grave che Hollande, Merkel non abbiano dato un segnale della necessità di ri-configurare la UE come patria, che assuma su di il peso delle debolezze dell'insieme.
  Hollande non rida troppo, data la situazione francese. Merkel può restare tedesca, purchè risolva i problemi (la UE sia "patria", e si ricordi di Feferico II, Hohenstaufen. Il compromesso con la Grecia, potrebbe esser l'impegno di modificare i trattati).
  Non possiamo, poi, non avere visto la sprovvedutezza del Ministro Italiano PADOAN, a parte il simpatico nostro giovanotto RENZI (spero che non molli sulla rifcrma del Senato e sull'Italicum, in modo che finalmente possiamo contare anche noi su Primi ministri che durano i 5 anni della legislatura, senza temere di essere cacciati in ogni momento, anche dalla UE). Nino Luciani

MA, UNA VOLTA INDETTO IL REFERENDUM,
I MIRACOLI, ORMAI, NON SONO PIU POSSIBILI

1.- Premessa. Il prevedibile scenario greco, in caso di GR-EXIT è stato descritto su queste pagine, due mesi fa, compreso il dovere della BCE, per assecondare il passaggio, minimizzando l'attrito al movimento delle forze in campo. Si vegga il servizio, subito qui di seguito, e quello successivo.

2.- Tecnicamente, la Banca Centrale Greca sarà autorizzata ad emettere una nuova moneta: una nuova Dracma. Si formeranno dei nuovi prezzi in dracme, dati dal rapporto tra la "massa monetaria" e la "quantità" di beni e servizi che sono prodotti nel Paese, e che non sono scomparsi, come conseguenza della transizione dall'Euro alla Dracma. (Per un quadro scientifico, rinvio alla mia Economia Generale, ed. Franco Angeli, 2010, cap. 19.)
Per minimizzare le conseguenze contabili, la quantità di dracme da fabbricare potrebbe essere decisa pari a quella degli Euro greci attuali (meglio forse: 0,9:1, dando per scontato una certa speculazione al ribasso), e dunque il passaggio da Euro a Dracma dovrebbe essere al cambio 1:1.

3.- Cambio. A quel punto, si formerà, sia pure in una gradualità, un nuovo cambio tra la Dracma e le varie monete estere, grosso modo (ci direbbe Cassel) pari al rapporto tra i prezzi in dracme e i prezzi nelle singole monete, in condizioni di pareggio delle bilance commerciali tra la Grecia e ognuno dei vari Paesi.

4..- La BCE
dovrebbe seguire attentamente, ma non al ribasso, la formazione e aggiustamento definitivo del cambio Dracma/Euro.

5. Ultimo, ma non ultimo. Le conferenze stampa dei vari Leader (Juncher, e commissari vari, dei giorni scorsi) a difesa del proprio operato, e contro TSIPRAS, è molto disdicevole, perchè:
a)  una interferenza sull'interno della Grecia e sulla sovranità della Grecia;
b) perchè i burocrati europei non hanno responsabilità politica: hanno semplicemente hanno applicato i Trattati. Devono strarne fuori.
c) E', pero', grave che Hollande, Merkel non abbiano dato un segnale della necessità di ri-configurare la UE come patria, che assuma su di il peso delle debolezze dell'insieme.
  Hollande non rida troppo, data la situazione francese. Merkel può restare tedesca, purchè risolva i problemi (la UE sia "patria", e si ricordi di Feferico II, Hohenstaufen. Il compromesso con la Grecia, potrebbe esser l'impegno di modificare i trattati).
  Non possiamo, poi, non avere visto la sprovvedutezza del Ministro Italiano PADOAN, a parte il simpatico nostro giovanotto RENZI (spero che non molli sulla rifcrma del Senato e sull'Italicum, in modo che finalmente possiamo contare anche noi su Primi ministri che durano i 5 anni della legislatura, senza temere di essere cacciati in ogni momento, anche dalla UE). Nino Luciani

 

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EDIZIONI PRECEDENTI

La Grecia prepara la via per l'Italia,
se  l'uscita è solo rinviata di 4 mesi

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Guardando alla GR-EXIT (TRE OPINIONI),   ma per guardare all'Italia.
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M. SWEETING, Rischio di caos legale. La Grecia come pagherà i debiti già denominati in Euro ?

V. DA ROLD, Banche greche aggredite  per recuperare i depositi in Euro.

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LUCIANI

Ai tempi di Roma il debitore insolvente era portato dal giudice, che gli dava 30 giorni per pagare. Passati i 30 giorni, se non pagava, il debitore era dato alla mercè del creditore, che poteva farlo schiavo o ucciderlo.
La UE sta facendo come il giudice romano, con la Grecia ? Urge modificare i trattati: la UE dovrà scoprirsi patria.

LUCIANI :

La fabbricazione di  moneta (dalla BCE - Qe -  tramite l'acquisto di titoli di Stato) non sarà risolutiva per sempre,  perchè è al fuori di una contrattazione (tra BCE e i singoli Stati) circa le riforme da fare in cambio. La chiave è ottenere dall'Italia un impegno ad abbattere la pressione fiscale del 10%, ferma la spesa.
Ma questo crea un disavanzo di bilancio e debito aggiuntivo, per cui il problema integrativo è anche quello di aggredire il debito, creando una inflazione annua del 5%, fino a deprezzare del 50% il debito, in 10 anni.
Questa s'ha da fare, con o senza uscita dall' Euro". A meno la UE si scopra "patria" e carichi sul proprio bilancio i debiti degli Stati, eccedenti il 60% del PIL, da ammortizzare con una imposta europea (1% sui PIL di tutti gli Stati ?) .

Questa via è massimamente urgente per la Grecia.

Fonte: Il Sole 24 ORE
(Traduzione di Morya Longo,
12 feb. 2015, Stralcio)

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MALCOLM SWEETING,
Ipotesi Grexit: problemi di ridenominazione monetaria
del debito

……
" Legalmente sarebbe possibile stare nell'Unione europea ma non nell'euro, tanto che molti Paesi - per esempio la Gran Bretagna - già lo fanno.
  "Il punto è che ogni Stato è sovrano e non può essere obbligato a tenere determinati comportamenti.
  ....
  " Altro conto è avere la convenienza a farlo: l'uscita dall'euro metterebbe infatti sul tavolo enormi sfide legali e pratiche, oltre ovviamente a quelle economiche. ….
  " Il problema principale riguarda la ridenominazione nella nuova valuta dei contratti e dei debiti …qual è la legge a cui i contratti sono sottoposti, in quale valuta sono denominati, in quale luogo devono essere onorati, qual è il Tribunale competente a dirimere le controversie e dove si trovano i beni dello Stato debitore eventualmente da aggredire. …..
  "Per la Grecia …. buona parte del debito di Atene è ormai sottoposto a legge inglese. …. e il Tribunale competente è quello britannico, se Atene volesse convertire il suo debito in dracme le Corti di Londra darebbero ragione ai creditori condannando Atene a pagare in euro. …… Conclusione: "Uno Stato sovrano può fare tutto: il problema è gestire poi le conseguenze legali. Oltre, ovviamente, a quelle economiche: se uno Stato unilateralmente tradisce gli investitori, poi sarà difficile che ottenga nuovi finanziamenti in futuro".

(21 feb. 2014, Stralcio)

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VITTARIO DA ROLD,
Banche greche in difficoltà
per panico monetario

Negli ultimi giorni sono stati prelevati dalle banche greche 500 milioni di euro al giorno, secondo stime di analisti di una banca d’affari locale. Una uscita di cassa che, se dovesse continuare a questi ritmi, potrebbe costringere le autorità greche a bloccare nel primo weekend utile i flussi in uscita sui depositi bancari di privati e aziende, con l’introduzione di misure di controllo sui capitali sullo stile di quanto avvenuto nella crisi cipriota del 2013. Ad Atene sta avvenendo in questi giorni qualcosa di paradossale: chi ha votato con la mano sinistra Syriza il 25 gennaio e continua a sostenere nei sondaggi il Governo, ora sta usando la mano destra per andare al bancomat e ritirare i soldi depositati in banca. I dati non lasciano dubbi: i depositi bancari erano 244 miliardi di euro prima della crisi, sono arrivati a dicembre a 160,3 miliardi (ultimo dato ufficiale) e a gennaio e febbraio si stimano rispettivamente un calo a 148,3 e 140 miliardi di euro. Può andare avanti così? La situazione non è sostenibile nel medio periodo perché le banche greche non hanno più la possibilità di portare come collaterali in garanzia bond ellenici presso la Bce e hanno solo 68,3 miliardi di credito di emergenza (Ela) a cui appoggiarsi, sempre attraverso prima Francoforte e poi la Banca centrale greca. Anche i 10,9 miliardi di euro residui, sui 50 miliardi di euro complessivi destinati alla ricapitalizzazione degli istituti di credito, del Fondo ellenico per la stabilità, secondo l’intesa con l’Eurogruppo di ieri, non potranno essere utilizzati se non per lo scopo cui erano destinati".

(Intervista di Beda Romano
(21 feb. 2014, Stralcio)


JEAN-CLAUDE TRICHET
, "Atene rischia di compromettere
il recupero di competitività"

…..
Un'uscita della Grecia dalla zona euro …. sarebbe prima di tutto un dramma per il popolo greco. Non corrisponderebbe al suo interesse. E sarebbe un problema grosso per gli altri Paesi europei…..

Avrebbe conseguenze economiche spaventose, molto, molto gravi. Tra queste, un calo del prodotto interno lordo importante, proprio mentre la crescita sta tornando ……. Oggi in Grecia la scelta non è tra austerità e crescita. L'obiettivo è un ritorno ordinato a un equilibrio finanziario, che è una condizione per crescita e occupazione durevoli. Più il Paese recupera competitività, più creerà occupazione. L'obiettivo deve essere la riduzione la più rapida possibile della disoccupazione. Il debito greco è al 180% del Pil ….. è un problema importante, ma non necessariamente quello principale. Bisogna creare competitività e crescita che ne permetteranno il rimborso, magari riducendo i tassi d'interesse e aumentando le maturità, purché ci sia un buon programma economico. …. ".

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Nino Luciani, La Grecia, terreno di riflessione per l'uscita dall'Euro, di chi sarebbe dovuto entrare più tardi, e che uscendo potrà comunque rientrare a tempo giusto. A meno cha la UE non sia patria che carica sul bilancio europeo le "debolezze locali".

1.- Premessa. L'Italia era entrata nell' Euro perchè la UE la costringesse a risolvere i suoi problemi strutturali, visto che i suoi governi non avevano la forza politica di risolverli .
  Ma poi, l'Italia ne è risultata strangolata per più motivi, il contrario dell'attesa. Vediamo:
a) il cambio euro/lira risultò molto svantaggioso per l'Italia, tant'è che le esportazioni italiane sono  risultate chiuse in casa per 10 anni (e solo adesso con la svalutazione dell'Euto riprende qualche respiro);
b) la politica dell'allargamento ai Paesi europei dell'est, attuata da Prodi (Commissario europeo) è stata fuori limite. Se, infatti, qualche Paese dell'UE poteva aiutarci, non l'ha potuto fare più a causa delle troppe bocche da sfamare.

  Il fatto, poi, che ultimamente Renzi si sia defilato da Tsipras, alle prese con la UE, non mi è affatto piaciuto.    Essere furbi, ma non intelligenti, paga, ma solo lì per lì. Poi verrà un momento in cui quell'amico potrebbe farti comodo, e l'hai perso.

2.- Dovremo uscire dall'Euro ?
  Per la risposta dovremo mettere in conto i problemi prospettati per la Grecia, e che sono focalizzati qui a fianco.
   Ma prima dovremo dire cosa è stata per noi la costruzione dell'Europa (prima dell'Euro). E' stata uno straordinario periodo di pace (mai più guerre tra noi, ma tavoli di trattativa) e benessere, a partire dal 1956 con il Mercato Comune (e, prima, con la CECA, Euratom, ...), fino al 2000,  salvo poi trovarci inceppati dall'Euro.
  Potremo uscire ? Lo possiamo e limitarci a uscire dall'Euro, e invece   rimanere in UE per il resto, come fa il Regno Unito.

(Continua LUCIANI)    Ci conviene restare se la UE entra nella seguente logica:
  a) che l'obiettivo assolutamente prioritario sia
una scossa al sistema produttivo privato, mediante un abbattimento della pressione fiscale nell'ordine del 10-15%, lasciano ferma la spesa pubblica in un primo tempo.
   Ma questo determinerebbe un deficit di bilancio, da coprire come ? Mediante debito aggiuntivo, da finanziare con fabbricazione di moneta aggiuntiva della BCE (con anticipazioni di cassa rimborsabili a medio termine, o con acquisto di titoli a scadenza a medio termine), grosso modo pari al 4,5-5,0% del PIL, e che si scaricherebbe in parte con aumento dei prezzi, in parte con un aumento del PIL reale (o fors'anche totalmente, data la mole di risorse inutilizzate attualmente).
  A sua volta, il debito già in essere (grosso modo 2.100 miliardi), andrebbe convertito in debito ventennale.  Al tasso attuale del 2%, la rata annuale sarebbe di 127 miliardi, pari allo 8% del PIL, ma con l'osservazione che,  come conseguenza del tasso di aumento del PIL del 5% all'anno (parte in termini monetari,  parte in termini reali), in 10 anni il debito rientrerebbe nell'ordine del 60% del PIL (che è l'accordo di Maastricht).
 In un secondo tempo, si dovrebbe avviare prima possibile l'abbattimento della spesa pubblica nell'ordine del 7-10% del PIL, da ottenere (non con la "fasulla" spending revew-sfascia uffici), ma con la riforma dello Stato: abolizione delle Regioni a statuto ordinario (ma perchè 15 parlamenti regionali ... , se quello nazionale basta e avanza ?) e revoca della delega statale di gestione della sanità pubblica alle Regioni (meno sprechi, meno finanziamenti dei partiti locali, sotto banco; e piena uniformità delle prestazioni sanitarie, per abitante, nel territorio nazionale).
  A riguardo di questo passaggio, il governo Renzi è sulla strada buona, sia pur non radicale: tale è la soppressione delle competenze regionali in materia concorrente, e in altri campi significativi.
b) Ma la UE potrebbe accettare questa logica ?  Proprio in questi giorni la BCE avvia il programma di creazione di moneta aggiuntiva (Qe) mediante l'acquisto di titoli di Stato, vale dire  la BCE acquisterà molti titoli di Stato (e altro) dei vari Paesi UE (zona €) in  proporzione alle quote di capitale della BCE, possedute dalle varie Banche Nazionali.
Questa logica non è molto lontana dalla quella, qui sopra. Ma, a parte che qualche effetto espansiva di sarà sulle esportazioni, grazie alla svalutazione del cambio estero, essa ha limiti di essere una operazione unilaterale, senza contropartita certa (vale dire, nel quadro di un accordo preciso BCE-Italia ) circa le riforme strutturali necessarie. Si rischia che alla fine del periodo di Qe, si sia al punto di partenza circa le riforme strutturali, anzi che  i beneficiari ringrazieranno la BCE dicendo che  ha fatto poco.

  Se, invece, la UE non accettassse quella logica, l'uscita dall'Euro diviene una necessità. Lo vediamo dai risultati negativi fin qui ottenuti con la ricetta UE, che è  il pareggio del bilancio, in termini di ragioneria: secondo cui, per aumentare le entrate  fiscali, basta aumentarne le aliquote, anche se si è in recessione (Ciò è confermato da Trichet nei confronti della nuda Grecia, come si faceva in antico nei confronti dei debitori insolventi: fatti schiavi o uccisi). Ma la tesi della UE è radicalmente errata e disumana, verso le povertà, a meno che la UE si risvegli patria, e carichi sul bilancio europeo le debolezze locali. Ad es. i debiti degli Stati, eccedenti il 60% del PIL.
  Ai tempi di Roma il debitore insolvente era portato dal giudice, che gli dava 30 giorni per pagare. Passati i 30, se non pagava, il debitore era dato alla mercè del creditore, che poteva farlo schiavo o ucciderlo. La UE vuole altrettanto con la Grecia ? Urge modificare i trattati: la UE dovrà scoprirsi "patria".
 

  3.- Ma poi, in caso di uscita dall'Euro, cosa potra' succedere ?
Vediamo uno per uno i due maggiori problemi affacciatisi per la Grecia.
   a) Panico bancario. Esso è un problema  enorme e, al tempo stesso, "fittizio". Esso si presenta tutte le volte che presso il pubblico si diffonde il convincimento che una banca sia in stato di sofferenza, e questo a prescindere dal problema della sostituzione dell'Euro con la Lira. Il motivo è che le banche tengono presso di sè una riserva in banconote che (in questa fase storica) e' solo nell'ordine del 7% dei depositi della clientela.
   ( Come e' noto, il miracolo è dovuto al fatto che, per i pagamenti quotidiani, le banconote sono sostituite dagli assegni bancari (e similari: carte di credito...), e questi sono accettati in pagamento perchè "si crede" che l'assegno sia convertibile in banconote. Non importa se le banconote ci sono davvero in banca, sul conto del cliente. Importa che si creda che ci siano. E', dunque, se tutto il pubblico volesse riavere il contante, la riserva non basterebbe, e le banche fallirebbero)
  Torniamo all'uscita dall'Euro. Se il pubblico si convince che il subentro della lira mette in pericolo i "sicuri" depositi in Euro, potremo avere anche noi l'identico problema della Grecia, e quindi esporre il sistema bancario al fallimento, e i depositanti a non avere liquidità.
   Questo problema si può affrontare solo con una grande manovra psicologica, fondata sulla pre-costituzione di una eccezionale riserva in Euro, presso la Banca d'Italia.  Questa vale soprattutto per i cittadini esteri, che detengono depositi in Euro presso banche italiane.
  Tuttavia, una cosa è fronteggiare un panico creato da una singola banca, altra cosa è quello creato un intero Paese. La via che risolve è l'intervento di un garante importante, quale la BCE, anche considerato che si sarebbe in regime di separazione consensuale tra Italia e Ue, per cui conviene a tutti che la BCE non si sottragga ad aiutare la transizione "psicologica".
 
b) Problemi di ridenominazione monetaria del debito ? Per quanto riguarda il debito in mano a non residenti (20% del totale: 400 miliardi circa), il debito pubblico italiano attuale verso l'estero dovrebbe poter restare denominato in €. Le scadenze sono tuttavia ripartite in più anni, per cui è verosimile che non ci siano buchi.
   Per i residenti, si potrebbe offrire l'opzione: conservare la denominazione in €, o passare alla Lira al cambio iniziale 1/1. Ma sia chiaro che in caso di opzione per l'Euro, anche le imposte dovrebbero essere pagate in €, con rischio di cambio comunque,  per cui non è sicuro che convenga l'opzione per l'€ .
  Circa la possibilità di fare fronte nel tempo al pagamento in €, il primo punto da guardare è il cambio estero. Come noto, esso è l'incognita che determina il pareggio della bilancia dei pagamenti: vale dire, esso è pari al rapporto tra il valore delle importazioni in lire (più i capitali italiani in uscita, in lire) e il valore delle esportazioni in moneta estera (più i capitali esteri in entrata), relativamente all'interscambio tra l'Italia e ciascun paese estero (relativamente alla propria moneta).
   Attualmente, l'Italia ha una bilancia dei pagamenti stabilizzata, per cui si dovrebbe arrivare presto ad un cambio stabile, con Euro e Dollaro.
   L'opzione di cui al punto a) (assistenza della BCE nel periodo transitorio, abbrevierebbe i tempi psicologoci del panico circa la rimbosabilità del credito.
   A  riguardo del cambio, va tenuto presente che il FMI è stato istituito (1944) proprio come strumento di stabilizzazione dei cambi, e quindi sicuramente essa farà la sua parte come garante, pro-tempore.
   Infine, va tenuto in conto che  a Banca d''Italia, ha riserve (oro, diritti speciali di prelievo ....) nell'ordine di 240-250 miliardi di Euro: è qualcosa  Inoltre, la Banca d'Italia ha una partecipazione al capitale della BCE, che dovrà essere rimborsato in Euro pro quota partecipazione.
  C'è, poi, il fatto che, mediante l'export-import e il movimento capitali da e per l'estero, è possibile creare una riserva di valute estere presso la Banca di'Italia. E in questa fase, le esportazioni (val dire l'entrata di valuta ester) sembrano tirare.

  c) Problemi circa il pagamento del debito.
   Varrebbero, a questo proposito, a maggior ragione le opzioni, di cui sopra, anche  in caso che l'Italia resti nell'€, considerato che esse sarebbero nelle mani della restituita Banca d'Italia, con i poteri monetari pieni.
   Ci sono poi considerazioni aggiuntive, circa la maneggevolezza della moneta (divenuta nazionale).
   - Il debito verso l'interno è "finanziariamente" una partita di giro. Basta considerare che il Paese nel suo complesso percepisce gli interessi sui BUONI comprati, ma il Paese medesimo paga le imposte per pagare gli interessi e ammortizzare il capitale. In altri termini, il Paese con un mano prende e con l'altra dà. Anche per i singoli cittadini la coincidenza riappare , sia pur in parte. Dunque, sotto l'aspetto finanziatio, le cose non sono drammatiche. Ma questo debito dovrebbe restare denominato in Euro ? I cittadini scelgano: se deve restare denominato in Euro, anche le imposte vanno pagate in Euro.
  Invece, sotto il profilo economico, il debito è un grosso problema, come danno sociale: a) per il fatto che lo Stato è trattenuto dal destinare le risorse ai bisogni emergenti, che sono quelli che più bruciano, al momento;  b) e per il fatto che lo Stato spende malissimo il danaro, e sarebbe meglio che subentrassero imprese private nell'investirlo.
 
   Nel proprio interesse l'Italia deve fare i conti con questo debito, e riappropiandosi del potere monetario, sarebbe possibile spingere a fondo il pedale dell'inflazione per cancellare totalmente il debito in termini reali.
   Conviene ? Sarei tentato di non rispondere.
  In linea di massima l'inflazione potrebbe determinare una rivoluzione sociale. Hitler insegna.
  Conclusione: l'arma della fabbricazione di moneta aggiuntiva va usata nei limiti in cui è benefica per il PIL
   Ho saltato, a pié pari, tutti i problemi interni della scala mobile salariale, che ne deriveranno in caso di inflazione. Invece, i percettori di reddito variabile saranno felici, ma non con una inflazione oltre certi limiti (fondi di ammortamento annullati, apertura dei prezzi a ventaglio, ...).

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Italia22.GIF (22533 byte)

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COMPLETATA DAL MEF LA PUBBLICAZIONE DEI DATI FISCALI DEL 2014.
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1) Da questa è stato possibile costruire il grafico sottostante che  prova che l'aumento
della tassazione (2011, Governo Monti) è responsabile di avere fatto calare  il PIL.

2) Il Documento di Economia e Finanza (DEF) del Governo RENZI - PADOAN
non affronta ancora nessun problema strutturale della spesa pubblica
(il nodo è la struttura dello Stato: troppi enti pubblici, a cominciare dalle Regioni).

LUCIANI: Il DEF del Governo ci conferma anche che lo Stato italiano rimane ladro:

Motivi:

a) non abbassa le tasse, pur avendo recuperato 13 miliardi di evasione fiscale nel 2013 e 14 miliardi nel 2014, dopo aver detto negli anni scorsi:: "pagare tutti le imposte per pagare meno";
b) non ottempera alla sentenza della Corte di Cassazione, restituendo le pensioni trattenute illegittimamente.

U.E.

La Unione Europea ha delle responsabilità, perchè nel Fiscal Compact  assume che "la disciplina di bilancio è ... il fondamento
per  il conseguimento degli obiettivi dell'Unione europea in materia di crescila sostenibile, occupazione, competitivita'
e coesione sociale". Ma poi, si guarda bene dall'indicare se farlo con aumento di tasse o riduzione di spese.

pil-entrate fiscali-2010-2014.jpg (51328 byte)
"FISCAL COMPACT", Originale
del Trattato del 2 marzo 2012 (stralcio).
Per testo completo, clicca: Trattato FC.

OGGETTO E AMBITO DI APPLICAZIONE

ARTICOLO 1

1. Con il presente trattato le parti contraenti, in qualità di Stati membri dell'Unione europea, convengono di rafforzare il pilastro economico dell'unione economica e monetaria adottando una serie di regole intese a rinsaldare la disciplina di bilancio attraverso un patto di bilancio, a potenziare il coordinamento delle loro politiche economiche e a migliorare la governance della zona euro, sostenendo in tal modo il conseguimento degli obiettivi dell'Unione europea in materia di crescila sostenibile, occupazione, competitivita' e coesione sociale.

2. II presente trattato si applica integraImente alle parti contraenti la cui moneta e' l'euro. Esso si applica anche alle altre parti contraenti nella misura e alle condizioni previste all'articolo 14.

PATTO DI BILANCIO

ARTICOLO 3 1.- Le parti contraenti applicano le regole enunciate nel presente paragrafo in aggiunta e fatti salvi i loro obblighi ai sensi del diritto dell'Unione europea: a) la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è m pareggio o in avanzo: b) la regola di cui alla lettera a) si considera rispettata se il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all'obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patio di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Le parti contraenti assicurano la rapida convergenza verso il loro rispettivo obiettivo di medio termine. Il quadro temporale per tale convergenza sarà proposto dalla Commissione europea tenendo conto dei ribelli specifici del paese sul piano della sostenibilità. I progressi verso l'obiettivo di medio termine e il rispetto di tale obiettivo sono valutati globalmente, facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, in linea con il paltò di stabilità e crescita rivisto;

c) le parti contraenti possono deviare temporaneamente dal loro rispettivo obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo solo in circostanze eccezionali, come definito al paragrafo 3, lettera b);

d) quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è significativamente inferiore al 60% e i rischi sul piano della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche sono bassi, il limite inferiore per l'obiettivo di medio termine di cui alla lettera b) può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dello 1,0% de! prodotto interno lordo ai prezzi di mercato;

e) qualora si constatino deviazioni significative dall'obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo, è attivato automaticamente un meccanismo di correzione. Tale meccanismo include l'obbligo della parte contraente interessata di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito.

2. Le regole enunciate al paragrafo 1 producono effetti nel diritto nazionale delle parti contraenti al più tardi un anno dopo l'entrata in vigore del presente trattato tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente - preferibilmente costituzionale - o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio. Le parti contraenti istituiscono a livello nazionale il meccanismo di correzione di cui al paragrafo 1, lettera e), sulla base di principi comuni proposti dalla Commissione europea, riguardanti in particolare la natura, la portata e il quadro temporale dell'azione correttiva da intraprendere, anche in presenza di circostanze eccezionali, e il ruolo e l'indipendenza delle istituzioni responsabili sul piano nazionale perii controllo dell'osservanza delle regole enunciate al paragrafo 1. Tale meccanismo di correzione deve rispettare appieno le prerogative dei parlamenti nazionali.

3. Ai fini del predente articolo si applicano le definizioni di cui all'articolo 2 del protocollo (n. 12). sulla procedura dei disavanzi eccessivi, allegato ai trattati dell'Unione europea.

Ai fini del predente articolo si applicano altresì le definizioni seguenti: a) per "saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione" si intende il saldo annuo corretto per il ciclo ai netto di misure una tantum e temporanee;

b) per "circostanze eccezionali" si intendono eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure periodi di grave recessione economica ai sensi del patto di stabilità e crescita rivisto, purché la deviazione temporanea della patte contraente interessata non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine.

ARTICOLO 4

Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di riferimento del 60% di cui all'articolo 1 del protocollo (n, 12) sulla procedura per i disavanzi eccessivi, allegato ai trattati dell'Unione europea, tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio dì un ventesimo all'anno come parametro di riferimento secondo il disposto dell'articolo 2 del regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio, del 7 luglio 1997. per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, come modificato dal regolamento (UE) n. 1177/2011 del Consiglio, dell'8 novembre 2011. L'esistenza di un disavanzo eccessivo dovuto all'inosservanza del criterio del debito sarà decisa in conformità della procedura di cui all'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

ARTICOLO 5

1. La parte contraente che sia soggetta a procedura per i disavanzi eccessivi ai sensi dei trattati su cui si fonda l'Unione europea predispone un programma di partenariato economico e di bilancio che comprenda una descrizione dettagliata delle riforme strutturali da definire e attuare per una correzione effettiva e duratura del suo disavanzo eccessivo. Il contenuto e il formato di tali programmi sono definiti nel diritto dell'Unione europea. La loro presentazione al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea per approvazione e il loro monitoraggio avranno luogo nel contesto delle procedure di sorveglianza attualmente previste dai patto di stabilità e crescita.

2. Spetterà al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea monitorare l'attuazione del programma di partenariato economico e di bilancio e dei piani di bilancio annuali ad esso conformi.

ARTICOLO 6

Al fìne di coordinare meglio le emissioni di debito nazionale previste, le parti contraenti comunicano ex ante al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea i rispettivi piani di emissione del debito pubblico.

ARTICOLO 7

Nel pieno rispetto dei requisiti procedurali dei trattati su cui si fonda l'Unione europea. le parti contraenti la cui moneta è l'euro si impegnano a sostenere le proposte o le raccomandazioni presentate dalla Commissione europea, ove questa ritenga che uno Stato membro dell'Unione europea la cui moneta è l'euro abbia violato il criterio del disavanzo nel quadro di una procedura per i disavanzi eccessivi. Tate obbligo non si applica quando si constati tra le parti contraenti la cui moneta è l'euro che la maggioranza qualificata di esse, calcolata per analogia con le pertinenti disposizioni dei trattati su cui si fonda l'Unione europea, senza tenere conto della posizione della parte contraente interessata, si oppone alla decisione proposta o raccomandata.

Riforme strutturali
(Stralcuo dal DEF, SEZ. III, p. IV)

  "Al fine di attivare in un'unica coordinata strategia interazioni positive con la politica di bilancio, il Governo sta realizzando un ampio programma di riforme strutturali, che si articola lungo tre direttrici fondamentali:
   i) l'innalzamento della produttività del sistema mediante la valorizzazione del capitale umano (Jobs Act, Buona Scuola, Programma Nazionale della Ricerca);

ii) la diminuzione dei costi indiretti per le imprese connessi agli adempimenti burocratici e all'attività della Pubblica Amministrazione, mediante la semplificazione e la maggiore trasparenza delle burocrazie (riforma della Pubblica Amministrazione, interventi anti-corruzione, riforma fiscale);
iii) la riduzione dei margini di incertezza dell'assetto giuridico per alcuni settori, sia dal punto di vista della disciplina generale, sia dal punto di vista degli strumenti che ne assicurano l'efficacia (nuova disciplina del licenziamento, riforma della giustizia civile).

Gli effetti del programma risultano potenziati dagli interventi istituzionali volti a riformare la legge elettorale, differenziare le funzioni di Camera e Senato, accelerare il processo decisionale di approvazione delle leggi.

L'impatto delle riforme strutturali sul PIL programmatico sconta un profilo prudenziale, assumendo un effetto crescente nel tempo; va peraltro notato che una parte dell'impatto delle riforme è ricompresa nel quadro macro tendenziale. Gli effetti cumulati sono in linea con le previsioni formulate dalle principali organizzazioni internazionali.

Con l'obiettivo di avviare la ripresa massimizzandone l'impatto occupazionale il Governo ha già approvato quattro decreti attuativi del Jobs Act, al fine di completare la riforma entro la prima metà dell'anno in corso; si tratta delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, semplificazione delle tipologie contrattuali e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Diventerà così più vantaggioso non solo assumere nuovo personale, ma anche stabilizzare rapporti di lavoro flessibile esistenti, così incentivando gli investimenti nell'istruzione per i lavoratori, nella formazione per le imprese.

Gli effetti degli interventi sul funzionamento del mercato del lavoro risulteranno amplificati dagli incentivi fiscali introdotti con la Legge di Stabilità per il 2015, quali:
- la riduzione permanente del cuneo fiscale per i dipendenti con un reddito inferiore a 26 mila euro (bonus IRPEF 80 euro);
- la deducibilità, per le imprese e alcuni lavoratori, del costo del lavoro dalla base imponibile ai fini IRAP;
-  l'esenzione totale, per 36 mesi, dal pagamento dei contributi sociali per i nuovi contratti a tempo indeterminato stipulati nel 2015.

  Ampliando l'orizzonte temporale di riferimento, il compito di accrescere significativamente la qualità del capitale umano del Paese è affidato alla riforma del sistema dell'istruzione (La Buona Scuola), i cui fondamenti sono:
-  un piano straordinario di assunzioni teso a soddisfare stabilmente le esigenze degli organici;
-  un maggiore ruolo del merito nel definire gli avanzamenti dei docenti;
- una maggiore trasparenza nella gestione delle scuole;
-  l'introduzione di incentivi fiscali a favore degli investimenti privati nelle infrastrutture scolastiche e nell'offerta didattica;
-  l'obbligatorietà della formazione professionale per i percorsi tecnici;
  - il riconoscimento della centralità - nel panorama dell'offerta didattica - dell'apprendimento delle lingue straniere e dell'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

  Affinché un'economia utilizzi adeguatamente il capitale umano disponibile, le imprese dovranno essere messe in condizione di operare in un contesto favorevole agli investimenti; in tal senso è particolarmente urgente continuare ad aumentare l'efficienza della Pubblica Amministrazione - nel 2014 sono state ad esempio introdotte norme volte a favorire la mobilità interna e tra amministrazioni dei dipendenti.

  Una riforma organica del settore, di iniziativa governativa, è attualmente all'esame del Parlamento; intende rimuovere alcune disfunzioni delle burocrazie, puntando ad esempio su una migliore gestione delle risorse umane e un più efficace utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

Gli investimenti delle imprese in Italia sono frenati anche da fenomeni di corruzione e dai problemi che ostacolano l'adeguato funzionamento della giustizia, in particolare civile.

   Per contrastare i fenomeni di corruzione nel settore pubblico e aumentare la trasparenza sono stati adottati diversi interventi normativi, che hanno consentito tra l'altro la nascita e il rafforzamento dell'Autorità Nazionale Anticorruzione; in materia di corruzione e tempi di prescrizione di alcuni reati ulteriori misure sono al vaglio del Parlamento.

   Al fine di accrescere la produttività della giustizia si è scelto di specializzare maggiormente l'attività degli uffici giudiziari: è stato istituito il tribunale delle imprese e si è intervenuti sulla distribuzione geografica degli uffici giudiziari, conseguendo economie di scala. Risorse crescenti sono state inoltre stanziate per il piano di digitalizzazione della giustizia, in particolare per accelerare il completamento del processo civile telematico.

   Al fine di snellire l'attività processuale sono state introdotte nuove modalità di risoluzione delle controversie esterne ai tribunali e nuove formule di determinazione degli onorari degli avvocati.

    L'attuazione delle riforme procede a un ritmo serrato. La Presidenza del Consiglio dei Ministri verifica costantemente che le misure introdotte vengano attuate nei tempi stabiliti, attraverso un'azione di coordinamento e impulso che sta producendo una significativa accelerazione dei processi attuativi.

   Il Governo stima che le riforme, una volta attuate, eserciteranno un impatto significativo sulla crescita di lungo termine, sull'occupazione e sulla sostenibilità delle finanze pubbliche; le riforme rappresentano inoltre un fattore cruciale di impulso per gli investimenti.

   Rafforzandosi reciprocamente, riforme strutturali e investimenti accrescono stabilmente il potenziale, migliorando le aspettative di imprese e famiglie sulle prospettive dell'economia."

IL CRONOPROGRAMMA DEL GOVERNO

1. La riforma delle istituzioni: la riforma della legge elettorale e la riforma costituzionale

2. Le nostre risorse: la revisione della spesa

3. La delega fiscale: imprimere un’accelerazione nelle riforme strutturali per la semplificazione, la crescita e l’equità

4. La revisione del prelievo locale: verso un assetto stabile e semplificato

5. La pubblica amministrazione per la crescita inclusiva

6. La strategia: rafforzare le leve per la competitività delle imprese

7. Solidità e trasparenza delle banche

8. Le riforme del mercato del lavoro e del welfare

9. Privatizzazioni e dismissioni immobiliari

10. Il settore sanitario

11. Le infrastrutture

12. Difesa: un moderno strumento militare

13. Economia verde e uso efficiente delle risorse: opportunità di crescita e di sviluppo

14. La strategia: politica di coesione, mezzogiorno e competitività dei territori

15. La giustizia

16. Istruzione e ricerca: il Paese riparte dalla conoscenza

17. Cultura e turismo

18. Stato di attuazione delle riforme

19. Il coordinamento nazionale delle politiche europee

20. L’attenzione all’attuazione delle policy: le griglie delle riforme strutturali del Paese .

 

NINO LUCIANI, Un Documento di Economia e Finanza, ancora orientato a prendere tempo. Vediamo come e perchè.

1.- Premessa. La verità su Padoan, nel DEF - Documento di Economia e Finanza 2015, SEZIONE III.
  Il Documento mi è parso di grande interesse per la completezza dell'elenco dei problemi e per gli elementi di giudizio. La cosa migliore è prendere contatto con l'originale  DEF 2015, e di cui qui si prende qualche stralcio.
  Ma, si nota subito che esso non affronta il problema di fondo che impedisce al PIL e al lavoro di risalire: e che è lo eccesso di fiscalità, non bilanciata da un uso produttivo della spesa pubblica. Questa, anzi, dovrebbe essere tagliata sul piano strutturale (troppi enti inutili: Regioni imprese pubbliche non strategiche, mille altri enti).
   Ma il Governo non dà nessuna prova di averne urgenza. La prova sta nel paragrafo "riforme strutturali" riportate qui a fianco, e nel cronoprogramma, riportato subito di seguito.
  Infatti, le economie di spesa sono indicate da trovare nella riduzione (impossibile) di spese della gestione corrente o di funzionamento della Pubblica Amministrazione (cosiddetta spending revew), che è ben altro dalle riforme strutturali (abolizione delle regioni ...).
  In estrema sintesi, siamo di fronte a un governo che tira a campare, dal lato economico, e la prova del 9 ci arriva in questi giorni dal rischio di un collasso dei conti pubblici, a seguito della sentenza costituzionale a favore della restituzione del tolto illegittimamente ai pensionati.
  E lo fa (vale dire, tira a campare) con manovre fuorvianti, come la riforma della scuola e della università: nel senso che sono due aree strategiche massime e bisognose a livello di prostrazione (a causa delle riforme distruttive dei governi Berlusconi (con Moratti e Gelmini), ma per quali il governo non  prende i soldi da dove sono.

  2.- Stato ladro e UE irresponsabile. Abbiamo, nel DEF, anche l'ennesima conferma che lo Stato italiano rimane ladro:
  Motivi: a) non abbassa le tasse, pur avendo recuperato 13 miliardi di evasione fiscale nel 2013 e 14 miliardi nel 2014, dopo aver detto negli anni scorsi:: "pagare tutti le imposte per pagare meno";
  b) non ottempera alla sentenza della Corte di Cassazione, restituendo le pensioni trattenute illegittimamente.

  
I vari comunicati mensili della U.E. ci confermano che anche la Unione Europea ha delle responsabilità, perchè nel Fiscal Compact assume che "la disciplina di bilancio è ... il fondamento per il conseguimento degli obiettivi dell'Unione europea in materia di crescila sostenibile, occupazione, competitivita' e coesione sociale". Ma poi, si guarda bene dall'indicare se farlo con aumento di tasse o riduzione di spese, tant'è che l'aumento della tassazione fa cadere il PIL (vedi grafico sopra), ossia il contrario di quanto dice di volere.

3.- Perchè il governo tira a campare ?
  Il lapsus freudiano lo cogliamo nel fatto che il DEF colloca la riforma della legge elettorale e la riforma del Senato (non voterà più la fiducia al governo) in testa alle riforme strutturali.
  Esse non sono riforme economiche nè finanziarie, ma sono la porta che apre la via. Difatti, se il governo si sognasse oggi di prendere i soldi dove sono (vale dire, nelle Regioni), verrebbe fatto cadere il giorno dopo.
  Ma Renzi lo sa, ed è per questo che deve aspettare (dopo la legge elettorale, finalmente arrivata in porto), la riforma del Senato (e del titolo V): vale dire l'abolizione del potere di dare la fiducia. Dunque aspetteremo.
   Non piangiamo affatto con quelli che si stracciano le vesti, evocando pericoli di dittatura in Italia.
   Diciamo, invece, che siamo stanchi di vedere in parlamento dei partiti che sono bande mangerecce, senza il senso dello Stato. Dentro ci metto anche la sinistra del PD che ha votato contro lo Italicum e non credo affatto che quelli di SEL siano delle vergini diverse da BERLUSCONI (sotto questo aspetto).
  Sia chiaro che vedo anch'io pericolo di incostituzionalità in qualche punto dello Italicum (tipo il premio di maggioranza al 40%). Ma penso che non si porrà il problema perchè nessuno lo raggiungerà, per cui si potrà fare il ballottaggio, che è costituzionalissimo. NINO LUCIANI

Il grafico soprastante è a prova del "9" della "irresponsabilità" della politica
della UE in quanto il pareggio del bilancio potrebbe realizzarsi in due modi, con effetti opposti, ma la UE non ha il coraggio dire qual'è quello giusto.
Anche il "DEF" del Governo Renzi  tuttora non ne sceglie nessuno e prende tempo.
Nota. a) Il grafico sottostante mostra che le cifre delle entrate fiscali e dei contributi previdenziali, sono state sempre in aumento dal 2010 (Governo Monti e successivi). Esso mostra anche una caduta ininterrotta del PIL, collegata con questo inasprimento del fisco.
Si osserva che la UE vuole il pareggio, come regola, e adduce che esso è sufficiente a determinare la crescita del PIL. Il Grafico smentisce questa tesi, anche esso fa intravvedere che, se continua la caduta del PIL, cadrà anche il gettito fiscale, e questo sarebbe il massimo della beffa, peraltro preannunciata dalla curva di Laffere.
E siccome il pareggio si può ottenere anche abbattendo la spesa pubblica, l'idea che il taglio della spesa (e il taglio della fiscalità) accontenti la UE e sblocchi gli investimenti produttivi è quella più realistica.
Sia chiaro che questa via (taglio della spesa) è in contrasto con le conclamate teorie keynesiane, per la semplice ragione che oggi la spesa pubblica è già al top (55-60% del PIL), mentre ai tempi di Keynes (1933-36) essa stava intorno al 30% del PIL. Non solo questo: oggi lo Stato italiano è un pachiderma talmente ingrassato e vecchio da non riuscire a spendere in tempo reale tutto quanto autorizzato. C'è, poi, la circostranza che la BCE sta già facendo di suo tutto quanto serve, in termini di creazione di liquidità.
E siccome, pur con questo largo, il cavallo non beve, un motivo di sarà. E noi sappiamo che il motivo sta nell'eccesso di fiscalità, per cui le piccole e medie imprese non hanno interesse a investire. Infatti, lo Stato vuole, in tasse, il 65-68% dei profitti.
Si deve chiarire che questa situazione fiscale c'era anche alcuni anni fa, eppure le piccole e medie imprese facevano investimenti...
Questa osservazione chiama in campo l'evasione fiscale. Tradizionalmente, il sistema fiscale italiano alzava le aliquote, ma poi chiudeva un occhio sulla evasione. Questo ha permesso alle imprese di sopravvivere.
Ma adesso il fisco picchia duro, dati i problemi di cassa, e questo altera profondamente le regole del gioco., soprattutto adesso. Tu non fai una operazione chirurgica al cavallo, mentre è colto da un febbrone. Direi che le imprese si trovino in questa situazìone di grave malattia, ed è il momento peggiore per infierire sull'evasione
Un modo furbo e maldestro di giustificare la lotta all'evasione è stato lo slogan di governi e sindacati: "Pagare tutti, per pagare meno".
Ma è di queste settimane un annuncio ufficiale dell'Agenzia delle Entrate, di aver recuperato 14 miliardi di evasione nel 2014, e 13 miliardi nel 20\3.
Al tempo stesso il governo si guarda bene da comunicare una riduzione delle aliquote, per far pagare meno a chi, in passato, ha pagato troppo.
Anzi il DEF comunica di trovarsi con un tesoretto che non ha ancora deciso come destinare... Vergogna ! E' questo il significato di "PAGARE TUTTI, PER PAGARE MENO" ?

TRATTATO "FISCAL COMPACT",  2 marzo 2012.
Stralcio - Per il testo completo, clicca su: Trattato FC.

OGGETTO E AMBITO DI APPLICAZIONE

ARTICOLO 1

1. Con il presente trattato le parti contraenti, in qualità di Stati membri dell'Unione europea, convengono di rafforzare il pilastro economico dell'unione economica e monetaria adottando una serie di regole intese a rinsaldare la disciplina di bilancio attraverso un patto di bilancio, a potenziare il coordinamento delle loro politiche economiche e a migliorare la governance della zona euro, sostenendo in tal modo il conseguimento degli obiettivi dell'Unione europea in materia di crescila sostenibile, occupazione, competitivita' e coesione sociale.

2. II presente trattato si applica integraImente alle parti contraenti la cui moneta e' l'euro. Esso si applica anche alle altre parti contraenti nella misura e alle condizioni previste all'articolo 14.

PATTO DI BILANCIO

ARTICOLO 3 1.- Le parti contraenti applicano le regole enunciate nel presente paragrafo in aggiunta e fatti salvi i loro obblighi ai sensi del diritto dell'Unione europea: a) la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è m pareggio o in avanzo: b) la regola di cui alla lettera a) si considera rispettata se il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all'obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patio di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. Le parti contraenti assicurano la rapida convergenza verso il loro rispettivo obiettivo di medio termine. Il quadro temporale per tale convergenza sarà proposto dalla Commissione europea tenendo conto dei ribelli specifici del paese sul piano della sostenibilità. I progressi verso l'obiettivo di medio termine e il rispetto di tale obiettivo sono valutati globalmente, facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure discrezionali in materia di entrate, in linea con il paltò di stabilità e crescita rivisto;

c) le parti contraenti possono deviare temporaneamente dal loro rispettivo obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo solo in circostanze eccezionali, come definito al paragrafo 3, lettera b);

d) quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato è significativamente inferiore al 60% e i rischi sul piano della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche sono bassi, il limite inferiore per l'obiettivo di medio termine di cui alla lettera b) può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dello 1,0% de! prodotto interno lordo ai prezzi di mercato;

e) qualora si constatino deviazioni significative dall'obiettivo di medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo, è attivato automaticamente un meccanismo di correzione. Tale meccanismo include l'obbligo della parte contraente interessata di attuare misure per correggere le deviazioni in un periodo di tempo definito.

2. Le regole enunciate al paragrafo 1 producono effetti nel diritto nazionale delle parti contraenti al più tardi un anno dopo l'entrata in vigore del presente trattato tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente - preferibilmente costituzionale - o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio. Le parti contraenti istituiscono a livello nazionale il meccanismo di correzione di cui al paragrafo 1, lettera e), sulla base di principi comuni proposti dalla Commissione europea, riguardanti in particolare la natura, la portata e il quadro temporale dell'azione correttiva da intraprendere, anche in presenza di circostanze eccezionali, e il ruolo e l'indipendenza delle istituzioni responsabili sul piano nazionale perii controllo dell'osservanza delle regole enunciate al paragrafo 1. Tale meccanismo di correzione deve rispettare appieno le prerogative dei parlamenti nazionali.

3. Ai fini del predente articolo si applicano le definizioni di cui all'articolo 2 del protocollo (n. 12). sulla procedura dei disavanzi eccessivi, allegato ai trattati dell'Unione europea.

Ai fini del predente articolo si applicano altresì le definizioni seguenti: a) per "saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione" si intende il saldo annuo corretto per il ciclo ai netto di misure una tantum e temporanee;

b) per "circostanze eccezionali" si intendono eventi inconsueti non soggetti al controllo della parte contraente interessata che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione oppure periodi di grave recessione economica ai sensi del patto di stabilità e crescita rivisto, purché la deviazione temporanea della patte contraente interessata non comprometta la sostenibilità del bilancio a medio termine.

ARTICOLO 4

Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di riferimento del 60% di cui all'articolo 1 del protocollo (n, 12) sulla procedura per i disavanzi eccessivi, allegato ai trattati dell'Unione europea, tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio dì un ventesimo all'anno come parametro di riferimento secondo il disposto dell'articolo 2 del regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio, del 7 luglio 1997. per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, come modificato dal regolamento (UE) n. 1177/2011 del Consiglio, dell'8 novembre 2011. L'esistenza di un disavanzo eccessivo dovuto all'inosservanza del criterio del debito sarà decisa in conformità della procedura di cui all'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

ARTICOLO 5

1. La parte contraente che sia soggetta a procedura per i disavanzi eccessivi ai sensi dei trattati su cui si fonda l'Unione europea predispone un programma di partenariato economico e di bilancio che comprenda una descrizione dettagliata delle riforme strutturali da definire e attuare per una correzione effettiva e duratura del suo disavanzo eccessivo. Il contenuto e il formato di tali programmi sono definiti nel diritto dell'Unione europea. La loro presentazione al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea per approvazione e il loro monitoraggio avranno luogo nel contesto delle procedure di sorveglianza attualmente previste dai patto di stabilità e crescita.

2. Spetterà al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea monitorare l'attuazione del programma di partenariato economico e di bilancio e dei piani di bilancio annuali ad esso conformi.

ARTICOLO 6

Al fìne di coordinare meglio le emissioni di debito nazionale previste, le parti contraenti comunicano ex ante al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea i rispettivi piani di emissione del debito pubblico.

ARTICOLO 7

Nel pieno rispetto dei requisiti procedurali dei trattati su cui si fonda l'Unione europea. le parti contraenti la cui moneta è l'euro si impegnano a sostenere le proposte o le raccomandazioni presentate dalla Commissione europea, ove questa ritenga che uno Stato membro dell'Unione europea la cui moneta è l'euro abbia violato il criterio del disavanzo nel quadro di una procedura per i disavanzi eccessivi. Tate obbligo non si applica quando si constati tra le parti contraenti la cui moneta è l'euro che la maggioranza qualificata di esse, calcolata per analogia con le pertinenti disposizioni dei trattati su cui si fonda l'Unione europea, senza tenere conto della posizione della parte contraente interessata, si oppone alla decisione proposta o raccomandata.

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Nino Luciani, La Grecia, terreno di riflessione per l'uscita dall'Euro, di chi sarebbe dovuto entrare più tardi, e che uscendo potrà comunque rientrare a tempo giusto.

 

Nota. a) Il grafico sottostante mostra che le cifre delle entrate fiscali e dei contributi previdenziali, sono state sempre in aumento dal 2010 (Governo Monti e successivi). Esso mostra anche una caduta ininterrotta del PIL, collegata con questo inasprimento del fisco.
Si osserva che la UE vuole il pareggio, come regola, e adduce che esso è sufficiente a determinare la crescita del PIL. Il Grafico smentisce questa tesi, anche esso fa intravvedere che, se continua la caduta del PIL, cadrà anche il gettito fiscale, e questo sarebbe il massimo della beffa, peraltro preannunciata dalla curva di Laffere.
E siccome il pareggio si può ottenere anche abbattendo la spesa pubblica, l'idea che il taglio della spesa (e il taglio della fiscalità) accontenti la UE e sblocchi gli investimenti produttivi è quella più realistica.
Sia chiaro che questa via (taglio della spesa) è in contrasto con le conclamate teorie keynesiane, per la semplice ragione che oggi la spesa pubblica è già al top (55-60% del PIL), mentre ai tempi di Keynes (1933-36) essa stava intorno al 30% del PIL. Non solo questo: oggi lo Stato italiano è un pachiderma talmente ingrassato e vecchio da non riuscire a spendere in tempo reale tutto quanto autorizzato. C'è, poi, la circostranza che la BCE sta già facendo di suo tutto quanto serve, in termini di creazione di liquidità.
E siccome, pur con questo largo, il cavallo non beve, un motivo di sarà. E noi sappiamo che il motivo sta nell'eccesso di fiscalità, per cui le piccole e medie imprese non hanno interesse a investire. Infatti, lo Stato vuole, in tasse, il 65-68% dei profitti.
Si deve chiarire che questa situazione fiscale c'era anche alcuni anni fa, eppure le piccole e medie imprese facevano investimenti...
Questa osservazione chiama in campo l'evasione fiscale. Tradizionalmente, il sistema fiscale italiano alzava le aliquote, ma poi chiudeva un occhio sulla evasione. Questo ha permesso alle imprese di sopravvivere.
Ma adesso il fisco picchia duro, dati i problemi di cassa, e questo altera profondamente le regole del gioco., soprattutto adesso. Tu non fai una operazione chirurgica al cavallo, mentre è colto da un febbrone. Direi che le imprese si trovino in questa situazìone di grave malattia, ed è il momento peggiore per infierire sull'evasione
Un modo furbo e maldestro di giustificare la lotta all'evasione è stato lo slogan di governi e sindacati: "Pagare tutti, per pagare meno".
Ma è di queste settimane un annuncio ufficiale dell'Agenzia delle Entrate, di aver recuperato 14 miliardi di evasione nel 2014, e 13 miliardi nel 20\3.
Al tempo stesso il governo si guarda bene da comunicare una riduzione delle aliquote, per far pagare meno a chi, in passato, ha pagato troppo.
Anzi il DEF comunica di trovarsi con un tesoretto che non ha ancora deciso come destinare... Vergogna ! E' questo il significato di "PAGARE TUTTI, PER PAGARE MENO" ?

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EDIZIONI PRECEDENTI

La Grecia prepara la via per l'Italia,
se  l'uscita è solo rinviata di 4 mesi

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Guardando alla GR-EXIT (TRE OPINIONI),   ma per guardare all'Italia.
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M. SWEETING, Rischio di caos legale. La Grecia come pagherà i debiti già denominati in Euro ?

V. DA ROLD, Banche greche aggredite  per recuperare i depositi in Euro.

V. DA ROLD, Banche greche aggredite  per recuperare i depositi in Euro.

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LUCIANI

Ai tempi di Roma il debitore insolvente era portato dal giudice, che gli dava 30 giorni per pagare. Passati i 30 giorni, se non pagava, il debitore era dato alla mercè del creditore, che poteva farlo schiavo o ucciderlo.
La UE sta facendo come il giudice romano, con la Grecia ? Urge modificare i trattati: la UE dovrà scoprirsi patria.

LUCIANI :

La fabbricazione di  moneta (dalla BCE - Qe -  tramite l'acquisto di titoli di Stato) non sarà risolutiva per sempre,  perchè è al fuori di una contrattazione (tra BCE e i singoli Stati) circa le riforme da fare in cambio. La chiave è ottenere dall'Italia un impegno ad abbattere la pressione fiscale del 10%, ferma la spesa.
Ma questo crea un disavanzo di bilancio e debito aggiuntivo, per cui il problema integrativo è anche quello di aggredire il debito, creando una inflazione annua del 5%, fino a deprezzare del 50% il debito, in 10 anni.
Questa s'ha da fare, con o senza uscita dall' Euro". A meno la UE si scopra "patria" e carichi sul proprio bilancio i debiti degli Stati, eccedenti il 60% del PIL, da ammortizzare con una imposta europea (1% sui PIL di tutti gli Stati ?) .

Questa via è massimamente urgente per la Grecia.

Fonte: Il Sole 24 ORE
(Traduzione di Morya Longo,
12 feb. 2015, Stralcio)

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MALCOLM SWEETING,
Ipotesi Grexit: problemi di ridenominazione monetaria
del debito

……
" Legalmente sarebbe possibile stare nell'Unione europea ma non nell'euro, tanto che molti Paesi - per esempio la Gran Bretagna - già lo fanno.
  "Il punto è che ogni Stato è sovrano e non può essere obbligato a tenere determinati comportamenti.
  ....
  " Altro conto è avere la convenienza a farlo: l'uscita dall'euro metterebbe infatti sul tavolo enormi sfide legali e pratiche, oltre ovviamente a quelle economiche. ….
  " Il problema principale riguarda la ridenominazione nella nuova valuta dei contratti e dei debiti …qual è la legge a cui i contratti sono sottoposti, in quale valuta sono denominati, in quale luogo devono essere onorati, qual è il Tribunale competente a dirimere le controversie e dove si trovano i beni dello Stato debitore eventualmente da aggredire. …..
  "Per la Grecia …. buona parte del debito di Atene è ormai sottoposto a legge inglese. …. e il Tribunale competente è quello britannico, se Atene volesse convertire il suo debito in dracme le Corti di Londra darebbero ragione ai creditori condannando Atene a pagare in euro. …… Conclusione: "Uno Stato sovrano può fare tutto: il problema è gestire poi le conseguenze legali. Oltre, ovviamente, a quelle economiche: se uno Stato unilateralmente tradisce gli investitori, poi sarà difficile che ottenga nuovi finanziamenti in futuro".

(21 feb. 2014, Stralcio)

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VITTARIO DA ROLD,
Banche greche in difficoltà
per panico monetario

Negli ultimi giorni sono stati prelevati dalle banche greche 500 milioni di euro al giorno, secondo stime di analisti di una banca d’affari locale. Una uscita di cassa che, se dovesse continuare a questi ritmi, potrebbe costringere le autorità greche a bloccare nel primo weekend utile i flussi in uscita sui depositi bancari di privati e aziende, con l’introduzione di misure di controllo sui capitali sullo stile di quanto avvenuto nella crisi cipriota del 2013. Ad Atene sta avvenendo in questi giorni qualcosa di paradossale: chi ha votato con la mano sinistra Syriza il 25 gennaio e continua a sostenere nei sondaggi il Governo, ora sta usando la mano destra per andare al bancomat e ritirare i soldi depositati in banca. I dati non lasciano dubbi: i depositi bancari erano 244 miliardi di euro prima della crisi, sono arrivati a dicembre a 160,3 miliardi (ultimo dato ufficiale) e a gennaio e febbraio si stimano rispettivamente un calo a 148,3 e 140 miliardi di euro. Può andare avanti così? La situazione non è sostenibile nel medio periodo perché le banche greche non hanno più la possibilità di portare come collaterali in garanzia bond ellenici presso la Bce e hanno solo 68,3 miliardi di credito di emergenza (Ela) a cui appoggiarsi, sempre attraverso prima Francoforte e poi la Banca centrale greca. Anche i 10,9 miliardi di euro residui, sui 50 miliardi di euro complessivi destinati alla ricapitalizzazione degli istituti di credito, del Fondo ellenico per la stabilità, secondo l’intesa con l’Eurogruppo di ieri, non potranno essere utilizzati se non per lo scopo cui erano destinati".

(Intervista di Beda Romano
(21 feb. 2014, Stralcio)


JEAN-CLAUDE TRICHET
, "Atene rischia di compromettere
il recupero di competitività"

…..
Un'uscita della Grecia dalla zona euro …. sarebbe prima di tutto un dramma per il popolo greco. Non corrisponderebbe al suo interesse. E sarebbe un problema grosso per gli altri Paesi europei…..

Avrebbe conseguenze economiche spaventose, molto, molto gravi. Tra queste, un calo del prodotto interno lordo importante, proprio mentre la crescita sta tornando ……. Oggi in Grecia la scelta non è tra austerità e crescita. L'obiettivo è un ritorno ordinato a un equilibrio finanziario, che è una condizione per crescita e occupazione durevoli. Più il Paese recupera competitività, più creerà occupazione. L'obiettivo deve essere la riduzione la più rapida possibile della disoccupazione. Il debito greco è al 180% del Pil ….. è un problema importante, ma non necessariamente quello principale. Bisogna creare competitività e crescita che ne permetteranno il rimborso, magari riducendo i tassi d'interesse e aumentando le maturità, purché ci sia un buon programma economico. …. ".

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Nino Luciani, La Grecia, terreno di riflessione per l'uscita dall'Euro, di chi sarebbe dovuto entrare più tardi, e che uscendo potrà comunque rientrare a tempo giusto. A meno cha la UE non sia patria che carica sul bilancio europeo le "debolezze locali".

1.- Premessa. L'Italia era entrata nell' Euro perchè la UE la costringesse a risolvere i suoi problemi strutturali, visto che i suoi governi non avevano la forza politica di risolverli .
  Ma poi, l'Italia ne è risultata strangolata per più motivi, il contrario dell'attesa. Vediamo:
a) il cambio euro/lira risultò molto svantaggioso per l'Italia, tant'è che le esportazioni italiane sono  risultate chiuse in casa per 10 anni (e solo adesso con la svalutazione dell'Euto riprende qualche respiro);
b) la politica dell'allargamento ai Paesi europei dell'est, attuata da Prodi (Commissario europeo) è stata fuori limite. Se, infatti, qualche Paese dell'UE poteva aiutarci, non l'ha potuto fare più a causa delle troppe bocche da sfamare.

  Il fatto, poi, che ultimamente Renzi si sia defilato da Tsipras, alle prese con la UE, non mi è affatto piaciuto.    Essere furbi, ma non intelligenti, paga, ma solo lì per lì. Poi verrà un momento in cui quell'amico potrebbe farti comodo, e l'hai perso.

2.- Dovremo uscire dall'Euro ?
  Per la risposta dovremo mettere in conto i problemi prospettati per la Grecia, e che sono focalizzati qui a fianco.
   Ma prima dovremo dire cosa è stata per noi la costruzione dell'Europa (prima dell'Euro). E' stata uno straordinario periodo di pace (mai più guerre tra noi, ma tavoli di trattativa) e benessere, a partire dal 1956 con il Mercato Comune (e, prima, con la CECA, Euratom, ...), fino al 2000,  salvo poi trovarci inceppati dall'Euro.
  Potremo uscire ? Lo possiamo e limitarci a uscire dall'Euro, e invece   rimanere in UE per il resto, come fa il Regno Unito.

(Continua LUCIANI)    Ci conviene restare se la UE entra nella seguente logica:
  a) che l'obiettivo assolutamente prioritario sia
una scossa al sistema produttivo privato, mediante un abbattimento della pressione fiscale nell'ordine del 10-15%, lasciano ferma la spesa pubblica in un primo tempo.
   Ma questo determinerebbe un deficit di bilancio, da coprire come ? Mediante debito aggiuntivo, da finanziare con fabbricazione di moneta aggiuntiva della BCE (con anticipazioni di cassa rimborsabili a medio termine, o con acquisto di titoli a scadenza a medio termine), grosso modo pari al 4,5-5,0% del PIL, e che si scaricherebbe in parte con aumento dei prezzi, in parte con un aumento del PIL reale (o fors'anche totalmente, data la mole di risorse inutilizzate attualmente).
  A sua volta, il debito già in essere (grosso modo 2.100 miliardi), andrebbe convertito in debito ventennale.  Al tasso attuale del 2%, la rata annuale sarebbe di 127 miliardi, pari allo 8% del PIL, ma con l'osservazione che,  come conseguenza del tasso di aumento del PIL del 5% all'anno (parte in termini monetari,  parte in termini reali), in 10 anni il debito rientrerebbe nell'ordine del 60% del PIL (che è l'accordo di Maastricht).
 In un secondo tempo, si dovrebbe avviare prima possibile l'abbattimento della spesa pubblica nell'ordine del 7-10% del PIL, da ottenere (non con la "fasulla" spending revew-sfascia uffici), ma con la riforma dello Stato: abolizione delle Regioni a statuto ordinario (ma perchè 15 parlamenti regionali ... , se quello nazionale basta e avanza ?) e revoca della delega statale di gestione della sanità pubblica alle Regioni (meno sprechi, meno finanziamenti dei partiti locali, sotto banco; e piena uniformità delle prestazioni sanitarie, per abitante, nel territorio nazionale).
  A riguardo di questo passaggio, il governo Renzi è sulla strada buona, sia pur non radicale: tale è la soppressione delle competenze regionali in materia concorrente, e in altri campi significativi.
b) Ma la UE potrebbe accettare questa logica ?  Proprio in questi giorni la BCE avvia il programma di creazione di moneta aggiuntiva (Qe) mediante l'acquisto di titoli di Stato, vale dire  la BCE acquisterà molti titoli di Stato (e altro) dei vari Paesi UE (zona €) in  proporzione alle quote di capitale della BCE, possedute dalle varie Banche Nazionali.
Questa logica non è molto lontana dalla quella, qui sopra. Ma, a parte che qualche effetto espansiva di sarà sulle esportazioni, grazie alla svalutazione del cambio estero, essa ha limiti di essere una operazione unilaterale, senza contropartita certa (vale dire, nel quadro di un accordo preciso BCE-Italia ) circa le riforme strutturali necessarie. Si rischia che alla fine del periodo di Qe, si sia al punto di partenza circa le riforme strutturali, anzi che  i beneficiari ringrazieranno la BCE dicendo che  ha fatto poco.

  Se, invece, la UE non accettassse quella logica, l'uscita dall'Euro diviene una necessità. Lo vediamo dai risultati negativi fin qui ottenuti con la ricetta UE, che è  il pareggio del bilancio, in termini di ragioneria: secondo cui, per aumentare le entrate  fiscali, basta aumentarne le aliquote, anche se si è in recessione (Ciò è confermato da Trichet nei confronti della nuda Grecia, come si faceva in antico nei confronti dei debitori insolventi: fatti schiavi o uccisi). Ma la tesi della UE è radicalmente errata e disumana, verso le povertà, a meno che la UE si risvegli patria, e carichi sul bilancio europeo le debolezze locali. Ad es. i debiti degli Stati, eccedenti il 60% del PIL.
  Ai tempi di Roma il debitore insolvente era portato dal giudice, che gli dava 30 giorni per pagare. Passati i 30, se non pagava, il debitore era dato alla mercè del creditore, che poteva farlo schiavo o ucciderlo. La UE vuole altrettanto con la Grecia ? Urge modificare i trattati: la UE dovrà scoprirsi "patria".
 

  3.- Ma poi, in caso di uscita dall'Euro, cosa potra' succedere ?
Vediamo uno per uno i due maggiori problemi affacciatisi per la Grecia.
   a) Panico bancario. Esso è un problema  enorme e, al tempo stesso, "fittizio". Esso si presenta tutte le volte che presso il pubblico si diffonde il convincimento che una banca sia in stato di sofferenza, e questo a prescindere dal problema della sostituzione dell'Euro con la Lira. Il motivo è che le banche tengono presso di sè una riserva in banconote che (in questa fase storica) e' solo nell'ordine del 7% dei depositi della clientela.
   ( Come e' noto, il miracolo è dovuto al fatto che, per i pagamenti quotidiani, le banconote sono sostituite dagli assegni bancari (e similari: carte di credito...), e questi sono accettati in pagamento perchè "si crede" che l'assegno sia convertibile in banconote. Non importa se le banconote ci sono davvero in banca, sul conto del cliente. Importa che si creda che ci siano. E', dunque, se tutto il pubblico volesse riavere il contante, la riserva non basterebbe, e le banche fallirebbero)
  Torniamo all'uscita dall'Euro. Se il pubblico si convince che il subentro della lira mette in pericolo i "sicuri" depositi in Euro, potremo avere anche noi l'identico problema della Grecia, e quindi esporre il sistema bancario al fallimento, e i depositanti a non avere liquidità.
   Questo problema si può affrontare solo con una grande manovra psicologica, fondata sulla pre-costituzione di una eccezionale riserva in Euro, presso la Banca d'Italia.  Questa vale soprattutto per i cittadini esteri, che detengono depositi in Euro presso banche italiane.
  Tuttavia, una cosa è fronteggiare un panico creato da una singola banca, altra cosa è quello creato un intero Paese. La via che risolve è l'intervento di un garante importante, quale la BCE, anche considerato che si sarebbe in regime di separazione consensuale tra Italia e Ue, per cui conviene a tutti che la BCE non si sottragga ad aiutare la transizione "psicologica".
 
b) Problemi di ridenominazione monetaria del debito ? Per quanto riguarda il debito in mano a non residenti (20% del totale: 400 miliardi circa), il debito pubblico italiano attuale verso l'estero dovrebbe poter restare denominato in €. Le scadenze sono tuttavia ripartite in più anni, per cui è verosimile che non ci siano buchi.
   Per i residenti, si potrebbe offrire l'opzione: conservare la denominazione in €, o passare alla Lira al cambio iniziale 1/1. Ma sia chiaro che in caso di opzione per l'Euro, anche le imposte dovrebbero essere pagate in €, con rischio di cambio comunque,  per cui non è sicuro che convenga l'opzione per l'€ .
  Circa la possibilità di fare fronte nel tempo al pagamento in €, il primo punto da guardare è il cambio estero. Come noto, esso è l'incognita che determina il pareggio della bilancia dei pagamenti: vale dire, esso è pari al rapporto tra il valore delle importazioni in lire (più i capitali italiani in uscita, in lire) e il valore delle esportazioni in moneta estera (più i capitali esteri in entrata), relativamente all'interscambio tra l'Italia e ciascun paese estero (relativamente alla propria moneta).
   Attualmente, l'Italia ha una bilancia dei pagamenti stabilizzata, per cui si dovrebbe arrivare presto ad un cambio stabile, con Euro e Dollaro.
   L'opzione di cui al punto a) (assistenza della BCE nel periodo transitorio, abbrevierebbe i tempi psicologoci del panico circa la rimbosabilità del credito.
   A  riguardo del cambio, va tenuto presente che il FMI è stato istituito (1944) proprio come strumento di stabilizzazione dei cambi, e quindi sicuramente essa farà la sua parte come garante, pro-tempore.
   Infine, va tenuto in conto che  a Banca d''Italia, ha riserve (oro, diritti speciali di prelievo ....) nell'ordine di 240-250 miliardi di Euro: è qualcosa  Inoltre, la Banca d'Italia ha una partecipazione al capitale della BCE, che dovrà essere rimborsato in Euro pro quota partecipazione.
  C'è, poi, il fatto che, mediante l'export-import e il movimento capitali da e per l'estero, è possibile creare una riserva di valute estere presso la Banca di'Italia. E in questa fase, le esportazioni (val dire l'entrata di valuta ester) sembrano tirare.

  c) Problemi circa il pagamento del debito.
   Varrebbero, a questo proposito, a maggior ragione le opzioni, di cui sopra, anche  in caso che l'Italia resti nell'€, considerato che esse sarebbero nelle mani della restituita Banca d'Italia, con i poteri monetari pieni.
   Ci sono poi considerazioni aggiuntive, circa la maneggevolezza della moneta (divenuta nazionale).
   - Il debito verso l'interno è "finanziariamente" una partita di giro. Basta considerare che il Paese nel suo complesso percepisce gli interessi sui BUONI comprati, ma il Paese medesimo paga le imposte per pagare gli interessi e ammortizzare il capitale. In altri termini, il Paese con un mano prende e con l'altra dà. Anche per i singoli cittadini la coincidenza riappare , sia pur in parte. Dunque, sotto l'aspetto finanziatio, le cose non sono drammatiche. Ma questo debito dovrebbe restare denominato in Euro ? I cittadini scelgano: se deve restare denominato in Euro, anche le imposte vanno pagate in Euro.
  Invece, sotto il profilo economico, il debito è un grosso problema, come danno sociale: a) per il fatto che lo Stato è trattenuto dal destinare le risorse ai bisogni emergenti, che sono quelli che più bruciano, al momento;  b) e per il fatto che lo Stato spende malissimo il danaro, e sarebbe meglio che subentrassero imprese private nell'investirlo.
 
   Nel proprio interesse l'Italia deve fare i conti con questo debito, e riappropiandosi del potere monetario, sarebbe possibile spingere a fondo il pedale dell'inflazione per cancellare totalmente il debito in termini reali.
   Conviene ? Sarei tentato di non rispondere.
  In linea di massima l'inflazione potrebbe determinare una rivoluzione sociale. Hitler insegna.
  Conclusione: l'arma della fabbricazione di moneta aggiuntiva va usata nei limiti in cui è benefica per il PIL
   Ho saltato, a pié pari, tutti i problemi interni della scala mobile salariale, che ne deriveranno in caso di inflazione. Invece, i percettori di reddito variabile saranno felici, ma non con una inflazione oltre certi limiti (fondi di ammortamento annullati, apertura dei prezzi a ventaglio, ...).

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Comitato Rodotà avvia REFERENDUM DI INIZIATIVA POPOLARE E SINDACALE,
per abolire il "pareggio del bilancio" in Costituzione
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Per il testo della proposta di legge, Clicca su: Comitato Rodotà

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Stefano Rodotà

     LUCIANI:  La fabbricazione aggiuntiva di Euro (Qe), annunciata dalla BCE, va nella logica del deficit spending, ma J. Stigliz ci avverte che il fallimento delle politiche dell'eurozona è dovuto a difetti di "struttura bancaria"(la BCE non è un "banchiere di ultima istanza", ed bilanci degli Stati sono separati. N.d.R.). Pertanto, il deficit spending, non sorretto dall'ombrello della BCE, non è quello immaginato da J.M. Keynes.
   Adesso la vittoria di TSPRAS, il greco, ci fa ricordare che l'Italia, nella sua Presidenza del semestre europeo, ha perso l'occasione d'oro di ridiscutere il Trattato di Mastricht, nonostante tutte le chiacchiere ( di Renzi e di Padoan) anti-AUSTERITY, fatte in precedenza e tuttora.

   Discutiamo qui come potere usare comunque il deficit spending, per la crescita (NO TAX ?).
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Motivazioni dei proponenti il referendum (vedi anche link in fondo)

La legge costituzionale n. 1 del 2012 ha introdotto nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio (“equilibrio tra le entrate e le spese”). Si tratta di una modifica costituzionale che è stata disastrosa per il nostro sistema economico, già fortemente danneggiato. La disoccupazione è aumentata ad oltre il 12% (quella giovanile oltre il 43%), la capacità produttiva del sistema industriale è scesa del 25% (rispetto all’inizio della crisi) e lo stesso debito pubblico è continuato a salire arrivando nel 2014 al 135% sul Pil che, in 7 anni di crisi, è sceso di oltre 10 punti.

Nell’ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra infatti particolari difficoltà e il peggioramento dell’economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sono sviluppati movimenti xenofobi e antieuropei; l’Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell’austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità; è sostanzialmente l’analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione l’aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (Pil) è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media della zona euro. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici.

I risultati di queste politiche economiche sono stati largamente fallimentari. Va ricordato che politiche di austerità in Europa hanno portato alla stagnazione e alla depressione economica. La disoccupazione è cresciuta del 40%, gran parte dei paesi della zona euro è stata colpita dalla recessione e -nonostante le politiche dei tagli- il debito pubblico è cresciuto mediamente dal 66% (in rapporto al Pil) del 2008 al 93% del 2013.

D’altra parte, è sbagliata la premessa: pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall’aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall’esperienza pratica (Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo e l’austerità porterà quindi a un calo del Pil maggiore del calo del debito rendendo impossibile raggiungere l’obiettivo della riduzione del rapporto tra debito e Pil. Diversi documenti dell’Unione europea testimoniano una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all’oligarchia dell’Unione europea, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde di fatto solo ai poteri finanziari e a ristretti gruppi sociali che di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa; tra il 1976 e il 2006 la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul Pil è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), un trasferimento di ricchezza, a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro.

In sede europea si sono prodotti una serie di documenti (Trattati, regolamenti, raccomandazioni, lettere) tutti indirizzati a perseguire la politica del “rigore” che si è dimostrata fallimentare. Molte le sollecitazioni rivolte ai singoli Stati affinché adottino normative restrittive delle spese e limitative dei diritti (sociali in specie). Alcuni vincoli sono stati introdotti (Patto Euro plus e Six Pack entrambi del 2011, Fiscal compact – “Trattato di stabilità – del 2012, Two Pack del 2013), nessuno dei quali però ha “imposto” una modifica costituzionale ai Paesi sottoscrittori dei nuovi Trattati o soggetti alla normativa comunitaria. Lo stesso Fiscal compact – al quale, in base alla retorica dominante, si imputa la scelta di modificare la Costituzione introducendo il principio di pareggio – ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti “tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente”, ma con una semplice indicazione di “preferenza” per il livello costituzionale (art. 3, comma 2).
   La scelta dunque di “costituzionalizzare” il principio del pareggio di bilancio ricade pienamente nella   responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo

effetto di rendere  immodificabili le politiche del rigore anche nell’ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo.

In questa fase, in effetti, sarebbe necessario che il Governo sostenesse in sede europea la radicale modifica della normativa sulla convergenza dei bilanci, una delle cause della recessione, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore dello sviluppo sostenibile, a partire da una europeizzazione non parziale del debito sovrano almeno per la quota che supera il 60 per cento del Pil, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani; chiedere nell’immediato lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del  pareggio di bilancio in termini strutturali e per l’avvio della riduzione dello stock del debito o per l’esclusione di alcune spese per investimenti dai saldi del

Fonte: Il Sole 24 ORE, 30 Dic. 2014, p. 9:
Una presa di posizione a sostegno ?

Joseph Stiglitz, Cosa serve per uscire dalla recessione? Domanda, domanda domanda.

 1.-  Nel 2014 l'economia mondiale è rimasta bloccata nella difficile situazione in cui si era trovata quando era emersa dalla crisi finanziaria globale. Nonostante un intervento pubblico apparentemente deciso in Europa e negli Usa, entrambe le economie hanno sofferto di recessioni profonde e prolungate.
   Il divario fra la situazione in cui si trovano e quella in cui si sarebbero trovati, se non fosse scoppiata la crisi, è fortissimo e in Europa è cresciuto ancora nel corso dell'ultimo anno.
  Ai Paesi in via di sviluppo è andata un po' meglio, ma anche da loro la situazione è tutt'altro che rosea. I più forti, avendo incentrato la crescita sulle esportazioni, hanno continuato la loro espansione dopo la crisi finanziaria, pur con difficoltà sui mercati delle esportazioni, ma la loro performance ha cominciato a calare sensibilmente nel 2014.
   Nel 1992 Bill Clinton aveva incentrato la sua riuscita campagna presidenziale su uno slogan molto semplice: "È l'economia, stupido".
   Con gli occhi di oggi, le cose allora non sembrano poi tanto male; il reddito della famiglia media americana è sceso parecchio, ma lo slogan di Clinton può esserci di ispirazione: il malessere che affligge l'economia del mondo si può tradurre con "È la politica, stupido" e con "Domanda, domanda, domanda".
   La stagnazione quasi globale alla quale abbiamo assistito nel 2014 è opera nostra. È il risultato di politiche e misure prese nelle principali economie, politiche e misure che hanno soffocato la domanda. In assenza di domanda, è impossibile creare occupazione e investimento. Molto semplice. E questo è particolarmente evidente nell'eurozona che ha adottato ufficialmente una politica di austerity - tagli alla spesa pubblica che aumentano la debolezza della spesa privata.
  

2.-  Se l'eurozona non è riuscita ad attutire lo choc provocato dalla crisi, è stato soprattutto per via della sua struttura. In mancanza di un'unione bancaria, non c'è da stupirsi che il denaro abbia abbandonato i Paesi più colpiti, indebolendone i sistemi finanziari e sacrificandone prestito e investimento.
   In Giappone, una delle tre "frecce" del programma di ripresa economica promosso dal premier Shinzo Abe è stata scoccata nella direzione sbagliata.
  La diminuzione del Pil, seguita all'aumento della tassa sui consumi ad aprile, non ha fatto che dare ragione all'economia keynesiana, come se ce ne fosse bisogno.
   Gli Usa, che hanno adottato una politica minima di austerity, hanno registrato la migliore performance economica, ma con circa 650mila impiegati statali in meno rispetto a prima della crisi, quando in circostanze normali la previsione sarebbe stata di due milioni in più, perciò anche loro stanno soffrendo con una crescita così anemica da far ristagnare i salari.

3.-  Il rallentamento della crescita nei Paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo è strettamente legata al rallentamento della crescita cinese. La Cina è l'economia più importante al mondo (in termini di parità di potere d'acquisto) ed è stato per molto tempo il Paese che ha contribuito maggiormente alla crescita globale, ma lo straordinario successo della Cina ha comportato dei problemi che andrebbero affrontati prima possibile.
   Il passaggio dell'economia cinese dalla quantità alla qualità è benvenuto, se non quanto mai necessario. E, anche se la lotta alla corruzione sferrata dal presidente Xi Jinping può provocare un rallentamento nella crescita con la paralisi degli appalti pubblici, il presidente non deve mollare la presa, sono ben altre le forze che minacciano la fiducia nel suo governo - diffusi problemi ambientali, livelli elevati di diseguaglianza in aumento e frodi nel settore privato - e vanno affrontate con lo stesso vigore.
  Così, il mondo non dovrebbe aspettarsi che sia la Cina a sostenere la domanda globale aggregata nel 2015, semmai potrebbe affossarla ancora di più.
   Quanto alla Russia, possiamo aspettarci che le sanzioni dell'Occidente rallentino la crescita, con ricadute negative su un'Europa già indebolita.
    ...
  4.- Negli ultimi sei anni, l'Occidente ha creduto che la politica monetaria potesse salvare la situazione. La crisi ha portato a profondi disavanzi e a debito crescente e si pensa che ridurre il livello di indebitamento significhi mettere da parte la politica fiscale.
  

   Il problema è che i bassi tassi di interesse non motiveranno le aziende a investire se non c'è domanda per i loro prodotti e i tassi di interesse bassi non spingeranno i privati a indebitarsi per spendere, se sono preoccupati per il futuro (e ne hanno ben donde).
   Quello che la politica monetaria può fare è creare bolle dei prezzi degli attivi e addirittura gonfiare i prezzi dei titoli di stato europei, anticipando una crisi del debito sovrano, ma è bene essere chiari: la probabilità che politiche  monetarie lasche riportino la prosperità globale è pari a zero. E questo ci rimanda alle politiche e alle misure: se c'è una cosa di cui il mondo ha più bisogno adesso è un aumento della domanda e nonostante il generoso sostegno delle autorità monetarie, lo stimolo non verrà dal settore privato, bensì dalle misure fiscali.
   Abbiamo un'ampia scelta di investimenti pubblici che produrrebbero rendimenti elevati, ben più elevati del costo reale del capitale, e questo consoliderebbe i bilanci dei Paesi che li hanno intrapresi.
   Il grande problema del mondo nel 2015 non è economico, noi sappiamo come sottrarci al malessere attuale. Il problema è la nostra stupida politica. (Traduzione di Francesca Novajra).

NINO LUCIANI, OK all'abolizione del deficit spending in Costituzione, purchè sia creato dal taglio delle entrate fiscali.

  1.- Cominciando da Stigliz. Egli ritiene che, oggi, solo una "domanda effettiva" (con fabbricazione di moneta aggiuntiva) possa creare l'offerta (produzione). Questo è grosso modo in linea con i pro-referendari.
   Ricordo, al tempo stesso che, secondo i classici, di norma è, invece, l'offerta che crea la domanda (non il contrario). Il presupposto è che gli operatori siano normalmente ottimisti (così da dare investimenti e creare lavoro.
   Ma questa condizione oggi non c'è, e questo ci riporta a Stigliz, vale dire: la prima mossa  (per creare condizioni di ottimismo) è un compito delle autorità, in un orizzonte lungo (che pro tempore potrebbe essere in perdita).
   Segnalo, tuttavia, che J. Stigliz avverte che "l'eurozona non è riuscita ad attutire lo choc provocato dalla crisi, soprattutto per via della sua struttura", vale dire per "mancanza di un'unione bancaria".
  In altri termini, i singoli Stati avevano rinunciato al potere monetario, a favore della UE, e la BCE (il sostituto delle Banche Nazionali), senza trasferire alla BCE anche il potere di banchiere di ultima istanza, così da fare da ombrello al Tesoro dei vari Stati, sul mercato primario.
  Sotto questo aspetto, le intenzioni della BCE di fabbricare moneta aggiuntiva operando, sul mercato secondario (per riportare il tasso di inflazione al 2%), divengono (aggiungo io) solo parole vento, in primo impressione.
  Ma c'è chi sostiene (su Il Sole 24 ORE, 21 gen. 2015) che se il Qe ha funzionato negli USA non si capisce perchè non dovrebbe funzionare anche in UE.
  Questi ignorano che, negli USA, l'effetto del Qe sulla offerta era supportato da una pressione fiscale molto più bassa, che in UE. E, infatti, perchè un'impresa dobrebbe puntare a maggiori incassi, se poi dovrà ceder (in tasse) quasi tutto allo Stato (improduttivo) ?


2.- Sono possibili delle eccezioni ? Ci sono, tuttavia, dei modi riduttivi o espansivi di interpretare le regole. Questo dipende dalla importanza che si dà agli obiettivi.  Ad. es. la BCE e la UE non sono consapevolmente direzionate alla cancellazione parziale del debito in termini reali, la palla al piede di alcuni Stati
   Un tasso di inflazione del 2% annuo per 5 anni, svaluterebbe il debito per il 10%; un tasso di inflazione del 3% annuo per 5 anni, svaluterebbe il debito del 16%. Non sarebbe poco.
   Ma, poi, questo effetto si trasferirà sull'economia reale, con un aumento del PIL ?
   Se questo non accadesse, tutto andrebbe al vento, in caso di insolvenze di qualche Stato verso la BCE (circa i titoli di Stato in portafoglio).
  Chi assumerebbe l'onere di eventuali insolvenze di singolo Stati, al momento di pagare alla BCE i titoli in scadenza ? Se questo fosse preventivato, fin dall'origine, come un problema di tutta la UE, dunque della BCE (e non delle Banche Centrali Nazionali), si capirebbe poco il senso di questo Qe.....
    Nel caso dell'Italia, la cosa è abbastanza seria. Da un'occhiata alle scadenze del debito pubblico italiano (Fonte. www.dt.tesoro.it/...), si coglie che la metà del debito pubblico (971 miliardi di €) scade nel prossimo quinquennio (2015-19), per cui il pericolo di default (basta una goccia per far traboccare il bicchiere) è reale, se permane il fermo del PIL.
   Questo ci porta a concludere che,  se il Qe è manovrato senza un collegamento diretto e parlato della BCE con gli interlocutori sul campo, si sta solo giocando.

3.- Come il deficit spending potrebbe sbloccare il PIL. Esso ha una sua manovrabilità, direttamente dagli Stati, e dunque senza dipendere dal Qe. Il motivo è che esso è finanziabile con prestiti sul mercato finanziario. Esso potrebbe agire nella logica dei classsici di agire sulla offerta per creare la domanda, purchè usato correttamente.
   a) Su questa via, Draghi ha già spianato qualcosa, grazie agli effetti già conseguiti sul cambio estero Euro/Dollaro.
   Questo stimolerà sempre le esportazioni, il motore più importante per l'Italia (rimasto ai giri minimi, a lungo, in questi anni), senza preoccupazio dal lato importazioni (di materie prime: vedi petrolio).  E', poi, anche verosimile che la svalutazione dell' proseguirà, data l'attesa di aumento dei tassi di interesse USA nei prossimi mesi.
    Teoricamente, il deficit spending può essere ottenuto abbassando le imposte, ferme le spese; oppure, aumentando la spesa, ferme le imposte.
   Mi pare impensabile usarlo nel secondo modo, non tanto per il conseguente ulteriore aumento del debito, ma perché questo nostro Stato è talmente obsoleto che è incapace di spendere perfino quanto già autorizzato dalla legge. Si vegga sotto: Capacità di spesa .
   Qui ho fatto un aggiornamento delle tabelle pubblicate dalla Ragioneria Generale dello Stato (sopra riportate), e si vede che nel 2013 lo Stato è riuscito a spendere l'86,2% delle spese correnti, e il 63,4% delle spese in conto capitale (quelle più importanti per influenzare la ripresa). Il resto è rimasto in cassa. Dove ?
   Incece, nella situazione italiana, il deficit spending di interesse è quello del primo tipo (meno imposte, ferme le spese), perchè idoneo a creare ottimismo negli operatori, visto che oggi essi molto scoraggiate dal cedere allo Stato una fiscalità del 65-68% degli utili, e che a va finanziare spese largamente improduttive dello Stato.
   La riduzione della fiscalità, associata al Qe, potrebbe davvero riportare l'ottimismo negli operatori.
  Dunque: OK ad abolire in Costituzione la mossa incauta di Monti (pareggio del bilancio), purchè sia usato per tagliare le unghie allo statalismo.
  Sia chiaro che anche questo tipo di deficit genera aumenta del debito pubblico. Tuttavia, avendo probabilità di far accrescere il PIL, in un orizzonte temporale medio, potrebbero generarsi entrate aggiuntive per sanare il maggior debito.

patto di stabilità. Sarebbe auspicabile, inoltre, un’ampia mobilitazione politica e una seria riflessione culturale in grado di proporre politiche sociali di tutela dei diritti fondamentali. Recuperando una progettualità che ponga i diritti al centro della costruzione del sistema politico e istituzionale in ambito sia europeo sia nazionale.

Il primo indispensabile passo in questa direzione può e deve compierlo il Parlamento, attraverso l’eliminazione del principio del pareggio di bilancio dalla Carta costituzionale. Non avrebbe, infatti, alcun senso cambiare le regole a livello europeo e poi rimanere vincolati da quanto stabilito dalla Costituzione italiana.

Ma vi è di più. Quel che con la presente proposta di legge si vuole conseguire è la riaffermazione di un corretto equilibrio tra principi costituzionali. L’intero costituzionalismo moderno ha, infatti, preteso una tutela privilegiata dei diritti fondamentali delle persone. Pretesa che non può essere abbandonata in nessuna contingenza economica, neppure nelle fasi avverse del ciclo economico. In ogni caso il rispetto dei diritti fondamentali delle persone deve essere perseguito, anche nei casi di più rigorose manovre di contenimento dei disavanzi pubblici.
D’altronde la proposta di legge costituzionale opererebbe nel pieno rispetto dei (reali) vincoli contratti dall’Italia a livello europeo: si ritiene, infatti, che il principio costituzionale della necessaria salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone sia assicurato nel rispetto dei vincoli di bilancio fissati nella legge generale sulla contabilità e la finanza pubblica. Una normativa nazionale “di natura permanente”, così come richiesto dal Trattato di stabilità.
La seguente proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare si propone, dunque, di cancellare il principio del pareggio di bilancio e di collegare comunque le politico di bilancio dello Stato alla salvaguardia dei “diritti fondamentali delle persone” come stabiliti dal nostro ordinamento costituzionale. In particolare si propone di eliminare le parti dell’articolo 81 che impongono regole di equilibrio puramente economico-finanziario senza alcuna garanzia per i diritti, e l’aggiunta di un comma al medesimo articolo che affermi invece la garanzia di tutela dei diritti che deve essere assicurato in sede di definizione della legge generale sulla contabilità e la finanza pubblica.
Il principio costituzionale di salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone deve evidentemente impegnare l’intero Stato apparato ed essere garantito sull’intero territorio nazionale. Deve dunque coinvolgere – oltre lo Stato centrale – tanto l’insieme delle pubbliche amministrazioni, quanto ogni altro livello di governo.
Per questo diventa necessario modificare l’articolo 97 per affermare che le pubbliche amministrazioni nel momento in cui devono assicurare gli equilibri economici e finanziari, devono altresì operare sempre “nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone”.
Per quanto riguarda, invece, le autonomie territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) si propone una modifica all’articolo 119 che – riprendendo quanto già attualmente imposto dall’articolo 117 comma 2, lettera m) – assicuri un’attribuzione di risorse in relazione alle esigenze di tutela dei diritti sociali e civili comunque sufficienti per salvaguardare i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Oltre all’aggiunta del primo comma, è stata anche modificata la “sistematica” dell’articolo 119: secondo la proposta di iniziativa popolare i primi tre commi devono riguardare la finanza pubblica degli enti territoriali (e gli obblighi statali nei confronti delle autonomie), i restanti tre commi l’autonomia finanziaria degli enti territoriali. Pertanto, gli attuali terzo e quarto comma, sono diventati, rispettivamente, il secondo e il terzo comma dell’articolo proposto. È stato inoltre abrogato l’attuale 4° comma, che viene assorbito nella previsione del nuovo primo comma. Si segnala, inoltre, che le risorse “aggiuntive” del secondo comma (nella versione proposta) non riguardano i “livelli essenziali delle prestazioni “ (Lep) le cui risorse sono garantite ordinariamente dal (nuovo) primo comma.

Si richiede infine l’abrogazione dell’art. 5 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 che attualmente specifica i criteri che devono essere contenuti dalla legge di attuazione del principi di pareggio di bilancio.

* Vedi anche: http://colpareggiociperdi.it/riportare-keynes-e-il-primato-dei-diritti-nella-costituzione-italiana/
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COMITATO PROMOTORE - Stefano Rodotà - Presidente, don Vinicio Albanesi (Comunità di Capodarco), Gaetano Azzariti (giurista), Giorgio Airaudo (deputato indipendente Sel), Andrea Baranes (Fcre e Sbilanciamoci!), Leonardo Becchetti (Campagna 0,05), Fausto Bertinotti (già Presidente della Camera dei deputati), Alberto Campailla (Link), Luciana Castellina (giornalista), Francesca Chiavacci (Arci), Giorgio Cremaschi (sindacalista), Cecilia D’Elia (Coordinamento nazionale Sel), Monica Di Sisto (FairWatch), Vittorio Cogliati Dezza (Legambiente), Antonello Falomi (Comitato Operativo Nazionale L’altra Europa con Tsipras), Roberta Fantozzi (Segreteria nazionale Prc), Stefano Fassina  (deputato Pd), Luigi Ferrajoli (giurista), Nicola Fratoianni (deputato Sel), Mauro Gallegati (economista), Luciano Gallino (sociologo), Alfonso Gianni (Comitato Operativo Nazionale L’altra Europa con Tsipras), Patrizio Gonnella (Antigone), Riccardo Laterza (Rete della Conoscenza), Danilo Lampis (Uds), Maurizio Landini (segretario generale Fiom), Giulio Marcon (deputato indipendente Sel), Grazia Naletto (Lunaria e Sbilanciamoci!), Mario Pianta (economista), Felice Roberto Pizzuti (economista), Norma Rangeri (giornalista), Marco Revelli (politologo), Franco Russo (attivista), Giovanni Russo Spena (dirigente Prc), Mario Sai (sindacalista), Riccardo Troisi (ReOrient), Francesco Vignarca (Rete italiana per il disarmo), padre Alex Zanotelli (missionario comboniano), don Armando Zappolini (Cnca).

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Tavola 2.2.6 - Anni 2011-2012-2013 -  Capacità di spesa complessiva della P.A., rispetto al totale spendibile

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Torniamo sulla  conferenza stampa di Draghi, del 6 nov. 2014

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F. Petrarca:
"Italia mia,...,"

 

La BCE è tornata a dirci che  la via per la ripresa del PIL
è il sostegno degli investimenti privati e delle esportazioni.

Ma  in Italia chi dovrebbe dare il sostegno ?

     Una UE seria, memore dell'esperienza terribile imposta all'Italia, tramite Monti, direbbe:

- a Renzi : "Abbatti l'IVA dal 22% al 16% (il minimo);
- e a Draghi: "Bilancia la minore entrata con acquisto di titoli di Stato in scadenza, che  presenterai all'incasso con posticipo di 10 anni (questa sarebbe una Qe di buon senso).



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Mario Draghi

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LUCIANI: Chi ricorda le cose, sa che l'Italia entrò via via (1992-98) nell'UE monetaria per farsi imporre da essa la soluzione dei propri ventennali problemi strutturali, preso atto della incapacità storica dei suoi Governi, di risolverli autonomamente. Cos'altro fu la caduta della DC ? E adesso cosa sarebbe cambiato, in termini di riforma della governance dello Stato, per ritenere che il "pur valoroso Renzi" sia capace di risolverli ? Più di recente, il Governo Letta-Berlusconi ci aveva fatto sperare in una riforma costituzionale, che iniziava dalla riforma dell'art.138, ma poi lasciata cadere da Berlusconi, in seguito alla nota condanna giudiziaria. Peccato che Berlusconi torni a chiederci una rinnovata fiducia, ma che vale solo per chi ha memoria corta ...

Per il testo integrale di Draghi: https://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2014/html/is141106.en.html
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Mario Draghi, Presidente della Banca centrale europea.
Francoforte, 6 nov. 2014.

Altra "conferenza stampa",
ma non una delle normali....,
(Stralcio).

1.- Programmi. … Abbiamo deciso di mantenere invariati i tassi di interesse di riferimento della BCE. Dando seguito alle decisioni del 2 ottobre 2014, il mese scorso abbiamo iniziato l'acquisto di obbligazioni garantite sotto il nostro nuovo programma. Ci sarà anche presto iniziare ad acquistare titoli garantiti da attività. I programmi avranno una durata di almeno due anni. Insieme con la serie di operazioni di rifinanziamento a più lungo termine mirati da effettuare fino al giugno 2016… .

Le nostre misure miglioreranno il funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria, sostenere condizioni di finanziamento nell'area dell'euro, di facilitare la concessione di crediti all'economia reale e generare ricadute positive verso altri mercati. Questo permetterà ulteriormente di facilitare la politica monetaria più in generale, sostenere la nostra guida in avanti sui tassi di riferimento della BCE e rafforzare il fatto che ci sono differenze significative e crescenti nel ciclo di politica monetaria tra le principali economie avanzate.

Con le misure che sono state messe in atto, la politica monetaria ha risposto alle prospettive per una bassa inflazione, una dinamica di crescita indebolimento e continuò sottomesso dinamica monetaria e del credito. La nostra politica monetaria accomodante sosterrà il saldo ancoraggio delle aspettative di inflazione a medio-lungo termine, in linea con il nostro obiettivo di raggiungere i tassi di inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2%. Mentre si fanno strada attraverso l'economia, le nostre misure di politica monetaria saranno insieme contribuire ad un ritorno dei tassi di inflazione su livelli più vicini al nostro obiettivo.

Tuttavia, in prospettiva, e tenendo conto delle nuove informazioni e analisi, il Consiglio direttivo seguirà da vicino e continuamente valutare l'adeguatezza della sua politica monetaria. Nel caso in cui si renda necessario ulteriori affronta i rischi di troppo prolungato un periodo di bassa inflazione, il Consiglio direttivo è unanime nel suo impegno per l'utilizzo di strumenti non convenzionali addizionali nell'ambito del suo mandato. Il Consiglio direttivo ha incaricato il personale della BCE e dei comitati dell'Eurosistema competenti di assicurare la tempestiva preparazione di ulteriori misure da attuare, se necessario.

2.- Analisi più dettagliata. … Il PIL, in termini reali, dell'area dell'euro è aumentato del 0,1%, rispetto al trimestre precedente, nel secondo trimestre di quest'anno, rivisto al rialzo rispetto alla stima precedente. Dal momento che i mesi estivi, i dati in entrata e le prove dell'indagine hanno complessivamente indicato un indebolimento nella dinamica di crescita della zona euro. Questa informazione è stata ora integrata nei più recenti previsioni da parte di istituzioni pubbliche e private, che indicano una revisione al ribasso della crescita del PIL reale nel periodo in rassegna fino al 2016, con le prospettive di una modesta ripresa economica rimanendo al suo posto. Questa immagine è sostanzialmente in linea con la valutazione corrente del Consiglio direttivo. Da un lato, la domanda interna dovrebbe essere sostenuta dalle nostre misure di politica monetaria, i miglioramenti continui delle condizioni finanziarie, i progressi compiuti nel risanamento dei conti pubblici e le riforme strutturali e riduzione dei prezzi dell'energia a sostegno del reddito disponibile reale. Inoltre, la domanda per le esportazioni dovrebbero beneficiare della ripresa globale. D'altra parte, il recupero è probabile che continui a essere frenata da un alto tasso di disoccupazione, da rilevante capacità produttiva inutilizzata, e da mancati aggiustamenti di bilancio nei settori pubblico e privato.

I rischi che circondano le prospettive economiche per l'area dell'euro continuano a essere orientati verso il basso. In particolare, l'indebolimento nella dinamica di crescita della zona euro, insieme a rischi geopolitici intensificati, potrebbe smorzare la fiducia e, in particolare, gli investimenti privati. Inoltre, insufficienti progressi nelle riforme strutturali nei paesi dell'area dell'euro costituisce una chiave di rischio al ribasso per le prospettive economiche.

Secondo la stima rapida dell'Eurostat, l'inflazione nell'area dell'euro misurata sullo IAPC è stata dello 0,4% nel mese di ottobre 2014, dopo il 0,3% nel mese di settembre. Rispetto al mese precedente, ciò riflette principalmente un contributo un po 'meno negativo da prezzi dell'energia e aumenti annuali leggermente più forti dei prezzi degli alimenti. Un calo dei prezzi dei beni industriali è stata in parte compensata da un aumento dei prezzi dei servizi. Sulla base delle informazioni attuali e prevalenti prezzi dei contratti future per l'energia, l'inflazione dovrebbe rimanere su livelli bassi intorno attuali nei prossimi mesi, per poi aumentare gradualmente durante il 2015 e il 2016. Questo è anche l'immagine ritratta dai più recenti previsioni, che ora integrare il recente crollo dei prezzi del petrolio.

Il Consiglio direttivo continuerà a seguire con attenzione i rischi per le prospettive per l'andamento dei prezzi nel medio termine. In questo contesto, ci concentreremo in particolare sulle eventuali ripercussioni della dinamica contenuto la crescita, gli sviluppi geopolitici, tasso di cambio e dei prezzi dell'energia, e il pass-through delle nostre misure di politica monetaria. . ….

3.- Analisi monetaria. I dati di settembre 2014 continuano a puntare a una crescita contenuta sottostante monetario ampio (M3), con il tasso di crescita sempre più moderatamente, tuttavia, al 2,5% nel mese di settembre, dopo il 2,1% nel mese di agosto. La crescita annua di M3 continua ad essere sostenuto dai suoi componenti più liquide, con l'monetario ristretto M1 a crescere a un tasso annuo del 6,2% nel mese di settembre.

Il tasso di variazione dei prestiti alle società non finanziarie (per cessioni di prestiti e cartolarizzazioni) è rimasto negativo a -1,8% nel mese di settembre, dopo il -2,0% di agosto e -2,2% nel mese di luglio. In media negli ultimi mesi, i riscatti netti hanno moderato dai livelli storicamente elevati registrato un anno fa. I prestiti alle società non finanziarie continua a riflettere il rapporto ritardato con il ciclo economico, il rischio di credito, i fattori di offerta del credito e l'aggiustamento in corso dei bilanci del settore finanziario e non finanziario. Il tasso di crescita dei prestiti alle famiglie (corretti per cessioni e cartolarizzazioni) è stata dello 0,6% nel mese di settembre, dopo il 0,5% nel mese di agosto. In linea con una certa stabilizzazione dei flussi di credito, l'indagine sul credito bancario di ottobre per l'area dell'euro ha registrato un allentamento netto dei criteri di concessione dei prestiti alle imprese e alle famiglie. Allo stesso tempo, si deve tener presente che il livello di standard di credito è stretto da una prospettiva storica. A seguito del completamento della valutazione globale della BCE, un ulteriore rafforzamento dei bilanci delle banche ci si può aspettare di contribuire alla riduzione dei vincoli di offerta del credito e facilitare una maggiore assistenza finanziaria.

In sintesi, la verifica incrociata dei risultati dell'analisi economica con i segnali provenienti dall'analisi monetaria conferma le recenti decisioni prese dal Consiglio direttivo di fornire ulteriore azione accomodante della politica monetaria e per sostenere l'erogazione di prestiti all'economia reale.

4.- Conclusione. La politica monetaria è focalizzata sul mantenimento della stabilità dei prezzi nel medio periodo e la sua posizione accomodante contribuisce a sostenere l'attività economica. Tuttavia, al fine di rafforzare l'attività di investimento, promuovere la creazione di posti di lavoro e aumentare la crescita della produttività, altre politiche devono contribuire in modo decisivo. In particolare, la legislazione e l'attuazione di riforme dei prodotti e del mercato del lavoro, nonché le azioni volte a migliorare il contesto imprenditoriale per le imprese hanno bisogno di guadagnare slancio in diversi paesi. L'effettiva attuazione delle riforme strutturali aumenterà le aspettative di redditi più elevati e di incoraggiare le imprese ad aumentare gli investimenti di oggi e anticipare la ripresa economica. Per quanto riguarda le politiche di bilancio, i paesi con squilibri di bilancio non devono limitarsi a illustrare i progressi già compiuti, ma anche procedere in linea con le regole del Patto di stabilità e crescita. Nel corso degli atti procedurali nell'ambito del quadro concordato, il patto dovrebbe rimanere l'ancora per la fiducia nelle finanze pubbliche sostenibili. La flessibilità esistenti nel rispetto delle regole dovrebbe consentire ai governi di affrontare i costi di bilancio delle principali riforme strutturali, per sostenere la domanda e per ottenere una crescita amichevole composizione più delle politiche di bilancio.
  Una attuazione piena e coerente di un quadro fiscale e macroeconomico attuale della zona euro di sorveglianza è fondamentale per abbattere l'incidenza del debito pubblico elevati, per aumentare la crescita potenziale e ad aumentare la capacità di ripresa dell'economia dell'area dell'euro agli shock.

NINO LUCIANI, Renzi non può dare quello che non ha, e che solo la UE gli può dare. Altrimenti l'Italia dovrà uscire dall'Euro, almeno temporaneamente .

1.- PREMESSA. In questi mesi (di governo Renzi), i primi lamenti di lui, contro la UE, sono stati di "pretendere rispetto", e anzi di volere "rispettare le regole" come propria scelta, non come "imposizione della burocrazia della UE".
  C'è qualche fondamento per fargli credito, dal secondo anno in poi ? Il primo è per fare esperienza.
   In Italia le possibilità dello Stato di "spendere" sono praticamente nulle per due motivi:
  a) lo Stato è capace di spendere, in tempo reale, solo il 70-80% di quanto preleva (la contrazione della domanda effettiva, da parte del governo Monti, è dovuta a questa infermità strutturale dello Stato), e l'ho dimostrato partendo da documenti della Ragioneria generale dello Stato;
  b) lo Stato ha già, teoricamente, una disponibilità di spesa nell'ordine del 65% del PIL (includendo le imprese pubbliche, che nella contabilità nazionale sono classificate nel settore privato). E' una cifra colossale. E siccome una larga parte di questi soldi li spende male, è impensabile una ulteriore espansione della spesa pubblica.
   Dunque, volendo contare su una espansione della spesa in investimenti, teoricamente si può solo sperare nel settore privato (anche dall'estero, e lo si è visto nell'Alitalia e nella Fiat-Chrysler).
   Ma anche qui troviamo di nuovo lo Stato messo di traverso, con la pressione fiscale che, nel caso delle imprese, si porta via il 65%-68% degli utili, e che in media arriva al 50% del PIL. C'è, poi, anche una "lotta contro la evasione fiscale", che in passato (in qualche modo tollerata) permetteva alle piccole imprese di sopravvivere, ma ora non più.
   Chi dovrebbe tornare a intraprendere, data questa pressione fiscale ?
 
2.- Conclusione: per un sostegno agli investimenti privati, lo Stato dovrebbe tagliare la pressione fiscale di almeno 10%-15% del PIL, e anche la spesa pubblica per il 10%-15% del PIL.
  Per fare questo, non basta minimamente la spending revew, sia perchè qui si tratta di briciole, sia perchè peggiora le cose quando va a tagliare personale essenziale negli uffici, per cui ottiene di paralizzare gli uffici.
   Qui il presupposto fondamentale è fare riforme di struttura dello Stato (Stato in senso stretto, Regioni, Enti locali) con tagli drastici dei doppioni.
   Che le Regioni siano doppioni dello Stato è sotto gli occhi di tutti. A cosa servono 20 parlamenti regionali, che producono leggi diverse da Regione a Regioni per i medesimi servizi, dato che il parlamento nazionale basta e avanza ?
  E quella sanità, la cui gestione lo Stato ha delegato alle Regioni, ognuno vede che è peggiorata, rispetto a 10 anni fa, pur avendo aumentato tantissimo le spese.
   Ma un progetto siffatto richiede 5 anni. Pertanto serve ipotizzare una transizione, con l'aiuto della UE.

3.- Il ruolo della UE.
  Quale debba essere la strada per in Italia, l'avevamo capito chiaramente già dalla caduta della URSS e del muro di Berlino (1986-88-89), giacchè l'Italia socializzata aveva (già allora) gli stessi difetti dell'URSS, sia pure in proporzione al diverso grado di socializzazione (URSS 95%, Italia 65%).
  Ma anche allora non c'erano governi con la forza sufficiente a procurare una parziale transizione dell'Italia da "meno Stato" a "più mercato". Né lo furono i governi Berlusconi, come poi si è visto.
   Quando, poi, in Europa, si cominciò a parlare di una maggiore integrazione economica tra gli Stati (quella monetaria, Euro, ecc., dopo quelle economiche... MEC nel 1956, ...), la cosa fu vista in Italia come grande occasione storica, per farci imporre dalla UE le riforme strutturali, che da soli non eravamo stati capaci di fare.
   Ma adesso Renzi si ribella alla UE. Rivendica una autonomia del Governo italiano a fare le riforme in Italia.     Benissimo ! Ma come potrà riuscirvi con l'attuale sistema di governance, sempre quella di 20 anni fa ?
 
  
In attesa di soluzioni politico-costituzionali, una UE seria, memore dell'esperienza terribile imposta all'Italia, tramite Monti, direbbe:
- a Renzi : "Abbatti l'IVA dal 22% al 16% (il minimo, consentito nella UE);
- e a Draghi: "Bilancia la minore entrata con acquisto di titoli di Stato in scadenza, che presenterai all'incasso con posticipo di 10 anni (questa sarebbe una Qe di buon senso). 
(CONTINUA)

(CONTINUA LUCIANI)
4.- La solitudine della BCE. In estrema sintesi Draghi punta a immettere liquidità nel sistema economico, confidando genericamente che questa immissione alimenti una domanda "effettiva" di beni di consumo.
   Egli fa uso di due strumenti:  manovra (in riduzione) del tasso di interesse; operazioni di mercato aperto (acquisti).
    L'uno, che punta sulla differenza tra tassi interni e tassi esterni, ha già prodotto un risultato importante: la svalutazione dell'euro del 10%, da luglio 2014, sia nei confronti del dollaro USA che dello IUAN cinese. Questo aiuterà le esportazioni italiane, al palo da anni (a causa dell'euro forte).  Anzi, probabilmente la crisi dell'economia dell'area Euro contagerà la fiducia dei Paesi petroliferi nell'Euro, e a quel punto il deprezzamento dell'Euro potrebbe fermarsi solo in parità con il dollaro.
    IL secondo è una rondine che non fa primavera. Esso avrà effetto positivo sulla domanda di beni di consumo solo nel lungo andare, perché la BCE non ha (al momento) interlocutori economici forti, a cui le banche possano collegarla.
   Perchè non prendere seriamente, come interlocutori, gli Stati che si impegnano allo abbattimento della eccessiva fiscalittà ?  Il prendere come interlocutore uno Stato è  solo per assisterlo, durante il taglio del fisco.
   In Italia, ci sono le condizioni economiche favorevoli: infatti Draghi evidenzia (verso la fine della conferenza) che nel sistema economico c'è rilevante capacità produttiva inutilizzata, e dunque ha un ampio margine prima che la liquidità aggiuntiva faccia salire il tasso di inflazione.

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EDIZIONI PRECEDENTI

FATTO NUOVO nella UE: la FRANCIA si defila ...dalla AUSTERITY
e oppone una sua interpretazione dei Trattati

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Mario Draghi

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DRAGHI  (BCE): Le mie "riforme", proposte ai governi :
.1) Nuove regole dei mercati (eliminare differenziazioni salariali, rigidità del lavoro ..., nela UE);
2) Rafforzare il finanziamento delle imprese, diversificandone le fonti;
3) Pareggio del bilancio pubblico, a livelli più bassi dell'onere fiscale e della spesa corrente
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SAPIN (GOVERNO FRANCESE): Sì a riforme, ma senza austerity

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Michel Sapin

                              LUCIANI: Monsieur Sapin ha ragione, di tipo "reaganomics". Vediamo dove sta la differenza:
Se Draghi indicasse l'abbattimento della fiscalità come priorità, Draghi e Sapin si troverebbero molto vicini. Infatti, serve a poco, per le imprese, abbassare il costo del lavoro, degli interessi sui finanziamenti, e quant'altro, se poi lo Stato continua a portarsi via il 65% di utile delle imprese, e si conferma ultra-inefficiente nelle proprie controprestazioni.
Per il testo integrale di Draghi e Sapin: https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2014/html/sp140911_1.it.html
http://www.economie.gouv.fr/projet-de-loi-finances-2015

Mario Draghi, Presidente della Banca centrale europeaIntervento presso EUROFI, 11 settembre 2014, a Milano (Stralcio).

   Le politiche strutturali, di bilancio e monetarie procedono di pari passo, l’area dell’euro assisterà al recupero degli investimenti. Mi vorrei concentrare soprattutto sul contributo decisivo che può derivare dalle politiche strutturali.

1) Crescita e fiducia per gli investimenti

.... Non c’è nessuno stimolo monetario (e di fatto nessuno stimolo fiscale) che tenga se non affiancato dalle giuste politiche strutturali: politiche atte a promuovere la crescita potenziale e a infondere fiducia.
  Per illustrare questo punto mi vorrei soffermare sugli investimenti. ... . Gli investimenti sono una delle vittime illustri di questa crisi.
   Il calo degli investimenti delle imprese osservato dal 2008 nell’area dell’euro è molto più marcato che nei cicli economici precedenti. Dal livello massimo a quello minimo sono diminuiti di circa il 20%, contro il 15% registrato durante la recessione del 1992. Dal 2008 nell’area dell’euro gli investimenti delle imprese mostrano soltanto un lieve miglioramento, mentre negli Stati Uniti superano ormai il livello anteriore alla crisi.
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Noi responsabili delle politiche, cosa possiamo fare per imprimere nuovo slancio agli investimenti? Oggi il mio principale messaggio è questo: soltanto se le politiche strutturali, di bilancio e monetarie procedono di pari passo, l’area dell’euro assisterà al recupero degli investimenti. Mi vorrei concentrare soprattutto sul contributo decisivo che può derivare dalle politiche strutturali.

2) Una combinazione di politiche per rilanciare gli investimenti

Vedo due settori fondamentali nei quali l’azione dei governi, a livello sia nazionale che europeo, dovrebbe concorrere a rilanciare gli investimenti delle imprese. Primo: il contesto regolamentare dovrebbe essere reso più favorevole alla crescita economica. Secondo: le imprese devono avere accesso a fonti di finanziamento più diversificate; la creazione di un’unione dei mercati dei capitali potrebbe contribuire a questo scopo e al tempo stesso aiutare a superare la frammentazione che rimane nei mercati finanziari. Vorrei commentare in breve questi punti.

a) Migliorare il contesto regolamentare.

In molti casi, tali ostacoli privano della linfa lo spirito imprenditoriale, soprattutto fra le giovani aziende innovative che creano la maggior parte dei posti di lavoro e sono molto sensibili alle variazioni in termini di opportunità di investimento.
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L’attuazione celere e incisiva delle necessarie riforme è ora indispensabile per cogliere i benefici quanto più rapidamente possibile.

b) Rafforzare il finanziamento

Un secondo aspetto di fondamentale importanza per gli investimenti, nonché di interesse diretto per la comunità Eurofi qui riunita, è l’esigenza di diversificare le fonti di finanziamento e di superare la frammentazione in ambito finanziario. Finora il credito alle imprese è giunto soprattutto attraverso il canale delle banche. La crisi ha messo in luce le insidie di un ricorso troppo ampio a un modello di erogazione del credito incentrato sul settore bancario. Occorre quindi sviluppare anche fonti di finanziamento alternative affidabili, quali i mercati azionari e obbligazionari, la cartolarizzazione, l’attività di prestito delle compagnie di assicurazione e degli asset manager, il venture capital e il finanziamento collettivo (o crowdfunding).
:::::::

 

3) Politica di bilancio favorevole alla crescita.

:::: I governi (hanno) a disposizione ... una seconda leva di rilevanza diretta per gli investimenti: la politica di bilancio. Le imprese investiranno nel futuro soltanto se esistono fiducia e certezza riguardo al futuro: riguardo all’evoluzione dei conti pubblici nel medio periodo e, in ultima istanza, riguardo all’imposizione fiscale. Ciò di cui abbiamo bisogno è un’applicazione coerente e credibile del Patto di stabilità e crescita nel tempo e in tutti paesi. Nel contesto esistente, i governi possono trovare lo spazio per sostenere gli investimenti produttivi e conseguire una composizione delle politiche di bilancio più favorevole alla crescita, riducendo l’onere fiscale e la spesa corrente improduttiva. In parallelo, può essere utile aprire il dibattito sull’orientamento complessivo delle politiche di bilancio nell’area dell’euro, in vista di incrementare gli investimenti pubblici laddove esiste margine di bilancio. ..... Esprimo quindi apprezzamento per il pacchetto da 300 miliardi di euro annunciato due mesi fa dal Presidente eletto della Commissione europea.

4) Il ruolo della politica monetaria

Vorrei concludere con qualche cenno al contributo della politica monetaria. Abbiamo combattuto con successo la crisi di fiducia nei confronti dell’euro, che ha fatto aumentare i tassi di interesse fino a valori anomali. Abbiamo fornito al sistema bancario dell’area dell’euro livelli di finanziamento senza precedenti. Abbiamo continuato a ridurre i nostri tassi di riferimento, fino a raggiungere ormai il limite inferiore. Per assicurare che questo orientamento molto accomodante della politica monetaria si trasmetta all’economia reale equamente in tutta l’area dell’euro, abbiamo anche dispiegato una serie di strumenti non convenzionali. La nostra attenzione si è spostata sempre più sul finanziamento delle PMI, che si affidano in misura massiccia al finanziamento bancario e in molti casi stanno faticando per mantenere l’accesso al credito. Queste imprese possono pur essere piccole, ma quando affrontano difficoltà di finanziamento, il problema assume grosse proporzioni per noi tutti, dato che impiegano circa tre quarti delle forze di lavoro nell’area dell’euro.

In giugno abbiamo deciso di varare una serie di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (OMRLT), per assicurare che le banche abbiano a disposizione liquidità sufficiente da erogare all’economia reale. Tali operazioni sono concepite per incoraggiare le banche ad accrescere il credito a favore delle società non finanziarie.

Abbiamo inoltre adottato misure a sostegno di segmenti specifici del mercato che rivestono un ruolo fondamentale nel finanziamento dell’economia. La settimana scorsa il Consiglio direttivo ha deciso di avviare, a partire da ottobre, l’acquisto di obbligazioni garantite e ABS di alta qualità. Per quanto riguarda gli ABS, acquisteremo titoli già esistenti o di nuova emissione che siano semplici, trasparenti e reali, nel senso che si basano su prestiti al settore privato non finanziario dell’area dell’euro.

:::::::::::::::

Nel complesso, le decisioni annunciate la settimana scorsa sono finalizzate a favorire il saldo ancoraggio delle aspettative di inflazione a medio-lungo termine, in linea con il nostro obiettivo di mantenere i tassi di inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2%. Ci attendiamo che i due programmi di acquisto integrino in modo efficace le OMRLT nel rafforzare il funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria e nel realizzare un ulteriore accomodamento monetario, avendo ormai raggiunto il limite inferiore. Le nuove misure, insieme alle OMRLT, avranno un notevole impatto sul nostro bilancio, che si dovrebbe portare in prossimità delle dimensioni raggiunte agli inizi del 2012, e il Consiglio direttivo è pronto a intervenire ulteriormente, se necessario, in conformità con il suo mandato di mantenere la stabilità dei prezzi.::::::

Michel Sapin, Ministro delle Finanze, francese

Présentation du projet de loi de finances pour 2015 - 01/10/2014

[ Extraits du livret "L'essentiel du PLF 2015" à télécharger ci-contre ]

Le soutien à l’emploi et à l’investissement grâce au Pacte de responsabilité et de solidarité

Le Pacte de responsabilité et de solidarité poursuit et amplifie les mesures engagées depuis 2012 en faveur de l’emploi et de l’investissement. Après la mise en œuvre du crédit d’impôt pour la compétitivité et l’emploi (CICE), le Pacte mobilise plus de 20 milliards d’euros supplémentaires sur trois ans pour permettre aux entreprises de retrouver les marges nécessaires pour embaucher, former leurs salariés, investir et innover.

Un effort d’une ampleur inédite : 50 milliards d'euros d’économies en trois ans dont 21 en 2015

Le plan d’économies de 50 milliards d'euros présenté en avril dernier par le Premier ministre sera mis en œuvre dès 2015 avec un premier effort de 21 milliards d'euros pour l’année prochaine qui se poursuivra en 2016 et 2017 avec 14,5 milliards d'euros d’économies supplémentaires chaque année. Il vient amplifier les économies déjà réalisées en 2013 et 2014. La mise en œuvre de ce programme d’économie permettra de limiter la croissance moyenne des dépenses publiques à 0,2 % en volume sur la période 2015-2017 (hors crédits d’impôts).

Une baisse des dépenses de l’Etat et de ses agences

L’Etat et ses agences assumeront une économie nette totale de près de 19 milliards d'euros, dont 7,7 milliards d'euros d’économie dès la première année permettant une réduction des dépenses des ministères de 1,8 milliard d'euros dès 2015 et de 2,3 milliards d'euros à horizon 2017 en euros courants.

Une contribution des collectivités territoriales à la hauteur de leur poids dans les finances publiques

Les dotations budgétaires versées par l’Etat aux collectivités territoriales baisseront en euros courants de 11 milliards d'euros à horizon 2017, à un rythme régulier de 3,7 milliards d'euros par an (après une première baisse de 1,5 milliard d'euros en 2014). Cet effort permet de ramener la progression de l’ensemble des ressources des collectivités à un rythme proche de l’inflation sur les trois prochaines années.

La maîtrise des dépenses de protection sociale

Dans le cadre de la stratégie nationale de santé (SNS), l’Objectif national des dépenses d’assurance maladie (Ondam) verra son taux d’évolution abaissé à 2 % en moyenne sur la période 2015-2017, soit un effort global d’économies de 10 milliards d'euros sur trois ans.

Le projet de loi de programmation des finances publiques 2014-2019

Des économies sont nécessaires pour le redressement des comptes et le soutien à l’emploi et à l’investissement.

La politique budgétaire du Gouvernement repose sur deux piliers :

   - la réduction du déficit structurel par des économies en dépenses, qui doit permettre de ramener le déficit public sous la barre des 3 % en 2017 et d’atteindre en 2019 l’objectif de moyen terme (OMT), au sens du Traité sur la stabilité, la coordination et la gouvernance (TSCG) au sein de l’Union économique et monétaire, soit un déficit structurel inférieur à 0,5 point de PIB ;

   - la mobilisation de moyens exceptionnels en faveur de l’emploi et de l’investissement, en particulier avec la mise en œuvre du crédit d’impôt pour la compétitivité et l'emploi (CICE) et du Pacte de responsabilité et de solidarité.

NINO LUCIANI, Si dovrebbe dire forte e chiaro che, anche in Italia, la priorità è il taglio del grado di socialismo del sistema economico.

1. Il mito delle riforme. Ognuno può constatare la unanimità, in Italia, sulla necessità delle riforme, ma senza dire cosa sarebbero in pratica.
   Le scelte pubbliche, per loro natura, avvantaggiano alcuni e danneggiano altri. La spiegazione della unanimità deriva, dunque, dal fatto che ognuno le immagina a modo suo, pur essendo le riforme della sinistra di segno ben diverso da quelle della destra.
   In questo discorso a Milano, Draghi ha parlato chiaro e breve, ma credo in modo troppo didattico. Una vera assunzione di responsabilità fa una graduatoria di priorità.
   In questi giorni, poi, è sopravvenuta una presa di posizione nettamente contro vento, da parte del governo francese, vale dire contraria alla austerity, e avversata dal governo tedesco.
 
Rivediamo le cose per gradi.

2.- Draghi
. Egli ha detto che per il rilancio dell'economia, l'obiettivo è il rilancio degli investimenti, ma poi ....
   Keynes ci aveva insegnato che gli investimenti dipendono dalle aspettative di ottimismo degli operatori.

   Se adesso facciamo mente locale all'elenco delle condizioni di Draghi, per indurre all'ottimismo, troviamo facilmente che l'elenco è casuale, mentre in realtà una di esse viene prima di tutte le altre: la fiscalità, legata all'eccessivo grado di socialismo del sistema.
   E, difatti, i conti in ordine sono un problema di ragioneria (come sembra ritenere la sig.ra Merkel), ma anche un problema economicio (come vuole Sapin). Perchè mai uno dovrebbe comprare il lavoro, il capitale finanziario, ... a più basso prezzo (come Draghi sollecita), se poi lo Stato sottrae all'imprenditore il 65% dell'utile, dopo di che (con il 35% che rimane) egli dovrà provvedere a se stesso..., alla famiglia,... ad accantonare per il reinvestimento nell'impresa.

  3.- Vediamo meglio. Sia chiaro che lo Stato non toglie soltanto (con le imposte), ma anche dà (con la spesa). Es., lo Stato dà le infrastrutture, la scuola, la sanità, la giustizia, la difesa, l'ordine pubblico, fa la intermediazione sociale (tra impresa esindacato, e tra imprese), ... .   
  Tuttavia, ci si domanda: in Italia, lo Stato dà almeno quanto prende ?

  Non esistono parametri specifici per misurare l'apporto dello Stato al PIL (meglio dire, l'ISTAT misura il V.A. della PA facendo la somma delle retribuzioni pagate al personale, e aggiungeno un calcolo presunto degli ammortamenti dei beni strumentali).
   Sta di fatto che le inefficienze della PA italiana sono "infinite", a cominciare dai troppi enti-doppioni (vedi Stato e Regioni), dalle tangenti, dalle retribuzioni dei partiti, dalle opere pubbliche cominciate e abbandonate, dalle liste d'attesa nella sanità, che oggi sono più lunghe di quelle di 10 anni fa, quando la spesa sanitaria era minore di quella di oggi.
   Sta anche di fatto che la pressione fiscale (44,4% del PIL in media) è il doppio di quella degli Stati Uniti. Si guardi a questa tabella.

2015

Pressione fiscale
in % del PIL

Italia 44,4%
Gran Bretagna 35,2%
Stati Uniti 24,3%
Media Paesi OCSE 34,6%
Fonte: OCSE  

  Alla spesa pubblica in senso stretto va aggiunto il numero eccessivo di imprese pubbliche, generatrici di disavanzi, che molte volte non sono conteggiati nel calcolo del rapporto deficit/PIL.
   Se, infatti prendiamo il rapporto (più realistico) spesa pubblica/PIL, come misura della  pressione fiscale si arriva al 55%, e si va anzi più su, se ci mettiamo anche (giustamente) il tasso di inflazione (2%-4%).
  
4.- Veniamo al Governo Francese. Se ci si ferma alla prima frase (NO alla austerity), si percepisce un messaggio confuso.
   Se, invece, si approfondisce, e si trova che il deficit di bilancio (4,4% del PIL) non deriva dal fatto che il governo francese vuole aumentare la spesa pubblica (ferme le imposte attuali).
   Quel saldo è invece il risultato contabile di minori imposte e di minori spese pubbliche, di cui le une sono maggiori delle seconde.
   In altri termini, il governo francese vuole calare le imposte, altrimenti, gli operatori non investono (e questo è il nostro discorso iniziale). E' qualcosa che ha odore di Reagan-economics.
   Per fare questo deve calare le spese pubbliche (anzi colpire lo Stato sociale), ma non più di tanto (altrimenti creerebbe dei grandi problemi sociali: disoccupazione degli statali).
   Si direbbe che il Governo francese è nel giusto, anzi noi ne sappiamo qualcosa perchè il governo MONTI fece il contrario (aumentare le imposte, ferme le spese) e ha fatto guai recessivi, a parte gli aspetti strettamenti legati al pericolo di default. In questo senso occorrerà cominciare, finalmente a ridurre il grado di socializzazione del sistema economico, un lusso che non possiamo pemetterci.
     La scommessa è che il PIL riprenderà a crescere, e il rientro del deficit (al 3%) diverrà realistico (e la sig.ra Merkel sarà contenta).

NINO LUCIANI

 

EDIZIONI PRECDENTI

Nuovo parlamento europeo e attese sul fronte dell' EURO, dopo intervista PADOAN a FT

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J.C.Juncker

Un  Governo di "Grosse Koalition" Juncker-Schultz,
con Jean Claude JUNCKER  Presidente,
per riformare il Trattato di Maastricht ?

Attesa una teatralità forte dagli oppositori dell'EURO.

LUCIANI: Per l'Italia, il riferimento valido è la tesi di PADOAN, nell'intervista al F.T. ,
ossia "la  ripresa passa per un "aumento della inflazione e un euro più debole".
COME FUNZIONEREBBE LA SVALUTAZIONE dell'EURO ?

Ma, prima, ricordo Keynes, a proposito del debito tedesco nel 1920-21

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J.C.Juncker

 NINO LUCIANI, La situazione del nuovo parlamento europeo è un vero scossone alla situazione precedente.  Oggi c'è dentro GRILLO e c'è dentro il greco TSIPRAS. Soprattutto:
- l'INGHILTERRA (che di certe cose se ne intende) va cercando un prestesto per uscire dalla UE (non ama Juncker ? ).
- il 31 maggio, VISCO, Governatore di B.d'I. aveva detto: "Per l'ITALIA le prospettive restano pessimiste";
- iero, 2 giugno, OLLI REHN ha replicato: "OK a un ritardo nel rientro deficit di bilancio, ma il taglio della spesa pubblica resta urgente, precisamente, per il 2104, mancano 9 miliardi per la riduzione concordatta del debito pubblico.
CONCLUSIONE: Dove non sono  riusciti BERLUSCONi, MONTI, LETTA, come potrebbe riuscire RENZI ? Per la cura da cavallo di Bruxellles, servirebbe un governo di legislatura, cosa che non c'è in Italia, in quanto per Costituzione il governo è soggetto alla fiducia delle Camere, revocabile in ogni momento. Ma anche la riforma costituzionale della governance è in alto mare
LA VIA DI USCITA. Preso atto che, in una repubblica democratica parlamentare, non è possibile sbloccare una grande crisi economica (come quella di oggi) usando il solo potere fiscale (prelievo e spesa), serve la complicità del potere monetario , ma che sta in mano a BRUXELLEs, a parte che  questa storia italiana di crisi ha radici nel commercio estero, già dal 2002 (arrivo Euro).
  Ne deriva che, se l'attesa Grosse Koalition non vorrà ridiscutere il Trattato di Maastricht,  l'Italia sarà costretta a denunciare  il Trattato, in modo da imporne la rinegoziazione, d'intesa con i Paesi dell'Europa meridionale.

UNA SINTESI DELLE POSSIBILITA' DI SCELTA
I Candidati a Presidente del Governo dell'UE

preso atto di risultati elettorali, in cui
NESSUNO ha  la maggioranza assoluta

  Seggi
1.- PPE, CRISTIANO-DEMOCRATICI e CONSERVATORI (JEAN CLAUDE JUNCKER ) 274
2.- PSE (MARTIN SCHULTZ ) 196
3.- ALDE, Alleanza Liberali e Democratici (GUY VERHOFSTADT) 66
5.- VERDI (JOSE' BOVE' e SKA KELLER ) 52
4.- GUE/NGL SINISTRA EUROPEA,   ALTRA EUROPA per Tsipras (ALEXIS TSIPRAS); 42
   
   
TOTALI 751
NINO LUCIANI, Il problema di base è che l'attuale governo parlamentare non può riuscire a sbloccare la crisi economica usando il solo potere fiscale (prelievo e spesa). Serve la complicità del potere monetario, oggi in mano a Bruxelles. Non è problema di chiudere un occhio su deficit di bilancio e debito pubblico, ma di cancellare il debito svalutando l'Euro di un buon 20% .

1. Premessa. J.M. Keynes fece parte, negli anni 1920-21, della delegazione del governo inglese, per il trattato di pace con la Germania, pur se non arrivo' al termine delle trattative, perchè si ammalò. Ma quella sua partecipazione temporanea non avvenne senza lasciare tracce, che Keynes aveva fissato (1919) in un libretto (Le conseguenze economiche della pace), rimasto celebre, e che anticipava la sua "General Theory" del 1936.
  In parole brevi, l'Inghilterra era molto determinta ad ottenere (e infine ottenne) dalla Germania il risarcimento di pesanti danni di guerra, sotto forma di un pesante debito pubblico, al proprio interno, per un prolungato periodo tempo (ciò che, poi, scatenerà il sentimento di rivalsa dei tedeschi, poi sfociato nella seconda guerra mondiale).
   Ma Keynes si oppose. Egli sostenne che la Germania si sarebbe trovata addosso un fardello mortale, che l'avrebbe condannata alla stagnazione per lunghi anni, determinando anche un danno per l'Inghilterra sotto il profilo della caduta verticale delle importazioni tedesche dall'Inghilterra.
   Fatta la premessa, segnalerei alla Germania di riflettere sui danni alla Germania, derivanti da una prolungata stagnazione dell'Europa meridionale (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, Cipro...).

    2. Molti invocano riforme per l'Italia, ma senza chiarezza degli intenti. Le riforme principali, chieste in Italia, riguardano la Pubblica Amministrazione centrale e locale. La chiave è il taglio della spesa pubblica, in modo da riportare al 40% (dal 50% attuale) la pressione fiscale.  Ma ci sono grandi differenze sulle modalità. Ad es.:
  a) ci sono quelli che invocano economie di spesa della PA, a parità di servizi pubblici, e da ottenere con una maggiore efficienza della gestione.   Ahimè, tra questi ci sono anche i giovani confindustriali, ma che è una strada totalmente illusoria e ingannevole, in quanto la Pubblica Amministrazione ha, per sua natura, sacche di inefficienza (lavoro lento, giri burocratici infiniti per verificare la "correttezza tecnica" dei progetti, duplicazione di enti che fanno le stesse cose...), impossibili da eliminare significativamente.
   Devi, poi, considerare che uno Stato socialista è, per sua natura, comandato dai partiti e dall'alta burocrazia, e che già abbiamo ben constatato essere essi espressione di non poca ruberia legalizzata, (almeno il 20% del PIL).
   b) e ci sono quelli che puntano su un deciso taglio del peso dello Stato nellì'economia, a favore della economia di mercato (vale dire, meno servizi pubblici gratuiti, privatizzazzioni delle imprese pubbliche). E' la strada vincente per la crescita, quella di smantellare significativamente questo Stato socialista, sia pure senza esagerare sul fronte opposto
   Con meno Stato diviene, poi, possibile concentrare le forze, per migliorare lo Pubblica Amministrazione. Lo Statale lavora di più e meglio se investi sul suo senso di responsabilità, moralità, patriottismo, e devi dargli una retribuzione non frustrante se non vuoi che faccia il doppio lavoro (quello privato, in aggiunta a quello pubblico). L'idea, poi, di controlli fondati sul tecnicismo non funziona, perchè presuppone che qualcuno abbia un vantaggio monetario dal farlo funzionare, e questo qualcuno non c'è nella PA (come nelle imprese private).
   Se posso dire, ho fatto (qualche anno fa) uno studio teorico e pratico sul modo di riformare la PA e l'avevo inviato a Brunetta (allora ministro della riforma della PA), e che non si degnò di una risposta. Clicca su:
http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf, p. 577.

   3. Ma   non puoi riuscire a tagliare drasticamente  la pressiobe fiscale, senza la copertura della politica monetaria (che è in mano alla UE). Non puoi tagliare all'improvviso la spesa pubblica, perchè non puoi licenziare, di punto in bianco, il 20% degli Statali, senza dare il tempo di trovare una alternativa.
   In questo senso, non c'è un Renzi che tenga (perchè scoppierebbe la rivoluzione), senza la copertura "monetaria" della UE, in quanto l'Italia ha ceduto alla UE il potere monetario.
  Prima conclusione: Se vuoi riportare la pressione fiscale al 40%, devi avere l'appoggio della politica monetaria, vale dire devi denunciare il Trattato di Maastricht, per modificarlo. La BCE deve diventare indipendente dagli Stati e deve diventare "prestatore di ultima istranza".
   Questo vuol dire fabbricare Euro aggiuntivi per comprare titoli di Stato sul mercato primario, a costo di creare inflazione, qualora vi siono le condizioni economiche, ossia molte risorse disponibili, ma inutilizzate (vale dire imprese chiuse, disoccupazione...).

4.- Quanta inflazione per far quadrare i conti ? Facciamo una botta di conti.
   Obiettivo. Assumiamo che la pressione fiscale vada   portata in due anni al 40% del PIL.
   I dati. Oggi il PIL è di € 1.560 miliardi di Euro, il debito pubblico è € 2.069 miliardi, la spesa pubblica è di € 799 miliardi,  il disavanzo di bilancio è € 47,3, pari al 3% del PIL (Vedi Bollettino Economico B.d'I., 2/2014, p. 36-37).
  Risultati. Assumiamo che la BCE possa fare fabbricare euro aggiuntivi per finanziare debito pubblico non collocato sul mercato primario (ad es. titoli emessi per pagare il debito in scadenza), e di conseguenza ci sia una inflazione del 20% (vale dire il livello generale dei prezzi aumenti del 20%.
   Le conseguenze sono:
   -  il PIL (a prezzi correnti) diviene: 1560*1,2= 1.872;
   - il rapporto Spesa/PIL : 43%
   - il rapporto debito/PIL : 110%.
  Dato il nuovo rapporto Spesa/PIL, la pressione fiscale può essere ridotta al 40%; e il rapporto disavanzo/PIL al 2,5%.
  Nota.
La tassazione consiste di aliquote ad valorem (salvo per le imposte fisse per quantità, tipo imposte di fabbricazione), e pertanto (per non cadere nell'inganno di aumentare in automatico il prelievo fiscale) occorrerà adeguare, al ribasso, tutte le aliquote.

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Per i cultori di Economia della Finanza Pubblica:

  Disponible in internet in lingua inglese e italiana (con accesso gratuito alla Biblioteca digitale dell'Alma Mater), il libro di Scienza delle Finanze di Ernesto d'Albergo (1951), presentato da Domenico da Empoli, e con introduzione di Nino Luciani all'opera scientifica di Lui. 
  Ernesto d'Albergo (nato a Noto nel 1902, e  ivi riposa) è il più rappresentativo tra gli economisti italiani di Scienza delle Finanze del secolo scorso.
  La pubblicazione, prima in italiano e oggi in inglese è un atto doveroso per il progresso degli studi finanziari in Italia e nel mondo.
  Essa, oltre che un libro rigorosamente scientifico, è una vera enciclopedia scientifica internazionale, nella quale tutti gli studiosi italiani ed esteri hanno trovato considerazione e collocazione scientifica.

Per l'accesso, clicca su: http://amsacta.unibo.it/2571/

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Key words: elezioni europee, i candidati a Presidente del Governdo delle UE, Juncker, Schultz, Tsipras,   troppo Stato in Italia, BCE, euro nuovo

ELEZIONI EUROPEE - UNA GUIDA PER VOTARE

 

I CANDIDATI  DI ALTERNATIVA
for
PRESIDENT  DEL  GOVERNO  EUROPEO

LUCIANI:  Il nodo da sciogliere è se possa continuare la dipendenza della politica fiscale (prelievo e spesa)
dalla politica monetaria,
o se, invece, possa esserci anche il contrario.

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Tsipras, il greco

J.C.Juncker

M. Schultz

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UNA SINTESI DELLE POSSIBILITA' DI SCELTA
(Ripresa da Televideo-RAI, pag. 117)

I Candidati a Presidente del Governo dell'UE:

1.-   JEAN CLAUDE JUNCKER (PPE, CRISTIANO-DEMOCRATICI e CONSERVATORI): in Italia UDC, NCD, FORZA ITALIA

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2.- MARTIN SCHULTZ
(PSE): in Italia il PD

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3.- GUY VERHOFSTADT
(ALDE, Alleanza Liberali e Democratici): in Italia, SCELTA EUROPEA

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4.-  ALEXIS TSIPRAS
, (GUE/NGL SINISTRA EUROPEA), ALTRA EUROPA per Tsipras;

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5.- JOSE' BOVE'
(verdi) e SKA KELLER (Verdi)

NINO LUCIANI, Il problema di base rispetto ai quali si dovrebbero valutare i partiti e i candidati:  "sì o no alla separatezza tra politica monetaria a politica fiscale (prelievo e spesa)".

1. Premessa. I candidati dovrebbero essere scelti, in primo luogo  per la capacità e serietà personale, e poi per il progamma che propongono.
  Circa le persone, mi pare (per quanto si è visto TV e sui giornali) che sui tre candidati più in vista, non ci sia discussione.
   Juncher , lussemburghese, sotto il profilo politico ha subito di recente un severo esame, superato brillantemente. E'   tacciato come "amico della Merkel". Credo che questo non sia un demerito, soprattutto perchè Juncher sembra un uomo di assoluto equilibrio e intelligenza, e a nessuno sara' facile imbacuccarlo.
   Schultz mi è sembrato un uomo di profondi sentimenti umanitari. Essendo, poi, egli tedesco e della sinistra, egli è un candidato affidabile, per chi non ama la Merkel, a parte che è tedesco anche lui, e potrebbe comunque amare la Germania, più che l'Italia.
  Guy Verhofstadt vuole fare un referendum sull'euro. Di lui non so altro.
  Tsipras, il greco, quello sceso in piazza contro l'austerità, a suo tempo, ad Atene. Mi piace molto (come i nostri "grillini"), in quanto sono "grilli parlanti", che segnalano le situazioni e le insufficienze dei governanti. Non è poco, al momento. E se qualcuno non li vuole, basta che questo qualcuno risolva i problemi.

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2.- Le scelte.
Distinguiamo le scelte di quadro  e le scelte del momento.
a) le scelte di quadro.  Sono scelte di quadro il mercato comune europeo e l'unione politica.
  Considerato che queste scelte hanno salvato, dal 1945, l'Europa da nuove guerre, e che è molto meglio discutere intorno a un tavolo, che distruggerci con  milioni di morti, direi che  dovremmo confermarci europei.
   Circa l'unione politica, credo che dovremo confermarci federalisti, salvo invece europeizzare maggiormente alcune scelte di marcata rilevanza internazionnale (difesa, affari esteri, università, interventi pubblici per le aree depresse).

  Circa la conferma della cessione del potere monetario (Euro) dell'Italia alla UE, ci sono evidenti motivi di ridiscussione del Trattato di Maastricht, per il fatto che siamo afflitti da anni, ormai, da una grave crisi economica e sociale, e non ne vediamo l'uscita.
  b) le scelte strategiche da impostare subito: ridimensionare la socializzazione del sistema economico. Fare chjarezza sulla diagnosi è l'unico presupposto valido per proporre terapie.
   I Paesi in maggiore difficoltà sono quelli in più alto grado di socialismo. Quanto è avvenuto nell'URSS, l' abbiamo anche noi, sia pur in proporzione al grado di socialismo (95% in URSS, 60% in Italia).
  La crisi non deriva dai principi egualitari e umanitatri del socialismo, ma dal fatto che uno Stato socialista è in  mano ai partiti e alla burocrazia, che sono maestri nell'infilare nella Pubblica Amministrazione i loro interessi personali.
   Uno Stato in avanzato stadio di socializzazione è destinaro a divenire uno Stato corrotto, dopo la fase vergine, iniziale.
   Dunque, la scelta strategica per risolvere la crisi è privatizzare le imprese pubbliche non strategiche e abbattere la spesa pubblica e la pressione fiscale, da ridurre al 40% (dal 55% attuale).

c) come tornare ad una Stato normale. Un programma di destatalizzazione non puoi attuarlo con strumenti normali  in meno di 10 anni, perchè non puoi abbattere la spesa pubblica e il fisco in meno tempo, vale dire non   puoi licenziare di punto in bianco il 30% degli statali, senza una aternativa.
   La Germania ha inserito la Germania dell'OVEST nella propria economia di mercato in 20 anni. Dunque, la Signora Merkel  cerchi di capire l'Italia, se vuole averci sempre con  lei in Europa.

d) Cosa si può fare con un diverso potere monetario ? Non puoi fare una politica monetaria efficace senza il sostegno della politica fiscale (prelievo e spesa): e infatti c'è il continuo invito agli Stati a fare le riforme, proprio per questo. Ma vale anche il contrario: non puoi fare una efficace politica fiscale senza il sostegno della politica monetaria.
   Più precisamente, il potere monetario serve ad agevolare la trasformazione senza gravi traumi sociali, e dunque va permesso  al potere monetario di assistere il potere fiscale: devi svalutare l'Euro di un buon 20% (l'Inghilterra ha svalutato la sterlina, di un 30%).
   Perchè, dunque, si insiste nel chiedere solo l'adeguamennto della politica fiscale alla politica monetaria ?
    In verità, in base al Trattato di Maastricht, non puoi chiedere che la politica monetaria sostenga quella fiscale, e questo è sbagliato: le due non sono separabili, anche dal punto di vista logico, perchè interdipendenti.

  Nel cedere all'UE il potere sovrano sulla moneta, l'Italia non l'ha trasferito tale e quale dalla B.d'Iralia alla BCE. Questa può fabbricare Euro ma solo come intermediario degli scambi, e con il limite di non creare inflazione.
   Ma, per non demolire l'economia italiana, l'Euro dovrà cambiare e la BCE dovrà essere cambiata, e precisamente:
   - la BCE dovrà essere realmente autonoma dagli Stati;
   - e dovrà poter essere prestatore di ultima istanza degli Stati, laddove ci sono le condizioni (risorse inutilizzate).

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EDIZIONI PRECEDENTI

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ANDAMENTO DELLA SPESA LOCALE NEL 2003-2012

Una verifica degli effetti della legge GELMINI-Berlusconi n. 240/2010, sul bilancio

Fonte: Nucleo di Valutazione, Relazione al Conto Consuntivo 2012.
            Approvata in data 25 ottobre 2013

Nota. Riporto qui sotto una estrema sintesi della relazione, vale dire la premessa e le conclusioni, e vi associo due grafici essenziali, quello relativo all'andamento della spesa (preso dal consuntivo) e quello relativo all'andamento delle iscrizioni degli studenti, nel periodo 2003-2012.
    Si nota un inizio di blocco dello sviluppo dell'Ateneo dal 2008 (anno di inizio del bombardamento del governo Berlusconi sulla Università). Lo l'andamento tuttora declinante (da 10 anni) del numero degli studenti conferma una caduta strutturale delle prestazioni agli studenti (già in atto).

    Segnalo che gli "apparenti" avanzi (che si rilevano nella relazione, p. 30) sono dovuti a fatti contabili, collegati con spese impegnate (non ancora pagate) ed entrate attese  (ma in ritardo).
    Devo segnalare che la presa di petto dell'università italiana, da parte dei vari governi di sinistra e di destra, comincia nel 2002.  Infatti in quell'anno il FFO- Fondo di finanziamento ordinario fu di 6,2 miliardi, ed   attualmente sta intorno ai 7 miliardi di €. Se ricordiamo che l'Euro ha raddoppiato i prezzi, per essere oggi  in termini reali come nel 2002, il FFO dovrebbe essere oggi intorno ai 13 miliardi.


P.S. Sono venuto a conoscenza, casualmente, di questa relazione, in quanto la legge obbliga le università a pubblicarle. Ma altro, (o poco altro), non è dato conoscere perchè l'attuale Rettorato ha secretato l'accesso ai verbali del CdA e del Senato, per gli esterni e quasi tutti gli interni. Questo mi sembra poco corretto, in termini di democrazia, e dannoso all'Ateneo. Nino Luciani
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.Nota. La cifra (€ 776,3) del 2012 è minore di quella del Nucleo, per il quale l'avanzo è 212,6 ( in luogo di € 73,6 milioni, da me assunto, ma evidenemente errato), e che alzerebbe a 915,3 la spesa.

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Relazione del Nucleo
Componenti: Giacomini Università di Bologna Rappresentante del consiglio degli student;  Muzio Gola Politecnico di Torino Presidente;  Achille Basile, Università degli Studi di Napoli "Federico II" Componente;  Rosa Maria Bollettieri Bosinelli In quiescienza - Alma Mater Studiorum Università di Bologna Componente; Carlo Arrigo Umiltà In quiescienza - Università degli Studi di Padova Componente

Par. 1 e Par.4
( Per una lettura integrale, clicca su: Nucleo)

1. PREMESSA

Il Nucleo di Valutazione, in ottemperanza a quanto disposto dall'art. 5 co. 21 della L. 537/93, ha esaminato il conto consuntivo dell’Ateneo, con alcuni cenni sul consolidato interno, relativo all’esercizio finanziario 20121, approvato dal Consiglio di Amministrazione in data 28 maggio 2013. La relazione che segue adotta il modello definito dal Nucleo precedente, cui sono apportati opportuni aggiornamenti e miglioramenti.

Il primo capitolo analizza il consolidato finanziario di competenza che riguarda l’amministrazione generale e le strutture con autonomia di bilancio, inclusi i bilanci speciali (eredità, premi e lasciti).

Il secondo capitolo centra l’attenzione sul bilancio della sola amministrazione generale, presentando un focus sulle principali voci di entrata, in particolare sul Fondo di Finanziamento Ordinario (inserendo una panoramica sul contesto nazionale del finanziamento pubblico del sistema universitario) e sulle entrate contributive.

Continua: Relazione

Relativamente al bilancio dell’Amministrazione Generale, le analisi effettuate su fonti di entrata e destinazioni di spesa, fanno riferimento ai valori dell’accertato e ai valori dell’impegnato, al netto delle seguenti voci:

• partite di giro;

• rapporti con enti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale per il personale (tali voci consistono nelle entrate che provengono dalle Aziende ospedaliere per finanziare le spese relative al personale universitario che opera presso le strutture ospedaliere e gli enti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale);

• operazioni di automutuo contabilizzati per un totale di:

- 4,8 milioni di euro di restituzioni. Le quote di restituzione relative alle rate di ammortamento di automutui relativi ad esercizi precedenti sono pari a 1,44 milioni di euro corrispondenti a tre quote di ammortamento per la realizzazione del Polo delle Neuroscienze;
- 1,61 milioni di euro corrispondenti a quattro quote di ammortamento relative alla restituzione al bilancio delle Eredità, Premi e Lasciti;
- 330 mila euro corrispondenti a otto quote di ammortamento relative alla variante dei lavori di risanamento dello Studentato ex Palace Hotel – Rimini;

1,45 milioni di euro corrispondenti a tre quote di ammortamento relative all’autofinanziamento per interventi edilizi.

::::::::::::::::::::::::::

4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

L’esame del bilancio consuntivo dell’esercizio 2012 dell’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna conferma, innanzi tutto, che la qualità delle attività di ricerca e di didattica sviluppate dall’Ateneo hanno permesso, nell’assegnazione del FFO 2012, di contenere al di sotto del mezzo punto percentuale la riduzione dei trasferimenti rispetto al 2010. Ciò a fronte di un’omologa riduzione dell’intero sistema universitario nazionale nettamente superiore.

La soddisfacente performance di bilancio dell’ateneo è il risultato principalmente dei seguenti elementi:

A. la proseguita riduzione della spesa del personale intorno al 5% sia per quello accademico sia tecnico-amministrativo.

B. il sensibile recupero, considerato il quadro della finanza pubblica nazionale, nella quota di FFO dovuto alle componenti premiali; componenti che permetterebbero l’accesso a risorse ben superiori in un modello nel quale l’avvicinamento alla distribuzione teorica di FFO fosse consentito a velocità superiori rispetto a quanto le norme oggi prevedano.

C. la riduzione della spesa per attività istituzionali rispetto all’esercizio precedente che però non ha riguardato l’impegno diretto verso la generalità degli studenti (didattica e interventi a favore degli studenti e, si ritiene, acquisizione beni durevoli) che risulta incrementato, mentre si registra una riduzione sul versante del sostegno della ricerca (borse di dottorato) dovuta sostanzialmente ad una minore entrata "una tantum" dal MIUR (nel 2011 era stata impegnata una quota pari a 2,6 mln di euro) e ad una somma pari a 1,14 mln di euro non impegnata nel 2012 e riportata nel 2013, nonostante :

D. non si sia, ovviamente, potuto, rinnovare l’effetto degli incentivi introdotti nel 2011 (soluzione monorata annuale) sulle entrate contributive; entrate comunque ridotte in forza del diminuito numero di immatricolati ed iscritti, secondo peraltro una tendenza che si riscontra a livello nazionale.

E. una notevole diminuzione dei trasferimenti esterni diversi dal FFO.

Tuttavia questo Nucleo ritiene di dover sottolineare che la performance di bilancio non è una variabile di giudizio indipendente per un’istituzione pubblica di alta formazione e ricerca.

In un clima di continuo ridimensionamento del finanziamento ordinario, di accesso al finanziamento privato reso difficile sia dalla contingente crisi economica sia da un’avversa tradizione italiana, di turnover che, pur raggiungendo nel caso dell’Università di Bologna un 33

ragguardevole 32 % di punti organico reimpiegabili, è inadeguato a garantire un equilibrato ricambio o lo sviluppo di nuove linee di ricerca, una buona performance di bilancio può purtroppo accompagnarsi all’impossibilità per un ateneo che come quello bolognese negli ultimi anni ha già ben più che eliminato il superfluo, se mai era da considerare tale, di compiere in modo pieno le missioni di promozione del progresso dell’arte e della scienza libere e del loro insegnamento.

L’auspicio è che l’Università di Bologna prosegua nella propria buona gestione del bilancio continuando a garantire l’attuale ottimo livello qualitativo delle attività didattiche e scientifiche.b

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EDIZIONI PRECEDENTI

LEGGE DI STABILITA' : la CORTE DEI CONTI,  in   AUDIZIONE al PARLAMENTO il 29 ott. 2013

 

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.                                              SECONDO LA  CORTE  DEI  CONTI :
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-  "recuperare i ritardi   accumulati sul terreno delle riforme" ;
-  "basarsi su un ridisegno, frutto di una forte volontà politica" e di "una nitida visione circa il profilo
     che si intende assegnare al sistema pubblico dei prossimi decenni".
.Nino LUCIANI :
1) Sanità, un campo per una urgente rewew. Ma questo andrebbe a toccare le
intoccabili Regioni ..., il cui potere legislativo va abolito, e da trasformare in pilastri amministrativi locali, sovra-ordinati ai Comuni. (Province da abolire)..
2)
"Forte volontà politica" ? Ma questo presuppone governi di legislatura, oggi impossibili.
3) Una
summary view dei problemi di transizione dallo "Stato al Mercato", ma  con regole....
   Nota. Le tre tabelle sottoriportate evidenziano una contraddizione: a) da un lato sono diminuiti negli ultimi dieci anni i posti letto e i ricoveri ospedalieri; b) ma da altro lato è andata sempre crescendo la spesa sanitaria (salvo nel 2011) .
   Pur se, per dire con più fondamento, occorrerebbe guardare dentro quelle cifre, in modo da dettagliare il peso delle varie prestazioni mediche e strumentali (tipo radiografie, ecc. ), i posti letto e i ricoveri sono espressioni sintetiche validissime dell'insieme delle prestazioni.
   Si vegga sotto: a) il punrto di vista della Corte; b) un commento di Nino Luciani .

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Fonte: Istat (annuari) per la spesa, e Ministero della Salute (annuari) per i posti letto e i ricoveri.

CORTE DEI CONTI SEZIONI RIUNITE IN SEDE DI CONTROLLO AUDIZIONE SULLA LEGGE DI STABILITÀ PER L'ANNO 2014 COMMISSIONI BILANCIO RIUNITE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA E DELLA CAMERA DEI DEPUTATI 29 ottobre 2013 (Stralcio delle conclusioni)

Considerazioni conclusive. Con la manovra affidata alla Legge di Stabilità, che copre l'intero arco triennale 2014-2016, si pongono le condizioni per una tregua fiscale, basata, tuttavia, su una dose elevata di "deterrenza":
  -  l'individuazione di tagli significativi alle agevolazioni fiscali
  -  e l'apposizione di clausole di salvaguardia rappresentano un monito stringente per l'effettiva attuazione di quelle modifiche organizzative tante volte annunciate ma che ancora attendono un compimento.
    Non spetta alla Corte indicare quali scelte effettuare.  Ma non può essere taciuta l'urgenza, per l'intero sistema economico nazionale, di interventi diretti a recuperare i ritardi finora accumulati sul terreno delle riforme.

   L'elenco è vasto: si va dal ridisegno delle competenze e delle strutture di governo del territorio, al destino da riservare alle società costituite negli anni dalle Amministrazioni locali, oggi diventate in parte elementi fondamentali nella produzione dei servizi, ma anche espressione di rilevanti squilibri nascosti.
   Così come la riforma del sistema di funzionamento delle autonomie territoriali è, da oltre quattro anni, in attesa di un assetto stabile su cui fondare la gestione e valutare il contributo da queste fornito agli equilibri complessivi sia in termini programmatici che gestionali.

   Il sistema fiscale, infine, è impegnato nella definizione di interventi in grado di garantire "la fedeltà fiscale" del contribuente e sembra muovere decisi passi avanti con la legge delega all'esame del Parlamento.  Ma, allo stesso tempo, rischia di vedere vanificati i risultati programmati, soprattutto in ragione dei frequenti impulsi contraddittori cui esso è sottoposto.

   Come detto in precedenza, è oggi indispensabile uno sforzo straordinario mirato al recupero di ulteriori margini di risparmio, sia da destinare a una riduzione del carico fiscale, che ad incidere sulle carenze più evidenti nella qualità dei servizi pubblici.
   I tagli previsti, già nell'immediato, per la spesa delle Amministrazioni centrali rappresentano la presa d'atto (e in certa misura la dimostrazione) della difficoltà di ottenere nel breve periodo riduzioni significative di spesa. Come la Corte ha sottolineato nel Rapporto sul coordinamento nel maggio scorso, il percorso di aggiustamento richiede, in tutti i settori, una attenta selezione degli interventi da attivare per ridurre l'intermediazione pubblica, siano essi tagli di spesa o benefici fiscali. Incidere ancora sulla spesa delle Amministrazioni locali è complesso per diverse ragioni.

    Il quadro programmatico già incorpora tra il 2012 e il 2016 una flessione della spesa (al netto di quella sanitaria) di oltre il 7 per cento in termini nominali.

   Anche ipotizzando l'annullamento delle differenze ancora esistenti sul fronte della spesa tra Enti, gli spazi di manovra, pur esistenti, non sono ampi. La convergenza per ciascuna tipologia di spesa sugli importi pro-capite più contenuti per classi di Enti (una "grossolana" misura degli ulteriori risparmi che si potrebbero ottenere) indica una liberazione di risorse di poco superiore a 2,5 miliardi.

   Anche gli interventi di contenimento delle spese per gli organi istituzionali e amministrativi e per consumi intermedi, pur giustificati dai benefici che è possibile ricavare in termini di efficienza, non sembrano offrire margini di manovra risolutivi.

    E' necessario quindi procedere a una revisione più radicale dei confini entro cui opera il sistema di intervento pubblico. Il rafforzamento degli interventi di razionalizzazione della spesa pubblica e dell'azione di efficientamento delle strutture amministrative va inteso nel significato, più impegnativo e complesso, di ripensamento delle modalità di prestazione dei servizi pubblici e delle modalità di accesso, in un contesto sociale e demografico profondamente mutato. Di qui l'arduo impegno che si apre al Commissario alla spending review, da poco nominato.

    Un impegno che per essere affrontato non può che basarsi su una chiara strategia di governo della spesa, in cui il ridisegno sia frutto di una forte volontà politica e di una nitida visione circa il profilo che si intende assegnare al sistema pubblico dei prossimi decenni. Solo per questa via rigorosamente selettiva è possibile pensare di reperire le risorse necessarie ai programmi mirati al sostegno della crescita.

    Se si intende orientare le leve di bilancio verso obiettivi che superino il solo rigore (ma restando entro profili compatibili con la soglia di disavanzo del 3 per cento e con i nuovi vincoli costituzionali) - come sembra essere correttamente nelle intenzioni del Governo - occorre essere consapevoli che le risorse vanno ricercate attraverso una operazione di seria redistribuzione, sia dal lato delle entrate sia dal lato della spesa.

   Contrastare il declino del sistema produttivo rappresenta oggi l'emergenza nazionale sulla quale va concentrata e misurata la capacità di intervento. E' da valutare positivamente, pertanto, che in alcune direzioni strategiche il Governo abbia previsto interventi non privi di potenzialità rilevanti.

   Ma, ad avviso della Corte, è necessario mantenere un solido filo conduttore nella strategia complessiva di politica economica e di finanza pubblica, rafforzando l'efficacia delle riforme e degli interventi avviati e concentrando su di essi le limitate risorse disponibili."

NINO LUCIANI, I problemi della transizione dell’Italia dallo Stato al Mercato.

1.- Cominciando dalla sanità. Chi pensasse che abbassare la spesa sanitaria implichi, per definizione, la riduzione dei servizi sanitari, si sbaglia di grosso. Chiunque di noi, pensando alla propria esperienza personale, trova che per una visista specialistica, per una radiografia presso una struttura pubblica, deve fare lunghe file di attesa, tranne che non paghi privatamente e la sanità si apre all'improvviso il giorno dopo. Direi anni che anni fa era molto meglio.
   Siamo davanti a ruberie gravi di privati, a carico della sanità.
   Basta guardare alle statistiche sopra riportate che mostrano un calo continuo delle prestazioni negli anni (in termini di posti letto e di degenze): eppure la spesa sanitaria è aumentata.
    Non solo, ma la sanità ha anche grandi squilibri tra le regioni, per cui la gente è costretta a muoversi, generando problemi di saturazione in alcune regioni.
   Come fare ? Qui il rimedio non è la ricostruzione impossibile di un   controllo a 360 gradi, ma di cambiamento radicale del sistema sanitario.
   Per la Costituzione la sanità è un compito dello Stato, sia per la sua priorità per le persone, sia perchè il servizio va erogato uniformemente nel territorio nazionale. Ma poi, lo Stato l'ha delegato alle Regioni anni fa. Direi che la soluzione del problema cominci dalla revoca della delega, dove la gestione è risultata male. E' meglio ricominciare da un Prefetto, che non ha bisogno di catturare voti. Poi, a normalizzazione fatta, si vedrà....
2.- Più in generale, nel settore pubblico. La mia tesi è che l'Italia ha di fronte i problemi strutturali propri delle “economie di transizione”, e precisamente da un sistema economico a prevalente «economia pubblica» a un sistema a prevalente «economia di mercato», che si sono ritrovati negli ex-paesi del socialismo reale, sia pur in proporzione al peso occupato dal settore pubblico nei rispettivi paesi.
   Anche là, trattavasi del fatto che il sistema collettivista, pur rispettabile per i suoi ideali, deve valersi (per funzionare) di una burocrazia elefantiaca, (che alla fine diviene un treno infinito non più manovrabile), e di una nomenclatura partitica che mette le mani sulla ricchezza della nazione (una sorta di nuova nobilità carolingia di marchesi, conti e baroni), valendosi della polizia politica (per rafforzarsi all'interno) e dell'esercito (per difendersi dall'esterno).
  In estrema sintesi, trattasi del fatto che, quando un settore pubblico è troppo vasto, funziona malissimo perchè al suo interno si infiltrano interessi privati immensi, sia pur sotto il nome nobile di "interessi del partito" e l'economia va in malora. Questo è anche il caso dell'Itala.
   Ma andiamo per gradi, distinguendo tra problemi congiunturali e problemi strutturali. Per i primi rinvio alla pagina Forum4.
   L'aspetto strutturale chiave riguarda lo Stato, che è malato e non funziona, causa il fatto che si è pervenuti a costituire ll'attuale Stato elefantiaco in occasione della transizione (dal Mercato allo Stato), avviata in Italia nel 1961 con i governi di centrosinistra. Si è passati da un rapporto tra spesa pubblica e PIL del 30% a un rapporto del 56-60%, attuale (2013).
   Adesso si dovrebbe fare la seconda transizione, questa volta in senso inverso, e che dovrebbe restituire risorse dal settore pubblico al settore privato, in quanto da ritenere più produttivo.
   La Corte dei conti dice che “non le spetta indicare quali scelte effettuare”, ma chiede al governo almeno “una revisione più radicale dei confini entro cui opera il sistema di intervento pubblico”.
  
A mio modo di vedere, per l'Italia, il traguardo finale realistico, compatibile con l'equilibrio del sistema economico (per quanto dipende dal settore pubblico) , è ridurre la spesa pubblica al 40% del PIL (vale dire una riduzione del 15% di PIL, nella spesa pubblica), in modo da salvare almeno lo "Stato sociale".
  Questo parametro mi viene suggerito dal fatto che il gettito fiscale IVA sta calando, pur avendo aumentata l’aliquota dal 20% al 22%, e questo è dovuto al fatto che la spesa pubblica è improduttiva, e vediamo solo l’aspetto negativo dell’intervento pubblico (vale dire la tassazione).
   Il motivo di questa indicazione per il futuro è evidente: se torna la produzione, si potranno meglio garantire gli obietti sociali primari.
   Ma sia anche chiaro che il ritorno a "più mercato" comporta anche regole di utilità pubblica. Nel campo bancario, abbiamo visto che la privatizzazione selvaggia non è stata buona.
  E per quanto riguarda le Regioni. Il riordino degli enti locali è una esigenza conclamata da tempo, a cui il legislatore ha già messo mano da tempo, solo a spicchi (vedi incentivi alla unione tra comuni, vedi città metropolitane), mai in un quadro organico.
   In particolare le Regioni sono apparse creatrici di sprechi, anzi ruberie, grazie alla assenza di un controllo centrale. Il potere legislativo usato in modo differenziato da regione a regione è un vero schiaffo alla uniformità di regole nel terrirtorio dello Stato almeno in determinati campi. La massima disfunzione la troviamo nel potere legislativo in materia concorrrente con lo Stato.
  Ma poi, è proprio necessario un potere legislativo locale in aggiunta a quello dello Stato ?
  Sarebbe opportuno il riordino amministrativo locale, abolendo totalmente il potere legislativo delle Regioni, e trasformandole nei pilastri del potere amministrativo locale, con poteri di riordino (previa abolizione delle Province) di tutti gli enti locali, ricompresi nel loro territorio.
  3. Quanto tempo ? La transizione verso il mercato richiede adattamenti importanti nelle abitudini di vita della popolazione: si tratta di un problema che, per sua natura, richiede un periodo medio-lungo (5-10 anni). La Germania ha impiegato 20 anni per inglobare nell’economia di mercato la Germania dell’Ovest, dopo l’unificazione.
   Tale periodo è:
   a) il tempo necessario per riallocare verso il settore privato la mano d'opera via via licenziata dal settore pubblico;
   b) il tempo necessario per affidare al settore privato quei servizi pubblici che verranno via via dismessi dal settore pubblico e che dovranno continuare ad essere erogati per i cittadini, ma a un prezzo, sia pur calmierato;
   c) il tempo necessario per privatizzare le imprese pubbliche non strategiche, e che ovviamente non si può cominciare a fare con una estrazione a sorte delle imprese da privatizzare, ma solo dopo aver fatto una opportuna classificazione della loro situazione: ad esempio, imprese con buona capacità di reddito e buona situazione finanziaria; imprese con buona capacità di reddito ma precaria situazione finanziaria;imprese in perdita ma per carenze gestionali e quindi facilmente risanabili con la sostituzione del management; imprese decisamente senza prospettive di reddito, ecc.;
   d) il tempo necessario per permettere ai beneficiari di trasferimenti pubblici di trovare un rimedio, in
vista di una loro decurtazione, ecc.
  e) il tempo necessario alle Regioni (solo enti amministrativi) di provedere al riodino di tutti i Comuni, ricompresi nel loro territoriio.
    Del resto anche la Comunità europea si è data un periodo transitorio(1957-92) per attuare pienamente il Mercato comune europeo.
    Tali adattamenti della popolazione non sono necessariamente dei sacrifìci, e tuttavia essi si giustificano perché pongono le basi per la ripresa dello sviluppo del reddito nazionale e dell'occupazione.
N. LUCIANI

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EDIZIONI  PRECEDENTI

POLITICA  E  GIUSTIZIA,  DOPO LA CHIUSURA DELLA CRISI DEL GOVERNO

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Presidente Giorgio Napolitano

NAPOLITANO: "POLITICA E GIUSTIZIA CESSINO DI ESSERE  MONDI OSTILI ".
( Nel corso di una cerimonia alla università LUISS di Rona, il 20 settembre 2013,
che cade proprio nel punto massimo della crisi politica di questi giorni)

Discutiamo del presunto "accanimento" su Berlusconi, ma
per separare la posizione dell' "uomo" da quella della "magistratura",
anche quale "potere destabilizzante" il "potere potere politico"

Gaetano Quagliariello

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Poichè  da tempo, la Magistratura è strutturalmente incapace di rendere "Giustizia" in tempo reale,
non è facile separare, nelle indagini giudiziarie, le persone-Autorità di governo dalle Istituzioni, per
cui, oggettivamente,  la Magistratura finisce per essere un potere destabilizzante il potere politico.

Se, poi, le Autorità di governo non reagiscono più, per carenza di poteri costituzionalmente adeguati
ai tempi, si crea un turbine infinito intorno al nulla: un vuoto di potere, per cui tutto sfugge di mano.

Diamo atto che, per la soluzione della crisi politica di questi giorni, è stata determinante la certezza del
Ministro prof. G. Quagliariello:
"All'Italia non serve un "governicchio" che fa solo la legge elettorale".

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E diciamo a E. LETTA: "Questo ventennio - 1993-2013 - non finisce con la fine di Berlusconi, ma solo con la riforma
costituzionale della Governance dello Stato
perchè, qualunque partito governi, torni a risponderne al popolo Italiano,
compreso per le rapine approvate con legge (partiti strapagati, opere pubbliche pagate 10 volte il costo reale).

Intervento del Presidente Napolitano all'incontro di studio della LUISS,  in ricordo di Loris D'Ambrosio

Roma, Luiss, 20/09/2013

  " Gentile Presidente Marcegaglia, gentile Professoressa Severino,
desidero innanzitutto rinnovare il mio vivo apprezzamento per l'iniziativa promossa dall'Università LUISS in ricordo di Loris D'Ambrosio : un'iniziativa che mi ha toccato istituzionalmente e personalmente per l'intensità del rapporto che ho intrattenuto con il collaboratore e l'amico cui era giusto dedicare non solo un memore omaggio ma una riflessione partecipe e accurata. E questo è stato l'incontro di studio che grazie ad apporti meditati e di alto livello si è risolto in una trattazione esaustiva dei molteplici aspetti del lungo impegno e servizio di Loris D'Ambrosio e in una seria considerazione di problematiche essenziali da lui coltivate negli anni.

Negli interventi che si sono succeduti, da ultimo in quello del Presidente Lupo, ho visto emergere la coerenza e continuità dell'ispirazione e del modo di operare di Loris D'Ambrosio nelle diverse, anche assai diverse, funzioni che egli è stato via via chiamato a svolgere. Quella coerenza e continuità che in sostanza sancisce la personalità e la moralità del civil servant. E ricorro a questa espressione, in quanto essa è più comprensiva del solo titolo di magistrato e ha - rispetto a più tradizionali definizioni italiane - finito per caratterizzare un modello di comportamento davvero indipendente da ogni connotazione particolaristica o partigiana, sinonimo di dedizione esclusiva all'interesse generale del paese e alle sue istituzioni democratiche.

Parto naturalmente dal titolo e dalla funzione di magistrato di cui Loris D'Ambrosio era orgogliosamente portatore. Il titolo di "impiegati pubblici", riferibile in Costituzione anche ai magistrati, non dovrebbe mai essere usato in senso spregiativo ma non può peraltro oscurare - da nessun punto di vista - la peculiarità e singolare complessità delle funzioni giudiziarie. Non c'è nulla di più impegnativo e delicato che amministrare giustizia, garantire quella rigorosa osservanza delle leggi, quel severo controllo di legalità, che rappresentano - come ho avuto più volte occasione di ribadire - "un imperativo assoluto per la salute della Repubblica". Anche la considerazione della peculiarità di questa funzione, e l'inequivoco rispetto per la magistratura che ne è investita, sono invece stati e sono spesso travolti nella spirale di contrapposizioni tra politica e giustizia che da troppi anni imperversa nel nostro paese.

Il superamento di tale fuorviante conflitto, gravido di conseguenze pesanti per la vita democratica in Italia, ha rappresentato l'obbiettivo costante del mio impegno fin dall'inizio del mandato di Presidente, e nessuno più di Loris D'Ambrosio mi ha aiutato a definirne i termini e le condizioni. E nulla è stato più paradossale e iniquo che vedere anche Loris divenire vittima di quello che il professor Fiandaca ha chiamato "un perverso giuoco politico-giudiziario e mediatico". La cui impronta mistificatoria si è fatta risentire proprio oggi forse in non casuale coincidenza con questo incontro.

Ma pur nel non sopito sdegno e nel cocente rimpianto per la tragica scomparsa di Loris D'Ambrosio, a noi tocca raccoglierne il testimone. E cioè operare perché la politica e la giustizia, e ancor più le istanze rappresentative dell'una e dell'altra, cessino - dichiarai dinanzi al CSM già nel febbraio 2008 - di "concepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco, anziché uniti da una comune responsabilità istituzionale".
Ci tocca operare in questo senso, senza arrenderci a resistenze ormai radicate e a nuove recrudescenze del conflitto da spegnere nell'interesse del paese. Forse - come qui si è detto - passando attraverso "un ridistanziamento tra politica e diritto".

E molto importante è il contributo che ci si deve attendere dalla magistratura. Lo sguardo di Loris D'Ambrosio è stato sempre esigente, e non acritico, verso la sua casa, verso il suo mondo : nella convinzione che ciò fosse necessario nell'interesse della stessa magistratura e di un suo rinnovato prestigio. Il Consigliere D'Ambrosio mi ha, innanzitutto, sempre spinto a mettere l'accento sull'importanza decisiva della formazione non solo in senso culturale e tecnico-giuridico ma in senso deontologico cioè come acquisizione di modelli di comportamento ispirati a quei valori e criteri - l'equilibrio, la sobrietà ed il riserbo, l'assoluta imparzialità e il senso della misura e del limite - che sono il miglior presidio dell'autorità e dell'indipendenza del magistrato.

E sono certo che Loris D'Ambrosio avrebbe accolto con soddisfazione la forte, coraggiosa riflessione auto-critica che si è sollecitata e avviata giorni fa, in un dibattito a Milano, negli interventi di magistrati di grande esperienza, e di indiscutibile, fiera indipendenza e combattività.

Ne dovrebbe scaturire anche, tra i magistrati, un'attitudine meno difensiva e più propositiva rispetto al discorso sulle riforme di cui la giustizia ha indubbio bisogno da tempo e che sono pienamente collocabili nel quadro dei principi della Costituzione repubblicana. Infine : il dottor Lupo ha detto l'essenziale anche sullo svolgimento, da parte di Loris D'Ambrosio, della funzione in cui è culminato il suo percorso al servizio delle istituzioni, e lo ringrazio per aver richiamato parole da me dette su Loris come Consigliere del Presidente della Repubblica. Vedete, l'esercizio del mandato presidenziale è obbiettivamente un esercizio solitario, per la stessa natura monocratica di questa istituzione. Esso può trovare un temperamento e un fondamento più sicuro solo nella qualità dei Consiglieri del Presidente, specie di quelli chiamati a dargli adeguato supporto in campi di sua particolare, diretta responsabilità costituzionale. Io ho avuto la fortuna di potermi avvalere del consiglio di Loris D'Ambrosio ; ed è ciò che mi lega nel ricordo alla sua famiglia e ai tantissimi che lo stimarono e gli vollero bene."

Nino Luciani. Una riflessione su Berlusconi, la Magistratura, il PDL e il PD, a partire da un auspicio di  Napolitano, la scorsa settimana.

1.- Legge uguale per tutti, ma senza accanimento. L'avventura del PDL, in questi giorni, con la raccolta di firme dimissionarie di parlamentari e di altri, sul caso Berlusconi, è  la "seconda botta" alla Repubblica, e merita un commento dall’uomo della strada.
   OK, se questo è un modo per accelerare il movimento verso la "terza" mediante le riforme costituzionali avviate . Ma sia chiaro che l’uomo della strada ingoia non acriticamente, nel proprio cuore :
   a) i fatti e misfatti della politica nazionale: debito pubblico ed eccesso di pressione fiscale, che sono la somma di politiche di bilancio analoghe, sia della destra sia della sinistra, dal 1994;
   b) la inimicizia storica estrema tra i due partner di governo, e che ha radici lontane.
   Ma altrettanto, l’uomo della strada si domanda: "Poiché, per il 19 ottobre 2013, è attesa la sentenza della Corte di Appello di Milano (che, in ottemperanza alle decisioni definitive della Cassazione, decidera’ il numero degli anni di interdizione dell’ex-Presidente Berlusconi, dai pubblici uffici,) perché tanta diligenza del PD (Partito Democratico) nel volere anticipare di 10 giorni la decadenza di Berlusconi ?
   Il popolo percepisce questo atteggiamento come "accanimento". Si ricorderà il detto: "Maramaldo, tu uccidi un uomo morto", pronunciato da Ferrucci (nella nota storia di Guicciardini). Dunque il PDL va "ultra petita" (intendi, oltre il programma del governo), ma il PD ve lo ha costretto.

  2.- Veniamo al merito. Per un uomo della strada, vale il principio dello Stato di diritto e della uguaglianza della legge per tutti i cittadini.
    Dunque, se una determinata condanna viene confermata da tre gradi di giudizio, si direbbe che il caso sia chiuso, e va rispettata nell’interesse di tutti e, in primo luogo, dal condannato, che ne ha uno stimolo a redimersi.
   Aggiungerei una nota personale. Non accrediterei un accanimento dei magistrati su Berlusconi. Personalmente ho un concetto molto elevato dei magistrati, sia per serietà sia per preparazione professionale, coltivata in 25 anni di Giudice delle Commissioni tributarie regionali dello Stato, della Emilia Romagna. In esse, di norma il Presidente era un Magistrato, a rotazione ogni 3, 4 anni, e ne ho conosciuti tanti.
   Ma il mio commento su Berluconi non finisce qui. L’ultimo processo (quello sui diritti televisivi di Mediaset) è durato 10 anni (2003-2013) e il presunto colpevole era un uomo con elevati incarichi politici. Durante questo periodo, il soggetto ha operato, in qualche modo, con autorevolezza screditata. Era un governante "sotto processo". Dunque l’Italia era rappresentata, nei consessi internazionali", da un soggetto sotto processo per presunti reati gravissimi. Ed era un soggetto che non poteva operare con serenità, e inoltre (per difendersi) doveva sottrarre tempo al suo lavoro di governante.
    Forse, proprio per l'Italia, egli avrebbe dovuto dimettersi.
    Invece, per la sua difesa personale, ho qualche riserva. Se la giustizia chiudesse le cause in tempi ragionevoli (max: 1-2 anni), altrettanto egli avrebbe dovuto dimettersi. Ma altra cosa è avere di fronte una giustizia negata a causa della durata decennale dei processi, equivalente al ritiro definitivo dalla vita politica, quale che ne sia l'esito.
   Mi domando anche se, a causa delle responsabilità della giustizia (durata eccessiva), si debba tenere conto, nel calcolo della pena da infliggere, della sofferenza per eccesso di durata dei processi. La pena di Tantalo è passata alla leggenda non tanto per la fame, ma per il fatto che, quando la bocca riusciva ad avvicinarsi alla mela, la mela si allontanava.

3.- Magistratura destabilizzante, ma per motivi ben diversi. La Magistratura, come istituzione, ha un comportamento alquanto anomalo dal 1992 (mi riferisco a "mani pulite", ecc. ), mai cessato, anche (spero pochi casi) per "deviazioni" vere e proprie. Esempio: giunte comunali arrestate sotto elezioni amministrative, ma in seguito sgravate. Questo configura incontestabilmente una magistratura destabilizzante il potere politico.
   Distinzioni. Va, tuttavia, distinta la Magistratura come terzo potere dello Stato, dai suoi componenti: Giudici, Uffici, procedura civile e penale, prescrizioni abbreviate, Ministero di Grazia e Giustizia, Consiglio Superiore della magistratura. Infatti anche tra essi, singolarmente, c'è chi ha subìto questa stessa anomalia.
  Uffici amministrativi. L'aspetto della durata chiama in causa i giudici in casi evidenti, come quando le motivazioni delle sentenze sono rese scritte dopo molti mesi dalla data della sentenza. Questo chiama in causa gli Uffici amministrativi (Cancellieri, ecc.) nella istruzione materiale delle pratiche. Sono, infatti, questi gli effettivi registi dello scadenzario e istruzione delle pratiche. Questi uffici , tuttavia, a parte la lentezza tipica della Pubblica Amministrazione, sono spesso in difetto di organico e di strumenti tecnici (Personal Computer, stampanti, carta) .
   Ministero di Grazia e Giustizia. La carenza degli uffici chiama in causa il Ministero, con l'aggravante che, in tempi di cause per determinati "politici", esso è tentato a lasciare scoperti di personale e attrezzature, determinati tribunali.
   Norme procedurali. A loro volta, esse concorrono alla lentezza : ad es. la troppa discrezionalità dei giudici di concedere rinvii, di seguito a varie eccezioni dei giudicati. Nel caso delle norme penali, l'indagato ha dei grandi margini di movimento: confessare, negare quanto confessato, tornare a confessare ... e questo rilancia le indagini per verificarne il fondamento... C'è, poi, in Italia l'obbligatorietà della legge penale: qualunque denuncia dev'essere presa in considerazione, e questo allunga i tempi di attesa.
  Prescrizioni abbreviate. Queste determinano un interesse del giudicato a prolungare la durata dei processi, abusando delle smagliature.
  Consiglio superiore della Magistratura. Un tempo, esso era molto più interventista. Un giudice "troppo zelante" aveva molte probabilità di essere trasferito.
   In sintesi, direi che (al di là delle persone del settore, che anzi per prime hanno subito queste anomalie) la magistratura abbia delle colpe immense nei confronti della politica italiana, e qui il conteggio ricomincia dall'aver demolito una intera generazione di politici, tra cui qualcuno di alto valore, è uscito dalla gogna solo dopo 20 anni di processi. Se i processi fossero stati rapidi , si sarebbe fatta tempestiva separazione tra i "buoni" e dai "cattivi". Forse anche la Democrazia Cristiana  sarebbe ancora in piedi, rigenerata, come in Germania.

4.- Quali rimedi ? La riforma per il riequilibrio dei tre poteri dello Stato è necessaria e urgentissima. Ma ne manca il presupposto di base: ricostruire la governance dello Stato e l'autorevolezza del Parlamento, da adeguare ai tempi. 
   Questo ci riporta all'inizio di questo commento: essere fondamentale il concorso dei due nemici (PDL+PD) per creare un Governo e un Parlamento forte. In pratica tutto è rinviato a futuri governi.
   In proposito, Berlusconi ha dimenticato tutto... e questo, ahimè, è tipico dei furbi (la memoria lunga è, invece, tipica degli intelligenti): vale dire, nella famosa intervista con Santoro (giornalista, TV la7, a gennaio 2013) egli vinse il match 10 a 0, perchè disse agli italiani: a) In Italia il Presidente del consiglio non conta niente (non può dimettere i ministri inadempienti ...); b) il ministro dell'economia conta più del Presidente; c) per il meccanismo della fiducia al governo, è sotto ricatto permanente dei parlamentari, che chiedono favori, pena la minaccia della sfiducia ....
   Perchè forzare le elezioni anticipate se, poi, da presidente non conterà nulla ? Per fortuna sua (e dell'Italia) siamo stati salvati  da Quagliariello, Ministro per le Riforme istituzionali: "All'Italia non serve un "governicchio" che fa solo la legge elettorale".
   Nel merito della giustizia, rinvierei alle indicazioni, peraltro, contenute nelle relazioni di "sommi magistrati", nelle aperture dell'anno giudiziario, e che ho pubblicato spesso su questo Foglio.
   Aggiungerei una raccomandazione: la riforma della magistratura non  va fatta "contro i magistrati" (come Berlusconi ha fatto per l'universita', contro i professori). Sono loro che sanno realmente le cose loro e  sanno indicare la retta via. NINO LUCIANI

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EDIZIONI PRECEDENTI

In  margine al DISCORSO DELL'ON. DR. ENRICO LETTA ALLA CAMERA, 29 aprile 2013

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Enrico Letta, Presidente

LETTA DICE: "ABOLIAMO LE PROVINCE" PER RIDURRE
LA SPESA PUBBLICA E LA PRESSIONE FISCALE

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Nino LUCIANI: L'eccesso di pressione fiscale, palla al piede dell'italia nel commercio internazionale,
e' legato alla struttura dello Stato, troppo costosa, non solo a causa delle Province... .
Le Regioni sono, invece, il maggiore indiziato, fin dall'origine (1977).

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Trasformiamo le Regioni in enti amministrativi, con i compiti delle Province (abolite).
La sanità, a loro delegata dallo Stato per la gestione, può tornare allo Stato.

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Se pensiamo di non riuscire a fare queste cose, dovremo uscire dalla UE, e tornare alla Lira,
MA SENZA  COMPLESSI  DI  INFERIORITA'.  MEGLIO VIVERE.

LE CIFRE DEL PESO DELLE REGIONI SULL'ITALIAtabella 4.gif (30191 byte)

Comunicazioni del Governo (ore 15,12).

PRESIDENTE DELLA CAMERA. L'ordine del giorno reca: Comunicazioni del Governo. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei Ministri.

ENRICO LETTA, Presidente del Consiglio dei ministri.
(Omesse parti di routine)
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   La prima verità è che la situazione economica dell'Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese. Il grande sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal senatore Mario Monti, è stato premessa della crescita, in quanto la disciplina della finanza pubblica era e resta indispensabile per contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari.
   Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di economia e finanza è necessario ad uscire quanto prima dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all'interno dei vincoli europei che vogliamo rispettare.      Nelle sedi europee ed internazionali l'Italia si impegnerà, poi, per individuare strategie per ravvivare la crescita, senza compromettere il processo necessario di risanamento della finanza pubblica.
   L'Europa è in crisi di legittimità ed efficacia, proprio quando tutti i Paesi membri e tutti i cittadini ne hanno più bisogno. L'Europa può tornare ad essere motore di sviluppo sostenibile e, quindi, di speranza e di costruzione di futuro, solo se finalmente si apre; si apre perché il destino di tutto il continente è strettamente legato.
   Non ci possono essere vincitori e vinti se l'Europa fallisce questa prova. Saremmo tutti perdenti: sia nel sud che nel nord del continente. È per questo che, se otterrò la vostra fiducia, immediatamente, già da domani sera e poi mercoledì e giovedì, visiterò in un unico viaggio Bruxelles, Berlino e Parigi per dare subito il segno che il nostro è un Governo europeo ed europeista .
   La risposta dunque è una maggiore integrazione verso un'Europa federale, altrimenti il costo della «non Europa», il peso della mancata integrazione, il rischio di un'unione monetaria senza unione politica e unione bancaria ed economica diventeranno insostenibili, come la crisi di questi cinque anni ci ha mostrato.
  Questo Parlamento ha già dimostrato di poter trovare intese per dare all'Europa un contributo italiano innovativo: questo è avvenuto nel sostegno all'azione europea del Governo Monti ed è avvenuto nell'elaborazione di posizioni comuni, come quella elaborata dai colleghi Baretta, Brunetta e Occhiuto in vista del Consiglio europeo del giugno scorso. Da quelle premesse politiche ripartiremo. Le premesse macroeconomiche sono quelle dell'euro e della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi.

    Di solo risanamento l'Italia muore. Dopo più di un decennio senza crescita, le politiche per la ripresa non possono più attender. Semplicemente non c’è più tempo: tanti cittadini, troppe famiglie sono in preda alla disperazione e allo scoramento.
    Pensiamo alla vulnerabilità individuale che nel disagio, nel vuoto di speranze, rischia di tramutarsi in rabbia e in conflitto, come dimostra e ci ricorda lo sconcertante fatto avvenuto ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi. Ieri, andando a visitare in ospedale il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito gravemente insieme al carabiniere scelto Francesco Negri. Dicevo, ieri andando a visitare in ospedale il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito gravemente insieme al carabiniere scelto Francesco Negri, sono stato impressionato dalla forza e dalla fermezza della figlia Martina: il Parlamento si stringe a lei in questo momento così doloroso. E il Parlamento deve stringersi anche all'Arma dei carabinieri e a tutte le Forze dell'ordine, per il servizio continuo, silenzioso, encomiabile, spesso in condizioni disagiate, svolto nell'interesse della nazione in Italia e all'estero.

  Senza crescita e senza coesione, l'Italia è perduta. Il Paese invece può farcela, ma per farcela deve ripartire e per ripartire tutti devono essere motori di questa nuova energia positiva. L'architrave dell'Esecutivo sarà l'impegno ad essere seri e credibili sul risanamento e sulla tenuta dei conti pubblici. Basta con i debiti che troppe volte il nostro Paese ha scaricato sulle spalle e la vita delle generazioni successive. Quelle nuove, di generazioni, hanno imparato sulla propria pelle e non faranno lo stesso con i propri figli.

   Ecco perché la riduzione fiscale senza indebitamento sarà un obiettivo continuo e a tutto campo. Anzitutto, quindi, ridurre le tasse sul lavoro, in particolare su quello stabile e quello per i giovani neoassunti . Poi, una politica fiscale della casa che limiti gli effetti recessivi in un settore strategico come quello dell'edilizia, includa incentivi per ristrutturazioni ecologiche, affitti e mutui agevolati per giovani coppie; e poi bisogna superare l'attuale sistema di tassazione della prima casa, intanto con lo stop ai pagamenti (IMU) di giugno per dare il tempo al Governo e al Parlamento di elaborare insieme e applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti .
  Misure ulteriori dovrebbero essere il pagamento di parte dei debiti delle amministrazioni pubbliche, l'allentamento del Patto di stabilità interno, la rinuncia all'inasprimento dell'IVA , l'aumento delle dotazioni del Fondo centrale di garanzie per le piccole e medie imprese e del Fondo di solidarietà per i mutui.
  Ma questi provvedimenti, sebbene necessari, non sono sufficienti. La crescita economica di un Paese richiede una strategia complessa che eviti dispersioni a pioggia delle poche risorse e che possa innescare meccanismi virtuosi.
........
Tutta l'impresa italiana per crescere ha bisogno di più semplicità, di un'alleanza tra la pubblica amministrazione e la società senza tollerare le sacche di privilegio. La burocrazia non deve opprimere la voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere l'intero sistema delle autorizzazioni, per snellire le procedure ed avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare e offrire posti di lavoro. Non si possono più chiedere sacrifici sempre e soltanto ai soliti noti. I sacrifici sono socialmente sostenibili solo se sono ispirati ad un principio di equità. Questo significa coniugare una ferrea lotta all'evasione con un fisco amico dei cittadini senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata. L'altra grande risorsa è l'Italia stessa, bellezza senza navigatore. La nostra tendenza all'autocommiserazione è pari solo all'ammirazione che l'Italia suscita all'estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei nostri mari, visitare le nostre città, mangiare e vestire italiano. L'Italia e il made in Italy sono le migliori ricchezze.
E' per questo che uno dei primi atti del Governo sarà quello di nominare il commissario unico per l'Expo 2015, una grande occasione che non dobbiamo mancare . E a questo fine nei prossimi giorni sarò a Milano a presentare il decreto e a partire per l'ultimo miglio di questo evento strategico.
......
Non era mai accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, 4 milioni in più rispetto al 2006; su questo sfondo la riduzione dei costi della politica diventa un dovere di credibilità.
Pensate ai rimborsi elettorali: tutte le leggi introdotte dal 1994 ad oggi sono state ipocrite e fallimentari, non rimborsi ma finanziamento mascherato, per di più di ammontare decisamente troppo elevato, come la Corte dei conti ha recentemente confermato, due miliardi e mezzo di euro dal ’94 al 2012 a fronte di spese certificate di circa mezzo miliardo; è questa solo una delle conferme del fatto che il sistema va rivoluzionato. Partiamo, dunque, dal finanziamento pubblico ai partiti abolendo l
a legge approvata e introducendo misure di controllo e di sanzione anche sui gruppi parlamentari e regionali; occorre, poi, avviare percorsi che finalmente consegnino alla libera scelta  del cittadino, con opportuni interventi sul versante fiscale, la contribuzione all'attività politica dei partiti.
  È però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello della democrazia interna ai partiti attuando finalmente i principi sulla democrazia interna incorporati nell'articolo 49 della Costituzione , stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza delle decisioni e delle procedure. .......

Nino Luciani, Le attuali "Regioni" costano il 16% del PIL e sono
un lusso di legiferazione che non possiamo permetterci.
Meglio trasformarle in enti amministrativi con i compiti delle Province (abolite) e meglio che la gestione della sanità torni allo Stato.
Rimane alto anche il costo dei partiti, quello nascosto tra le spese generali della Pubblica Amministrazione (si vegga la tabella 3, sotto), in aggiunta al loro finanziamento in senso formale.

1.- Premessa. Da qualche anno, gli aspetti congiunturali prevalgono nei discorsi quotidiani (c'è la struttura produttiva in crisi per mancanza di "domanda effettiva", il nodo urgente da sciogliere).
   Ma dietro la congiuntura, c'è la struttura anomala del sistema economico, e dunque dovremo pur parlarne, per dare una prospettiva al futuro. Di questo mi occupo in questo scritto.
   Fin da quando andavamo a scuola, ci veniva insegnato che l'Italia è povera di materie prime e risorse naturali, e dunque per lo sviluppo economico e sociale del nostro popolo, la via era quella delle importazioni delle materie prime e semilavorati, per poi esportarle, dopo la trasformazione in prodotti finiti.
   Lo strumento di garanzia era la manovra del cambio della Lira, finchè (dal 2002) l'euro ci ha chiuso in casa definitivamente.
   Se diamo una occhiata alle statistiche del commercio estero, troviamo che, dopo 10 anni, le esportazioni sono rimaste immutate in termini reali. Per questo, nel titolo suggerisco alla BCE di fare mente locale ai tempi della Lira..
   Una volta che l'Italia ha perduto il potere diretto sul cambio, l'unica via per guadagnare in competitività è divenuto ristrutturare il sistema produttivo (innovare, tecnologia...), ma i risultati sono quelli che sono, pur dopo progressi: pare che siamo condannati ad un inarrestabile declino.
  Il Tallone di Achille non innovabile è la Pubblica Amministrazione. Non è solo questione di lentezza della macchina, è soprattutto questione di costi della macchina e che, in riassunto, sono i costi della politica.
  Guardiamo più a fondo: il finanziamento dei partiti è solo la punta dell'iceberg. Sotto la punta c'è una massa immensa.

2.- I costi della politica.
Nel bilancio dello Stato i costi della politica stanno dentro "denominazioni" nobili, quali "Amministrazione generale dello Stato", "Regioni",..., "imprese pubbliche" (in disavanzo)... .
   Le "Regioni" sono denominazioni nobili ? E' impossibile ridurre la pressione fiscale globale se non si provvede a demolire le Regioni.
   In proposito, Letta dice: "tutta l'impresa italiana per crescere ha bisogno ... di un'alleanza tra la pubblica amministrazione e la società, senza tollerare le sacche di privilegio"; e poi: "... la riduzione dei costi della politica diventa un dovere di credibilità"; e poi "bisogna riordinare i livelli amministrativi e abolire definitivamente le province."
   Guardiamo dentro i costi della politica:
  a) i costi della politica, dicevo, non sono solo il finanziamento dei partiti. Questo è la punta dell'iceberg. Sotto, c'è il corpo dell'iceberg.
   - il costo delle Regioni. In queste settimane, il Presidente della Regione Emilia Romagna (Errani) ha detto in TV (di seguito ad una tromba d'aria nell'Alto Ferrarese) che sarebbe andato a Roma a rappresentare i danni.
   Metto la mano sul fuoco che l'identica rappresentazione l'aveva già fatta, in tempo reale, il Prefetto (senza andare in TV). Questo significa che per l'identico servizio hanno provveduto due strutture.
    Mi è facile dire queste cose, pur senza prove, perchè è notorio che, di seguito alla applicazione dell'ordinamento regionale a statuto ordinario (1977), c'è stato il trasferimento delle funzioni statali alle Regioni, ma non bilanciato da uguale taglio presso lo Stato.
    Il caso più provocatorio è stato l'abolizione del Ministero dell'Agricoltura e la successiva ricostruzione, sotto nuovo nome.
   Proviamo a guardare la tabella 4, sopra riportata, costruita su dati della Ragioneria Generale dello Stato. Si  vede che, a partire dal 1977 (segnato in rosso) le spese complessive dello Stato hanno marciato verso il raddoppio, in confronto agli anni precedenti. Oggi le Regioni spendono il 16% del Pil (che si riduce all'11% se togliamo le spese sanitarie, da loro gestite per delega dello Stato)
   Circolano, poi, in questi giorni rilievi secondo cui, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (le regioni, le province, i comuni) i costi delle Regioni sono aumentati del 50%. Contabilmente, questo non costituisce motivo di lamento, se l'aumento è bilanciato da riduzione di spese dello Stato, come appare sia avvenuto, guardando alla tabella 4.
   La questione diviene, invece, preoccupante se si rileva l'aumento del contenzioso Stato-Regioni in tema di legiferazione, e il fatto che non si coglie, come cittadini, alcun beneficio dalle Regioni.
   Ritengo che la pressione fiscale dello Stato sia divenuta insostenibile, e che la causa fondamentale siano le Regioni siano nel senso che sono fattore di spesa aggiuntivo (dal 1977), sia nel senso che non offrono servizi apprezzati, sia nel senso che lo Stato è un amministratore migliore delle Regioni (non di tutte). Le scuole professionali sono pessime; la sanità è pessima (....file d'attesa...).
  
Perchè, poi, in Italia, 20 Regioni dovrebbero legiferare (anche in contrasto con lo Stato), se il Parlamento italiano basta e avanza ?
   La conclusione è che le Regioni sono un lusso che non possiamo permetterci.
  - il costo della amministrazione generale dello Stato. Sono le spese degli alti apparati dello Stato per legiferazione, giurisdizione, amministrazio- ne generale, i vari "consigli di  amministrazione" degli enti pubblici, le consulenze esterne. In questi organi ci sono, in massima parte, uomini di partito o indicati dai partiti.
   Ci sono anche organi consultivi costituzionali assolutamenti inutili (vedi CNEL, ignorato da sempre dal Parlamento, a cui dovrebbe dare consigli).
   Proviamo a guardare la tabella 3 (sotto). Fino agli anni '70 le spese di amministrazione generale erano salite poco, rispetto agli anni precedenti.
  Dal 1980 la ascesa è proseguita senza più alcun freno, ininterrottamente.
  Anche questo è un lusso che non possiamo più permetterci.

3.- Abolire le Regioni, e restituire allo Stato le vecchie funzioni ?
  Il fatto che le Regioni a statuto ordinario siano state messe in funzione, 30 anni dopo la loro istituzione formale in Costituzione (1948), la dice lunga: non ce n'era alcun bisogno dal punto di vista del miglioramento della Pubblica Amministrazione. Qui il sistema dei concorsi, come metodo di base per le assunzioni, garantisce una qualità nettamente superiore a quanto avviene in Regione, dove l'appartenenza al partito è motivo di merito, in qualche modo
   E difatti sappiamo che il motivo scatenante, per cui furono attivate, era il compromesso storico DC+PCI, vale dire motivi di potere.  
  Perchè dunque dovremmo salvarle ? Conviene ripristinare le vecchie funzioni dello Stato, in modo da abbattere costi e liberare l'economia da un peso insostenibile. In questo modo torniamo al tema iniziale: commercio estero, non competitivo, causa la pressione fiscale.
   Questa brutta storia ha le sue radici nell'eccesso di pressione fiscale, conseguente alla attuazione dell'ordinamento regionale (1977).
   Il massimo del profondo rosso, per il commercio estero, arriverà nel 1992, (ma era stato persistente fin dal 1986, e sempre coperto attingendo alle riserve di moneta estera), finchè (nel 1992) vi si rimediò con la svalutazione della Lira (Governo Amato, Governatore della B.d'I,  Ciampi).
   Dopo quel momento ci siamo ripresi, ..., via via, ma poi dal 2002 (arrivo dell'Euro) il declino sarà un fatto persistente. Il raddoppio dei prezzi in Euro metterà il commercio estero in netta inferiorità concorrenziale, verso l'estero, e lì ci troviamo tuttora.
  Mi sembra evidente che, in rapporto ai tempi, molti territori provinciali si ritrovano piccoli, rispetto alle odierne esigenze. Dunque vanno ripensate, ma senza dimenticare che bisognerà trovare qualcun'altro, a cui affidare le strade provinciali, gli edifici scolastici di secondo grado, ....
   Mi parrebbe che i nuovi enti a cui affidare i compiti delle Province potrebbero essere le Regioni, ridefinite come enti amministrativi con i compiti delle province, ricomprese nel loro territorio.
   NL

   Sicuramente è e deve essere un'eccezione la convergenza di forze politiche che si sono presentate come alternative alle elezioni, ma è eccezionale che dalle urne, anche a causa della legge elettorale, non sia uscita alcuna maggioranza; è eccezionale l'emergenza economica che il Governo dovrà affrontare; è eccezionale il fatto che sia necessario riscrivere alcune regole costituzionali. Credo, quindi, che le forze politiche che sostengono il Governo stiano dimostrando un grande senso di responsabilità e di attaccamento alle istituzioni. Vent'anni di attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di fiducia nei rapporti tra partiti ed opinione pubblica, che è esausta, sempre più esausta delle risse inconcludenti. Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra le diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi comuni; se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno; se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremmo svolgere un servizio al Paese migliorando la vita dei cittadini . È per questo che intendo appellarmi alla responsabilità dei partiti e dei movimenti, perché ritengo centrale il ruolo del Parlamento, con una continua interlocuzione con le forze politiche che non sostengono il Governo e con la creazione di luoghi permanenti di codecisione, ai quali parteciperò personalmente, tra il Governo e le forze politiche che hanno deciso di sostenerlo.

L'appello alla responsabilità e alla capacità di trovare terreni di convergenza è ancora più pressante nel nostro compito di riformare le istituzioni, anche perché auspico che per la scrittura delle regole che riguardano la vita democratica di tutti il fronte si allarghi anche alle forze che non hanno intenzione di sostenere il Governo in modo organico, ma che devono partecipare pienamente al processo costituente.

Vedo oggi una via stretta, ma possibile, per una riforma – anche radicale – del sistema istituzionale e del sistema politico. Un imperativo deve essere chiaro a tutti noi fin dal primo momento: in questa materia negli ultimi decenni abbiamo assistito troppe volte all'avvio di percorsi riformatori che si presentavano come risolutori, che nelle intenzioni, anche sincere, di chi li proponeva promettevano di regalarci istituzioni più efficienti e capaci di decidere, oltre che maggiormente vicine ai cittadini, e che invece si sono infranti contro veti reciproci, chiusure partigiane, prese di posizione strumentali e contrapposizioni dannose nonostante, in ultimo, i reiterati richiami del Presidente della Repubblica.

Al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta costituzionale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione aperta anche alla partecipazione di autorevoli esperti non parlamentari e che parta dai risultati delle attività parlamentari della scorsa legislatura e dalle conclusioni del Comitato dei saggi istituito dal Presidente della Repubblica.

La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le procedure per una legge costituzionale possano compiersi. Dal momento che questa volta l'unico sbocco possibile su questo tema è il successo nell'approvazione delle riforme che il Paese aspetta da troppo tempo, fra diciotto mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, non avrei esitazione a trarne immediatamente le conseguenze.

La moralità della politica è quella di prendere le decisioni che i cittadini si attendono e di rispettare gli impegni presi di fronte al Paese e alle istituzioni. L'obiettivo complessivo è quello di una riforma che riavvicini i cittadini alle istituzioni rafforzando l'investitura popolare dell'Esecutivo e migliorando efficienza ed efficacia del processo legislativo. I principi che debbono guidarci sono quelli di una democrazia governante, la capacità degli elettori di scegliersi propri rappresentanti e di decidere alle elezioni sui Governi e le maggioranze che li sostengono.

Dobbiamo superare il bicameralismo paritario per snellire il processo decisionale ed evitare ingorghi istituzionali come quello che abbiamo appena sperimentato, affidando ad una sola Camera il compito di conferire o revocare la fiducia al Governo. Nessuna legge elettorale, infatti, è in grado di garantire il formarsi di una maggioranza identica in due diversi rami del Parlamento. Dobbiamo, quindi, istituire una seconda Camera – il Senato delle regioni e delle autonomie – con competenze differenziate e con l'obiettivo di realizzare compiutamente l'integrazione dello Stato centrale con le autonomie, anche sulla base di una chiara ripartizione delle competenze tra livelli di Governo con il perfezionamento della riforma del Titolo V.

Bisogna riordinare i livelli amministrativi e abolire definitivamente le province. Semplificazione e sussidiarietà debbono guidarci al fine di promuovere l'efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma, al contrario, valorizzare comuni e regioni per rafforzare le loro responsabilità, in un'ottica di alleanza tra il Governo, i territori e le autonomie ordinarie e speciali.

Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del federalismo fiscale rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia, salvaguardando la centralità dei territori delle regioni e valorizzando le autonomie speciali. Si può anche esplorare il suggerimento del Comitato dei saggi, istituito dal Presidente della Repubblica, per l'eventuale riorganizzazione delle regioni e dei rapporti tra loro.

Occorre poi riformare la forma di Governo, e su questo punto bisogna anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato.

La legge elettorale è naturalmente legata alla forma di Governo, ma si possono sin da ora delineare gli obiettivi fondamentali: innanzitutto dobbiamo solennemente, qui, assumere l'impegno che quella dello scorso febbraio sia l'ultima consultazione elettorale che si svolge sulla base della legge elettorale vigente. Cambiarla serve non solamente per assicurare la formazione di maggioranze sufficientemente ampie e coese, in grado di garantire Governi stabili, ma prima ancora, per restituire legittimità al Parlamento e ai singoli parlamentari. Non possiamo più accettare l'idea di parlamentari, di fatto imposti con la stessa presentazione delle candidature, senza che i cittadini abbiano la possibilità di individuare il candidato più meritevole il giorno delle elezioni. Sono certo che le forze politiche siano in grado di trovare delle ottime soluzioni. Permettetemi di esprimere, a livello meramente personale, che certamente migliore della legge attuale sarebbe almeno il ripristino della legge elettorale precedente.

Rappresentare l'intera Nazione oggi significa prima di tutto sapere ribadire che le sorti dell'Italia sono intimamente correlate a quelle dell'Unione europea, due destini che si uniscono. Nel 2012 tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel, anche se forse non ce ne siamo pienamente accorti, l'Unione europea è stata premiata per un'alchimia politica senza precedenti: la trasformazione delle macerie di un continente di guerra in uno spazio di pace. Allora i nemici decisero di vivere insieme; dopo, insieme, abbiamo promosso la democrazia e riunificato il continente dalle ferite della «cortina di ferro», insieme abbiamo dato vita al mercato unico, insieme abbiamo concepito la cooperazione allo sviluppo, di cui siamo leader al mondo, insieme ai ragazzi partiti nel 1987 per il primo Erasmus abbiamo scoperto di avere nuove case e nuove famiglie e insieme, nella crisi, dobbiamo ripartire da alcune verità, perché delle verità non bisogna mai avere paura.

In primo luogo, il Nobel è alla memoria, l'Europa non è il passato, è il viaggio nel quale ci siamo imbarcati per arrivare nel futuro; l'Europa è lo spazio politico con cui rilanciare la speranza che ha animato la nostra società nella ricostruzione del dopoguerra, è lo spazio politico con cui mettere fine a questa guerra di stereotipi, di sfiducia e di timidezza, mentre la tragedia della disoccupazione giovanile mette un'intera generazione in trincea. L'Europa esiste solo al presente e al futuro, solo se alla storia scritta dai nonni e dai padri si affiancano le azioni dei figli e dei nipoti.

In secondo luogo, l'Europa è il nostro viaggio, la sua storia non è scritta malgrado noi, è scritta da noi; l'orizzonte è europeo, con le università che devono diplomare laureati in grado di lavorare ovunque in Europa e le imprese che devono inventare prodotti che siano competitivi a livello continentale e globale. Pensare l'Italia senza l'Europa è la vera limitazione della nostra sovranità, perché porta alla svalutazione più pericolosa, quella di noi stessi. Vivere in questo secolo vuol dire non separare le domande italiane e le risposte europee nella lotta alla disoccupazione e alla disuguaglianza, nella difesa e nella promozione di tutti i diritti e soprattutto nell'abbattimento dei muri tra il nord e il sud del continente, così come tra il nord e il sud dell'Italia.

In terzo luogo, il porto a cui il nostro viaggio è rivolto sono gli Stati Uniti d'Europa e la nostra nave si chiama democrazia. Guardiamo con ammirazione, certo, lo sviluppo delle altre nazioni, in particolare in Asia, in Africa, ma non vogliamo sognare i sogni degli altri. Abbiamo il diritto a un sogno che si chiama Unione politica europea e abbiamo il dovere di renderlo più chiaro.

Possiamo avere più Europa soltanto con più democrazia, con partiti europei, con l'elezione diretta del Presidente della Commissione, con un bilancio coraggioso e concreto, come devono essere i sogni che vogliono diventare realtà.

L'Italia vive in un mondo sempre più grande, caratterizzato dall'arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti, che stanno modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una politica comune per raggiungere la massa critica necessaria, e interagire con questi nuovi attori, e influire sui processi globali. Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l'impegno per il consolidamento dell'ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze armate in prima linea, con una professionalità e un'abnegazione seconde a nessuno. Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile .

L'Italia è saldamente collocata nel campo occidentale, ma la sua posizione geopolitica, proiettata verso altre civiltà, la sua cultura abituata al dialogo, e la sua economia vocata all'esportazione possono consegnarle un ruolo di ponte tra l'Occidente e le nuove potenze emergenti. Questo è importante soprattutto nel Mediterraneo, dove il consolidamento delle Primavere arabe, la risoluzione politica della crisi in Siria e la prosecuzione del processo di pace in Medio Oriente sono le questioni più urgenti.

Onorevoli colleghi, vado a concludere. In questi giorni ho pensato molto al personaggio biblico di Davide: come lui, con lui, siamo nella valle, in attesa di affrontare Golia, nella valle delle nostre paure, di fronte a sfide che appaiono gigantesche, anche la sfida di metterci insieme per affrontarle. Come Davide, in quella valle, dobbiamo spogliarci della spada e dell'armatura che in questi anni abbiamo indossato e che ora ci appesantirebbero. Come Davide prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca di pastore, nella bisaccia, prese in mano la fionda e si avvicinò a Golia, noi dal torrente delle idee sulle quali ci siamo confrontati, abbiamo scelto i nostri ciottoli, le nostre proposte di programma. La fionda l'abbiamo in mano insieme – Governo e Parlamento – ma, di Davide, ci servono il coraggio e la fiducia: il coraggio di mettere da parte quella prudenza politica, che spinge ad evitare il confronto con le nostre paure, a rimanere nella valle e, se proprio decidiamo di muoverci, a farlo con indosso l'armatura. No, il coraggio di affrontare la sfida, liberandoci dall'armatura, forse l'abbiamo trovato; la fiducia è quella che oggi chiediamo al Parlamento e agli italiani.

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EDIZIONI  PRECEDENTI

RIFINANZIAMENTO   DELLE  UNIVERSITA'
COSTO STANDARD

.

Conferenza organizzata dal Prof. Nino Luciani, con il sostegno delle Organizzazioni Unitarie e dall'USPUR
"ADI,  ADU, ANDU, CIPUR, CISL-Università, CNRU, CNU, COBAS-Pubblico Impiego, CoNPAss, CSA-CISAL Università,
FLC-CGIL, LINK, RETE29Aprile, SNALS-Docenti, SUN-Universitas News, UDU, UGL-INTESA FP, UIL RUA, USB-Pubblico Impiego". USPUR
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  PARTECIPANTI: Luciano Modica, Nino LUCIANI, Giuseppe CATALANO, Francesco FAVOTTO, Stefano PALEARI

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RISULTATI
della Conferenza Nazionale del  1 feb. 2013
a  Bologna, via Santo Stefano 119 (Sala del Baraccano )

"Autonomia universitaria e nuovo sistema finanziario ordinario delle universita’
pubbliche, basato sul costo standard per studente, ex-art. 5, c. 4, Legge 240/2010”

RELAZIONE INTRODUTTIVA
Per il testo completo di relazione, dati statistici e grafici, clicca su: Relazione Costo standard per studente )

   Nota. La Conferenza, organizzata dal prof. Nino Luciani, con il sostegno delle Organizzazioni Sindacali Universitarie Nazionali della Docenza, ha avuto luogo il 1 feb 2013 a Bologna, Via Santo Stefano, 119, Sala del Baraccano. Il Documento, qui sottoposto, relativo al calcolo del costo standard, è il testo definitivo, come conseguenza del dibattito scientifico nel corso della Conferenza. Esso si vale dei bilanci del 2009 di tutte le università pubbliche, pubblicati dall'ANVUR, i soli disponibili, a suo tempo. Nelle scorse settimane, l'ANVUR ha pubblicati i bilanci del 2010. Tuttavia, data la prevalente finalità metodologica del documento, la sua pubblicazione non viene ritardata per aggiornarlo con i bilanci del 2010, parte che è verosimile che i dati di bilancio cambieranno di poco da un anno all'altro.
      Con l'occasione, voglio dire (anche se fuori tema) che l'analisi dei bilanci mi ha permesso di accertare che la spesa totale per attività istituzionale, delle università pubbliche è stata di € 11,4 miliardi  nel 2009 (grosso modo € 12 miliardi, ai prezzi 2012), e poichè in quell'anno il FFO fu di € 7,3 miliardi, risulta evidente che lo Stato finanzia grosso modo il 65% (manca Trento) della spesa corrente istituzionale delle Università. I contributi studenteschi furono  1,6 miliardi, nel 2009.
    A questa stessa cifra € 12 miliardi, si perviene considerando che nel 2002 il FFO fu di € 6,2 miliardi e che dal 2002 al 2012 i prezzi sono raddoppiati.

    La Conferenza è stata basata su una Presentazione del prof. Luciano Modica, su una Relazione introduttiva del prof. Nino LUCIANI (Università di Bologna, ord. di Scienza delle Finanze), sulla Correlazione del prof. Giuseppe CATALANO (Università di Roma "La Sapienza", noto esperto del campo), su un Intervento programmato del prof. Francesco FAVOTTO (Università di Padova, e Membro del CUN), e su un Intervento programmato del Prof. Stefano PALEARI (Rettore Università di Bergamo, Segretario Generale della CRUI).
    Il Miur - Ministero dell'Università non vi ha partecipato .
    Erano presenti alcune Università ( Rettore Massimi VEDOVELLI di Univ. di Siena Stranieri, un "Membro del Rettorato di Bologna) .
    In particolare, il prof. Catalano ha espresso l'opinione (anche del Relatore) che il calcolo del costo standard non avvenga più "a stima", ma sulla base di dati certi e che, tuttavia (allo scopo di facilitarne l'applicabilità) l'approccio di Luciani "dovrebbe" ottemperare puntualmente ai requisiti di legge.
   Essa dispone che il detto calcolo si valga di "indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai diversi contesti economici, territoriali e infrastrutturali, in cui operano le università", e sia relativo allo studente "iscritto entro la durata normale del corso di studio". Inoltre il nuovo sistema finanziario dovrebbe dispiegarsi sulla ipotesi che lo Stato non finanzi totalmente il costo standard, così da implicare per definizione la integrazione finanziaria, da parte dei diretti utenti.
   In base alla tradizione della scienza delle finanze, l'onere finanziario va ripartito tra lo Stato e gli studenti, in base alla "divisibilità" della utilità delle prestazioni (sullo Stato, la quota di utilità pubblica; sullo studente la quota di utilità individuale), rispettivamente.
   Il prof. Favotto ha illustrato un recente documento del CUN sulla attuale struttura del sistema universitario mostrandone la grandi criticità riguardo al finanziamento pubblico, all'organico docenti e personale TA, all'offerta formativa e al posizionamento internazionale. Inoltre ha presentato un primo tentativo di applicazione del modello di calcolo del costo standard secondo il dettato del DM 49/2012 discusso in un seminario interno al CUN nella seconda metà del 2012.
   Il metodo applicato è basato su dati di contabilità economico patrimoniale analitica e rientra fra i "metodi a stima" , secondo la tradizione ministeriale.
   I risultati ottenuti, comparati con lo FFO 2012, mostrano una sostanziale tenuta a livello di sistema, ma con differenziali significativi a livello di ateneo fra assegnazioni mediante modello distributivo FFO 2011 e modello del costo standard.
    Per le notevoli criticità del metodo, ritiene che la applicazione operativa richieda diversi chiarimenti di finalità, tempistica e tecnicalità da parte del MIUR.
    Il prof. Paleari ha premesso come il tema dei costi standard si presenti dopo un triennio nel quale le Università italiane sono state sottoposte a una contrazione dei finanziamenti che non ha eguali in altri comparti pubblici.
    Pertanto, prima di fornire una valutazione di merito occorre chiarire quali sono le idee circa le prospettive dell'Università. La tecnica è, infatti, strumento della politica e non viceversa. Anzi, anche una buona tecnica può fallire nell'obiettivo se si muove in assenza di un quadro politico e di una politica coerente.
    Un finanziamento decrescente inficia alla radice il tema degli standard perché, stante i livelli sperequati di partenza, comporterebbe per molti Atenei delle conseguenze insostenibili.
   Occorre quindi:
   1) definire l'obiettivo, che è quello dell'equità e non dell'omogeneità;
   2) e ricondurre allo standard chi ne è fuori beneficiando tutto il sistema. In altri termini lo standard è strumento per giungere sia a una maggiore equità sia a una maggiore efficienza.
   Oggi l'Università si presenta a questo appuntamento sfibrata e lesa nella sua autonomia. C'è il rischio che anche le buone cure siano vane se "il paziente" si presenta debilitato. In chiave applicativa, occorrerebbe utilizzare gli standard più per posizionare tutti gli Atenei sopra una "soglia minima" e sotto una "soglia massima" che per tentare di giungere a un'impossibile e scorretta omogeneizzazione.
   Il prof. Luciano Modica ha fatto un puntuale excursus critico sulla università italiana nell'ultimo ventennio, per concludere con un caldo auspicio alla restituzione del ruolo primario della università nei destini di Italia, e con lo sguardo a più alte mete, anche finanziarie, in armonia con gli altri Stati Europei.

Sommario del Documento illustrato.
Parte I – Autonomia universitaria e finanziamento ordinario (FFO) delle universita’, basato sullo speso standard.
1.- Scopo di questo studio. Breve introduzione agli elementi, presupposti noti. 2.- Per un nuovo sistema finanziario, preludio alla autonomia universitaria, nel rispetto del principio del pareggio del bilancio. 2.1.- Presupposto: la separazione tra proprietà (Stato) e gestione (Università). 2.2. Il ruolo del costo standard per studente. 2.3.- La posizione degli studenti meritevoli e bisognosi (art. 34 Costituzione).
Parte II – Calcolo dello speso medio per studente. Riferimento alla "universita’ rappresentativa"
1.- Definizione di speso standard, come speso medio, per studente, della "università rappresentativa". 2.-Metodologia applicata per il calcolo. 3.- Risultati per la "università rappresentativa". ALLEGATI ALLA PARTE II.
Parte III – Davide Luciani, Calcolo del costo standard mediante regressione lineare multivariata

STRALCIO della Parte I e della Parte II (esclusi gli allegati).

Parte I – Autonomia universitaria e sistema finanziario ordinario (FFO) delle universita’, basato sullo speso standard.

  1.- Premessa e scopo di questo documento.
   La legge 240/2010 ha innovato profondamente il finanziamento ordinario delle università pubbliche: l’aspetto più significativo è la sostituzione del criterio del finanziamento in base alla spesa storica (ancora la parte più corposa del FFO – Fondo di finanziamento ordinario), con quello del finanziamento in base al costo standard, sia pur in una gradualità temporale, con decisione del ministro, di tre anni in tre anni [1]. Su questo si tornerà in seguito.
In generale, il costo standard è un parametro utilizzato per la razionalizzazione della P.A. . Esso è una necessità per i sistemi politici a pianificazione centralizzata, e questo vale anche per il Miur per "pianificare" le università dal centro.
   Detti sistemi hanno bisogno del costo standard perché, evidentemente, non potrebbero finanziare il sistema economico a "piè di lista", se non si vuole il caos.
   Tuttavia il "costo standard" è sempre stato il "tallone di Achille" di questi sistemi, fino ad esserne il tarlo che li può portare al fallimento, se divengono espressione di grandezze meramente burocratiche dal centro, non corrispondenti alla realtà. Gli studiosi dei Paesi a pianificazione centralizzata non se ne meravigliano.
   Nel caso del nostro Miur, lo vediamo per la "quota premiale", che utilizza statistiche vecchie di un anno, come minimo, ma anche da 2 anni a 5 anni, o inesistenti.
   C’è anche la circostanza che le categorie logiche burocratiche statistiche non sempre corrispondono a quelle della "economia". Infatti, la premiazione dei "risultati del passato" può non tradursi in incentivo all’efficienza per il futuro. Ad es. attribuire un premio in base ai crediti (vale dire in base agli esami superati dagli studenti) potrebbe indurre alcune università ad una qualche larghezza nelle promozioni, e questo non è efficienza.
   Torniamo al costo standard. Perché abbia un senso l’uso del costo standard, il nodo sta nel suo corretto calcolo e questo ha un margine di accettabilità se è determinato in concorso con le università da pianificare.
   Lo scopo di questo documento è mostrare come il nuovo sistema potrebbe rendere possibile, pur in un sistema a controllo centralizzato, l’autonomia universitaria nel senso pieno, vale dire l’autonomia di entrata e di spesa.
   Per questo, l’interesse primario della relazione è quello finanziario, ma al tempo stesso viene dato un contributo al calcolo del costo standard. Ciò viene fatto, seguendo (analogicamente) la metodologia, già applicata dalla scienza delle finanze per la individuazione della dimensione ottimale dei Comuni italiani.
   Nella prima parte viene illustrato il nuovo possibile sistema finanziario, in armonia con l’autonomia, supposto già risolto il problema del calcolo del costo standard.
    Nella seconda parte è illustrato il relativo metodo di calcolo.

  2.- L’ordinamento generale in vigore. Il sistema finanziario attuale conserva, tuttora, la sua base nella legge 537/1993[2] , che ha istituito più fondi, di cui uno è il FFO – Fondo di Finanziamento Ordinario.
   In quella legge, la spesa di riferimento è quella storica a quel momento, e tuttavia con la variante (da applicare in futuro) che esso sarà costituito da una quota base (variata nel tempo, in un range dell’80-85%) e da una quota di riequilibrio, da calcolare in base al costo standard per studente iscritto (intorno al 5-10%, negli anni). In questo senso, data la limitata quota finanziata in base al "costo standard", esso è rimasto ma quale esigenza di razionalizzazione della finanza universitaria, in attesa di migliore fortuna.
  Una successiva, importante, integrazione dei componenti del FFO è venuta con la quota premiale (7% del FFO, D.M. 3 luglio 2007, n. 362).
  In generale, si osserva che i criteri per la determinazione del FFO sono stati sempre caratterizzati, sia pur con alti e bassi, da grande discrezionalità dei vari Ministri, sia pur motivando ufficialmente con ragioni "valide", sia per "riconoscere" sia per "contestare" la fondatezza delle richieste delle università. Ad es., il prof. L. Modica ha detto, neò corso della Conferenza, che già in passato il Miur, nei vari correttivi, si è di fatto sempre valso del costo standard anche per determinare la "quota base" (85% circa), pur se la legge 537 limita l’uso del costo standard al calcolo della "quota di riequilibrio".
   Rimane, tuttavia, il fatto che il metodo di calcolo del costo standard è stato fatto "a stima", con relativa piccola possibilità di controllo trasparente, e nel quale era preso a riferimento primario il"docente-equivalente (non lo studente), e non è mai stata fatta chiarezza sul rapporto studenti/professore, ipotizzato per la trasformazione finale del costo standard per docente-equivalente, nel costo standard per studente iscritto.
  In considerazione della grande importanza quantitativa che il nuovo criterio dovrà avere per la determinazione del FFO, questo fatto suggerisce di pensare a metodi "oggettivi", ossia relativamente più fondati, per la valutazione del fabbisogno finanziario, e il calcolo rigoroso e trasparente del costo standard potrebbe essere la "grande occasione".

2.- Come dovrebbe funzionare il nuovo sistema finanziario, quale preludio alla autonomia universitaria

2.1.- Presupposti: la separazione tra proprietà (Stato) e gestione (Università).
Il costo standard, come termine di riferimento per la determinazione del FFO, permette di configurare il FFO in modo rispettoso della piena autonomia amministrativa, con pareggio del bilancio. Sono presupposti necessari:
- la separazione tra proprietà e gestione, nel rapporto tra Stato e Università (o scuola, in generale). La proprietà rimane allo Stato; la gestione va totalmente alle Università;
- che lo Stato, attraverso il Parlamento (e l’Esecutivo), svolga anche il ruolo di utente, in rappresentanza delle famiglie, pagatrici delle imposte che finanziano la spesa statale per l'università.
  Con questi presupposti, il ruolo del costo standard per studente è quello medesimo della retta scolastica, tra una qualunque scuola e una famiglia, che ad essa vuole iscrivere i figli, pagando la retta scolastica, dato il principio del pareggio del bilancio.
  Cosa cambia, nel caso delle università ?
Nella scuola privata, la retta è di solito fissata dalla scuola e la famiglia ha un relativo piccolo potere contrattuale. Anche le università potranno calcolare la loro "retta" e proporla a qualunque utente.
  Tuttavia, tra gli utenti, c’è lo Stato (in rappresentanza delle famiglie), che ha la "capacità contrattuale propria del monopsonista, circa la domanda di didattica e ricerca universitaria, e quindi una grande "forza" contrattuale nel determinare la "retta offerta" e i requisiti di efficienza.
  Precisamente, nel nuovo sistema finanziario, la "retta" è lo "speso medio standard per studente": tante rette uguali quanti sono gli studenti. Esso, inoltre, fa valere la osservanza dei requisiti minimi delle università, per "accreditarle" e ha titolo al loro controllo nel tempo. (Su questo punto tornerò in seguito, per l’ipotesi realistica che lo Stato non paghi la retta per intero).
   Inoltre lo Stato conserva al diritto a salvare i vincoli qualitativi per il reclutamento e per la valutazione del personale, da essere gestiti da un organo terzo.
   In questo rapporto con lo Stato-utente, le singole università possono svolgere una specifica "trattativa" oppure coalizzarsi e assumere la capacità contrattuale del "monopolista" (ciò avviene, ad es., se riunite sotto l’egida della CRUI-Conferenza dei Rettori); e la forma tipica può essere quella dei piani previsivi pluriennali (3-5-10 anni ?), in particolare circa il numero degli studenti sovvenzionati, inclusa la determinazione legislativa dei requisiti per l’accreditamento[3].
  Inoltre, lo Stato "proprietario" mantiene il diritto al controllo (Corte dei Conti, sia in via preventiva, sia consuntiva) del rispetto del pareggio del bilancio, e di determinati vincoli di ordine generale (come per i Comuni: es. che gli interessi sul debito a medio-lungo termine non superino il 15-25% del FFO).
  Non sono, invece, più giustificabili controlli specifici sulla gestione finanziaria e sulla destinazione delle risorse finanziarie.

2.2.- Il meccanismo del pagamento del costo standard per studente. I contributi studenteschi.
  Separiamo il caso estremo che lo Stato-utente paghi la retta per intero, da quello che ne paghi una parte.
 
  a) L’ipotesi del pagamento dello "intero"[4].
  Si può fondatamente ipotizzare che il costo medio "effettivo" per studente della singola università sia uguale o diverso da quello "standard" corrisposto dallo Stato. Ci sono, di conseguenza tra casi:
  - Se il costo effettivo è uguale allo standard, l’Ateneo pareggia il bilancio;
  - Se il costo effettivo è minore dello standard, l’Ateneo ha saldo positivo (in profitto);
  - Se il costo effettivo è maggiore dello standard, l’Ateneo ha una perdita.

I casi di perdita pongono obiettivamente il problema della copertura in modo specifico. Tra le ipotesi:
  - se il fatto è dovuto ad inefficienza, una prima soluzione è che lo Stato, in via transitoria, dia all’Ateneo un tempo (5 anni ? ) entro il quale "riformarsi";
  - se, invece, il fatto è dovuto relativi maggiori servizi che l’Ateneo offre agli studenti, la soluzione può essere quella di autorizzare l’Ateneo al ripiano mediante contributi studenteschi.
   Questo fatto dei contributi studenteschi a ripiano, oltre avere una possibile giustificazione economica, è rilevante ai fini della efficienza del sistema universitario, perché introduce un elemento di concorrenzialità tra le università, che viene risolto dallo studente in base ad un confronto tra benefici e costi.

  NOTA. Il criterio del pagamento dello standard a tutte le università, presuppone la stessa tipologia di prestazioni. Ma questa condizione non sussiste in generale, e in particolare nelle università.
  Per questo motivo, diviene una necessità individuare più livelli di standard, a cui corrisponda un determinato livello di prestazioni. In questo senso, questo studio prosegue all’insegna di individuare la "università rappresentativa. Poi, in sede di applicazione dei risultati ad una varietà di livelli qualitativi delle prestazioni delle università, si passa ad una applicazione differenziata dei risultati in cui si individuano più standard.

  b) L’ipotesi del pagamento di una "parte" dello "intero".
   Nella tradizione di scienza delle finanze si distingue, dentro la utilità delle prestazioni dei servizi pubblici, una possibile quota "indivisibile" (vale dire di utilità pubblica, generale) ed una possibile quota "divisibile" (vale dire di utilità individuale dell’utente). Lo Stato "dovrebbe" coprire la quota di costo a fronte della utilità pubblica generale (es., importanza per il Paese che ci sia una formazione e cultura universitaria diffusa tra tutte le classi sociali,…); lo studente copre la parte di costo a fronte della sua utilità individuale.

  2.3.- La posizione degli studenti meritevoli e bisognosi (art. 34 Costituzione).
  La legge vigente non lascia libertà alle università di determinare i contributi studenteschi, sia pure solo a pareggio. Il motivo è che vi possono essere studente che, pur fruendo indirettamente del finanziamento diretto statale delle università, ci sono studenti che non sono in condizioni di pagare i contributi studenteschi.
  A parte che, la valutazione delle "due quote" di utilità non sono quantificabili oggettivamente, essa rientra nella valutazione discrezionale della classe governante circa l’importanza "pubblica" che la scuola sia per tutti o per pochi.
  Tuttavia, nel caso dell’Italia, c’è un preciso vincolo Costituzionale (art. 34) a favore degli studenti bisognosi e meritevoli.
  Tenuto conto di questo, parrebbe potersi osservare che, sempre in base a Costituzione, non ci possa essere una discriminazione tra gli studenti, a parità di situazioni. In questo senso, questo compito dovrebbe essere proprio dello Stato, uniformemente sul territorio nazionale, e dunque non delle singole università, perché in differente solidità finanziaria, rispettivamente.
   Qualora questo compito fosse proprio dello Stato (ed eventualmente delegato alle Regioni, per la relativa gestione), cadrebbe il problema di limitare la libertà degli Atenei, nella determinazione dei contributi studenteschi.
   La modalità della erogazione del finanziamento dello Studente bisognoso e meritevole potrebbe essere al singolo studente potrebbe essere quella della attribuzione di un "bonus universita’ " (voucher) , che lo studente può spendere nella università, che sceglie.

  2.3.- La posizione degli studenti "fuori corso". La legge 240 vuole il riferimento agli studenti in corso, con esclusione di quelli "fuori corso".
   In questo studio, l’uso dei bilanci concretamente esistenti implica il riferimento agli studenti frequentanti. Il motivo è che si può ritenere praticamente trascurabile il costo degli studenti fuori corso, in quanto essi vanno all’università solo per fare gli esami, di tanto in tanto e a poco altro, sicchè non hanno effetto sulla determinazione del numero dei professori e gli spazi, i costi più rilevanti.
   Ciò non toglie che si possa discutere una problematica dei contributi studenteschi a loro richiedere. Questo aspetto viene ripreso in nota[5].

___________________________________

Parte II – Metodo di calcolo dello speso medio per studente. Riferimento alla "universita’ rappresentativa"

  1.- Definizione di speso standard, come speso medio[6], per studente, della "università rappresentativa".
  Come premesso, la spesa standard per studente, e’ qui definita quale spesa corrente istituzionale, media, per studente della "universita’ rappresentativa"[7].
   Le università pubbliche prese in considerazione sono 60 (manca Trento, perchè con uno schema di bilancio non omogeneo, rispetto alle altre )[8] . I dati di bilancio finanziario presi a riferimento sono dell’anno 2009 (allora, dati più recenti pubblicati dall’ANVUR).
  Nel 2009 gli studenti in corso e fuori corso erano1.655.881; quelli in corso erano 1.074.596 , pari al 65% del totale iscritti.
  A riguardo del metodo di calcolo, e’ noto che in economia il calcolo del valore-costo dei beni è fatto con due metodi:
- uno si basa sui valori di mercato;
- l’altro si basa su stime, nei casi in cui non si dispone di valori di mercato (precisamente, prima, si stima il costo del bene interessato, come se di dovesse costruirne uno "nuovo", e poi questo valore viene "aggiornato" ponderandolo con un coefficienti di vetustà).
  
   I "metodi a stima" hanno il limite di essere "soggettivi", quindi discutibili. Pensiamo ad uno di noi che voglia farsi una casa. Egli va da un Ingegnere che gli fa il progetto, in base alle sue esigenze ed alla disponibilità finanziaria.
   Nel caso delle università, si tratta di ipotizzare un determinato progetto sia per fabbricato nel complesso, sia per il rapporto numerico tra studenti e professori (delle varie fasce), sia per il rapporto numerico tra superficie e studenti (o docenti) a secondo delle varie tipologie di necessità e per quant’altro …. per passare infine al calcolo del costi. Infine c’è una scelta tra diverse opzioni di progetto differentemente costose.
  Il Miur non ha mai reso noto il progetto adottato. Si arguisce la estrema discutibilità e unilateralità circa la validità della scelta migliore "a stima" sia in assoluto, sia nei confronti delle autonomie universitarie; e questo a maggior ragione se le relative localizzazioni sono molteplici e diverse, nel territorio nazionale.
  In questo studio, implicitamente, facciamo uso dei prezzi di mercato. I bilanci, infatti, contengono dati a prezzi di mercato. Infatti, le spese sono determinate in base agli acquisti dei beni e servizi, ai prezzi di mercato, e anche le retribuzioni del personale sono determinate dal costo del lavoro, sul mercato.
  C’è, poi, il vantaggio di presupporre "progetti di Ateneo" già esistenti e applicati, non pensati "astrattamente".
  In teoria, le due metodologie non vanno considerate come contrapposte, e anzi dovrebbero condurre agli stessi risultati. Per questo essi vanno presi reciprocamente anche come test, l’uno nei confronti dell’altro.

   Nota sul significato economico di  "costo per studente".
   In generale, ci sono posizioni diversificate nelle discussioni tra esperti. Ad es. un output, relativamente più idoneo (a cui riferire le spese) sarebbe il numero dei crediti, oppure il numero delle lauree. Ma la legge vuole il numero degli studenti frequentanti.
   Non va trascurato che i pagamenti sono fatti da persone, così come le imposte in generale (sia pure se commisurate al reddito). Pertanto l’approccio della legge (allo studente) mi sembra il più efficace, per una soluzione finale.
  E’ anche fondato ritenere conto che la spesa delle università non dipende solo dalla didattica, ma anche da altri elementi (in primis, la ricerca). Ma, nel caso delle università, la ricerca non è separabile dalla didattica. Ed è’ noto che i Nuclei di valutazione fanno lo scorporo applicando il criterio contabile del fifty che è, però, senza fondamento certo.
   Un precedente importante riguardo lo studio, nella scienza delle finanze, della dimensione ottimale dei Comuni. Mettendo in ordinata la spesa media per abitante, ed in ascissa le popolazioni dei singoli Comuni in ordine crescente, si è trovata una curva ad U, che infine ha portato ad individuare la dimensione ottimale dei Comuni (quelli con costo medio per abitante, più basso) quella in un range tra i 10.000 e i 20.000 abitanti.
  In prima approssimazione, per i piccoli il relativo alto costo medio è stato attribuito alle diseconomie della "piccola scala"; e per i grandi Comuni il relativo alto costo medio è stato attribuito alle diseconomie della grande scala. Ma in seconda approssimazione, per i grandi Comuni, si è anche osservato che essi erogano un relativo maggior numero di servizi, non solo per se stessi, ma anche per i Comuni minori adiacenti, in ragione del fatto che i rispettivi cittadini si recano di routine nel Comune maggiore. In questo senso, vero essendo che la spesa non dipende solo dalla popolazione, sono stati fatti degli approfondimenti di seconda e ulteriore approssimazione.
  In questo studio, tutto parte con il calcolo del costo per studente, ma poi vi sono associati degli elementi qualitativi, indicati dalla legge stessa (vedi: tipologie di corsi di laurea ….).
   Tutto questo avviene nei limiti dei dati statistici resi disponibili (pochi) dall’ANVUR, dal Miur e dal Cineca, e comunque relativi alla "università", non alle Facoltà.

  2.- Metodologia applicata per il calcolo.
  La metodologia per il calcolo segue due fasi:
  a) in una prima fase si analizza e rileva la spesa storica per le attività istituzionali, almeno in un determinato anno, analizzando i bilanci finanziari[9] delle singole università;
   b) in una seconda fase si cerca di individuare l’università rappresentativa.
    
   Dentro la seconda fase, si procede per approssimazioni successive, in ognuna delle quali viene calcolata la media aritmetica pesata dei costi medi delle singole università, a più livelli di requisiti di efficienza. Il motivo della scelta di questo parametro-guida è che lo standard da prendere a riferimento per determinare il finanziamento delle università in ottemperanza al vincolo del bilancio delsistema universitario nel suo complesso, sia pur con discriminazioni tra gli atenei, in relazione alla rispettiva efficienza.
   Gli elementi considerati per le successive approssimazioni sono:
  - 
le università con un numero di studenti incluso tra 10.000 e 60.000, separate da tutte le altre perché "ritenute a priori" affette da diseconomie di scala (troppo piccole, o troppo grandi). Dal lato "rappresentatività, poi, le piccole università non hanno, di solito, alcune prestazioni essenziali (soprattutto per l’accoglienza studenti). Quelle grandi hanno molte disfunzioni, tipiche della ingovernabilità delle "mega strutture.
  - le università che hanno tutte le "quattro aree" di classi di laurea, secondo la classificazione del CINECA (area sanitaria, area scientifica, area sociale, area umanistica), e sono escluse tutte le altre.
   Si chiarisce che, allo stato attuale, non sono disponibili i bilanci, sedatamente, per ognuna delle quattro aree, salvo in pochi casi, di università che hanno solo una delle quattro "famiglie di area". Queste situazioni saranno riprese, in seconda approssimazione, come curiosità non trascurate.
  - all’interno delle università con i "quattro requisiti di aree", sono identificare quelle aventi ulteriori, determinati requisiti qualitativi:
   a) un rapporto numerico tra studenti e professori non maggiore di una determinata "soglia";
   b) un rapporto tra studenti e mq di superficie calpestabile e numero di studenti non minore di una determinata soglia.
   c) un rapporto tra il capitale/studenti superiore ad una determinata soglia;
   d) i politecnici, rispetto a tutte le altre.

   Nota. In teoria, il compito della selezione non finisce qui, se si può disporre di ulteriori requisiti qualitativi.
    Queste approssimazioni, in cui la media aritmetica pesata è il parametro di riferimento per le classificazioni, saranno infine confrontate con i risultati ottenuti mediante regressione lineare multivariata, con variabile dipendente il costo medio per studente, e variabili indipendenti, quali famiglie di classi di studenti, il numero degli studenti/docenti per università, numero metri quadri di superficie calpestabile per studente. Questa è proposta nella APPENDICE.

3.- Risultati
  La Tabella 1
mostra un quadro storico complessivo delle 60 università pubbliche. Gli istogrammi sono ottenuti dal rapporto tra spesa totale istituzionale di ogni università (in ordinata) e il numero totale dei rispettivi studenti "in corso e fuori corso" (in ascissa).
  La linea di tendenza è una curva ad U, vale dire una spesa media, relativamente maggiore, per le piccole università e per la grandi università.
  Sotto un profilo generico, questo risultato è nella norma, ed è spiegato dalle "diseconomie" di scala.
  Si notano, tuttavia, due anomalie per le università di Siena, che da un approfondimento sono risultate conseguenti a contabilizzazioni, dovute ad eventi eccezionali, non collegabili ai costi del 2009.
  Tuttavia, poiché non rientra nei miei compiti "rettificare" i dati, seguo la regola di routine di omettere, nel seguito, quelle due università.
 
  La Tabella 2 (relativa a 58 università) rappresenta la stessa situazione, ma dopo due correttivi:
   a) la spesa media viene riferita solo agli studenti "in corso". Questo passaggio è fatto, in particolare, in ottemperanza alla legge 240 e, poi, perché (in prima approssimazione) i bilanci sono relativi ai soli studenti in corso.
  b) vengono escluse le "due" Siena, perché anomale come significato economico;
  Si ottiene uno speso medio per studente relativamente più uniforme, e ancora una linea di tendenza ad U, ma quasi parallela all’asse delle ascisse.
  Ritengo che, anche in questo caso, sarebbe un "non senso economico" identificare, come università "meno costosa", quella corrispondente al punto di minimo ( punto x = 31.000) della curva del costo medio. Il motivo del "non senso economico" è che le università rappresentate non sono omogenee dal lato prestazioni.
  La media aritmetica pesata degli "spesi medi" delle varie università è di € 10.387.

   La Tabella 2 x (relativa a 38 università) fa una prima selezione, dal lato economico. Precisamente, (per motivi attinenti alla "scala" ) esclude a priori le università con un numero di studenti minore di 10.000 e maggiore di 60.000.
   La media aritmetica pesata degli "spesi medi" delle varie università sale a € 10.431.

  Nota. Si osserva che l’ "assunto a priori", secondo cui le piccole e le mega strutture hanno diseconomie di scala non ha conferma nel caso delle università: infatti, al passaggio dalla tabella 2 alla tabella 2x la media aritmetica pesata è praticamente la stessa.

  La Tabella 3 x (relativa a 30 università) contiene (rispetto alla Tab. 2 x) solo le università che hanno le "4 famiglie" di classi di laurea ( area sanitaria, area scientifica, area sociale, area umanistica).
  Questo passaggio conferisce un qualche significato economico alla "linea di tendenza", in quanto essa rappresenta la sequenza dello "speso medio" a parità di tipo di prestazioni, in prima approssimazione. La linea di tendenza diviene una retta, leggermente crescente (rispetto all’asse delle ascisse).
  La media aritmetica pesata degli "spesi medi" delle varie università sale a € 10.568.

   La Tabella 4 x (relativa a 21 università) è ottenuta associando un "requisito" qualitativo importante: "quanti studenti in corso per ogni docente" (ordinario, associato, ricercatore).
   Dall’analisi delle situazioni di tutte le 60 università pubbliche, risulta che in esse si va da un minimo di 11 studenti per docente, a Siena, ad un massimo di 33 studenti per docente a Napoli Partenope. Il valore medio di tutte le università è 18,7 studenti per docente. In questa tabella sono rappresentate solo le università che hanno un rapporto studenti/professori minore di 20/1 .
   La media aritmetica pesata degli "spesi medi" delle varie università sale a € 11.307.

  Nota. In base ai dati OCSE (Education at a glance, 2012), richiamati dal CUN – Consiglio Universitario Nazionale, e relativi al 2010, nei Paesi OCSE il rapporto studenti/docenti sarebbe stato 15,5; mentre in Italia il rapporto medesimo sarebbe stato 18,7.
  Ragioniamo sul significato di questo parametro. Esso non significa che, in aula, per ogni insegnamento c’è mediamente un professore per 18,7 studenti. Il motivo è che, (poniamo, in un giorno di lezioni), il numero degli studenti di un determinato anno (di un corso di studio), rimane immutato, pur nella sequenza delle ore di lezione, mentre cambiano i docenti rispettivi (al variare degli insegnamenti).
   Nelle università italiane, attualmente si ammette che i professori facciano lezioni di 2 ore. Ipotizzando due lezioni (di due ore) la mattina e due lezioni (di due ore) il pomeriggio, la stessa classe di studenti vede 4 professori nella giornata. Dunque, se una classe fosse composta da 50 studenti, statisticamente il rapporto studenti/docente è 50/4=12,5 , ma in aula il rapporto è 50/1. Dunque, dato il rapporto statistico tra studenti/docenti, per risalire al rapporto studenti/docenti per lezione occorre moltiplicare il rapporto statistico per il numero delle lezioni.
  Non ci sono solo lezioni di "2 ore". Ce ne sono altre di "1 ora" e altre diverse. Se ipotizziamo che il numero delle lezioni, in una giornata, sia mediamente 5, al rapporto statistico 18,7/1 corrisponde un rapporto in aula di 93,5/1 (Italia); ed al rapporto statistico 15,5/1 corrisponde ad un rapporto di 77/1 ( OCSE ). Questo è, però, un valore medio. Esso è, di solito, molto diverso negli insegnamenti umanistici, rispetto a quelli scientifici (affollati i primi, meno affollati i secondi).
   Questo requisito qualitativo, legato ad un determinato parametro, è fondamentale per determinare la adeguatezza del costo standard, ma il numero dei docenti è deciso indirettamente dal Miur (non dalle università) in termini di decisione dell’entità del FFO. Dunque, se il Miur riservasse solo a sé la determinazione del costo standard (sulla cui base determinare il FFO) verrebbe a configurarsi un conflitto di interessi: infatti il costo dei docenti va a numeratore, dentro il rapporto tra spesa totale/studenti.

   La Tabella 5 x (relativa a 17 università) contiene le residue università che abbiano un secondo "requisito": abbiano almeno mq 5 di superficie (valore medio, di tutte le 60 università) calpestabile per studente "in corso". Questo requisito è considerato qui per l’aspetto qualitativo delle prestazioni, pur se ha una valenza anche ai fini quantitativi della gestione corrente (più superficie implica più spese di riscaldamento e di pulizia e manutenzione ordinaria).
   Secondo le indicazioni del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario, anno 2000, la superficie per studente dovrebbe essere non minore di mq 7, in termini complessivi. Il medesimo Comitato entrava, poi, nello specifico, per varie destinazioni.
   Nelle 60 università, la superficie per studente va da un minimo di mq 1,17 (Teramo) ad un massimo di mq 10 (Udine). Le università con 7 mq sono 9. Il parametro medio è mq 4,6 .
   La media aritmetica pesata degli "spesi medi" delle 7 università, con tutti i requisiti, sale a € 11.537.

  La Tabella 6 x (relativa a 7 università) è ottenuta restringendo ulteriormente il requisito dei mq di superficie per studente: stare al parametro del CNVSU: almeno mq 7 per studente.
   La media aritmetica pesata degli "spesi medi" delle 7 università, con tutti i requisiti, è di € 11.657.

  La Tabella 6 xx (relativa a 5 università) è ottenuta restringendo ulteriormente il requisito patrimoniale dei mq di superficie per studente: avere anche un rapporto capitale per studente maggiore di € 900, valore medio dei rapporti di tutte le 60 università pubbliche, che va da un minimo di € 281 (Parma) ad un massimo di € 4.748 (Catanzaro).
   La media aritmetica pesata degli "spesi medi" delle 5 università, con tutti i requisiti, sale a € 11.852.

La Tabella 8 è relativa ai 3 Politecnici, più Ancona Politecnica (non solo).
  La media aritmetica pesata degli "spesi medi" delle 5 università, con tutti i requisiti, sale a € 11.964.
 

   Verso la individuazione della UNIVERSITÀ RAPPRESENTATIVA.

   Si ipotizza il finanziamento totale del fabbisogno (sia pur da ripartire tra lo Stato e i  contributi studenteschi) del sistema universitario.
   Dati i risultati, che ha portato alla individuazione di più  livelli di "standard", a seconda dei livelli qualitativi degli atenei. con una corrispondente crescente media aritmetica pesata del costo medio per studente dei singoli Atenei, si perviene alla seguente sintesi:
  1) Primo livello: € 10.387, riferito a 58 università (vale dire, tolte due punte, riscontrate come "anomale");
  2) Secondo livello: € 10.431, riferito alle 38 università aventi il requisito, a priori, di avere un numero di studenti non minore di 10.000 e non maggiore di 60.000  
  3) Terzo livello: € 10.568, riferito a 30 università, aventi l’ulteriore requisito di avere tutte (e solo) le 4 famiglie di classi di laurea (area sanitaria, area scientifica, area sociale, area umanistica);
  4) Quarto livello: € 11.307, riferito a 22 università aventi l’ulteriore requisito di avere un rapporto tra numero di studenti in corso e numero di doventi di ruolo (prof+ric) non maggiore di 20 ;
  5) Quinto livello: € 11.537, riferito a 16 università, aventi l’ulteriore requisito di avere una superficie calpestabile di almeno mq 5 per studente in corso.
  6) Quinto livello: € 11.657, riferito a 7 università, aventi l’ulteriore requisito di avere una superficie calpestabile di almeno mq 7 per studente in corso.
  7) Sesto livello: € 11.852, riferito a 5 università, aventi l’ulteriore requisito di avere un rapporto capitale/studenti maggiore di € 900 .
  8) Settimo livello: € 11.964, specifico dei Politecnici, in ragione delle relative necessità di attrezzature. Esso è seguìto a parte.
  Tutti i dati sono riassunti nella tabelle numeriche 1 e 2.

   Conclusioni.
   Nella Tabella numerica 1, sono riportati gli elementi "elaborati" finali per il calcolo del costo standard. Essi sono il numero dei docenti di ruolo, per università, e così di seguito: il numero degli studenti frequentanti (o "in corso"), il rapporto studenti/docenti, il rapporto metri quadri per studente, il rapporto capitale per studente, le aree di classi di laurea delle singole università.
  Nella Tabella numerica  2, prime sei colonne, sono riportatati i sette livelli di standard e nella colonna 7 (speso istit. x stud. freq.) è riportato lo speso medio per studente frequentante del 2009).
  Il primo livello di standard è attribuito a tutte le università, salvo avere requisiti di relativo più alto livello, nel qual caso viene attribuito il livello dominante.
  Il livello superiore è attribuito, in luogo di quello "dato a tutte", se con requisiti relativi di più alto livello.

  Si conclude che l'università con "tutti i requisiti" del punto 7, e con l’ulteriore requisito di avere il costo medio minore (€ 11.052) è, Verona.
   La seconda è Roma Tor Vergata; la terza è Udine.

   Nota. I risultati da applicare devono essere compatibili con l’equilibrio del bilancio del sistema universitario. Poichè i risultati "puri" comportano una spesa totale di € 11.941.811.779, che è maggiore della spesa totale storica del 2009 (€ 11.463.098.939), tutti i risultati parziali sono variati in proporzione. Questo porta alle soluzioni finali riportate nel paragrafo seguente.

  4.- L’applicazione degli "standard" trovati, alle singole università.
  Indichiamo il rimborso per università, compatibile con il vincolo della spesa totale storica

b1: € 10.431 per le seguenti università:
Benevento - Univ. degli studi del Sannio
Bergamo - Università degli studi
Camerino - Università degli studi
Campobasso - Università del Molise
Cassino - Università degli studi
Catanzaro - Univ. D. studi "Magna Grecia"
Foggia - Università degli studi
Macerata - Università degli studi
Napoli - Orientale"
Napoli - Parthenope
Napoli - Seconda Università degli studi
Perugia - stranieri
Potenza - Univ. degli studi della Basilicata
Reggio Calabria - Univ. Mediterranea
Roma - Foro Italico
Roma - La Sapienza
Roma - TRE Università degli studi
Sassari - Università degli studi
Siena - Università stranieri
Siena - Università studi
Teramo - Università degli studi
Urbino - Università degli studi "Carlo Bo"
Varese - Università dell' Insubria
Venezia - Univ. degli studi "Cà Foscari"
Venezia - Università IUAV
Vercelli - Univ. degli studi del Piemonte or.
Viterbo - Università della Tuscia;

b2: € 10.568 per le seguenti università:
Calabria - Arcavacata di Rende
Chieti e Pescara - Università degli studi
Genova - Università degli studi
L'Aquila - Università degli studi
Lecce - Università del Salento
Milano - Bicocca - Università degli studi
Salerno - Università degli studi

b3: € 11.307 per le seguenti università:

Bari - Università degli studi
Cagliari - Università degli studi
Catania - Università degli studi
Milano - Università degli studi
Palermo - Università degli studi
Torino - Università degli studi

b4: € 11.537 per le seguenti università:
Bologna - Università degli studi
Brescia - Università degli studi
Firenze - Università degli studi
Messina - Università degli studi
Napoli - Federico II
Padova - Università degli studi
Parma - Università degli studi
Pisa - Università degli studi
Trieste - Università degli studi

b5: € 11.657 per le seguenti università:
Ferrara - Università degli studi
Modena e Reggio Emilia - Univ. degli studi

b6: € 11.852 per le seguenti università:
Pavia - Università degli studi
Perugia - Università degli studi
Roma - Tor Vergata
Udine - Università degli studi
Verona - Università degli studi

b7: € 11.964 per le seguenti università:
Ancona - Univ. Politecnica delle Marche
Bari - Politecnico
Milano - Politecnico
Torino – Politecnico

NOTE
Per le rinvio al testo originale, completa. Clicca su: Conferenza.

 

EDIZIONI  PRECEDENTI

.

Promossa dalle Organizzazioni Unitarie e dall'USPUR
"ADI,  ADU, ANDU, CIPUR, CISL-Università, CNRU, CNU, COBAS-Pubblico Impiego, CoNPAss, CSA-CISAL Università,
FLC-CGIL, LINK, RETE29Aprile, SNALS-Docenti, SUN-Universitas News, UDU, UGL-INTESA FP, UIL RUA, USB-Pubblico Impiego". USPUR

CONFERENZA  NAZIONALE  il  1 feb. 2013, ore 10-16
a  Bologna, via Santo Stefano 119 (Sala del Baraccano, p.T.)
con la partecipazione di LUCIANO MODICA

"Autonomia universitaria e nuovo sistema finanziario ordinario delle universita’ pubbliche,
basato sul costo standard per studente, ex-art. 5, c. 4, Legge 240/2010”

    Obiettivi della Conferenza:
INFORMARE I PROFESSORI, RICERCATORI, STUDENTI, PERSONALE TECNICO E AMMINISTRATIVO :

     a)  sul nuovo sistema di finanziamento ordinario delle università, prossimamente in vigore;
     b)  sul documento unitario dei sindacati nazionali universitari, su cui impegnare i candidati al parlamento, della Emilia Romagna, per le elezioni politiche.


                           MATTINO - Ore 10.00 - 13.00 : AUTONOMIA UNIVERSITARIA E NUOVO SISTEMA FINANZIARIO ORDINARIO ( ex-art. 4 Legne 240/2010)

Prof. Nino Luciani
Università di Bologna :


RELAZIONE INTRODUTTIVA (testo anticipato)

Prof. Giuseppe CATALANO
Università "La Sapienza" di Roma :


DISCUSSANT

Prof. Guido FAVOTTO
Univ. di Padova, Membro del CUN:

INTERVENTO in rappresentanza del Presidente del CUN

Prof. Stefano PALEARI
Rettore Univ. di Bergamo, Segretario Generale della CRUI


In rappresentanza del Presidente della CRUI-Conferenza dei Rettori

Prof. Massimo VEDOVELLI
Rettore Università per Stranieri di Siena :

INTERVENTO


Partecipanti presenti :


INTERVENTI  LIBERI

.
Prof. Luciano MODICA
Università di Pisa, già SottoSegretario di Stato per il MIUR
:


CONCLUSIONI

. . .


                           POMERIGGIO - Ore 14.00 - 16.00
:  DOCUMENTO DELLE ORGANIZZAZIONI UNITARIIE NAZIONALI  e dell'USPUR

Dott. Alessandro ARIENZO
Ricercatore Università di Napoli Federico II :


RELAZIONE (testo anticipato), in rappresentanza delle ORGANIZZAZIONI UNITARIE

Prof. Antonino LIBERATORE,
Università di Firenze :

INTERVENTO in rappresentanza dell'USPUR

Candidati al Parlamento (della Emilia Romagna), presenti :


INTERVENTI LIBERI

Segretari politici dei Partiti,
presenti :


INTERVENTI LIBERI


Membri Intersindacale di Bologna :

INTERVENTI LIBERI


Membri Intersindacale Nazionale :


INTERVENTI  LIBERI

 

 

PUBLIC CHOICE: Italia verso le elezioni politiche:
Una GUIDA, per votare dal punto di vista economico.
Sotto: cosa dice, di Monti, il Financial Times, e cosa dice Monti di se stesso.

.
bersani.jpg (6206 byte)

PierLuigi Bersani, PD

.
La scelta di chi votare
, senza inganno, è avere in mente che
i politici agiscono anche nell'interesse personale. Per tutelarsi,
il cittadino
deve privilegiare
L'ALTERNANZA TRA I "GRANDI PARTITI", per limitare gli abusi.
Monti non ha agito nell'interesse personale, ma è risultato
insufficiente, rispetto al lavoro e alla crescita del PIL.


In generale, la politica economica giusta è  tassare i poveri oppure i  ricchi,
a seconda che, al momento, sia più utile all'Italia l'una o l'altra cosa.

MONTI HA TARTASSATO I POVERI, MENTRE SERVIVA GRAVARE SUI  RICCHI.

monti.jpg (3621 byte)
Mario Monti, Destra

L'ALTERNATIVA, PER IL BENE DELL'ITALIA E' TRA BERSANI (sinistra) e MONTI (destra).
PER TUTTI GLI ALTRI, E' UNA NECESSITA' FARE PIAZZA PULITA,
pur se ci sono tante indivuidualità interessanti, ma utili solo alla confusione.

* I motivi in breve. La messa in sicurezza del Paese (pareggio del bilancio e scudo europeo anti-spread, interventi illimitati della BCE sul mercato secondario) fatta da Monti con bravura, doveva essere accompagnata dalla pronta spesa pubblica del gettito fiscale, in modo da incremenate i consumi (solo modo di risollevare le imprese, dare lavoro e rilanciare il PIL). Questo secondo obiettivo è mancato, fino a far constatare difficoltà di cassa, ripianate con ulteriore aumento pro-tempore del debito pubblico.
     La carenza della spesa pubblica è dimostrata dalla tabella (sotto riportata), della Ragioneria dello Stato, che mostra la spesa effettiva dello Stato, rispetto a quanto potrebbe spendere, in base al bilancio approvato. Ma poi, abbiamo i fatti, che lo Stato non paga i fornirori, per cifre immense.
     Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non è grandine che distrugge i raccolti, perchè è seguita dalla spesa pubblica: in questo senso, in teoria il potere di spesa totale non cambia, perchè quanto è tolto ad alcuni va ad altri. Doveva anche operare un moltiplicatore positivo del reddito, teorizzato da Haavelmo, ma anch'esso mancato e che anzi è stato negativo, a causa del fatto che la propensione marginale alla spesa dello Stato è stata minore di quella delle famiglie.
     Si deve chiarire che la lentezza statale nella spesa non è solo di adesso. Ma in passato, a questa lentezza, provvedeva la anticipazione monetaria (alle imprese destinatarie della spesa pubblica) da parte delle banche, cosa che oggi è impedita dalla situazione di sofferenza delle banche (soprattutto per colpa loro: troppi impieghi speculativi). (A proposito della situazione delle banche italiane, MONTI andò alle riunione annuale dell'ABI, e (senza battere un ciglio) lasciò dire a MUSSARI, Presidente ABI e dirigente del MPS-Monti dei Paschi di Siena, tutto quello che voleva ...).
     Per questo, la riforma delle banche e dello Stato sono gli obiettivi  primari per il medio-lungo periodo, ma traditi dal precedente Governo.
     Per l'immediato serve trasferire potere di spesa dai redditi medio-alti (perchè non investono e non spendono) ai redditi medio-bassi perchè spenderebbero.

FATTO: L'opinione del Financial Times, su Monti, a un mese dal voto.  Fonte: Financial Times, 17 gennaio 2013 :

  Stralcio della tesi di fondo del FT:
  1) «Ora al suo settimo trimestre, la più lunga recessione dell'Italia del dopoguerra si fa sentire e  Mr Monti si sta in larga parte prendendo la colpa».
  2) Secondo il giornale britannico, "i dati economici vanno contro la tesi del Professore, secondo cui l'Italia starebbe superando la crisi (ma Monti ha parlato di quella finanziaria, non economico-sociale)". ....
   «La disoccupazione giovanile ha raggiunto il 37,1% a novembre 2012, sette punti in più da quando Mr Monti è diventato premier, un anno fa e nonostante le riforme nel mercato del lavoro.
   "La spesa per consumi ha registrato il calo più forte dal dopoguerra, mentre la produzione industriale è al di sotto del 25% rispetto ai massimi prima del 2008».

NUOVO FATTO: Intervista di Ferruccio de Bortoli al Premier Monti
Fonte: Corriere della Sera, 20 gennaio 2013

Stralcio delle tesi di focali di Monti, sul Corriere:
1) "Il governo tecnico non sarebbe stato chiamato, se la gestione della cosa pubblica fosse stata nelle mani di politici capaci e credibili».
2) Quanto ai risultati dell'azione del governo tecnico, «noi stiamo vedendo, ...., qualche risultato positivo grazie al sacrificio degli italiani: sui tassi d'interesse, sulle esportazioni, sull'andamento dei titoli pubblici. E dobbiamo sempre chiederci che cosa sarebbe accaduto se quelle decisioni non fossero state prese e se ci fossimo trovati nei panni dei greci".
3) Quanto alle ragioni del suo «salire in politica", il motivo è che "a un certo punto, con l'avvicinarsi delle elezioni, le riforme incontravano ostacoli crescenti, erano sempre più figlie di nessuno. La strana maggioranza cambiava pelle sotto i miei occhi. Il Pdl ritornava ad accarezzare l'ipotesi di un nuovo patto con la Lega, non con il Centro, ed emergeva un fronte populista e antieuropeo; il Pd alleandosi esclusivamente con Sel riscopriva posizioni radicali e massimaliste in un rapporto più stretto con la sola Cgil».
   A quel punto «Ho intravisto due rischi:
   - uno a breve, che il governo cadesse prima che i partiti si accordassero finalmente su una riforma elettorale;
   - uno più a lungo termine, e assai più grave, ovvero che sei mesi dopo le elezioni si dissipassero tutti i sacrifici che gli italiani avevano fatto, con grande senso di responsabilità, per sottrarre il Paese a un sicuro fallimento.
    Tutto inutile, pensavo. Sarebbero tornati al governo i vecchi partiti, i vecchi apparati di potere, veri responsabili del declino dell'Italia. In quello stesso periodo si erano poi moltiplicati gli incoraggiamenti di molti leader europei e internazionali, da Barack Obama a François Hollande", pur se "non determinanti».
4) Conclusione: "La vecchia politica non deve tornare". Ferruccio de Bortoli 20 gennaio 2013.
____________________

Fonte: Annuario Statistico della Ragioneria Generale dello Stato, 2012, cap. II * .

Nota. I dati più recenti, disponibili, sono del 2011. Ma ho controllato quelli del 2010 e 2009, e le percentuali sono analoghe.

Titolo e categoria economica

Anno 2011

Anno 2011

Italia, Capacità di spesa
           dello Stato

Pagamenti, rispetto alla massa spendibile
di competenza
in %

Pagamenti, rispetto alla massa spendibile
dei residui
in %

Titolo I - Totale Spese correnti 82,8 47,3
Redditi da lavoro dipendente 92,4 69,5
Consumi intermedi 65,8 58,5
Imposte pagate sulla produzione 95,5 84,9
Trasferimenti corr.ad Amm.ni pubbliche 77,8 44,1
Amministrazioni centrali 87,5 93,6
Amministrazioni locali 75,6 43,5
- Regioni 73,1 41,0
- Comuni e Province 82,3 66,5
- Enti produttori di servizi sanitari 42,2 41,8
- Enti locali produttori di servizi assistenziali 85,1 80,5
Enti di previdenza 79,7 41,1
Trasferimenti a famiglie e ist.ni sociali private 70,0 47,9
Trasferimenti correnti a imprese 57,7 65,1
Trasferimenti correnti a estero 76,6 46,4
Risorse proprie Unione Europea 94,9 0,0
Interessi passivi e redditi da capitale 91,8 96,6
Poste correttive e compensative 89,8 49,7
Ammortamenti 20,4 0,0
Altre uscite correnti 16,1 16,5
   
Titolo II - Spese in conto capitale 48,4 40,9
Investimenti fissi lordi e acquisti di terreni 39,1 46,5
Contributi agli investimenti 53,9 44,8
Amministrazioni centrali 74,3 59,8
Amministrazioni locali 43,4 40,3
- Regioni 40,5 44,2
- Comuni e Province 48,9 30,9
- Enti produttori di servizi sanitari 11,3 0,8
- Enti locali produttori di servizi economici e di regolazione dell'attività economica 52,5 41,7
- Enti locali produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali 31,5 33,7
Enti di previdenza e assistenza sociale 36,7 40,8
Contributi agli investimenti ad imprese 48,9 45,2
Contributi agli investimenti a famiglie e istituzioni sociali private 49,2 45,1
Contributi agli investimenti a estero 53,8 32,1
Altri trasferimenti in conto capitale 35,6 23,8
Acquisizioni di attività finanziarie 67,4 41,2

 

NINO LUCIANI, La spiegazione delle tesi, più sopra.

1.- La regola della alternanza tra i grandi partiti. Per le scelte pubbliche, i cittadini maturo non agiscono come "isole", ma intercettando le logiche dei candidati.
   Secondo i fondatori della scuola scientifica di "public choice" i politici sono mossi anche da interessi personali. Esistono anche quelli mossi solo dall'interesse pubblico, ma sono pochi.
  Anche la esaltazione dei loro programmi si assomiglia molto a quella del commerciante che esalta la qualità della propria merce, anche se fasulla. La legge non punisce questa cosa, perchè la presume fatta in buona fede, e la definisce "dolus bonus".
  Tuttavia, a tutte le cose ci dev'essere un limite che, nel caso del commerciante, la legge crea favorendo la concorrenza (a parte la legge penale), in modo che quello disonesto o incapace sia sostituito dal concorrente.
  Nel caso delle scelte pubbliche, questo meccanismo non può funzionare, perchè scelte sono fatte dai gruppi, e quindi quelle fatte in modo isolato non funzionano.
  Per questo, il cittadino (che vuole contare) deve, in primo luogo, identificarsi in un gruppo, vale dire nel partito che esprime idee vicine alle sue.
  Ma quando i partiti sono tanti, la scelta è praticamente inutile. Il motivo è che, in parlamento, le decisioni saranno prese a maggioranza, e (se i partiti sono tanti) la maggioranza potrà formarsi in molti modi, variabili ogni giorno.
   In un solo caso, anche un solo cittadino può contare: quando i partiti sono solo due, e poco distanti numericamente. Ad es., se un partito ha il 50%+1 dei voti, e l'altro il 50%-1 dei voti, lo spostamento di un solo cittadino, da un partito all'altro, rovescia la maggioranza. E' la regola della alternanza, già applicata nei Paesi con alta democrazia (vedi gli Stati Uniti, dove anche un "nero" può arrivare alla "Casa Bianca").
   Più in generale, per dare peso ai cittadino, il criterio è fare in modo che ci siano solo due grandi partiti: in questo senso la scelta migliore"possibile" è quella "meno peggio".
   La legge elettorale attuale dell'Italia è mossa dal criterio di aiutare il cittadino che segue il criterio dell'alternanza, pur se essa ha ancora molti difetti (il premio di maggioranza è su base nazionale, alla Camera; ed è, invece, su base ragionale al Senato, per cui in teoria, la maggioranza alla Camera potrebbe riuscire diversa in Senato). Come il cittadino potrebbe rimediarvi, rinvio a più avanti.
   In particolari casi, l'applicazione della regola dell'alternanza tra i grandi partiti potrebbe comportare, per un cittadino, di votare per il partito avverso.  Ma, anche questa è la scelta meno peggio. Infatti se, al termine del mandato elettorale, uno valuta negativamente il comportamento del  proprio partito, è bene che esso vada in minoranza e vada a meditare sui propri errori.
  Al contrario, senza alternanza, subentrerebbero fatti ben più negativi. Un caso significativo in Italia è quello della Democrazia che, pur benemerita per la ricostruzione post-bellica dell'Italia e per il progresso economico e il lavoro, alla fine era incorsa in gravi casi di corruzione, perchè non alternata da un altro grande partito (che a quei tempi, era il PCI). Sulle relative cause storiche, che lo impedirono, qui soprassediamo.

2.- Quali sono i due "grandi partiti" per l'alternanza, oggi ?
   Numericamente parlando, fino ad un anno fa (2011) i due maggiori partiti erano il PDL e il PD. Stando alla "retta via", andrebbe votaro uno dei due: la conferma del primo, per i cittadini soddisfatti; la scelta del secondo, per i cittadini insoddistatti.
   Mi riservo di motivare più avanti, quale sarebbe, secondo me, la scelta appropriata in base agli attuali problemi del Paese.
   Ma, da un anno in qua, abbiamo un governo tecnico, e da qualche settimana, il suo Premier si propone come leader di un  partito "terzo".
   Se la legge elettorale fosse proporzionalista, un partito terzo avrebbe la "vocazione" di fare maggioranza con uno dei due "grandi partiti", a secondo che ami l'uno o l'altro. Questo avvenne con la DC, questo fu causa di molti guai per l'Italia e per la DC.
    Ma la legge elettorale è maggioritaria. Dunque, il proposto "partito terzo" dovrà essere classificato di destra o di sinistra, e prendere il posto del PD o del PDL, in una logica dell'alternanza.
   Mi sembra fuori di dubbio che MONTI sia di destra, e che essendo la "migliore destra" si ponga come sostituto del PDL.
   Lo vediamo da alcuni fatti:
   - Monti si è dichiarato "antagonista della sinistra" (Bergamo, 20 gen);
   - Monti ha fatto una politica negativa per il lavoro (vedi i disoccupati, e legge Fornero);
   - Monti non ha voluto accordi con la CGIL, ma piuttosto con CISL e UIL.
   Al tempo stesso, il PDL ha fallito la "rivoluzione liberale" (promessa fin dal 1994), ed il suo Leader è in demolizione (non è infatti più proposto come Premier, ed è in età avanzata. Diciamo, poi, che il PDL senza Berlusconi è un corpo senza testa, a parte che uno che occupa posisizioni top di governo per 10 anni ha già dato tutto quello che aveva.
   
   Un ultimo dubbio: è possibile scegliere il PD, oppure MONTI,  dando vita alla stessa maggioranza, sia alla Camera, sia al Senato ?

    Come detto più sopra, il cittadino che volesse dare il proprio contributo positivo alla governabilità, ha possibilità di scelta, in qualche modo ostacolata dal fatto che l'attuale legge assegna il 55% dei seggi, per la Camera, su base nazionale; e invece, per il Senato, su base regionale.
  In queste condizioni, l'unica via di uscita, per il bene del Paese (vale dire che al Senato riesca maggioritaria la stessa coalizione maggioritaria della Camera) è che il cittadini voti (nella Regione) la coalizione che prevede maggioritaria alla Camera (piaccia o  non piaccia). E' una scelta rispettosa della democrazia, e la meno peggio, dal punto di vista personale.

3.- Quale programma serve per il bene dell'Italia e, di conseguenza, a quale "grande partito" abbinarlo ?
  Traccio le grandi linee del programma necessario (secondo me), in modo da motivarne l'abbinamento al "grande partito" di sinistra o a quello di destra.
 
  Programma per subito. Qui si tratta di rianimare il cavallo malato. Poi in seguito si vedrà come riportarlo in pista (vedi programma per il futuro).
   La diagnosi è che manca domanda effettiva ( vale dire accompagnata da potere di acquisto in moneta) perchè c'è nel Paese molta capacità produttiva inutilizzata (un tesoro che manca nei Paesi sottosviluppati ...), che va rimessa in campo.
   Come ai tempi della grande crisi del 1929, non c'è domanda effettiva perchè la moneta è finita nelle mani di chi non ha propensione al consumo. Chi era ricco è diventato più ricco (grazie alle operazioni delle banche, inserite nel gioco finanziario delle grandi guerre recenti: IRAQ, AFHANISTAN, e nelle varie altre piccole guerre); e chi era povero è diventato più povero.
   Chi è ricco ha relativa bassa propensione al consumo già di suo, e quando nel mondo le aspettative di crescita sono negative, questi individui si chiudono di più in casa (comprensibilmente, del resto).
  Chi è povero, vorrebbe spendere, ma non ha potere di acquisto.
  In queste condizioni gli investimenti privati non hanno luogo. E il solo modo di ripartire è che si muova lo Stato, perchè non orientato al profitto, ed ha un orizzonte temporale lungo.
   Per fare questo ci sono più modi:
   a) lo Stato spende in disavanzo, finanziato da fabbricazione di moneta aggiuntiva, da parte della Banca Centrale (oggi la BCE);
   b) lo Stato spende prontamente il gettito fiscale, nelle industrie bloccate;
   c) lo Stato grava fiscalmente i redditi medio-alti (al netto degli utili reinvestiti, e (per pari importo) sgrava i redditi medio-bassi.
   La via sub a) non è oggi percorribile, per la politica europea.
   La via sub b) è poco percorribile subito, perchè (a causa di burocrazia lumaca, lo Stato non spende prontamente, e risulta perfino che ci sono esattori fiscali che non versano i fondi ai Comuni);
   La via sub c), mediante IRPEF, è applicabile con effetti immediati.
  Quale partito potrebbe oggi applicare la via sub c) ? Non un partito che prende i voti dai cittadini con redditi medio-alti.
   Dunque, serve votare il PD (a meno che MONTI non faccia miracoli: vale dire, sia votato da chi dovrà tassare).
   Aggiungo che il PD sarebbe aiutato dai Sindacati; e MONTI, invece, no.

  Programma per il medio-lungo termine: la transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato. Memore delle esperienze negative dei Paesi a pianificazione centralizzata, l’Italia deve, finalmente, avviare con fermezza la transizione della propria economia dallo Stato al Mercato.
   L’attuale grado di statizzazione dell’economia (55-60%) dovra’ essere ridotto al 40-45% a favore della impresa privata, e tuttavia nel rispetto della persona umana, durante il difficile passaggio. In questo senso:
   - dovranno essere privatizzate le imprese pubbliche (tra l’altro, una delle prime cause del debito pubblico), salvo quelle marcatamente strategiche (come per le grandi infrastrutture), e sociali (trasporti locali dei lavoratori, acqua);
   -  lo Stato dovra’ garantire il lavoro (art. 4, Costituzione), se necessario anche come datore di lavoro di ultima istanza;
  -  lo Stato dovrà punire severamente le violazioni delle buone regole del mercato, da parte delle imprese.
    Quale partito potrebbe oggi attuare la transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato ? Non un partito che crede molto nello Stato e poco nel mercato. Dunque, serve votare MONTI.
  In conclusione, per l'immediato serve BERSANI; per il futuro serve Monti. NINO LUCIANI

*    http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Servizio-s/Studi-e-do/Annuario_statitisco_RGS/Annuario_statistico_della_RGS_2012.pdf, 

 

All'Università Bocconi di Milano, 15 novembre 2012

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MARIO DRAGHI PROCLAMA LE SUE "CONCLUSIONI" SUL MODO DI VINCERE LA CRISI ECONOMICA:


M. Draghi: "Puntare su riduzioni di spesa corrente e non su aumenti di tasse",
in quanto ciò "avrebbe le minori conseguenze negative sul PIL".

Nino Luciani, Tesi auto-referenziale. La diagnosi è la stessa del 1929,
e dunque anche la ricetta sia la stessa, fermi i vincoli di bilancio della UE.
Il compito di Monti traghettatore è finito. Si vada all'alternanza tra
i grandi partiti, come nei Paesi democratici: adesso col PD.

                                                                                               PRECISAMENTE
   La diagnosi è: "il  potere d'acquisto è finito nelle mani di persone che hanno una relativa alta propensione al risparmio e anzi trattengono la liquidità come antidoto per fronteggiare le maggiori difficoltà".
   In queste condizioni la ricetta è ancora quella Keynesiana: creare domanda effettiva (vale dire accompagnata da potere di acquisto), e questo è possibile in tre modi:
   1 ) accelerare i tempi tecnici della spesa pubblica, già approvata in bilancio, in quanto finanziata dal gettito fiscale realizzato.
       Questo punto mi sembra un atto dovuto, rispetto al quale c'è qualche responsabilità del Governo Monti.
   2 )  fabbricare moneta aggiuntiva e fare spesa pubblica ( per lavori pubblici, ecc. ) per creare lavoro e redditi per coloro che hanno alta propensione al consumo.
    In questa fase economica, la UE, non permetterebbe questa via, perchè inflazionistica;;
   3 )  spostare potere d'acquisto dai cittadini con alta propensione al risparmio, ai cittadini con alta propensione al consumo. Lo strumento è quello fiscale: alzare le aliquote IRPEF sui redditi medio alti, e abbassare le aliquote sui redditi medio-bassi. Questo non alza la spesa pubblica.
   Questa via è risolutiva. Ma
è verosimile che essa non sia approvata dalla destra "conservatrice", pur se sarebbe nel suo interesse superare la crisi economica.  Attendiamo, pertanto, le elezioni politiche, per un chiarimento popolare.

M. Draghi, La politica monetaria della Banca Centrale Europea e la sua trasmissione nell’area dell’euro
Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, Università Bocconi, Inaugurazione anno accademico 2012/2013 Milano, 15 Novembre 2012

1.- I mercati finanziari e le disfunzioni causate alla trasmissione della politica monetaria
    L’anno che sta per terminare verrà ricordato non solo per gli effetti che la crisi del debito sovrano europeo ha avuto sull’euro e per il significativo indebolimento dell’economia europea, ma anche per le risposte che a queste sfide sono state date da BCE, dai governi nazionali, dall’Unione Europea.
La artificiale tranquillità dei mercati antecedente la crisi aveva in Europa per lungo tempo permesso politiche economiche sbagliate o semplicemente incoraggiato l’inazione in paesi che avevano profondo bisogno di consolidamento di bilancio e di riforme strutturali.
L’esplodere della crisi accresce drammaticamente l’avversione al rischio: le debolezze di questi paesi vengono crudamente identificate; in un contesto di crescita già debole, gli investitori si allontanano, gli spread sovrani iniziano il loro aumento.
    Presto la solvibilità dei governi di questi paesi viene messa in discussione e con essa la solvibilità delle istituzioni finanziarie che vi risiedono. All’interno dell’area dell’euro, il denaro circola sempre meno tra banche di paesi diversi. I dubbi sulla sopravvivenza dell’euro nel suo attuale disegno incoraggiano un movimento speculativo che induce ulteriori aumenti negli spread sovrani. Tutti i governi dei paesi più deboli rispondono con politiche di consolidamento di bilancio, all’inizio esitanti, poi sempre più energiche.
  
   Ma l’attività economica continua a indebolirsi e gli spread continuano a crescere. Il che pone l’accento sulla forma che deve avere il consolidamento fiscale "ideale", cioè quello che riduce il deficit e il debito con le minori conseguenze negative sul prodotto di un paese.
    L’evidenza prevalente indica che esso deve essere centrato su riduzioni di spesa corrente e non su aumenti di tasse.
Anche chi non condivide questa impostazione è però d’accordo sul fatto che è essenziale che il processo sia percepito come credibile, irreversibile e strutturale perché abbia effetto sugli spread sovrani e che le condizioni di stabilità dei prezzi e dei mercati finanziari siano tali da non ostacolare il consolidamento fiscale.

    In risposta all’aggravarsi delle condizioni economiche, la BCE ha abbassato i tassi di interesse di riferimento. In circostanze normali, tali riduzioni sarebbero state trasmesse in maniera relativamente uniforme a famiglie e imprese di tutta l’area dell’euro. Ma non è quanto abbiamo riscontrato.
    In alcuni paesi, le riduzioni dei tassi sono state trasmesse integralmente. In altri, i tassi sui prestiti bancari all’economia reale sono diminuiti solo di poco o addirittura per nulla. E in altri ancora, sono di fatto aumentati, almeno in qualche caso.
   Perché questa difformità? Nell’attività di banca centrale è fondamentale il concetto di "trasmissione della politica monetaria", cioè il processo con cui le modifiche del tasso di interesse di riferimento di una banca centrale vengono trasmesse attraverso il sistema finanziario all’economia reale.
    In un sistema che funziona correttamente, vi è una relazione stabile tra le variazioni dei tassi della banca centrale e il costo dei prestiti bancari per famiglie e imprese. Le banche centrali possono così influenzare la situazione economica generale e mantenere la stabilità dei prezzi.
    Ma nel sistema finanziario dell’area dell’euro si è verificata una grave frammentazione del mercato finanziario unico. I costi del finanziamento bancario sono molto diversi nei vari paesi. L’accesso al mercato interbancario dell’area dell’euro è stato di fatto precluso a numerose banche e in certi paesi al loro intero sistema bancario. Gli aumenti dei tassi di interesse sui titoli di Stato hanno aggravato i costi di provvista delle banche nazionali e fortemente limitato il loro accesso ai mercati.
    Ciò ha reso difficile la trasmissione degli impulsi che venivano da una politica monetaria accomodante attraverso aggiustamenti nei tassi di interesse sui prestiti a famiglie e imprese da parte delle banche.
I tassi di interesse non possono e non devono essere identici nell’area, ma non è accettabile che emergano disparità rilevanti a causa della frammentazione dei mercati dei capitali o di una presunta disgregazione dell’area dell’euro. In un’economia come quella dell’area dell’euro, dove circa tre quarti del finanziamento alle imprese proviene dal settore bancario, le ripercussioni sull’economia reale, sugli investimenti e sull’occupazione sono gravi. La frammentazione del mercato finanziario unico ha indotto una frammentazione della politica monetaria unica.
    Per questo motivo, i paesi più esposti alla crisi di fiducia non potevano se non limitatamente avvantaggiarsi dei bassi tassi di interesse: erano entrati in un circolo vizioso.
    La crescita economica si contraeva. Le finanze pubbliche peggioravano. Banche e governi si vedevano costretti a corrispondere tassi di interesse ancora maggiori. E il credito e la crescita economica calavano ulteriormente, con un aumento della disoccupazione e una flessione di consumi e investimenti.
    Le prospettive per l’economia dell’area dell’euro si facevano sempre più fragili. Si delineavano conseguenze potenzialmente avverse per il mercato unico europeo, in quanto l’accesso ai finanziamenti dipendeva in misura crescente dalla residenza più che dal merito di credito e dalla qualità del progetto.
     L’interruzione della trasmissione della politica monetaria ha implicazioni profonde. Mette a repentaglio la politica monetaria unica e la capacità della BCE di assicurare la stabilità dei prezzi in entrambe le direzioni. Ecco perché abbiamo agito.

   2.- Ripristinare un’adeguata trasmissione della politica monetaria.      Per decidere il tipo di azione appropriato, occorreva valutare due aspetti fondamentali. Innanzitutto, dovevamo diagnosticare con precisione il motivo per cui la trasmissione si era interrotta.
    In secondo luogo, dovevamo individuare lo strumento di politica monetaria più efficace per porvi rimedio, rimanendo sempre entro i limiti del nostro mandato che è quello di preservare la stabilità dei prezzi.
    I paesi più colpiti sono quelli dove la politica economica del passato è stata più inadeguata, dove la risposta dei governi all’inizio della crisi è stata più fiacca e incerta. Spetta ai governi di questi paesi lo sforzo maggiore nella riconquista della credibilità.
    Per intensità e rapidità, straordinaria è stata la risposta di tutti questi governi; eppure i tassi di interesse continuavano ad aumentare. Vi era un fattore di paura nelle valutazioni dei mercati che i governi, da soli, non sembravano capaci di fugare.
    Si stava producendo una situazione di instabilità sistemica che minava l’eurozona e vanificava la speranza negli effetti positivi delle riforme intraprese per ripristinare la trasmissione della politica monetaria.
Occorreva fugare i timori infondati sul futuro dell’euro. Occorreva creare un meccanismo di sostegno credibile in grado di scongiurare scenari catastrofici, il cui esercizio ricadesse nel mandato della BCE.
    Le OMT sono state concepite proprio a questo scopo, per ripristinare la trasmissione della politica monetaria.
    Le OMT prevedono interventi sui mercati dei titoli di Stato senza limiti prestabiliti ma non incontrollati, né svincolati da condizioni. Questi interventi riguardano le obbligazioni con scadenza residua fino a tre anni. Il segnale agli investitori sull’infondatezza dei loro timori sul futuro dell’area dell’euro è chiaro.
    Ma non abbiamo dimenticato qual è l’origine dei problemi del mercato del debito sovrano in Europa. Uno dei presupposti per la conduzione di OMT è che i paesi interessati devono aver negoziato con gli altri governi dell’area dell’euro un programma nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilità (MES) che imponga condizioni rigorose, efficaci e credibili su un orizzonte temporale esteso. In tal modo, i governi si vincolano a continuare le riforme necessarie, anche in uno scenario in cui la BCE interviene. Il coinvolgimento del Fondo monetario internazionale (FMI), con la sua esperienza nel monitorare programmi di aggiustamento, è un’ulteriore salvaguardia.

   3.- Le conseguenze degli interventi della BCE.   In primo luogo, le OMT non implicano finanziamenti dissimulati ai governi.I nostri interventi sono stati concepiti proprio per evitare tali esiti. Saranno eseguiti solo sui mercati secondari, in cui sono negoziate obbligazioni già emesse. Qualora si decida di effettuare OMT, saranno acquistati strumenti del debito pubblico presso gli investitori, e non presso i governi. Queste condizioni sono pienamente in linea con il divieto di finanziamento monetario sancito dal Trattato. Inoltre, gli interventi saranno concentrati sulle scadenze più brevi, lasciando margine di manovra alla disciplina di mercato sulle scadenze più estese.
    In secondo luogo, le OMT non mettono a repentaglio l’indipendenza della BCE. La BCE continuerà a prendere tutte le decisioni relative alle OMT in piena autonomia. Deciderà se intervenire in base alla propria valutazione della trasmissione della politica monetaria, al fine di salvaguardare la stabilità dei prezzi. Il fatto che i governi debbano attenersi a determinate condizioni, in realtà, proteggerà la nostra indipendenza. La BCE non si vedrà costretta a intervenire a causa di inadempienze da parte della politica.
    In terzo luogo, la OMT non generano rischi eccessivi per i contribuenti dell’area dell’euro. Questi rischi si manifesteranno solo se un paese attuasse politiche poco oculate. Ma il programma del MES impedirebbe proprio il verificarsi di tale evenienza. E noi abbiamo affermato in modo inequivocabile che, quando un programma è in fase di riesame, sospenderemo di norma le operazioni, per riattivarle solo in caso di esito positivo. Così la BCE interverrà solo per quei paesi in cui l’economia e le finanze pubbliche seguono un percorso di sostenibilità.
     Infine, le OMT non causano inflazione. Le nostre operazioni sono state modulate per far sì che i loro effetti sulle condizioni monetarie siano nulli. Per ogni euro immesso, vi sarà un euro ritirato. In base alla nostra valutazione, il rischio maggiore per la stabilità dei prezzi è allo stadio attuale è associato alla possibilità di un calo dei prezzi in alcuni paesi dell’area dell’euro. In tal senso, le OMT non sono in contrasto con il nostro mandato, ma sono invece indispensabili, affinché possiamo continuare a preservare la stabilità dei prezzi. Peraltro, non abbiamo evidenza che l’annuncio del programma di OMT si sia riflesso sulle aspettative di inflazione. Le attese di inflazione continuano a essere saldamente ancorate. Ciò testimonia i risultati da noi conseguiti negli ultimi dieci anni sul fronte della stabilità dei prezzi e la credibilità del nostro impegno a preservarli. Disponiamo di tutti gli strumenti necessari per mantenere la stabilità dei prezzi e, in presenza di rischi al rialzo, per riassorbire l’eccesso di liquidità.
    Dall’annuncio della possibilità di intraprendere OMT si sono avuti diversi segni di una maggiore tranquillità nei mercati finanziari: la significativa discesa degli spread sovrani, la ripresa dei flussi di capitali da parte dei fondi di mercato monetario degli Stati Uniti che erano cessati da circa un anno, alcune emissioni di obbligazioni sovrane e corporate da paesi che avevano perso l’accesso al mercato da quasi tre anni come Irlanda e Portogallo, il completamento dei piani di finanziamento dei tesori Italiano e Spagnolo, il fatto che la quota di debito pubblico italiano detenuta da non residenti sia cresciuta e infine la stabilizzazione dei saldi TARGET-2 che sono la vera misura degli squilibri finanziari ed economici nell’area dell’euro. Infine è di ieri la notizia che il ricorso presso la BCE da parte delle banche di alcuni grandi paesi che versavano in condizioni di provvista difficili è diminuito per il secondo mese consecutivo. È importante capire che la stabilità finanziaria all’interno dell’area dell’euro è nell’interesse di tutti ma in primis dei paesi creditori che hanno le esposizioni maggiori.
     Non vi è dubbio che tali miglioramenti non sarebbero stati sostenibili, né lo sarebbero in futuro, senza una straordinaria, persistente e soprattutto strutturale azione di consolidamento dei bilanci pubblici e di riforme strutturali in tutti i paesi dell’area dell’euro.

  4.- Il completamento dell’Unione economica e monetaria. Uno sguardo al passato ci aiuta a ricordare gli ostacoli che il processo di integrazione europea ha incontrato finora, e superato.
    I mandati di Tommaso Padoa-Schioppa alla Banca d’Italia e alla Commissione europea sono stati contrassegnati da riallineamenti nell’ambito degli Accordi europei di cambio del Sistema monetario europeo. È risaputo che per Tommaso il problema cruciale risiedeva nel "quartetto inconciliabile", ossia tassi di cambio fissi, libero scambio, mobilità dei capitali e politiche monetarie nazionali.
    La soluzione è stata trovata nella moneta unica.
    Oggi vediamo che questa soluzione è incompleta. La crisi ha messo in luce la necessità di portare a compimento l’Unione economica e monetaria.
    Insieme ai presidenti del Consiglio europeo, della Commissione europea e dell’Eurogruppo, abbiamo individuato quattro pilastri su cui edificare un’Europa stabile e prospera: un’unione bancaria con un’unica autorità di vigilanza; un’unione fiscale in grado di prevenire e correggere bilanci non sostenibili; un’unione economica in grado di garantire una competitività atta a favorire un’occupazione elevata e, infine, un’unione politica in grado di coinvolgere profondamente i cittadini dell’area dell’euro.
    Stiamo compiendo progressi in tutte queste direzioni. Ovviamente non è semplice attuare un progetto così ambizioso. Ma confido che l’Europa, ancora una volta, emergerà rinvigorita dalle difficoltà del momento.
    Tommaso era convinto che "una forte valuta richiede una forte economia e una forte politica, non solo una banca centrale forte e autorevole" . La sua convinzione è anche la mia.
    La risposta della BCE alla crisi si pone in un rapporto chiaramente definito con il processo di integrazione europea.
    Con le nostre misure non convenzionali di politica monetaria abbiamo preservato la funzionalità del meccanismo di trasmissione e, quindi, abbiamo potuto mantenere la rotta ferma sull’obiettivo della stabilità dei prezzi iscritto nel nostro mandato. Si sono sventati esiti potenzialmente rovinosi della crisi; si è guadagnato tempo prezioso ma non infinito. La BCE però non può sostituirsi all’azione dei governi nazionali né sotto il profilo dell’efficacia della politica economica, né sotto quello della legittimità democratica. In ultima analisi spetta ai governi il compito di dissolvere definitivamente le incertezze che persistono nella percezione dei mercati e nei timori dei cittadini.
    L’obiettivo finale è l’unione politica, un’Europa stabile e integrata con un destino comune. Ci vorrà molto tempo, lungo un percorso incerto. Ma nel frattempo sarebbe un errore non agire.
    È già stato fatto molto. I governi hanno attuato interventi correttivi dei conti pubblici. Con il fiscal compact si è sancito il principio del pareggio di bilancio nelle legislazioni nazionali. Con il MES si è offerta la possibilità di un’assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà, per contenere il contagio della crisi. E alle misure non convenzionali di politica monetaria della BCE si affiancherà l’unione bancaria, una struttura europea unica di vigilanza bancaria.
    È essenziale che tutti i soggetti che contribuiscono all’ampio e articolato percorso di riforma dell’Europa mantengano gli impegni presi. Dobbiamo procedere lungo questa via con calmo pragmatismo, chiedendoci quali siano i requisiti minimi per completare l’Unione economica e monetaria. Sono tutti alla nostra portata, comprese le riforme fiscali e le politiche strutturali per la competitività e la crescita.
    Lungo il cammino dobbiamo farci guidare dal principio secondo cui nessun paese è legittimato a condurre politiche che danneggino gli altri membri della comunità di cui fa parte. La costruzione di un’architettura istituzionale europea basata su questo fondamento non risponde solamente a un’istanza di responsabilità. Senza la condivisione della sovranità nazionale a livello europeo la stessa sovranità dei singoli Stati è in pericolo.
    Questa è la prima lezione della crisi per noi europei. Non si tratta solo di economia e finanza. Possiamo, con Zygmunt Bauman, estenderla ad ambiti assai più ampi. Bauman ha scritto: "la casa europea non va a detrimento delle culture nazionali, ma provvede a una sorta di tetto comune a tradizioni, valori, differenze locali. E il paradosso è che ogni singolo paese è molto più a rischio di perdere la sua identità specifica, se si espone senza protezione, cioè senza questo scudo europeo, alle forze globali che sono violentemente e spudoratamente sovranazionali, ignorano i temi e le specificità locali".
    Vorrei concludere con un aneddoto su Tommaso, cui oggi dedichiamo questa cattedra. Come sapete, negli ultimi mesi ho ribadito il principio dell’irreversibilità dell’euro. E questo è proprio il senso di una delle più note arguzie di Tommaso. Nel 2004 parlando dell’ "emu", che è l’acronimo di Economic and Monetary Union, rilevò che questo è anche il nome di un uccello australiano simile allo struzzo. E aggiunse: "nessuno dei due può andare a ritroso". Mario Draghi

FONTE: http://www.viasarfatti25.unibocconi.it/notizia.php?idArt=11154&key=jq

NINO LUCIANI, Un Draghi troppo autoreferenziale, e una BCE inadeguata (detto da lui, circa le manovre già sperimentate)

1.- La posizione di DRAGHI ( e della BCE - Banca Centrale Europea) sulla crisi economica). Come è noto, l'essenza della crisi economica sta nella lentezza esasperante del circuito monetario (nel sistema macroeconomico), per cui la metà del nostro sistema produttivo sta soffrendo di grave asfissia monetaria. Detto con le parole di J.M. Keynes, c'è molta capacità produttiva inutilizzata, ma non c'è "domanda effettiva"  (vale dire, accompagnata da "potere di acquisto").

  Dalla colonna qui a sinistra, riproduciamo (in essenziale), come Draghi dice di aver affrontato (e di volere affrontare) la crisi del PIL:
a) "All’interno dell’area dell’euro, il denaro circola sempre meno tra banche di paesi diversi. I dubbi sulla sopravvivenza dell’euro nel suo attuale disegno incoraggiano un movimento speculativo che induce ulteriori aumenti negli spread sovrani. Tutti i governi dei paesi più deboli rispondono con politiche di consolidamento di bilancio, all’inizio esitanti, poi sempre più energiche (in Italia con maggiori imposte, NdR);
 
b) "In risposta all’aggravarsi delle condizioni economiche, la BCE ha abbassato i tassi di interesse di riferimento. In circostanze normali, tali riduzioni sarebbero state trasmesse in maniera relativamente uniforme a famiglie e imprese di tutta l’area dell’euro. Ma non è quanto abbiamo riscontrato.
"
  c) Ma l’attività economica continua a indebolirsi e gli spread continuano a crescere;
  d) L’evidenza prevalente indica che il consolidamento fiscale "ideale" (cioè quello che riduce il deficit e il debito con le minori conseguenze negative sul prodotto di un paese)
deve essere centrato su riduzioni di spesa corrente e non su aumenti di tasse".

2.- La visione miope del "RAGIONIERE" Draghi. Draghi è un professore ordinario di economia politica, arrivato (a suo tempo al Tesoro) come Direttore Generale, poi arrivato alla Banca d'Italia come Governatore. Questo spiega la sua prevalente formazione "ragionieristica". Secondo la visione del ragioniere, un bilancio, lo risani in due modi alternativi: o aumentando le imposte (lui le chiama "tasse", e questo già rivela la sua carenza di "scienza delle finanze"), o riducendo le spese.
   Secondo la visione economica, un bilancio lo risani inserendo nel conteggio gli effetti dell'imposta e della spesa sul PIL.
  In questa fase, è sotto gli occhi di tutti che la politica fiscale è "recessiva". Ne segue, dice lui, che il minor male (quello con "le minori conseguenze negative") è il "taglio delle spese".
   Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non è grandine che distrugge i raccolti, perchè alla imposta segue la spesa, e dunque in termini complessivi il potere di acquisto non cambia.
   Questo in teoria, ma questo non sta avvenendo. Dall'Annuario Finanziario della Ragioneria Generale dello Stato, apprendiamo che lo Stato sta spendendo, in media, l'80% di quanto è autorizzato a spendere. Apprendiamo, inoltre, dai giornali che lo Stato non paga i fornitori (pur se i soldi sono già stati stanziati a suo tempo). Apprendiamo che degli esattori fiscali non versano il gettito ai titolari del gettiti; che in base al patto di stabilità, i Comuni non possono spendere denaro disponibile in cassa.
  Ma ignorata la "velocità" della spesa pubblica. Un bravo ragioniere dovrebbe guardare se la spesa preventivata va al suo buon fine. Ma non viene fatto neppure questo.
  Invece darei ragione a Draghi, per la riduzione di spese pubbliche assolutamente inutili: questo riguarda gli interessi sul debito pubblico che il Tesoro rimborsa (ex-ante) ai sottoscrittori di titoli di Stato.
  Come è stato più volte chiarito dai grandi Maestri della Scienza delle Finanze italiana (vedi: Ernesto d'Albergo, non più vivente) questi interessi sono partite di giro, nel bilancio del Tesoro.
  Avrà, DRAGHI, il coraggio di chiedere l'eliminazione di questa imposta (agendo in coerenza, con la TOBIN TAX, che esenta i titoli di Stato ? ).
 
3. Banche impossibilitate a fare anticipazioni di cassa al sistema produttivo. Possibile che Draghi non sappia queste cose ?  
  La situazione (di spesa pubblica a rilento, si vegga sopra) non è, però, solo di adesso. Da sempre lo Stato è stato una macchina lenta nella spesa. In passato questa carenza è stata colmata con le anticipazioni di cassa delle banche, ai soggetti creditori dello Stato.
    Ma questo oggi non è possibile, per due motivi:
  - Le banche oggi sono in tilt, di loro. Lo vediamo dalle sofferenze (abbiamo detto in altre sedi anche delle gravi responsabilità della legge bancaria del 1993, quella che ha ridefinito le banche come "imprese orientate al profitto" e le ha configurate come "banche universali").
  A queste sofferenze, la BCE pensava di avere provveduto con alcune grosse iniezioni di liquidità, a loro favore. Ma queste sono state dirottate dalle banche per impieghi sicuri (per acquisto di Buoni del Tesoro), non per fare credito il sistema produttivo.
  Non potevano fare diversamente. Una banca non può, non deve, caricare su di se il rischio delle imprese, che domandano moneta. E infatti, in questa fase, il sistema produttivo non vende prodotti, per mancanza di domanda effettiva. Dunque è corretto che la banca non faccia anticipazioni di cassa. Peggio, le imprese non investono, per mancanza di luce in fondo al tunnel.
  Resta il fatto che la spesa, finanziata da imposte, va a rilento, e questo probabilmente spiega l'ulteriore aumento del debito fluttuante (BOT) (ossia, per  supplire a questa lentezza).
Torniamo a Draghi: la sistemazione delle banche non può prescindere da tagli chirurgici, se si vuole al ritorno (di quelle sane) al ruolo di anticipazione di cassa per le imprese, fornitrici dello Stato.

4. Come creare domanda effettiva ? Preso atto che, in questa fase, non è possibile fare assegnazione sulla spesa pubblica, anche perchè le banche sono fuori uso), l'unica via importante che resta è lo strumento fiscale, ma in modo tutto diverso: che è l'uso combinato (temporaneo) degli "sgravi - aggravi fiscali", in quanto ciò non ha effetti diretti sul bilancio, e invece importanti effetti economici.
  Anzi, proprio in questi giorni viene pubblicato da Domenico da Empoli (per i tipi dell'editore Franco Angeli, di Milano) un libro
("ATTILIO DA EMPOLI, 1904-1948, Uno studioso partecipe del suo tempo, a cura di M. Di Matteo e E. Longobardi, Convegno di Bari, Franco Angeli, Milano 2012). Dentro (tra i contributi di altri ) c'è un mio saggio sulla teoria degli "sgravi fiscali" nelle visioni di "equilibrio generale" e di "macroeconomia" di A. da Empoli e di E. d'Albergo.
   La via è  sgravare (in parte) i redditi medio-bassi, e recuperare il minor gettito gravando i redditi medio-alti, in sede IRPEF.
  Il motivo è che i primi hanno una propensione marginale al consumo che è maggiore di quella dei secondi (anzi questi non stanno spendendo, dice Draghi).
C'è un risvolto: l'azione amministrativa per il prelievo fiscale ha un costo, che nel caso dei redditi bassi, è maggiore del prelievo, e dunque si viene ad ottenere anche una economia di spesa amministrativa (a parte che gli esattori non la riconoscerebbero facilmente).
 
5. L'imposta patrimoniale sarebbe una alternativa valida, in confronto alla rimodulazione dell'IRPEF ? Per la re-immissione di danaro nel circuito produttivo, anche l'imposta patrimoniale può essere motivata dal fatto che i ricchi medio-alti stanno alla finestra, in attesa che si esca dalla crisi.
   Ma non abbiamo, in Italia, un corretto funzionamento del sistema tributario, a riguardo della conoscenza dei capitali immobiliari e mobiliari.
  - Nel caso dell'IMU, abbiamo già un sistema catastale cola-brodo. Per capirlo, occorre tener presente che il valore del capitale è calcolato moltiplicando la Rendita catastale per un "moltiplicatore". Se questo è 100, il tasso di interesse presupposto per il calcolo del moltiplicatore è 1%. Se il moltiplicatore è 160, il tasso di interesse  presupposto è 0,625%. Infatti, la formula di base della matematica attuariale è: C=R / i%, ove C è il Capitale, R è la rendita, i% è il tasso di interesse per l'attualizzazione della Rendita.
  Ciò ricordato, è facile osservare che il valore è calcolato facendo uso di due elementi, entrambi scorretti:
  - il tasso di interesse del mercato dei capitali è intorno al 5%, ossia relativamente molto maggiore, nella gran parte dei casi.
- i redditi catastali sono minori della realtà del mercato. Questo "errore" compensa, di fatto, i valori maggiorati per via dell'errato tasso di interesse.
  Domanda: è corretto rettificare un errore con un secondo errore ?
  - Nel caso dei capitali mobiliari, la via possibile sarebbe il valore di borsa, ma in questa fase, è una via impraticabile, dacchè la borsa è in tilt.
  Ne deriva che l'unica patrimoniale in qualche modo passabile è l'IMU, che è quella già esistente.
  Tuttavia, uno Stato serio dovrebbe evitare certi abusi (se vuole affrontare a testa alta gli evasori di altre imposta:
non tassare le seconde case sfitte, i ruderi, ..., sia per giustizia fiscale, a parte che sono "capitali" (spesso) di cittadini con redditi medio-bassi (il classico risparmio delle nostre famiglie, dopo il lavoro di una vita).
   Non si dovrebbe, poi, dimenticare che il reddito catastale fu inventato (vedi Einaudi, ecc. ) come media di redditi nel triennio (e dunque, anche per i casi di reddito=0, in un singolo anno). Per questo esso si sarebbe tassato con aliquota mite.
  Non mi pare che questo avvenga nel caso dell'IMU (in quanto essa è collegata al valore del capitale, basato reddito catastale).

6.-. Ma, tornando a Draghi, lo Stato non dovrebbe ridurre mai la spesa pubblica ? Una cosa è la politica congiunturale, una cosa è quella strutturale.
  Per l'Italia, il problema della transizione dallo Stato al Mercato è strategico e necessario. Lo abbiamo capito fin dalla caduta del sistema sovietico. Allora (1988) l'Italia era statizzata per il 60%, oggi siamo al 55%. Avevamo, già allora, gli stessi difetti, in proporzione.
   Nel 1994, con la discesa in campo di Berlusconi, in politica, molti avevano pensato che, la transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato fosse finalmente cominciata. Ma da allora è stato fatto troppo poco.
   Lo Stato imprenditore è anche una fabbrica di debito pubblico. Già più volte CATRICALA' (adesso al Governo con Monti) ci ha ricordato che siamo ancora molto indietro con le privatizzazioni delle imprese pubbliche.
  Ma, attenzione: non facciamo nuovi errori. La "gattina" frettolosa ha fatto i gattini ciechi. La Germania dell'OVEST ha impiegato 20 anni per inglobare nell'economia di mercato, la Germania dell'EST, dopo l'unificazione tedesca. NINO LUCIANI

 

 

Edizioni precedenti

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Governo: presenta il  DEF -  Documento di Economia e Finanza.
  Corte deì Conti sul DEF : "Quelle riforme recessive ...  solo tasse ".
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IL GOVERNO MONTI  CONFERMA  LA  SUA  PREVALENTE  VOCAZIONE   "FISCALE".
MA ADESSO SERVE CHE SIA ANCHE UN GOVERNO DELL'ECONOMIA E DEL LAVORO
Non è, però, responsabilità di Monti se GRILLI è lento dal lato SPESA del GETTITO
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  Il problema è stimolare il PIL, utilizzando la capacità produttiva (inutilizzata), cosa che richiede creare una domanda (effettiva), vale dire accompagnata da potere di acquisto. Questo è compito della spesa pubblica, pur nel rispetto del pareggio del bilancio.
- E considerato che la spesa pubblica è il lato debole (si spende meno di quanto prelevato), l'alternativa è rimodulare l'IRPEF a favore dei redditi con relativa alta propensione al consumo (redditi medio-bassi), e recuperando gettito sui redditi medio-alti.
- Ma, se questo (come probabile) non avesse il consenso dei partiti di centro-destra, sarebbe bene un MONTI-bis (e chi ci sta, ci sta, ci sta), in attesa di un chiarimento definitivo a livello di popolo.

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                                                                                                                      INOLTRE:
   1) No ad aumento dell' IVA perchè regressiva (quindi dannosa per i consumi) e perchè negativa per il commercio estero.
   2) Importante anticipare la "ratio dell'esenzione" sui titoli di Stato, prevista dalla imminente Tobin Tax in UE, e dunque eliminare subito
       l'attuale imposta sugli interessi dei titoli di Stato, perchè è partita di giro che grava sulla spesa pubblica;
   3) Dignitoso per lo Stato abolire, pro-tempore, l'ingiusta  IMU sulle seconde case sfitte e sui ruderi (spesso di cittadini con reddito medio-basso).
   4) Obbligo, per il Governo nel fare la  "spending revew", ricordare che lo Stato è datore di lavoro di ultima istanza (art. 4 Costituzione ) .

Nota.
Attenzione che le cosiddette "deduzioni per la famiglia" sono etiche solo nominalmente, perchè (complicando la dichiarazione dei redditi), obbligano il contribuente a passare dal commercialista, con aggravio di costo. Meglio lasciar perdere su queste false "perfezioni" fiscali. Andrebbero abolite tutte le deduzioni, e magari ammettere "detrazioni di imposta" sulle famiglie con più di due figli (ma non fare lo "splitting").

Corte di Conti,  Audizione parlamentare sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012 del Governo -  2 ottobre 2012.
Per il testo integrale clicca su: Nota Corte

INDICE. 1.- Il nuovo scenario europeo. 2.- Un richiamo al DEF. 3.-La specificità del caso Italia: un equilibrio fragile. 4.- La caduta di reddito e consumi. 5.- Gli interventi per la crescita. 6.- Ciclo economico e finanza pubblica. 7.-  Il contributo richiesto alle amministrazioni locali

Stralci dai punti punti 3, 4, 5.

RIASSUNTO. Secondo la Corte, l'azione del governo, centrata sulla maggiore tassazione per il pareggio del bilancio, è stato un primo passo inevitabile.
   Tuttavia, questa azione ha avuto ed avrà un effetto restrittivo sulla domanda di beni di consumo e di investimento, che si tradurrà in riduzione del PIL, determinando una situazione in cui le entrate fiscali (che sono una percentuale del PIL) daranno un gettito via via minore, così da porre il problema di una ulteriore aumento della tassazione.
   Per uscire da questo avvitamento è necessario ridurre la spesa pubblica, mediante riduzione dei costi di produzione dei servizi pubblici, nei casi in cui ci sono inefficienze.
   La realizzazione di questa condizione (spendere meno, a parità di servizi) renderà possìbile ridurre, poi, la pressione fiscale, in modo da rilanciare la domanda e riportare il PIL alla crescita.
  La Corte conclude che la riduzione dei costi presuppone un adeguato sistema di controlli e sanzioni. NL

   Il quadro quantitativo macroeconomico e di finanza pubblica, esposto nella Nota di aggiornamento del DEF 2012, costituisce il riscontro più puntuale alle affermazioni e alle preoccupazioni finora prospettate. La Nota si apre con l'illustrazione del grave deterioramento, rispetto alle stime dello scorso aprile, dello scenario macroeconomico mondiale.
   Nel caso dell'Italia, si sommano due fattori negativi: al rallentamento della domanda internazionale, frenata dai problemi di gestione dei debiti sovrani, si accompagna la caduta del prodotto imputabile proprio alle misure di consolidamento fiscale. E ciò a causa di una manovra di bilancio che, nel breve periodo, trasmette impulsi restrittivi su una domanda interna già avvitata in una spirale depressiva.
 
  Si è ... di fronte ad evoluzioni contraddittorie: si realizzano risultati importanti nel controllo della finanza pubblica, ma i mercati li riconoscono solo in parte; si continuano ad inasprire le manovre correttive, ma l'economia reale non riesce più a sopportarne il peso.
  
  La somministrazione di dosi crescenti di austerità e rigore al singolo paese, in assenza di una rete protettiva di coordinamento e di solidarietà, e soprattutto se incentrata sull'aumento del prelievo fiscale, si rivela, alla prova dei fatti, una terapia molto costosa e, in parte, inefficace. E che, neppure, offre certezze circa il definitivo allentamento delle tensioni finanziarie. Questa spirale negativa è ben evidenziata dall'esame della situazione italiana. Ma, più in generale, essa appare proprio la conseguenza di una visione distorta e incompleta delle ragioni della crisi che l'Europa sta attraversando.

  Ma, dall'altro lato, l'evidenza degli insufficienti risultati di questa strategia. Il caso dell'Italia è, da questo punto di vista, esemplare, perché consente di verificare come il rigore di bilancio, da solo, non basta, se manca una crescita dell'economia su cui appoggiare la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica.

   L'azione di governo apre ... fondamentali prospettive di recupero per l'economia italiana. Cionondimeno, non si può non rilevare come i risultati attribuiti al programma di riforme abbiano una dimensione insufficiente per colmare il vuoto di domanda apertosi a partire dal 2007.

   Necessario è dunque rafforzare la strategia per la crescita, affidando ad essa obiettivi più ambiziosi di quelli finora adottati. Gli interventi per la crescita sono solo in parte riforme senza spesa. E sicuramente richiedono che si apra una prospettiva di riduzione della pressione fiscale. Ma ciò non può avvenire attraverso un allentamento - che non ci è consentito - del percorso di riequilibrio dei conti pubblici avviato.

    Vi è semmai la necessità di muovere con ancora maggiore determinazione in direzione di una attenta selezione della spesa, accelerando sul fronte della semplificazione del quadro amministrativo (unioni di comuni, province regioni….) incidendo sulle strutture di rappresentanza ma anche sulle sovrapposizioni di competenze ancora esistenti; portando a termine un processo volto ad individuare le aree di spesa che è opportuno dismettere superando logiche meramente difensive; garantendo il coordinamento delle strutture destinate alla tutela dei diritti fondamentali, per destinare le risorse oggi disperse in incomprensibili duplicazioni ad un miglioramento della qualità del servizio. Una revisione dei confini dell'intervento pubblico richiede una attenta riconsiderazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici e dei meccanismi per la selezione degli accessi agli stessi. Un processo che tuttavia richiede l'approntamento di un adeguato sistema di controlli e di sanzioni. "

Governo, Nota di aggiornamento del DEF -  Documento di Economia e Finanza, 20 set 2012 (Per il testo, vedi http://www.tesoro.it/).

  su tralcio del par. 3

3. RACCOMANDAZIONI DI POLITICA ECONOMICA RIVOLTE DAL CONSIGLIO UE ALL’ITALIA.   Nel mese di luglio 2012, nell’ambito della procedura del Semestre europeo, il Consiglio Ecofin ha rivolto all’Italia specifiche raccomandazioni sulla base delle valutazioni della Commissione europea sulla situazione macroeconomica e di bilancio del Paese delineata nel Programma di stabilità e nel Programma nazionale di riforma. In queste raccomandazioni si osserva tra l’altro che il debito pubblico, sia pur elevato, è sotto stretto controllo nel quadro del Patto di Stabilità e Crescita e che gli sviluppi macroeconomici in materia di andamento delle esportazioni e della competitività richiedono un’attenzione particolare.
   Il Consiglio Ecofin chiede all’Italia:
di dare attuazione al piano di risanamento delle finanze pubbliche al fine di garantire la correzione del disavanzo eccessivo entro il 2012, perseguire avanzi primari strutturali per riportare il rapporto debito/PIL su una traiettoria in discesa entro il 2013, assicurare progressi adeguati verso l’obiettivo di medio termine (MTO) ( nel rispetto del parametro di riferimento per la spesa) e realizzare sufficienti progressi nella riduzione del debito. Si raccomanda allo stesso tempo di introdurre disposizioni attuative sul nuovo requisito costituzionale del pareggio di bilancio, prevedendo un adeguato coordinamento tra i diversi livelli amministrativi in coerenza con il quadro normativo europeo.
   Le raccomandazioni sollecitano il Governo a:
   i) adottare ulteriori misure per combattere la disoccupazione giovanile, migliorando il percorso formativo e facilitando il passaggio al mondo del lavoro anche attraverso incentivi per l’avvio di nuove imprese e per le assunzioni di dipendenti;
   ii) adottare in via prioritaria la riforma del mercato del lavoro per affrontare la segmentazione del mercato e istituire un sistema integrato per le indennità di disoccupazione; incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, fornendo servizi per l’assistenza all’infanzia e agli anziani; potenziare il quadro regolamentare per la determinazione dei salari al fine di contribuire all’allineamento della crescita salariale all’andamento della produttività a livello settoriale e d’impresa;
  iii) proseguire la lotta contro l’evasione fiscale, l’economia sommersa e il lavoro non dichiarato mediante l’intensificazione delle verifiche e dei controlli;
  iv) attuare le misure già adottate di liberalizzazione e semplificazione nel settore dei servizi;
  v) semplificare ulteriormente il quadro normativo per le imprese e rafforzare la capacità amministrativa; attuare la prevista riorganizzazione del sistema della giustizia civile e promuovere il ricorso a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie.

Nino Luciani, Ricominciamo dai grandi "maestri" (Keynes, Einaudi, d'Albergo) per avere lumi sul come riprendere la "retta via"  della ripresa economica.

1.- ASPETTO MONETARIO. La maggiore tassazione crea sacrifici, ma essa non è "grandine" che distrugge i raccolti.

  Per un corretto approccio a questa problematica, occorre partire da un dato di fatto:
- che la tassazione determina una sottrazione di potere d'acquisto alle famiglie e alle imprese ma, poi, questo denaro viene speso dallo Stato, per cui esso affluisce ad altre famiglie e imprese. Dunque nulla viene tolto in termini monetari, dal sistema economico nel suo complesso.
   Ma altro dato di fatto è che  tra i cittadini cresce la delusione per il Governo Monti. Per la risposta, dobbiamo andare per gradi, distinguendo tra aspetto congiunturale macroeconomico, ed aspetto strutturale-economico.

  2.-  ASPETTO CONGIUNTUTALE- MACROECONOMICO. 
   a) La premessa
. Le ricette congiunturali per la crescita sono di due tipologie: una punta alla ricostruzione della domanda sul mercato mediante la spesa pubblica in disavanzo, finanziata dalla Banca Centrale (in pratica con   fabbricazione di moneta aggiuntiva); l'altra con la  spesa pubblica, con bilancio in pareggio.
   Nel caso nostro, occorre stare alla seconda via,  per non fare bancarotta statale (data la situazione attuale del debito, e per i  vincoli europei).
   Per il teorema di Haavelmo, una spesa pubblica (pari ad determinata imposta) crea PIL monetario aggiuntivo pari alla spesa, sia pur in determinato tempo.
  b) Quanto tempo ? Dipende dalla propensione marginale alla spesa dei cittadini contribuenti, in confronto alla propensione marginale alla spesa dello Stato.
   Haavelmo dava per scontato che la propensione marginale dello Stato fosse pari alla unità, vale dire lo Stato spenda "tutto" entro l'anno finanziario; invece i cittadini spendono una parte del reddito, e il resto lo risparmiano.
   Risulta che lo Stato italiano non spenda prontamente il gettito fiscale. Per questo MONTI dovrebbe guardare più attentamente dentro il recinto di GRILLI. Infatti:
  - Ogni giorno apprendiamo che lo Stato non paga i fornitori (eppure sono soldi stanziati a suo tempo) e non restituisce prontamente le imposte pagate, ma non dovute;
- abbiamo appreso, addirittura, che ci sono esattori fiscali che non versano ai Comuni, quanto incassato;
- c'è il noto fenomeno dei residui attivi e passivi (imposte dovute e non versate, spese impegnate e non pagate, negli anni di rispettiva competenza), che attesta l'incapacità dello Stato di fare il suo mestiere istituzionale. Di questi nulla si riferisce nel Documento di Economia e Finanza del Governo.
- ci sono poi anche determinati vincoli europei (patto di stabilità"), che non hanno senso economico, perchè decisi dall'alto dei cieli, senza guardare ai vari servizi, caso per caso.
 - L'Annuario Finanziario della Ragioneria Generale dello Stato 2012, a pag. 72 riferisce che, nel 2011, i pagamenti (in conto competenza) sono stati l' 84% della massa spendibile; e i pagamenti (in conto residui) sono stati il 45% di quelli iniziali.
  I n conclusione, tenuto conto che la propensione al consumo delle famiglie in questa fase, è oggi maggiore del 90% del reddito, vale dire maggiore di quella dello Stato, la prima spiegazione per cui  il teorema di Haavelmo non funziona, è che lo Stato non funziona quanto dovrebbe.
  
  3.- LE VIE MACROECONOMICHE CHE RIMANGONO.
Considerata la rigidità della spesa pubblica, l'unica via che rimane, e che potrebbe funzionare in tempo reale,:
- è rimodulare temporaneamente l'IRPEF abbassando le aliquote sui reddito medio-bassi, e caricare sui redditi medio-alti.
- non aumentare l' IVA perchè è regressiva, e dunque va a toccare i redditi con piu' alta propensione al consumo; e perchè va a comprimere (nonostante la "apparente" sua restituzione agli esportatori) il già compresso commercio estero, il maggiore motore dell'economia italiana.
- aggiustare subito l'imposta sui titoli di Stato, in coerenza con la Tobin Tax. La premessa è che essa, imminente in UE
, prevede la tassazione proporzionale delle compravendite di azioni e obbligazioni, ma con esenzione per i titoli di Stato; e che ci dovrà essere una sua armonizzazione con la attuale tassazione sulle rendite finanziarie (per evitare duplicazione di oneri fiscali sullo stesso oggetto).
   Ciò posto, si potrebbe agire subito sui titoli di Stato: vale dire, accogliendo la ratio della esenzione (notoriamente, una partita di giro, per lo Stato), si potrebbe cancellare subito l'imposta attuale sugli interessi dei titoli di Stato. Questo eliminerebbe la spesa pubblica per anticipare l'imposta sugli interessi, ai sottoscrittori dei Buoni.

  - Cancellare, pro-tempore, certi orrori dell'IMU.
  Sia chiaro che, durante la crisi economica attuale, i redditi delle seconde case sono divenuti polvere (perchè sfitte), specie in montagna. Questo vale anche per i ruderi. Qui nessuno piu' affitta, e dunque è stata infranta la norma costituzionale che vuole tassati i cittadini in base a capacità contributiva.
   Sarebbe urgente cancellare pro-tempore questi orrori burocratici.

 
4.- COME AFFRONTARE.  La via, veramente risolutiva, della rimodulazione, sia pur temporanea, dell' IRPEF (meno imposta sui redditi medio-bassi e più imposta su quelli medio-alti) troverà le resistenze degli elettori dei partiti di destra.
  
Pertanto, posto che il PDL ritiri la fiducia, Napolitano dovrebbe inviare MONTI alle Camere per un Monti-bis , per ottenere la fiducia dei partiti che ci stanno, in attesa delle le elezioni politiche, per un chiarimento definitivo sul da farsi.

5.-  ASPETTO STRUTTURALE- ECONOMICO. Su questo aspetto tornerò in altra edizione. Essa riguarda il confronto tra la "disutilità delle imposte" e la "utilità delle spese pubbliche", e l'alternativa tra Stato e Mercato, in una visione di medio-lungo periodo. E' verosimile che, da anni, il saldo sia largamente negativo. Ma va messo in conto che  fare "meno Stato, e più mercato" richiede una programmazione in anni e anni. La Germania dell'OVEST ha impiegato 20 anni per integrare la Germania dell'EST nel mercato, dopo l'unificazione tedesca. E' la strada delle privatizzazioni, su cui il Governo Monti si è avviato timidamente.
   Rientra in questa problematica la lotta alla grande corruzione, in quanto essa si annida dentro la spesa pubblica. Verosimilmente il debito pubblico italiano è almeno doppio di quanto dovrebbe essere, se non si fossero accumulate negli anni le maxi-ruberie dei partiti.  NL

 

Edizioni precedenti

FONDO SALVA STATI "ESM"

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CORTE COSTITUZIONALE DELLA GERMANIA
9  settembre  2012

La sentenza della Corte,   sul  Fondo "ESM"
(Sotto, uno stralcio del testo, in inglese) :
"la partecipazione della Germania all'ESM è
problema, se sono lesi i principi di democrazia"

   Precisamente, detto e ridetto fino alla malattia, secondo la Corte tutto è possibile, purchè ogni impegno di spesa verso la UE, da parte del Governo tedesco, sia approvato dal Parlamento.
   La sentenza riporta anche le preoccupazioni "monetarie" (intendi: pericoli di inflazione, anch'essi connessi con problemi di democrazia, ma in tutt'altro sfondo) della Deutsche Bundesbank  contro gli "acquisti illimitati" di titoli, dalla BCE, pur senza pronunciarsi su esse, perchè fuori dalla causa (vedi verso la fine).


Il testo della sentenza della Corte Costituzionale federale della Germania

  Nota. Per il testo integrale in lingua tedesca, clicca su:
http://www.bverfg.de/entscheidungen/rs20120912_2bvr139012.html?Suchbegriff=ESM
Per il testo abbreviato, anch'esso ufficiale, in lingua inglese, clicca su: http://www.rom.diplo.de/Vertretung/rom/it/03/Aussenpolitik/esm_20seite.html

STRALCIO dal testo inglese
( NdR. Sono spiacente di non essere riuscito a tradurre in italiano il testo inglese, in quanto quest'ultimo "soffre" non poco di essere una traduzione dal tedesco).

   Federal Constitutional Court - Press office - Press release no. 67/2012 of 12
September 2012 Judgment of 12 September 2012

  (Extracts from the decision in English) Applications for the isosue of temporary injunctions to prevent the ratification of the ESM Treaty and the Fiscal Compact unsuccessful for the most part.

   The overall budgetary responsibility of the German Bundestag is safeguarded by the design as a stability union that the monetary union has to date been given under the Treaties, in particular by the provisions of the Treaty establishing the European Union and of the Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU).
   However, a democratically legitimised change of the stability requirements under European Union law is not from the outset incompatible with Article 79 of the Basic Law.
   The Basic Law does not guarantee the unchanged further existence of the law in force but those structures and procedures which, also in the context of a continuous further development of the monetary union with the objective to comply with the stability mandate, keep the democratic process open and at the same time safeguard parliament's overall budgetary responsibility. In this context, obliging the budget legislature to pursue a specific budget and fiscal policy is not from the outset contrary to democracy; such an obligation can also take place on the basis of European Union law or international law.

  III. Subsumption.  Measured against these standards, the applications prove to be unfounded for the most part. 1.
   The Act of assent to the insertion of Article 136 TFEU does not impair the precept of democracy.
  Article 136 TFEU, which was provided for by the European Council decision of 25 March 2011, contains the authorisation to establish a permanent mechanism for mutual aid between the Member States of the euro currency area.
   Admittedly, this changes the present design of the economic and monetary union in such a way that it moves away from the principle of the independence of the national budgets which has characterised the monetary union so far.
   This, however, does not relinquish the stability - oriented character of the monetary union because the essential elements of the stability architecture, in particular the independence of the European Central Bank, the commitment of the Member States to observe budget discipline and the autonomous responsibility of the national budgets remain intact. The possibility of establishing a permanent stability mechanism, which is opened up under European Union Law by Article 136 TFEU, does not result in a loss of national budget autonomy because through the challenged Act of assent, the German Bundestag does not yet transfer budget competences to bodies of the European Union or to institutions created in connection with the European Union. Article 136 TFEU itself does not establish a stabilisation mechanism but merely opens up to the Member States the possibility of installing such a mechanism on the basis of an international agreement. The requirement of ratification for the establishment of a stability mechanism makes a participation of the legislative bodies a precondition before the stability mechanism enters into force.

   2. The challenged Act of assent to the ESM Treaty essentially takes account of the requirements set out under constitutional law with regard to the safeguarding of the overall budgetary responsibility of the German Bundestag.
   a) However, it is required to ensure in the framework of the ratification procedure under international law that the provisions of the ESM Treaty may only be interpreted or applied in such a way that the liability of the Federal Republic of Germany cannot be increased beyond its share in the authorised capital stock of the ESM without the approval of the Bundestag and that the information of the Bundestag and the Bundesrat according to the constitutional requirements is ensured.
   Admittedly, it can be assumed that the express limitation of the liability of the ESM Members to their respective portions of the authorised capital stock, which is provided for in Article 8 sentence 1 TESM, bindingly limits the Federal Republic of Germany's budget commitments undertaken in connection with the activities of the ESM to EUR 190.024.800.     000.
   This ceiling can also be assumed to apply to all capital calls made according to Article 9 TESM, including the "revised increased" capital calls according to Article 25 TESM, which in the case of the payment shortfall of an ESM Member may be made to the remaining Members that are able to pay, and which will correspondingly increase the burden on them.


NINO LUCIANI, Una questione di democrazia ...? L'inflazione lo è, ma oggi non è il caso, perchè in Europa la capacità produttiva inutilizzata e la disoccupazione è veramente tanta ( parola di Keynes )

1.- I termini della questione. In Germania le contestazioni sulla bontà tecnica degli strumenti (sul tipo ESM, di cui dotare l'UE) per salvare l'EURO, sono state in fermento in questi mesi con motivazioni di "democrazia" (vale dire, non per gli oneri finanziari che verrebbero a gravare sulla Germania, a favore di Stati fuori controllo finanziario).
   In Germania, poi, i motivi di democrazia non sono solo il presunto eccesso di potere della UE, sulla Germania, come conseguenza di eccessi di poteri del Governo (Merkel) sul Parlamento, ma anche altro (di cui dirò, appresso).
  Sul primo punto,  a fianco è riportato il testo integrale della sentenza della Corte Costituzionale tedesca, e che esclude la violazione.
   Il motivo d'accusa, secondo cui il Governo avrebbe prevaricato il Parlamento tedesco, non era forse un grande argomento, e lo si vede:
  - nel fatto che il problema è stato ricondotto ad una specie di artificio di potere dell'UE (una sorta di uso della "necessità" quale fonte del diritto europeo) : nel senso che l'UE "deve" salvare l'Euro, voluto democraticamente dagli Stati ma, non avendo poteri formalmente definiti, i Governi tendono a provvedere scavalcando i parlamenti;
- e nel fatto che la soluzione corretta viene indicata in passi avanti verso l'Unione Politica, il che non sembrerebbe il toccasana, perchè se i tedeschi  non soccorrono i popoli meridionali oggi (nel bisogno immediato), non s vede come potrebbero farlo domani, sia pur all'interno di Unioni consacrate. Anzi, è quasi meglio vederci chiaro, per i popoli meridionali, vederci chiaro prima di fare matrimoni.
   In effetti la Corte non ha individuato motivi di incostituzionalità nella firma del Trattato per l'ESM, da parte del Governo tedesco.

2. Veniamo al secondo motivo di democrazia: pericolo di inflazione.
    Sono, invece, meritevoli di considerazione le motivazioni con cui la Banca Centrale tedesca (come membro del Consiglio della BCE), ha votato contro, (uno, su 17 voti) gli  "interventi illimitati" della BCE sul mercato secondario.
   Anche queste motivazioni, pur se formalmente sono per la stabilità monetaria, in realtà sono per la "democrazia", e sono radicate nell'anima della Germania contemporanea.
   Voglio soffermarmi su di esse perchè le condivido profondamente, ma anche per motivare (a mia volta) che in questa fase monetaria non ci dovrebbe essere motivo di preoccupazione circa la stabilità monetaria.
   Veniamo alle radici. In Germania è diffusa la convinzione che la lotta contro l'inflazione è uno strumento fondamentale di difesa della democrazia (e aggiungiamo noi, non solo di quella tedesca).
   Per i tedeschi, questa idea affonda le sue origini nell'avvento dell'ascesa di Hitler nel governo tedesco, nel periodo 1923-33 (1923 tentato colpo di Stato di Hitler, 1933 elezioni di Hitler a Cancelliere).
   C. Bresciani Turroni, l'economista italiano che ha studiato "i problemi monetari dopo le due guerre mondiali" e specificamente la grande inflazione   (Corso di economia politica, Vol. II, p. 171 ss., Giuffrè ed., 1957) racconta di ogni genere di disordini nel campo della economia (distrutti i risparmi delle famiglie e i fondi di ammortamento delle imprese, modificate le posizioni di reddito reale dei cittadini, le imprese ricevevono segnali distorti, perchè in tempi di inflazione i prezzi si aprono a ventaglio ....), con conseguenti turbamenti della pace sociale.
   Per dare un'idea della situazione surreale in cui era caduta la Germania, basti ricordare che un biglietto del tramway costava 150 miliardi di marchi a Berlino, a fine novembre 1923.

3.- Tuttavia, oggi c'è molto spazio, prima di cadere nel burrone dell'inflazione. Quelli che si oppongono ad "acquisti illimitati" della BCE sul mercato secondario, temono che l'immissione di moneta (finanziata da fabbricazione di moneta aggiuntiva) faccia scoppiare l'inflazione (definita come un aumento consistente e prolungato del livello generale dei prezzi).
   E' teoria consolidata che si possa verificare inflazione se la moneta aggiuntiva si scontri con la rigidità della produzione ma, altrettanto (parola di J.M. Keynes)  che non ci sia inflazione se nel sistema economico c'è capacità produttiva inutilizzata e disoccupazione. Per un orientamento alla interpretazione dei possibili eventi, può essere utile la tabella sotto riportata (clicca su anno).
   Si direbbe che la situazione attuale rientri in questo secondo caso. Diciamo anzi che  tuttora il sistema produttivo, precedente la crisi, è ancora intatto (anzi in qualche caso, vedi Fiat e vedi VolkWagen, sono stati fatti ammodernamenti (sia pure, l'una,  in America).
   Si direbbe anche che non rifinanziare urgentemente la domanda (per farla diventare "effettiva")  è un errore grave e fondamentale, una responsabilità imperdonabile, pur stando nei limiti di bilancio.
   Draghi sa che, in recessione, il settore privato non fa investimenti, e che può fare affidamento solo sullo Stato.
   Nel caso nostro, si tratta di finanziare Stati (come l'Italia) che stanno alle regole (vale dire, col limite del pareggio del bilancio).
   Io sono, poi, personalmente anche convinto che una svalutazione interna dell'Euro, nell'ordine del 10-15%, equivarrebbe ad una piccola cancellazione dei debiti (vale dire, ci libererebbe da molte situazioni debitorie marginali, la classica goccia che fa traboccare il bicchiere), senza pericoli.
   Nel caso della Grecia, disapprovo totalmente la BCE e il FMI. Stiamo facendo come gli antichi romani. Il debitore, che non pagava i debiti, veniva portato davanti a un Giudice che, accertato il debito, gli dava 30 giorni per pagare. Se, passati i 30 giorni, non pagava, veniva dichiarato schiavo del creditore, che infine lo poteva far lavorare gratis e anche ucciderlo. N Luciani

  ( Continua la Sentenza ) However, it cannot be ruled out that the ESM Treaty is interpreted in the sense that in the case of a revised increased capital call, the ESM Members cannot rely on the liability ceiling because the wording of Article 25 TESM does not contain a limitation of the amount and because the provision is intended to secure the creditworthiness of the ESM, and to maintain its ability to act, even in unexpected emergency situations.
   To meet the constitutional requirement of determining the burdens on the budget in a clear and definitive manner, the Federal Republic of Germany must ensure the required clarification in the ratification procedure, and it must ensure that it is only bound by the Treaty in its entirety if no payment obligations that go beyond the liability ceiling can be established for it without the consent of the Bundestag. Such a reservation in the ratification procedure is also required with regard to the provisions of the ESM Treaty on the inviolability of the documents (Article 32, Article 35 TESM) and on the professional secrecy of the legal representatives of the ESM and of all persons working for the ESM (Article 34 TESM). Admittedly, a good argument can be made that these provisions are above all intended to prevent a flow of information to unauthorised third parties, for instance to actors on the capital market, but not to the parliaments of the Member States, which must bear political responsibility for the commitments based on the ESM Treaty vis-à-vis their citizens also during further treaty implementation.
    However, the provisions do not explicitly address the information of the national parliaments by the ESM; with a view to the fact that the situation under constitutional law as regards the parliament's rights of participation and its rights to be informed is different in the Member States, an interpretation is therefore conceivable which would stand in the way of sufficient parliamentary monitoring of the ESM by the German Bundestag.
   A ratification of the ESM Treaty is therefore only permissible if the Federal Republic of Germany ensures an interpretation of the Treaty which guarantees that with regard to their decisions, Bundestag and Bundesrat will receive the comprehensive information which they need to be able to develop an informed opinion.

   b) In other respects, the other provisions of the ESM Treaty are unobjectionable according to the summary review. Admittedly, the provision under Article 4 TESM, according to which all voting rights of an ESM Member are suspended if it fails to fully meet its obligations to make payment vis-à-vis the ESM, is not unproblematic with a view to its potentially far-reaching consequences under the aspect of overall budgetary responsibility because for so long as the default continues, the Member concerned can no longer influence the decisions of the ESM.
   Consequently, the participation of the German Bundestag in the decisions of the German representative in the bodies of the ESM, which is provided for at national level, would fail, and the context of legitimation between parliament and the ESM would be interrupted during this period.
   However, the provision does not violate the overall budgetary responsibility of the Bundestag because the latter can, and must, see to it that the German voting rights are not suspended. It must make the budgetary arrangements necessary in this context to ensure that it will be possible at any time to completely pay in Germany's shares in the authorised capital stock of the ESM.

:::::::::::::::

   Furthermore, it cannot be established that the amount of the payment obligations entered into through the participation in the ESM of a total nominal value of EUR 190.024.800.000 exceeds the limit of the burden on the budget to such an extent that the budget autonomy effectively fails.
  This also applies taking into account Germany's overall commitment undertaken with regard to the stabilisation of the European monetary union.
  When examining whether the amount of payment obligations and commitments to accept liability will result in the Bundestag relinquishing its budget autonomy, the legislature has broad latitude of assessment, which also applies to the assessment of the future soundness of the Federal budget and the economic performance capacity of the Federal Republic of Germany, including the consideration of the consequences of alternative options of action.
   The legislature's assessment that the risks involved with making available the German shares in the European Stability Mechanism are manageable, while without the granting of financial assistance by the ESM the entire economic and social system would be under the threat of unforeseeable, serious consequences, does not transgress its latitude of assessment and must therefore be accepted by the Federal Constitutional Court.
   The objection that the ESM can become the vehicle of unconstitutional state financing by the European Central Bank cannot be raised against the ESM itself.
    As borrowing by the ESM from the European Central Bank, alone or in connection with the depositing of government bonds, would be incompatible with the prohibition of monetary financing entrenched in Article 123 TFEU, the Treaty can only be taken to mean that it does not permit such borrowing operations.

::::::::::::::::::::::

   The European Stability Mechanism is one of the institutions specified in Article 123 TFEU to which no loans may be granted by the European Central Bank.
    A depositing of government bonds by the ESM with the European Central Bank as a security for loans would also infringe the ban on the direct acquisition of debt instruments of public entities.
   Here, it can remain open whether this would constitute a direct acquisition of debt instruments of state issuers on the primary market or whether after their intermediate acquisition by the ESM it would be tantamount to an acquisition on the secondary market.
   For an acquisition of government bonds on the secondary market by the European Central Bank aiming at financing the Members' budgets independently of the capital markets is prohibited as well, as it would circumvent the prohibition of monetary financing.
   To what extent the decision taken by the Governing Council of the European Central Bank on 6 September 2012 on a programme concerning the purchase of government bonds of financially weak Member States whose currency is the euro complies with these legal requirements was not a matter for decision in the present proceedings for the issue of temporary injunctions, proceedings which exclusively relate to the Acts of assent to the ESM Treaty and the Fiscal Compact and to the respective accompanying laws.

Anno (dicembre) 2008 2009 2010 2011 2012 agosto
Banconote e monete (fabbricazione, miliardi) 783,2 827,7 861,9 911,6 919,9
Indice 100,0 105,7 110,0 116,3 117,5
         
Prezzi beni di consumo- indice 2008=100 100,0 100,2 101,8 105,3 107,4
         
PIL area Euro a prezzi correnti (miliardi) 9244,3 8930,8 9161,5 9425,3 9474,2
PIL area Euro a prezzi costanti 2007 8952,7 8906 9019,7 9174,6 9220,7
Indice a prezzi costanti 100,0 99,5 100,7 102,5 103,0

Fonte: Dati BCE e FMI, elaborazioni

Edizioni precedenti

Dall' ABI - ASSOCIAZIONE BANCARIA  ITALIANA, ASSEMBLEA DEGLI ASSOCIATI
In margine alla Relazione del Presidente Giuseppe MUSSARI Roma, 11 luglio 2012

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Mario Monti


Rivendicato che le "banche italiane sono vittime della crisi" finanziaria"
e chiesto "non regole di favore, ma un terreno di gioco livellato".


LUCIANI: Presente il Presidente del Consiglio MONTI, che glielo lascia dire ...
IN CASO DI FALLIMENTO, SI' ALLA  NAZIONALIZZAZIONE  DELLE  BANCHE,
DA  PARTE  DELLA  UE .  NO A SOCCORSI  DELLA  BCE  ALLE  BANCHE .

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Giuseppe Mussari

    Presente anche il Governatore della Banca d'Italia VISCO che, senza peli sulla lingua, ha chiarito che ci dovrà essere:
-  il "perfezionamento e adeguamento delle regole di Basilea III, allo attuale contesto finanziario ed economico" ( si tratta del vincolo alla capitalizzazione delle banche, nel quadro di una visione della banca-impresa, che però è un vincolo del nulla, se in assenza di vincoli stringenti alle banche, circa l'impiego dei depositi a breve termine);
  -  "un sistema di supervisione bancaria unitario" come un sistema europeo unico;
  -  e che ci dovranno essere fondi e meccanismi europei per la garanzia dei depositanti.
   Mi è sembrata debole, invece, l'idea dello "spezzamento del circolo vizioso tra la crisi dei debiti sovrani e le condizioni delle banche", senza invocare la possibile surrogazione degli Stati, da parte dell'UE, nel nazionalizzare le banche sotto default (rinvio al mio commento, qui sotto).
  Per una visione dell'intero intervento, clicca su: ABI-Intervento-Visco.

I paragrafi - chiave della Relazione del Presidente ABI

"Il peggioramento delle condizioni del ciclo e la doppia recessione di cui siamo stati vittime hanno fortemente accresciuto le sofferenze bancarie. Quelle lorde hanno raggiunto nello scorso mese di maggio i 111 miliardi (circa 15 miliardi in più su base annua). In rapporto agli impieghi pesano ora per il 5,6%, con un picco pari al 10,5% per quanto riguarda gli impieghi alle famiglie produttrici."
:::::::
"Sicuramente portiamo alcune responsabilità, ma nello stesso tempo è giusto ribadire con chiarezza che le banche italiane sono vittime di questa crisi, e che al determinarsi della stessa non hanno in alcun modo contribuito. Le imprese bancarie non chiedono regole di favore, ma un terreno di gioco livellato, basato sulle giuste regole di stabilità, di trasparenza e di concorrenza, senza vincoli amministrativi, obblighi a prestare servizi gratuiti per sussidiare inefficienze di altri settori."

La relazione del Presidente

Estratto, ripreso dal sito web dell'ABI

  "Signori Rappresentanti degli Associati, Autorità, Rappresentanti delle Istituzioni, della politica e dell’economia, Signore e Signori, rivolgo il mio saluto e ringraziamento a quanti hanno voluto accettare il nostro invito ad assistere alla cinquantaduesima edizione dell’Assemblea dell'Associazione Bancaria Italiana.
  Un particolare e cordiale benvenuto va al Presidente del Consiglio e Ministro dell’economia, Prof. Mario Monti, e al Governatore della Banca d’Italia, Dottor Ignazio Visco.
  Vorrei rivolgere loro un caloroso e anticipato ringraziamento per le considerazioni e le analisi che ci offriranno ...".

  " ... Nelle settimane che hanno preceduto e seguito il vertice di Bruxelles del 28 e 29 giugno, sono state espresse autorevoli opinioni che vedono nel Presidente Monti e nell’azione del suo Governo un elemento di ritrovato equilibrio, per l’Europa e per l’Italia, su cui far leva per uscire insieme dalla crisi: le imprese bancarie italiane le condividono pienamente.   Così come condividono quanto disse il Presidente dell’Acri Guzzetti al XXII Congresso di Palermo, nel ringraziare il Presidente Monti per aver restituito all’Italia il ruolo che le è proprio in Europa e nel mondo.
    Questo Governo non è mai stato “tenero” con le imprese bancarie, tanto che in ogni decreto legge abbiamo ritrovato misure nei nostri confronti certamente criticabili e che non trovano corrispondenze nel quadro normativo europeo, da ultimo l’accentramento ex abrupto delle tesorerie scolastiche.
   Ciò nonostante rinnoviamo all’Esecutivo il nostro pieno e convinto sostegno, sottolineando come i compiti che lo attendono e che attendono il Paese siano così impegnativi da rendere necessario il leale sostegno di tutti. Il sistema economico mondiale, l’Europa, e al suo interno l’Italia, sono affetti da una patologia grave che, anche se con intensità differenziata, ha la capacità di produrre esiti nefasti per tutti.
   Se non fossero contrastate con efficace prontezza, le conseguenze negative di una tale patologia non si limiterebbero alla sfera economica ma metterebbero a dura prova la coesione sociale e le forme democratiche degli Stati dell’Unione. Democrazia, infatti, oltre che regole è equilibrio economico e sociale; sarebbe un tragico errore immaginare che l’equilibrio democratico sia dato per sempre.
   Come ogni equilibrio è dinamico e ogni sua componente è necessaria al suo mantenimento, la coesione sociale tanto quanto la stabilità dei conti pubblici. Occorre quindi perseguire all’unisono stabilità, crescita ed equità.
   Si tratta di una sfida del tutto inedita, che impone l’assunzione di nuove responsabilità alle parti sociali che dovranno saper coniugare, ancor di più che in passato, l’interesse dei rappresentati con l’interesse generale del Paese.
   Evitare ogni tentazione di scaricare sulle generazioni a venire la soluzione dei problemi attuali è un obiettivo prioritario rispetto al quale tutti dobbiamo sentirci impegnati. La storia di questi anni ci insegna che il rinvio dei problemi, il loro occultamento attraverso la spesa pubblica, non fa che radicalizzarne i rischi e quindi il peso sociale degli stessi ...".

 

 

Per il Testo integrale:

Clicca su: ABI - Presidente

NINO LUCIANI, Circa il "vittimismo" ...., non c'è limite al pudore.
Circa il "terreno livellato" ..., la legge bancaria del 1993, creando la "banca universale", ha già tolto ogni limite al movimento delle banche.

 
1.- Vittimismo. I mercati sono a conoscenza che, nel caso dell'Italia, più che dal debito pubblico, i timori di bancarotta per lo Stato vengono dalle grandi banche italiane, per i loro legami internazionali. Precisamente dal fatto che, qualora "fallisse" una delle nostre grandi banche (o anche si diffondesse il timore del fallimento di una sola di loro), lo Stato sarebbe impotente a soccorrerle, avendo già una situazione delicata di suo. Inoltre, lo Stato non ha più il potere monetario.
  Quale sia l'entità dei timori è dimostrato dai saliscendi (veramente notevoli) delle quotazioni di borsa, dei titoli bancari in questi mesi, a seconda delle aspettative di soccorso, da parte della BCE.
    Alle origini delle sofferenze bancarie, peraltro ammesse velocemente dal Presidente ABI, sta l'eccesso di impieghi a rischio, dopo che varie leggi nazionali (la nostra è del 1993) hanno creato la "banca universale" (tolto, per le banche, ogni vincolo temporale all'impiego dei depositi dei risparmatori, e affidata la garanzia di solvibilità alla entità dei patrimoni bancari).
  La grande "euforia" bancaria di questi anni c'è stata, probabilmente in seguito al bisogno (e anzi a chiusura degli occhi) degli Stati, di finanziamenti delle grandi guerre di questo decennio (IRAQ, AFGHANISTAN, IMPEGNI in LIBANO...). Rientrano nella euforia anche fatti collaterali come l'aspettativa di lucri fatti mediante il finanziamento dei mutui edilizi, senza alcuna prudenza (soprattutto negli USA).
  Tuttavia, il fatto che le banche fossero divenute "banche universali" non le esonerava dall'osservanza ("volontaria")  della distinzione tra impieghi a breve termine e impieghi a medio-lungo termine, a seconda del disporre di depositi a breve e depositi a medio-lungo termine, rispettivamente. La legge del 1993 ha fatto come quei padri di famiglia che danno la "chiave" di casa ai figli, come se siano presto adulti: Ma non è così.
   Il Presidente ABI non ha spiegato cosa sono le "responsabilità" bancarie, a cui faceva riferimento; anzi ha chiesto terreno livellato, come se esista un ulteriore possibilità di livellamento, sotto pelle.
   Per capite la tirata di orecchi di Visco (mi riferisco al suo invito alla capitalizzazione), forse il Presidente ABI voleva una sanatoria delle sofferenze bancarie, da parte della BCE.

2.- La debolezza del Presidente Monti. Risulta che, al vittimismo del Presidente ABI, Monti non abbia reagito, ma anzi abbia deviato l'attenzione dei presenti verso le origini remote  (anche cose molto discutibili: vedi concertazione" ), che giustificano l'attuale percorso  di guerra finanziaria dell'Italia.
  .
A mio modo di vedere, questo è stato come un tirarsi fuori, in qualche modo. Beninteso, negli anni '80, molti rapporti tra sindacati e industria sono stati regolati spostando sul cittadino comune il peso degli accordi.
  Tuttavia è importante distinguere i casi in cui lo Stato faceva debiti per consolidare lo Stato sociale (scuola, sanità, pensione sociale), uniformemente nel Paese, dai casi in cui lo Stato si caricava di oneri impropri, conseguenza di avere invaso la proprietà di imprese produttive, quali i disavanzi di bilancio e debiti (che si aggiungevano al debito per fini istituzionale); e colludeva con l'Industria per il finanziamento illecito dei partiti.
   Qui sta il punto che non permette di fare di tutta l'erba un fascio, e dunque va seguita positivamente la sparata di Monti: nel senso che va ripenstata la struttura economica dello Stato.
   Di questra anomalia italiana ci siamo resi conto all'indomani della caduta del socialismo reale dell'URSS, vale dire già dal 1988, in quanto l'Italia ne aveva le medesime criticità, sia pur in rapporto al diverso grado di statizzazione (60%, in luogo del 95% dell'URSS).
   Ma torniamo alle banche.

3.- Il possibile ruolo dell'UE, in caso di fallimenti di banche. La crisi attuale è stata riconosciuta molto simile a quella degli anni '30. In quella fase il fallimento delle banche fu risolto con numerose nazionalizzazioni di banche (e con nuove norme bancarie...).
  Riprendendo il concetto iniziale, l'Italia non è oggi in condizioni di nazionalizzare le banche fallite (e subentarre ad esse, nel rapporto fiduciario con i risparmiatori) per due motivi:
- a causa della sua situazione debitoria oggi (non allora, in cui il rapporto debito/PIL era 30%);
- perchè lo Stato italiano non ha più il potere monetario, soprattutto non ha più la Banca d'Italia, come prestatore di ultima istanza.
  Tuttavia, come sono vere queste cose, è anche vero che il potere monetario non è svanito, ma passato all'UE.
  Conclusione: sarebbe semplicemente atto dovuto che l'UE si sostituisca agli Stati nel rapporto con le banche e precisamente:
  a) in caso di fallimento di banche, l'UE si appresti a nazionalizzarle (la forma dovrebbe essere quella della "raccomandazione agli Stati" di provvedere alla nazionalizzazione, che poi girerebbe il tutto alla UE );
  b) attribuisca un possibile ruolo alla BCE nel supportare l'opearazione;
  c) sia previsto che, a successiva situazione normalizzata (tra 5 anni),l'UE restituisca alla proprietà privata le banche "europeizzate", e alla BCE le eventuali anticipazioni finanziarie.
  Sono, invece, molto contrario a che la BCE salvi le banche con colpi di spugna o regalie. NINO LUCIANI

 

Tag: banche, crisi Grecia, cancellazione debito, queen Elizabeth

EDIZIONE PRECEDENTE

REGNO UNITO : LA  REGINA   ELISABETTA    A   WESTMINSTER

Mentre in Europa tornano le apprensioni per le sofferenze bancarie

Regina dice che il "Suo Governo" vuole la separazione tra banche commerciali e banche d'affari
(testo integrale del discorso della Regina Elisabetta al Parlamento)

Il fatto, poi, che il Regno Unito applichi una riforma che noi in Italia avevamo introdotta nel 1936, ma
sprovvedutamente abolita nel 1993 ( con la "banca universale" ), obbliga tutti noi alla ridiscussione su tutto,
compreso sulle corresponsabilità della banche europee nella crisi greca e sulla BCE

SE VOGLIAMO "CONQUISTARE" UNA DIGNITA'   EUROPEA, CANCELLIAMO LA META' DEL DEBITO GRECO !
COME ? (VEDI SOTTO ...)

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Elisabetta IIa

09 May 2012 - Full text of The Queen's Speech to Parliament which outlined the Government's priorities for the coming Parliamentary year.

Discorso della regina 9 maggio 2012 a Westminster
(testo integrale)

My Government's legislative programme will focus on economic growth, justice and constitutional reform.

My Ministers' first priority will be to reduce the deficit and restore economic stability.

Legislation will be introduced to reduce burdens on business by repealing unnecessary legislation and to limit state inspection of businesses.

My Government will introduce legislation to reform competition law to promote enterprise and fair markets.

My Government will introduce legislation to establish a Green Investment Bank.

Measures will be brought forward to further strengthen regulation of the financial services sector and implement the recommendations of the Independent Commission on Banking. (Più di un giornale, anche TV, ha chiarito trattarsi della volontà di separare banche d'affari da banche commerciali).

My Government will introduce legislation to establish an independent adjudicator to ensure supermarkets deal fairly and lawfully with suppliers.

A Bill will be introduced to reduce burdens on charities, enabling them to claim additional payments on small donations.

My Government will propose reform of the electricity market to deliver secure, clean and affordable electricity and ensure prices are fair.

A draft Bill will be published to reform the water industry in England and Wales.

My Government will bring forward measures to modernise the pension system and reform the state pension, creating a fair, simple and sustainable foundation for private saving.

Legislation will be introduced to reform public service pensions in line with the recommendations of the independent commission on public service pensions.

A draft Bill will be published setting out measures to close the Audit Commission and establish new arrangements for the audit of local public bodies.

My Government will strive to improve the lives of children and families.

My Government will propose measures to improve provision for disabled children and children with special educational needs. New arrangements will be proposed to support children involved in family law cases, reform court processes for children in care and strengthen the role of the Children's Commissioner.

Measures will be proposed to make parental leave more flexible so both parents may share parenting responsibilities and balance work and family commitments.

A draft Bill will be published to modernise adult care and support in England.

My Government will continue to work with the fifteen other Commonwealth Realms to take forward reform of the rules governing succession to the Crown.

Legislation will be brought forward which will introduce individual registration of electors and improve the administration of elections.

A Bill will be brought forward to reform the composition of the House of Lords.

My Government will continue to work constructively and cooperatively with the devolved institutions.

MEMBERS OF THE HOUSE OF COMMONS

Estimates for the public services will be laid before you.

MY LORDS AND MEMBERS OF THE HOUSE OF COMMONS

My Government is committed to reducing and preventing crime. A Bill will be introduced to establish the National Crime Agency to tackle the most serious and organised crime and strengthen border security. The courts and tribunals service will be reformed to increase efficiency, transparency and judicial diversity.

Legislation will be introduced to protect freedom of speech and reform the law of defamation.

My Government will introduce legislation to strengthen oversight of the security and intelligence agencies. This will also allow courts, through the limited use of closed proceedings, to hear a greater range of evidence in national security cases.

My Government intends to bring forward measures to maintain the ability of the law enforcement and intelligence agencies to access vital communications data under strict safeguards to protect the public, subject to scrutiny of draft clauses.

My Government will seek the approval of Parliament relating to the agreed financial stability mechanism within the euro area.

My Government will seek the approval of Parliament on the anticipated accession of Croatia to the European Union.

My Government will work to support a secure and stable Afghanistan, to reduce the threat of nuclear proliferation, including in Iran, and to bring greater stability to the Horn of Africa.

In the Middle East and North Africa, my Government will support the extension of political and economic freedom in countries in transition.

My Government has set out firm plans to spend nought point seven per cent of gross national income as official development assistance from 2013. This will be the first time the United Kingdom has met this agreed international commitment.

My Government will build strategic partnerships with the emerging powers.

The United Kingdom will assume the Presidency of the G8 in 2013: my Government will use this opportunity to promote international security and prosperity.

In the year of the Diamond Jubilee, Prince Philip and I will continue to take part in celebrations across the United Kingdom. The Prince of Wales and other members of my family are travelling widely to take part in festivities throughout the Commonwealth.

Prince Philip and I look forward to the London Olympic and Paralympic Games and to welcoming visitors from around the world to London and venues throughout the country.

Other measures will be laid before you.

MY LORDS AND MEMBERS OF THE HOUSE OF COMMONS

I pray that the blessing of Almighty God may rest upon your counsels.

_____________________________________________________
FONTE: http://www.fco.gov.uk/en/news/latest-news/?view=Speech&id=762601282

NINO LUCIANI,   Necessario salvare l'euro (perchè ci salva da nuove guerre in Europa); necessario reintrodurre la separazione tra banche a breve termine e banche a medio lungo termine; necessario che la BCE, svolga il ruolo proprio di una banca centrale, almeno per casi assolutamente eccezionali: oggi, salvare la Grecia.
 
1.- Premessa.
  a) Ricominciare dalla riforma bancaria. La salvezza dell'Euro è, innanzitutto, la salvaguardia della pace in Europa. Mai più guerre tra noi .... E dunque, non si bestemmi contro l'Euro.
  Tuttavia, ci si dovrebbe rendere conto che le scelte correttive delle autorità europee (precisamente, Basilea 3: ricapitalizzazioni bancarie) sono solo parvenze.
   Il motivo è che, in caso di gravi crisi finanziarie, non c'è capitale che possa reggere, perchè il capitale è il valore attuale del reddito, e   dunque si deve sempre partire da qui per cure efficaci: vale dire se viene meno il PIL, il capitale non è niente.
   Dal punto di vista della ricostruzione della forza bancaria, i punti di ripartenza sono:
-  capire che una banca non è impresa speculativa;
-  che il denaro a breve non può essere usato per impieghi a medio-lungo termine;
  - che le garanzie di solvibilità bancaria sono un fatto di flusso (non di fondo) e dunque da cercare mediante una corrispondenza tra i depositi e la riserva obbligatoria bancaria, e che essa dev'essere significativa (il 2% attuale è solo una cosa simbolica).
   Circa il rispetto di questi criteri di credito, la legge del 1993 (adeguando l'Italia alla Germania, ecc.) aveva istituito la banca universale, dando fiducia quasi illimitata alla capacità di autoregolazione delle banche.(Clicca su: La crisi bancaria infinita).
   Ma le cose non sono andate così. Constatiamo le responsabilità delle grandi banche italiane nel prestare eccessivo danaro, a rischio, alla Grecia.

  b) la BCE deve potere intervenire in via eccezionale, per problemi vitali: vedi Grecia. E' difficile poter giustificare l'istituzione di una BCE, banchiere di ultima istanza, senza una unione politica tra gli Stati, e con Stati dotati di poteri fiscali sovranazionali per alcuni bisogni fondamentali, comuni agli Stati membri.
   Tuttavia, dati i fatti crisi eccezionali sopravvenuti, tali da scuotere la "moneta unica, e riconosciuti da "tutti" gli Stati membri, la BCE dovrebbe essere autorizzata ad intervenire nei modi propri di una Banca Centrale. E questo è il caso del debito della Grecia.
  
   Al tempo degli antichi Romani, il debitore veniva portato davanti ad un giudice e, se ritenuta fondata la denuncia del creditore, gli venivano dati 30 giorni entro i quali doveva pagare. Se, non pagava entro i 30 giorni, il debitore era dichiarato schiavo del creditore, e questi poteva anche ucciderlo.
  Non c'è molta differenza tra suicidi e omicidi, se la causa scatenante è la medesima. Da parte di noi dell'UE, verso la Grecia, mi pare che facciamo, grosso modo la stessa cosa, che il creditore romano.
  
  Quale la via per risolvere ? La via è puramente e semplicemente la cancellazione della metà del debito greco.
  E in quale modo ? Nel modo classico, con cui hanno sempre agito le banche centrali: la BCE compera la metà del debito greco, con fabbricazione di Euro.

2.-  Ma scoppierà l'inflazione ? Forse, ma poca cosa. Il motivo è che non siamo in un dopoguerra, in cui tutto il settore industriale è distrutto. In questa fase "strana"  è ancora  intatto il sistema produttivo pre-crisi, vale dire c'è eccesso di capacità produttiva, per cui occorre creare "domanda effettiva" (vale dire accompagnata da potere di acquisto (parola di Keynes).
( In altra pagina di questa edizione (Forum 2/12), viene posto l'accento anche alla importanza che la spesa pubblica segua prontamente, dopo ill prelievo fiscale.)

   Probabilmente, non ci sarà una inflazione apprezzabile, a parte che in secondo tempo la BCE potrà ritirare liquidità reimmettendo i titoli greci sul mercato.
  Non è, poi, trascurabile che, salvando la Grecia, noi salviamo anche il nostro sistema bancario, relativamente alle sofferenze derivati dai crediti alla Grecia.
   E nemmeno è trascurabile che un pò di inflaziobe svaluterebbe il cambio Euro/Dollaro e questo farebbe bene alle esportazioni europee
 

  Ma guardiamo più a fondo. Quanto potrà essere l'impatto della cancellazione del debito greco sul PIL dell'UE ? La tabella sotto riportata mostra che il debito greco è pari al 5% del debito UE-Eurozona; e che il PIL greco è il 3% del PIL UE-Eurozona. Dunque sono cifre molto basse, in senso relativo e potremmo serenamente autorizzare la BCE a finanziare il debito greco, con fabbricazione di  Euro aggiuntivi.
   Non penserei ai cosiddetti Fondi salvaStati, nè ad EUROND, perchè ne nascerebbero dei difficili, nuovi, problemi fiscali, oggi già al top.        

milioni di dollari anno 2010 debito 2010 % pil - 2010 %pil -2011
 Austria

333.537

239.480

71,8

72,20%

 Belgio

396.035

380.986

96,2

97,20%

 Cipro

23.259

14.304

61,5

64,90%

 Estonia

24.762

1.659

6,7

5,80%

 Finlandia

187.696

90.657

48,3

49,10%

 Francia

2.134.941

1.757.056

82,3

85,40%

 Germania

2.944.352

2.449.701

83,2

81,70%

 Grecia

318.670

461.753

144,9

162,80%

 Irlanda

176.555

167.551

94,9

108,10%

 Italia

1.778.832

2.106.137

118,4

120,50%

 Lussemburgo

41.271

7.883

19,1

19,50%

 Malta

10.423

7.192

69,0

69,60%

 Paesi Bassi

680.772

428.206

62,9

64,20%

 Portogallo

247.458

230.878

93,3

101,60%

 Slovacchia

120.524

49.415

41,0

44,50%

 Slovenia

56.663

21.985

38,8

45,50%

 Spagna

1.372.720

837.359

61,0

69,60%

Totale area Euro

10.848.470

9.252.201

85,60%

88,00%

Grecia/Area Euro

2,90%

5,00%

****

COMUNE DI BOLOGNA: PIANO STRATEGICO METROPOLITANO - marzo 2012- unibo2
http://psm.bologna.it/Engine/RAServeFile.php/f/documenti/Documento-di-piano.pdf

SINDACO  MEROLA  APRE   DIBATTITO  SULLA "SECONDA UNIVERSITA' DI BOLOGNA"
TEATRO  " L'ARENA DEL SOLE " , CON  LA MIRA DI ATTRARRE UNA UNIVERSITA'   INTERNAZIONALE

comune bo-logo.gif (8535 byte)
Comune di Bologna

Le dichiarazioni del "Magnifico" MEROLA

.

Il Testo scritto del Discorso ufficiale del Sindaco

.

L'idea di fare la "seconda università" a  Bologna " (a prescindere dalla internazionalità) rientra in un dibattito, in atto dal termine del Rettorato
di Fabio Roversi Monaco

Forse utile, anche oggi, andare all'indietro per ritrovare
il carattere internazionale originario dello "STUDIO Petroniano".

merola_virginio.JPG (5109 byte)
Virginio Merola

.
STUDIO-BOLOGNA.jpeg (6298 byte)
Immagine dello "Studio" medievale

                              Alcuni argomenti per capire fatti e misfatti, opera di noi stessi:
.
a) Collegamento con lo "Studio", avvenuto con le celebrazioni del "NONO CENTENARIO";
b) Applicazione "deviata" della legge sui Mega Atenei;
c) Obiettivi mancati della "Fondazione Alma Mater", per un ponte verso l'esterno;
d) Caduta irreversibile del numero degli studenti (Romagna inclusa) a partire dal 1998 e tuttora:
- 17,8% gli italiani, - 22,9% gli stranieri );
e) Molti professori dimissionati, pur se ancora in piene forze, anche oltre la legge Gelmini

Messaggio al rettore Dionigi: ripartire dalla "Fondazione  ALMA MATER",
ma trasformata in Fondazione di diritto pubblico e con la mira alta del Sindaco.

"Divus Petronius
Protectior et Pater
"

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Gregiorio XIII

Numero studenti università di Bologna:  declino inarrestabile dal 1998
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L' INTERVENTO   DEL  SINDACO  MEROLA

"Questo non è il solito saluto della città al solito convegno. Questa è la città di Bologna che saluta il suo ritorno ad essere una città speciale. Bene, tutti dobbiamo farci una domanda: Bologna è una città speciale? Lo è ancora? Lo sarà?

   Per molti anni lo siamo stati e per molti no. lo credo che dobbiamo e vogliamo tornare ad essere una città speciale. Cosa significa speciale? Significa innanzitutto pensare in grande, indipendentemente dalle nostre dimensioni. Salire di rango, rischiare di essere presi molto sul serio e dire che non esistono più confini, dire che i confini sono solo resistenza al cambiamento e al valore di questa città.

  Ecco alcuni avvisi ai naviganti, oggi che ci accingiamo a salpare per il Piano strategico.

La prima cosa la voglio dire ai sindaci della nostra area metropolitana. Alleiamoci. Alleiamoci per uscire dai nostri confini municipali e anche dai nostri confini mentali. Siamo noi che dobbiamo prendere per mano le nostre comunità, per renderle solidali e competitive. Siamo noi che dobbiamo essere capaci di raccontare al mondo quello che siamo, e soprattutto quello che vogliamo diventare.


   Il Piano Strategico ambisce a che non via sia più conflitto tra le nostre attitudini. Non si tratta più di dividerci tra chi ha una missione puramente solidale ed una puramente competitiva, questa dicotomia alla lunga ci sta fregando.

   Dunque, andare oltre i confini significa accedere al meglio dei talenti internazionali, mettendoli in contatto e in simbiosi con i nostri. Per fare di questa area urbana un porto attrattivo per i cittadini del mondo. Questo non solo è possibile, è indispensabile. Competitivi per attrarre il merito e gli investimenti ovunque essi si presentino, e questo è un obbligo per noi. Solidali, nel sostenere chi è il migliore quando gli altri non lo fanno, questo è un dovere.

    Guardiamo cosa abbiamo costruito fin qui. Bologna, per l'Italia e per l'Europa, ha rappresentato un traduttore per culture e civiltà. Questo sia nelle forme dell'economia quanto nelle forme della società, della sua organizzazione. Per molto tempo la comunità bolognese ha saputo unire, rappresentare, e finanche liberare le diversità, per tradurre tutto in un'altra dimensione delle cose e del pensiero, e ha scoperto in questo le proprie specialità. Alla fine dei conti, dunque, o siamo in grado di essere internazionali e universali nei valori che proponiamo, o non siamo speciali. Mettiamocelo in testa.
    Puntare sull'internazionalizzazione di Bologna vuoi dire attrarre talenti da ogni parte del mondo, e raggiungere il massimo punto di forza possibile in quattro campi fondamentali: la Cultura, il Lavoro, i Beni comuni, la Qualità urbana. Sono questi i quattro campi che vi propongo per costruire quella visione che permette di mettere in campo progetti capaci di attrarre investimenti pubblici e privati.
    Badate bene, quello che ci è mancato fino ad oggi è descrivere a chi ci osserva quale potenza e qualità ha un investimento su Bologna. E io sono convinto che Bologna abbia tutte le carte in regola per rubare la scena a molte altre città, che state sicuri non se ne stanno con le mani in mano.
    Questo significa che servono motivazioni forti per essere scelti. Rubare la scena, in tempi di delocalizzazioni, significa rilocalizzare qui a Bologna una nuova internazionalità delle scelte. Per questo il Piano strategico non è la fiera delle idee, e non è nemmeno un problema tecnico. Abbiamo già avuto il nostro governo tecnico, e dopo ci sono state le elezioni.
    Sulla base del mandato ricevuto dai cittadini voglio tenere unita la città attorno ad una prospettiva per i prossimi 20 anni, per conquistare insieme agli altri sindaci la nostra reputazione nel mondo.
    Questo significa selezionare il meglio del meglio, e lavorare solo con quello. E quindi sarò ancora più chiaro: non voglio concertare e lavorare per l'unanimità, o cercare di accontentare tutti, voglio una selezione di merito di quello che va fatto.
    Vi faccio un esempio. Qualcuno si è scandalizzato in questi giorni perché ho aperto un fronte con il Governo nazionale per l'IMU a tutela degli interessi di Bologna, che vengono prima rispetto a qualsiasi altro interesse. Sono orgoglioso di averlo fatto. Non sono contento di quello che il nostro Presidente del Consiglio pensa dell'articolo 18. Però lo voglio dire, io considero il nostro Presidente del Consiglio un alleato quando cerca di attrarre investimenti in questo Paese.
    Sappia che su questo Bologna c'è, con una strategia in quattro mosse:
    1. Noi siamo una "città speciale" perché possiamo mettere a disposizione importanti aree demaniali a basso costo per attirare la sede di un'importante Università internazionale, che affianchi l'Alma Mater per realizzare un polo della conoscenza e della ricerca tra i più importanti d'Europa, per quantità di cervelli, di brevetti, di qualità della vita e livello di relazioni internazionali.
    2. A una "città speciale" deve essere data la possibilità di defiscalizzare gli investimenti e gli insediamenti imprenditoriali caratterizzati da un forte tasso di Innovazione e ICT, dedicati a premiare e attirare talenti nei campi delle scienze e della tecniche più avanzate.
    3. Quando una Repubblica fondata sul lavoro nega la cittadinanza sociale e materiale alle giovani generazioni, che rappresentano il patrimonio su cui investire, una 'città speciale' deve fare esattamente il contrario. Deve liberare dalla schiavitù i giovani e i nuovi italiani, le seconde generazioni in attesa di capire se li riconosciamo come italiani, offrendo loro cittadinanza e opportunità, premiando il merito e l'impegno.
    4. Una 'città speciale' lo è se ha un'economia sociale. E questo per me significa delle cose precise: che i beni comuni vanno tutelati, che sono un investimento, che sono una ricchezza, e che le persone devono essere messe nelle condizioni di poter scegliere i loro percorsi di vita e di avere la possibilità di organizzarsi per dare risposte ai propri bisogni, anche attraverso una integrale applicazione della sussidiarietà, come è scritta nella nostra Costituzione.

    Questi per me sono i binari su cui corre il Piano strategico metropolitano. E per realizzare tutto questo abbiamo bisogno di portare avanti progetti concreti e nuove alleanze.
    A chi mi chiede, di fronte alle novità che abbiamo proposto all'inizio del nostro mandato, se avremo il coraggio di arrivare fino in fondo, io rispondo con serenità: tagliamo i ponti con chi non vuole cambiare mai. E usiamo i prossimi mesi per vincere questa sfida. Questa città è sazia e disperata di conservazione, lo sto con chi le cose le vuole cambiare davvero.
   A tutti gli altri dico: non aspettateci perché a voi non renderemo conto.
  Signori, una città che non riesce a ricostruire le proprie leggende ripete il suo passato nella propaganda. Questo rischio noi non lo dobbiamo correre. E allora avanti col Piano strategico, diamo un senso al nostro futuro. Buon lavoro a tutti.

__________________________________________________________________

NINO LUCIANI, Andando all'indietro ..., ma per   tornare al Sindaco
 
1.- Premessa. La via per il risveglio.  Il risveglio dell'università di Bologna, verso l'internazionalità, avviene sotto il rettore Fabio Roversi Monaco con le celebrazioni del NONO CENTENARIO e la redazione della Magna Charta Universitatum, che avrà sùbito l'adesione di molte università di vari Paesi, e via via, possiamo dire, di tutte le università nel mondo. Il suo rettorato va dal 1986 al 2000, e conosce non solo la accennata iniziativa ma anche l'acquisizione ininterrotta di spazi in città, per didattica, ricerca, accoglienza degli studenti.
   In prefazione al volume "L'università a Bologna, dalle origini al XVI secolo", realizzato dalla Cassa di Risparmio in Bologna, F. Roversi Monaco scrive:
   "Nel corso dei prossimi decenni l'Università, nella consapevolezza della sua storia, dovrà tornare ad essere la sede progettuale non soltanto per il futuro dei docenti e della comunità degli studenti, ma per la città di Bologna, cui l'Università è legata da nove secoli di vicende comuni".
   E ancora: "Ciò che soprattutto interessa è il nuovo e il futuro che, chiuso ed inespresso nell'inesauribile giacimento storico della nostra Università, ritorna con le sue idee e progetti. Si pensi soltanto alla originaria vocazione internazionale della Università di Bologna, che non è mai stata soltanto una gloria municipale, ma il luogo d'incontro europeo delle peregrinazioni studentesche, un centro dove affluirono libri e docenti di tutti i paesi, la culla della sapienza giuridica e di tanti altri saperi dei quali in questo libro si individuano gli inizi e l'influenza sociale e politica, l'itinerario ininterrotto delle esperienze di studio e ricerca che ha pervaso mentalità e sensibilità collettive".
    Era anche palese la opportunità di nuove forme di dialogo col mondo esterno (enti locali, imprese), in primis sul proprio territorio. Il compito di ponte (verso e dal mercato), fa dato alla Fondazione "Alma Mater", costituita da lui nel 1986 (21 dic). Su questa tornerò più avanti.
   Il coronamento dell'avvenuto avvio e crescita avviene al momento della "autonomia universitaria", Legge Ruberti, n. 168/1989.
   Nel 1989 lo Stato italiano, in adempimento della Costituzione, concede infatti l'autonomia alle università. Anche Bologna avrà l'autonomia organizzativa con proprio Statuto (1993), e dunque con Organi eletti.
  Mi onora di essere stato membro del SENATO ACCADEMICO INTEGRATO, che fece qello Statuto.
   Fu un momento irripetibile di liberazione delle energie locali via via accumulate, come conseguenza delle celebrazioni dell'ottavo centenario.
  
2.- L'applicazione "deviata" della legge per il decongestionamenro dei mega atenei (1996-98), e il pantano dell'operazione in Romagna.
   Ne 1996, arrivo' la legge n. 662/96, art. 1, c. 90, per il decongestionamento dei mega atenei. Gli Atenei con più di 40.000 studenti dovevano essere sdoppiati, e anche le Facoltà con più di 7000 studenti dovevano essere sdoppiate. Il DM attuativo (del 30.3.98 ) indicava prioritariamente quello di Bologna, da decongestionare, perchè "sovraffollato" .
   Già a quel momento (1998) era evidente che Bologna aveva bisogno di nuove risorse per radicare il suo posizionamento internazionale e di dare accoglienza, nella gestione dell'Ateneo, alle nuove leve emergenti. Sono di quella fase le prime crisi di governo dell'Ateneo, fino a prendere la forma di opposizione al rinnovo del mandato all'allora rettore. Tra i ribelli ci fu Ivano Dionigi, mentre io (che pur mi opponevo a quella politica in Romagna) volevo anche una chiarezza nella successione. Ma ci fu un polverone ... di cui tuttora portiamo i guai.
  
  Torniamo alla legge sui Mega Atenei. D'intesa con i Dirigenti del Miur, il "decongestionamento"   fu interpretato, non come frazionamento, ma come decentramento in Romagna. Nella prima ipotesi il finanziamento andava tutto a Bologna; nel secondo caso esso andava in Romagna. Inoltre Bologna vi avrebbe dovuto trasferire personale e risorse finanziarie del proprio bilancio, e studenti. Cruciali erano gli studenti: nel senso che, grazie al prevedibile calo a Bologna-città, qui il numero sarebbe rientrato nei limiti di legge.
   Ricordo anche il dirottamento forzato (vale dire con promesse di carriera) di centinaia di ricercatori, dottori di ricerca, ..., (anche professori ordinari, per una guida), gratis o semigratis (le spese di viaggio),  verso le sedi decentrate in Romagna, rivelatesi chimere, dopo l'infame legge Gelmini (in quanto dimentica di quella interpretazione del Miur). Sono cose note qui. 

NINO LUCIANI (continua)

   NINO LUCIANI   (contina) Quella scelta fu l'inizio di un vero pantano per Bologna, soprattutto il venir meno di risorse che le permettessero giusta posizione internazionale.
   Allora ero Consigliere di Amministrazione di Bologna e mi opposi a quella interpretazione "deviata" della legge 662. Ritenevo che l'obiettivo di fare l'università di Romagna fosse importantissimo, ma che fosse un obiettivo di interesse nazionale, e come tale da essere finanziato da Roma.
    Per di più, quell'obiettivo dell'universita' di Romagna non era fondato su un progetto culturale unitario (essere centrato su una sola citta', quella portatrice della storia maggiore di Romagna: vedi Ravenna, già sede imperiale e già in rapporti con lo "Studio petroniano"), ma su una pluralità di mini-sedi.
  Anche questo è risultato un progetto fallitto, e lo vediamo nel fatto che, dentro il nuovo Statuto di Bologna (ex-lege Gelmini) le strutture universitarie di Romagna sono divenute articolazioni locali di Bologna accentratrice (perduto anche quel poco di autonomia che le "Sedi" avevano, con rispettivi ProRettori).

3. Riprendiamo il discorso sulla "Fondazione "Alma mater". Questa, rimasta a vegetare per anni ma senza danno, a partire dal rettorato di P.U. Calzolari (fine 2000) diverrà la "seconda" articolazione dell'Ateneo, vale dire:
- all'Università "Alma Mater", restano i compiti istituzionali tradizionali;
- alla Fondazione "Alma Mater" vanno la didattica post-laurea, la gestione dei contratti di ricerca per conto terzi (questo era sempre stato solo un compito dei dipartimenti), la raccolta di fondi finanziari anche beneficiando di varie leggi fiscali di sgravio, e altre attività a pagamento.
   Ma la Fondazione sarà un fallimento. Infatti:
  a) anzichè procurare risorse finanziarie ed economie di spesa per l'Ateneo, la Fondazione produrrà bilanci con saldi passivi (essa si era anche frazionata con la creazione di vari uffici in ogni facoltà , e aveva creato Alma Cube,....) ;
  b) l'obiettivo fondamentale del rapporto operoso con le imprese rimarrà un miraggio lontano (troppi diversi i tempi di percorso delle imprese, rispetto a quelli dell'università).
   Non solo questo. Ci saranno anche "deviazioni": quella di creare una impresa "Alma mater Srl", con socio unico (Fondazione Alma Mater), il cui presunto "vantaggio" (?) era sottrarsi ai controlli diretti dell'Ateneo. Diverrà anche socia di molte società, tutte fuori del controllo di bilancio dell'ateneo ....
  Perveniamo al mandato del rettore I. Dionigi. Sulla discussa Fondazione, egli ordina una inchiesta e (al momento della scadenza delle cariche, gen-feb, 2011) azzera tutti gli incarichi. Nomina un nuovo Presidente, il prof. Francesco VELLA, che si impegna a dimettersi se entro un anno non raggiunge gli obiettivi, a cominciare (presumerei) dalla trasformazione da ente di diritto privato a ente di diritto pubblico.
   La trasformazione era motivata dal "monstrum" (della Fondazione Alma Mater) che, pur essendo una istituzione di proprietà di un ente pubblico (l' Ateneo), era regolato dal codice civile, e quindi sfuggiva ai controlli tipici degli enti di diritto pubblico e a quelli di contabilità pubblica, e al tempo stesso aveva prodotto perdite.

4.- La Fondazione è ancora inceppata. Un anno non è bastato per trasformarla in Fondazione universitaria e nulla si sa del bilancio.
 
Il CdA dell'Università, nella riunione del 15 feb. 2012, rinviava il decollo della Fondazione di diritto universitario, e dettava un testo per una convenzione Ateneo-Fondazione (legata al piano strategico triennale 2011-13) che ne ridefiniva i compiti e i limiti. 
    Della "Alma Mater Srl" nulla è emerso, circa la sorte.
   In conclusione, si direbbe che si è realizzata la condizione per le dimissioni (era l'impegno del neo Presidente VELLA, se entro un anno non avesse visto la luce), la qual cosa mi parrebbe una condizione anche per decisione analoga del rettore.
    C'è dell'altro. Dai verbali del CdA risultano alcune interrogazioni al rettore:
- quella del Cons. Prof. G. Porzi gli "chiedeva quando riteneva di poter dare corso agli adempimenti sopra ricordati, nel rispetto di quanto deliberato il 15/2/2011";
- quella del Cons. Lo Priore che non vedeva una chiara differenza di attribuzioni tra Fondazione e Ateneo;
- quella del Cons. Sig.ra Zago, alla quale "non appariva evidente, nell'ambito dell'alta formazione, il preciso riparto di competenze tra Ateneo e Fondazione".
   A tutti era stata data risposta ma solo su argomenti, non sollevati.

5.- Conclusione: torniamo al SINDACO. Visto che tutto è ancora in viaggio per realizzare le condizioni per cui la Fondazione riesca a trovare finanziamenti, per l'Ateneo, per un suo nuovo risveglio verso l'internazionalità e verso il suo proprio territorio (vedi il crollo degli studenti), l'incidente di percorso del Sindaco (cos' l'avrebbe classificato il Rettore) è invece il "grillo parlante", che dice la verità e interpreta correttamente il ruolo di Bologna "città speciale" nel mondo.
   Adelante, "Magnifico" Merola.
  NINO LUCIANI

 

CdA 15 febbraio 2011 
IL TESTO DELLA POSSIBILE  CONVENZIONE TRA ATENEO E FONDAZIONE ALMA MATER
circa "gli impegni reciproci per alta formazione, consulenze e ricerche in conto terzi, fund raising, gestione marchio per finalità commerciali nel triennio 2011-2013

Rinvio sine die della trasformazione da ente di diritto privato in ente di diritto universitario ex-D.P.R. 254/2001.

Testo della Convenzione così come licenziato dalla Giunta di Ateneo nella seduta del 26.09.2011:

Art. 1 – Oggetto della convenzione
La presente convenzione disciplina i reciproci impegni che le Parti assumono per dare attuazione al Piano strategico 2011 -2013, nei seguenti ambiti:
- alta formazione e formazione orientata al mercato senza rilascio di crediti formativi universitari;
- ricerca e consulenza, creazione di impresa;
- sfruttamento commerciale del marchio di Ateneo (merchandising);
- fundraising per l’Ateneo;
Le ulteriori attività di Fondazione, non contemplate nella convenzione o negli atti successivi ed integrativi, sono dalla stessa gestite secondo le proprie finalità statutarie, d’intesa con l’Ateneo.

Art. 2 – Monitoraggio
L’attuazione del Piano è monitorata dal Magnifico Rettore e dal Presidente di Fondazione Alma Mater, con l’intento, in collaborazione reciproca, di assicurare la più efficace realizzazione del Piano strategico, proponendo, ove si renda necessario adeguamenti e ampliamenti della stessa, che dovranno essere vagliati dai Consigli di Amministrazione di Fondazione e dell’ Ateneo.

Art. 3 – Obblighi di informazione
L’Ateneo assume l'obbligo di informazione presso le proprie Strutture ed articolazioni interne, nonché presso il personale tutto, e nei confronti delle strutture partecipate e collegate e dei principali stakeholders dei contenuti della convenzione e delle attività di supporto messe a disposizione dell'Ateneo da parte di Fondazione.
Al fine di adempiere al predetto obbligo, l’Ateneo assume azioni positive e concrete, ivi inclusa l’adozione di linee guida che assicurino una più armonica interrelazione fra Strutture dell’Ateneo e Fondazione e definiscano i servizi che Fondazione può erogare alle medesime Strutture a seguito dell’acquisizione dello status di fondazione universitaria.
Fondazione assicura la piena informazione all’Ateneo, in merito alle iniziative e alle azioni promosse negli ambiti oggetto della presente convenzione.

Art. 4 – Ambiti di intervento ed impegni tra le parti.
Le Parti, al fine di dare attuazione al Piano strategico 2011 – 2013, convengono di disciplinare i rapporti tra di loro in base alle disposizioni di seguito contemplate e per le aree di attività così definite:

4.1-Alta formazione (Master Universitari, Master non universitari, Corsi di Alta formazione universitaria e non, Formazione continua e permanente universitaria e non):
a) Fondazione Alma Mater mantiene in questo ambito, al pari degli altri soggetti accreditati dall’Ateneo, la possibilità di gestire, nell’ottica della complementarietà con quest’ultimo, i budget dei master, dei Corsi di Alta Formazione e dei Corsi di formazione continua e permanente attivati dall’Ateneo, nel rispetto delle previsioni dei vigenti regolamenti di Ateneo;
b) Fondazione può assicurare all’Ateneo ulteriori servizi a supporto dell’Alta Formazione, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo: progettazione di percorsi anche in e-learning, attività di tutoraggio, coordinamento, segreteria didattica e organizzativa, promozione, organizzazione e monitoraggio stage e tirocini, supporto generale alle attività dei direttori e dei consigli scientifici. Fondazione concorda con i Direttori dei corsi le condizioni per i servizi di supporto, ferma restando la scelta di questi ultimi in merito all'opportunità o meno di avvalersi della Fondazione per i servizi medesimi;
c) Fondazione Alma Mater sviluppa inoltre una propria attività di formazione orientata al mercato, senza rilascio di crediti formativi universitari, definendo i target su cui costruire le azioni commerciali ed attivando eventuali partnership funzionali al raggiungimento degli obiettivi del Piano Strategico.
d) Fondazione si impegna ad attivare le attività formative di cui alla lettera c) sentite le Strutture universitarie di riferimento.

4.2. Ricerca e consulenza-creazione di impresa
4.2.1. – Ricerca e consulenza
a) in tale ambito Fondazione opera quale interfaccia nei confronti del mercato per conto delle Strutture di Ateneo, senza vincolo di esclusività, sulla base di accordi con le stesse, in coordinamento con Area Ricerca e Trasferimento Tecnologico dell’Ateneo. Tali accordi e le relative modalità di coordinamento sono regolati da scambi di corrispondenza fra le parti.
Nella gestione di tali commesse Fondazione, assume un ruolo da general contractor, e affiderà alle singole Strutture di Ateneo coinvolte nella commessa la quota ad esse spettante mediante un rapporto di sub-committenza "c/terzi" o mediante altre modalità quali a titolo esemplificativo, finanziamenti per borse di studio, assegni di ricerca, acquisto per strumentazione, ricercatori a tempo determinato.
b) in casi specifici e debitamente motivati Fondazione può gestire direttamente una commessa di ricerca/consulenza e trasferimento tecnologico, offrendo un sistema organizzato di servizi a valore aggiunto. In questi casi:
   1. Fondazione comunica preventivamente l’attivazione della commessa al Dipartimento di appartenenza del Responsabile Scientifico della commessa.
   2. i docenti coinvolti svolgono tali attività in conformità con le vigenti disposizioni.
c) Nelle fattispecie di cui alle precedenti lettere a) e b), Fondazione armonizza le proprie attività a quanto stabilito dalla regolamentazione di Ateneo in materia di "ripartizione di proventi derivanti da attività di ricerca e consulenza, fatta salva la remunerazione dei costi FAM,
In particolare, il prelievo su ogni commessa non può essere inferiore al 16% e la quota da trasferire all'Ateneo non può essere inferiore al 10%, fermo restando che la quota di attività affidate da FAM alle Strutture di Ateneo, nella fattispecie di cui alla lettera a), non è soggetta ai prelievi previsti dalla predetta regolamentazione;
d) l’Ateneo valuta la possibilità di affidare a Fondazione la realizzazione di servizi a sostegno della promozione e disseminazione dei risultati della ricerca di Ateneo, ivi incluse le attività di disseminazione nell’ambito di progetti europei, ferma restando la realizzazione di tali attività in stretta collaborazione e coordinamento con Area Ricerca e Trasferimento Tecnologico.
e) l'Ateneo affida a Fondazione l'attuazione di protocolli di collegamento tra dottorato di ricerca e imprese o enti, pubblici o privati, in attuazione di convenzioni basate sullo strumento dell'alto apprendistato.
4.2.2. - Creazione di impresa
Nell’ampia gamma di attività legate al trasferimento tecnologico, Fondazione si impegna a concordare con l’Ateneo, tramite l’Area della Ricerca e del Trasferimento Tecnologico, servizi volti a favorire la creazione e la gestione della partecipazione nel capitale sociale di nuove imprese o enti nati da risultati di ricerca, nel rispetto dei regolamenti dell’Ateneo.


Le Parti manifestano quindi la disponibilità a collaborare per definire, con successivi accordi, soluzioni da attuare in sinergia per la promozione di azioni quali, a titolo esemplificativo:
1. promozione della creazione di nuova impresa (scouting, iniziative quali promozione, ecc…);
2. selezione di idee innovative e supporto nella stesura dei Business Plan;
3. collaborazione e coordinamento con altre iniziative locali, regionali, nazionali;
4. incubazione e accelerazione;
5. accesso e coordinamento con Venture Capitalist per la crescita delle nuove imprese.
Nella gestione delle attività a supporto della creazione di impresa, Fondazione si avvale prioritariamente dell’Incubatore Almacube.

4. 3 - Fund raising per l’Ateneo
a) l’Ateneo definisce, secondo le modalità che risultino più idonee, le azioni di fund raising, stabilendo le direttive e le disponibilità economico finanziarie necessarie alla realizzazione delle stesse;
b) Fondazione gestisce, secondo le direttive dell’Ateneo, le azioni sopra previste assicurando una specifica contabilità delle somme eventualmente incassate a titolo di erogazioni liberali, al fine di consentire all’Ateneo di decidere in ordine alla destinazione di tali somme, al netto delle spese sostenute da Fondazione;
c) L’Ateneo si impegna a rimborsare a Fondazione i costi sostenuti per conto dell’Ateneo per lo svolgimento delle azioni di fund raising, comprese le spese generali, risultanti dalla rendicontazione analitica nell’ambito del budget disponibile;
d) l’Ateneo, per la realizzazione delle predette azioni e per assicurare un supporto gestionale alle attività dell'Associazione Almae Matris Alumni, si impegna a rendere disponibili le professionalità necessarie. A tal fine, l’Ateneo si impegna ad inserire nell’organizzazione di Fondazione, mediante specifico accordo attuativo che disciplini la procedura di distacco, una unità di personale di categoria EP ed un’unità di personale di categoria C, rendendo disponibile, con il medesimo accordo, per il 2011, il budget assegnato per l’attuazione del piano di fund raising di Ateneo. Eventuali assegnazioni future saranno oggetto di accordi attuativi;
Gli oneri relativi al trattamento economico fondamentale ed accessorio relativi al personale distaccato restano a carico dell’Ateneo.

4.4. Marchio:
a) Fondazione è licenziataria esclusiva per sei anni del marchio di Ateneo per lo sfruttamento commerciale dello stesso finalizzata alla produzione di abbigliamento e oggettistica, compresa la produzione di articoli promozionali per le esigenze dell’Ateneo e delle proprie strutture;
L’Ateneo e la sue Strutture ed articolazioni si impegnano ad usufruire dell’oggettistica predisposta da Fondazione o dei prodotti dalla stessa messi a disposizione, ove per le finalità sopra indicate, oggetti o prodotti debbano recare o essere associati al marchio di Ateneo.
Fondazione si impegna ad accordare all’Ateneo e alle sue Strutture ed articolazioni speciali condizioni economiche sui prodotti a marchio predisposti dalla stessa, nonché di servizi di supporto per il soddisfacimento di specifiche esigenze promozionali.
b) il contratto per la cessione in esclusiva del marchio a Fondazione è sottoscritto contestualmente alla presente convenzione;
c) Fondazione può cedere in licenza il marchio ad aziende strutturate e competenti, individuate congiuntamente all’Ateneo, che offrano garanzie in merito allo sviluppo dell’attività commerciale ed assicurino benefici all’Ateneo sia in termini di immagine che di proventi;
d) i proventi delle azioni di merchandising rimangono nella disponibilità di Fondazione per il periodo di validità del piano strategico e fino alla concorrenza dell’importo complessivo contabilizzato nel medesimo piano. Le eventuali somme eccedenti saranno gestite da Fondazione secondo le direttive dell’Ateneo.

Art. 5 - Spazi
Per favorire le migliori sinergie operative fra Fondazione e Ateneo, quest’ultimo verifica la possibilità di ospitare presso propri spazi gli uffici direzionali di Fondazione. L’individuazione di tali spazi e le modalità di conduzione degli stessi saranno definiti con successivi accordi. Gli oneri sono a carico dell’Ateneo.

Art. 6 – Durata
La presente Convenzione ha durata di un anno a decorrere dalla sua sottoscrizione, fatta eccezione per il periodo di licenza del marchio di cui all’art. 4.4, e può essere rinnovata, previo accordo fra le parti, in relazione agli esiti del monitoraggio di cui all’art. 2.

IMPEGNO DI SPESA/ACCERTAMENTO DI ENTRATA PER L’ATENEO
L’impegno che l’Ateneo assume, ai sensi dell’art. 4 della Convenzione, in materia di "Fund raising", rendendo disponibile, mediante specifici accordi attuativi, per il 2011, il budget finalizzato all’attuazione del piano di fund raising di Ateneo, potrà essere sostenuto con le risorse disponibili (euro 80.000,00) sul Budget AAGG, E.F. 2011.

 

EDIZIONE PRECEDENTE



NECESSARIA  RIVISITAZIONE DELLA CERIMONIA  DI LAUREA 
AD  HONOREM  AL  PRESIDENTE  DR.  GIORGIO  NAPOLITANO


La "Laudatio" troppo politico-ideologica del Rettore  ha finito per declassare
il  capolavoro politico di G. Napolitano, quello da Presidente della Repubblica

 

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NOTA. Adesione al conferimento della laurea. Plaudo, credo con tantissimi altri, al conferimento della laurea ad honorem in Scienze Politiche al Presidente della Repubblica, da parte dell'Alma Mater. Ritengo, infatti, che il Presidente abbia dimostrato di ben conoscere le scienze politiche (discipline storiche, e di economia, e di diritto pubblico e privato), e di avere massimamente operato, come Presidente, nell'applicarle al meglio. Ed è utile ricordare (perché non fatto dall'Ateneo), che Egli aveva conseguito la Laurea in giurisprudenza a Napoli, nel 1947.
    I motivi ufficiali del conferimento sono contenuti nella Laudatio (pronunciata dal Rettore) che, a mio giudizio, contiene alcuni elementi che in una certa misura, hanno tolto smalto alla Laudatio stessa.
   Voglio anche riprendere due eventi, avvenuti dentro e fuori Santa Lucia: l'intervento del rappresentante del Personale e la manifestazione esterna degli studenti, che sarebbe stato doveroso "includere" tra gli elementi positivi, perché una siffatta cerimonia è "vera" se, ad un tempo, è celebrativa ed è congiunta con l'attuale stato di sofferenza dell'Università.

1) "Laudatio". Totalmente ignorata dalla stampa e non pubblicata in digitale dal Rettorato, essa é stata diffusa (durante la cerimonia) dalla radio GR Parlamento, dal sito internet dell'Ateneo e replicata due volte da "èTV", nei giorni successivi.
    Il testo qui riportato è stato trascritto in proprio dalla una registrazione originale.
    La "Laudatio", a mio avviso, ha mancato nel cogliere quanto di meglio seminato da Napolitato, quello cioè da Presidente della Repubblica, liquidato invece come di "difficilissimo momento", durante il quale "Egli ribadisce fiducia negli orizzonti europei ..." (?). Al contrario, è nella difficoltà che si dimostra il proprio valore, e dunque è qui che va colta la prova.
    La "Laudatio" si è, invece, persa in una "fantasiosa" interpretazione della vita di Napolitano, eccedendo nel ricordare, per ben tre volte ( più due, da parte dei Presidi di Scienze Politiche) che egli era stato un esponente di primo piano del PCI (Partito Comunista Italiano), ma poi assolvendolo, quasi fosse stato un peccato originale . Precisamente Napolitano sarebbe passato, da uomo che ha fatto parte di ideologie contrapposte, ad uomo del superamento dei limiti di quelle ideologie e quindi uomo del dialogo (anche in ambito europeo).
   Questo avveniva alla presenza del Cardinale Caffarra, esponente della Chiesa Cattolica, indirettamente chiamata in causa da Dionigi, perchè la componente "polacca" (e anche italiana) era stata il maggiore avversario di quelle ideologie.
   In questo modo la motivazione della Laurea è finita per diventare puramente ideologica e partitica. Questo, a mio avviso, ha danneggiato il valore culturale e professionale della laurea conferita, e anche fatto sorgere dubbi sulla "genuinità scientifica" delle due Facoltà emiliano-romagnole proponenti. Napolitano, che ha parlato dopo, ha glissato totalmente su quei riferimenti.
   Ritengo sia parimenti degno l'appartenere ad un partito o ad un altro, e sia parimenti degno che le ideologie si contrappongano o che dialoghino. Soprattutto, ritengo che non sia compito dell'Università "parteggiare", ma solo prendere atto dei fatti, e spiegarli scientificamente con la sperimentazione o, almeno, con la logica.

2.- I due eventi. Il rappresentante del personale Raffaele Pileggi si è reso interprete dello stato di sofferenza dell'università italiana, per effetto della legge Gelmini:
   - per la sua configurazione gestionale "aziendalista", anzichè di struttura di "utilità pubblica";
   - e perché sottofinanziata (l'FFO nel 2002, era di 6,2 miliardi e oggi ammonta a circa 7 miliardi). Tenendo conto dell'aumento del costo della vita, (raddoppiato nel 2002-03 per effetto dell'euro), oggi l' FFO dovrebbe essere di circa € 12 miliardi, per essere come nel 2002, in termini reali;
   - dal 2008 al 2011, sono venuti a mancare circa 7.000 posti coperti, di ruolo docente, per il blocco delle assunzioni, una carenza alla quale si è in parte posto rimedio con personale precario (contrattisti, assegnasti - vedi CINECA).
   La protesta degli studenti è la segnalazione della carenza della didattica. Pertanto la manifestazione degli studenti è stata importante per l'università, sempre che si sia disposti ad "ascoltare" e a "migliorare".
  Il Rettore, anziché essere "inclusivo" dei due eventi, li ha invece declassati come "fattori di disturbo".
  Sia chiaro che gli studenti hanno errato a stigmatizzare il Presidente per aver promulgato la legge Gelmini. Infatti, il Presidente della Repubblica, costituzionalmente, non ha responsabilità politica.
  Chi invece ha una tale responsabilità politica sono il Rettore, e il Ministro Profumo (presente alla cerimonia, come invitato), ma che (forse sorpreso) si è trincerato nel silenzio, in attesa di migliori opportunità. Nino Luciani


Rettore, "LAUDATIO" a  Napolitano
.

 " 1.-   Alla generazione del Presidente Napolitano, misurarsi con la dimensione internazionale non è stata la scelta di una specializzazione professionale, ma la risposta alla sfida della storia. Gli uomini di quella generazione si erano affacciati alla politica ventenni, nel momento in cui la fine della seconda guerra mondiale rivelava quello scenario che oggi definiremmo globale. Si erano formati in un universo, che cercava di mantenersi fedele a prospettive di pace e sviluppo nella ricostruzione dell’ordine mondiale.
   Hanno conosciuto una lunga stagione di tensione, passioni e fatiche, prima alla luce di ideologie che sembravano offrire soluzioni definitive, poi nella traumatica scoperta dei limiti di quelle stesse ideologie incapaci di comprendere la grande transizione verso cui si avviava  il sistema internazionale.
   Giorgio Napolitano ha percorso questa vicenda con la determinazione di chi sa che nessun uomo è un’isola, né nel suo orizzonte immediato né tanto meno nell’ampio contesto in cui è inserita ogni vita, nel ventesimo e nel ventunesimo secolo.
Egli accetta la politica come professione nel senso profondo che questa parola, oggi così stoltamente svalutata, comporta. Professione come chiamata, professione come proclamazione pubblica non di una verità posseduta, ma di una verità cercata.
   Egli ha dovuto misurarsi a lungo con questa ricerca. Ha iniziato nel fatidico 1956, un passato assai arduo, durante il quale ha confessato poi, con una limpidezza rara, non riuscì veramente a capire quello che succedeva .
    Ma in seguito i contorni della grande transizione che si stava preparando gli sono apparsi sempre più chiari. Impossibile non ricordare la sua battaglia all’interno del P.C.I. (Partito Comunista Italiano), per analisi che Weber avrebbe definito comprendenti.
   Contro gli schematismi così tipici degli anni sessanta, dall’esperienza ai vertici del suo partito per l’organizzazione culturale, Giorgio Napolitano è diventato sempre più non solo l’uomo del confronto con la grande cultura europea occidentale e con le molti correnti del riformismo politico, ma anche per esempio politico impegnato a promuovere strumenti di analisi e di esperienza per aiutare il paese a vivere consapevolmente quella stagione.
   Divenuto nel 1986 responsabile della politica estera del P.C.I. , egli ha trasfuso nel confronto internazionale quel patrimonio di esperienza percorrendo con passione e pazienza i sentieri prima mai battuti del dialogo. Sono stati anni di grande trasformazione anche sul piano personale con il suo ingresso come rappresentante del partito comunista nell’assemblea parlamentare della NATO con il ruolo di interlocutore delle grandi socialdemocrazie europee e delle personalità raggruppate dall’ASPEN INSTITUTE e con i dialoghi che intrattenne con figure di rilievo quali Willy Brandt, …Brevinsky .
"2.-   Erano anche gli anni della grande trasformazione dell’Europa Orientale . Non possiamo dimenticare la sua attività discreta ma costante, per la libertà di Dubcek e l’incontro che ebbe con lui dopo la laurea che il leader slovacco ricevette proprio in quest’aula nel 1988.
   L’anno seguente, anno dell’epocale caduta del muro, vide il suo ingresso al parlamento europeo dove è stato fino al 1992 presidente della Commissione per gli Affari Costituzionali. Si apriva così nella pienezza del nuovo ruolo quella più intensa fase di impegno europeista già a lungo coltivato nella consapevolezza che dopo il tornante del 1989 si apriva una nuova fase storica anche per l’unione europea come avrebbe argomentato nel suo libro del 1992 “Europa e America dopo il 1989”.
   Quella convinzione non lo ha mai lasciato e oggi in questo difficilissimo momento egli continua, quasi biblicamente sperando contro ogni speranza, a ribadire la sua fiducia in quegli orizzonti europei in cui ha creduto fin dal suo ingresso nella vita pubblica. Per questo egli ha potuto dire il 27 novembre 2007 agli studenti e ai professori dell’Università di Berlino:” lasciate che vi parli più che da capo di Stato da convinto partigiano della causa europea”.
   La sua azione costante si è sempre ispirata, in questi anni, a una grande fiducia nelle arti razionali della politica, che non deve smettere mai di guardare alla realtà per quella che essa è.
    Durante la conferenza da lui tenuta a Londra il 19.05.2009 all’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici aveva ripreso le parole di Keynes a Bretton Woods ed espresso l’auspicio che nella realtà internazionale si operasse, parole sue, con spirito di saggezza, pazienza e severo riserbo.
   Era in un certo senso il motto che meglio rappresentava la sua lunga azione politica nell’ambito delle relazioni internazionali. Azione spesa per il nostro Paese per quel che De Gasperi chiamava la nostra patria europea, per quel mondo pacificato per cui si erano battuti nella prima metà del ventesimo secolo i maestri di molte fedi da cui aveva chiarificamente tratto ispirazione.
   Dover riassumere il senso di tanto impegno, ciò che Giorgio Napolitano ha dichiarato il 27.10.2011 al Collegio Europeo di Bruges. Tutto è cambiato rispetto al punto di partenza al lontano 1950, ma ci sorreggono fortissime nuove motivazioni, l’ammissione dell’Unione degli Stati di Popoli a cui abbiamo dato forza crescente è quella di far vivere dentro una globalizzazione sregolata che potrebbe sommergerci, la nostra identità, il nostro esempio moderno di integrazione e unità, l’insopprimibile peculiarità del nostro apporto allo sviluppo storico e all’avvenire della civiltà mondiale.
   E poiché siamo in università cioè in una istituzione che è anzitutto una comunità di studenti e ricercatori siamo orgogliosi di chiudere accogliendo le parole di esortazione che il nostro Presidente ebbe a pronunciare in quella stessa occasione: “concentriamoci sul da farsi nella fase attuale, ma in pari tempo cercando di spingere più lontano lo sguardo per riproporre il discorso sull’Europa alle generazioni più giovani."
____________________________________

Prof. Fabio GIUSBERTI e Prof. Paolo ZURLA, Presidi delle due Facoltà di Scienze Politiche
Deliberato del Consiglio della Facoltà di Scienze Politiche di Bologna e Forlì.

   “Il Consiglio della Facoltà di Scienze Politiche di Bologna condivide con il Consiglio della Facoltà di Scienze Politiche di Forlì la proposta di conferire la Laurea ad Honorem al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
   La decisione si colloca nel solco della tradizione di attribuire il titolo a eminenti studiosi e a personalità che si siano contraddistinte per il loro impegno nello sviluppo della democrazia e delle istituzioni politiche.
   Nato a Napoli nel 1925, Giorgio Napolitano si iscrive all’Università nel 1942 dove incontra l’antifascismo attraverso i gruppi studenteschi. Iscritto al P.C.I. nel 1945, viene eletto alla Camera dei Deputati nel 1953 e ne fa parte, quasi ininterrottamente, fino al 1996 rivestendo anche il ruolo di Presidente; è stato deputato nel Parlamento Europeo; ha rivestito rilevanti incarichi nel governo nazionale; è stato nominato Senatore a vita nel 2005 e infine eletto Presidente della Repubblica nel 2006.
    La sua vita politica attraversa tutta la complessa vicenda della Repubblica, dal dopoguerra ai nostri giorni. E’ stato uno dei più convinti sostenitori del processo di trasformazione del P.C.I. nella direzione della socialdemocrazia europea. Ed è in particolare sulle relazioni internazionali, che costituiscono motivo di forte divisione nella prima fase della storia repubblicana, che Giorgio Napolitano concentra le sue energie, partecipando alla Commissione affari Esteri della Camera dei Deputati e alla Delegazione italiana all’Assemblea dell’Atlantico del Nord. A partire dagli anni ’70 contribuisce attivamente al dibattito nelle più prestigiose istituzioni accademiche specializzate nella politica internazionale in Europa e negli Stati Uniti. Riguardo al processo di integrazione europea in particolare ha saputo portare un sostegno convinto e continuativo alle ragioni della unificazione.
   Molte delle idee maturate nelle esperienze politiche ed istituzionali ispirano i suoi numerosi scritti di carattere europeistico ed internazionalistico. Il suo impegno per il rafforzamento delle istituzioni democratiche gli è valso importanti riconoscimenti quali premi “Leibniz-Ring” e “Dan David”.
  In occasione del cinquantesimo anniversario del trattato istitutivo delle Comunità Europee, il Presidente Napolitano ha detto: “dobbiamo sentirci più che mai uniti ….(parole omesse, perchè autocancellate) che ci dice quanto profonde siano le nostre radici e quanto significativo sia stato il cammino della nostra comune civiltà e cultura europea.
   Tocca a tutti noi che rappresentiamo gli Stati e i popoli dell’Unione Europea mostrarci all’altezza di quello straordinario retaggio e trasmettere alle giovani generazioni il senso dell’impegno dispiegato in questi cinquant’anni, il solenne mandato di rinnovare e portare più avanti quell’impegno per un continente più unito e più forte.
   Il senso della storia, la responsabilità della politica, la tensione al superamento dei conflitti e l’investimento sul futuro sono i valori che ispirano anche le nostre facoltà.
   Si riconoscono nel percorso politico e nella vita di Giorgio Napolitano, un contributo fondamentale allo sviluppo della cultura europea e al superamento degli steccati ideologici.
   E’ infine significativo ricordare che Giorgio Napolitano nei vari ruoli che ha rivestito ha incontrato molti docenti delle Facoltà di Scienze Politiche dell’Ateneo bolognese, sui banchi del Parlamento, nelle responsabilità di governo e nelle sedi di riflessione scientifica. Alla luce di questi elementi i Consigli di Facoltà propongono all’unanimità la Laurea Magistrale ad Honorem in Relazioni Internazionali e Scienze Internazionali Diplomatiche al Presidente Giorgio Napolitano."

 

EDIZIONI  PRECEDENTI


Mentre l'Università cerca il ritorno a una vita normale, dato il vuoto normativo e
finanziario di cui alla legge Gelmini, anche per inapplicabilità di Decreti attuativi di base,

giunge notizia che il Consiglio di Stato ha dato parere negativo al MIUR, per  il
Decreto per la formazione delle Commissioni giudicatrici per l'abilitazione nazionale.

I  Ricercatori, a loro volta, sono andati alla CRUI (sotto i Comunicati ),
di seguito alla visita del nuovo Ministro alla CRUI , su invito di questa.


ATTESA  E  FIDUCIA  DELLA  RISPOSTA  DEL   MINISTRO  ALLA  LETTERA  DELLA INTERSINDACALE
UNIVERSITARIA (DEL 24 NOVEMBRE), CHE FACEVA RICHIESTA
DI  INCONTRO  SULLO  STATO  DI  "ESTREMA CRITICITÀ DELL'UNIVERSITÀ "

I Comunicati della CRUI-Conferenza dei Rettori
e del CNRU - Comitato Naz.le Ricercatori Universitari

Il Comunicato della CRUI

   Il 19 dicembre 2011, presso la sede della CRUI, si è svolto un incontro tra il Presidente della CRUI, Prof. Marco Mancini, il Rettore dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria, Prof. Massimo Giovannini, membro della Giunta, e il Coordinatore Nazionale del Coordinamento Nazionale dei Ricercatori Universitari (CNRU), Prof. Marco Merafina, accompagnato da una delegazione.
   Durante l’incontro il Presidente della CRUI ha innanzitutto informato la delegazione del CNRU sui contenuti del recente intervento del Ministro Profumo all’Assemblea.

   Sono stati quindi affrontati numerosi argomenti di stringente interesse per il sistema universitario quali:
-  i finanziamenti alle Università e alla ricerca;
- il piano straordinario di reclutamento dei professori associati e le problematiche a esso connesse;
- la questione dei ricercatori e del loro stato giuridico; gli aspetti critici della normativa sulle retribuzioni in connessione con le progressioni di carriera;
- la questione del finanziamento della tenure track per i ricercatori a tempo determinato.

  Su molti di questi argomenti si è riscontrata una convergenza di posizioni tra le parti che hanno anche convenuto sull’opportunità di prevedere incontri periodici per garantire un confronto sulle tematiche che saranno oggetto dei prossimi dell’Università e della Ricerca. 



La lettera dell'InterSindacale
(24 novembre 2011)

 
   - Al Ministro dell’IUR
   prof. Francesco Profumo

    OGGETTO: Richiesta incontro

                   Signor Ministro,
   nel rivolgerLe i migliori auguri di buon lavoro, le scriventi Organizzazioni e Associazioni universitarie intendono evidenziare la stato di estrema criticità in cui versa l’Università italiana. In questo scenario appare necessario che il nuovo Governo avvii un confronto costante con le diverse componenti universitarie da noi rappresentate, riconoscendo il ruolo fondamentale dell’Università per lo sviluppo sociale ed economico del Paese.
  

    Per questo chiediamo al più presto un incontro per affrontare i diversi temi che riguardano l’Università italiana, anche alla luce del processo attuativo della legge 240/10.

  Distinti saluti.

  ADI, ADU, ANDU, CISL-Università, CNRU,
  CNU, CoNPAss, FLC-CGIL, RETE29Aprile,
  SUN, UDU, UGL-Università, UIL-RUA,
  USB-Pubblico impiego

 


Il Comunicato dei Ricercatori

(estratto dei punti essenziali)

   Il 19 Dicembre 2011, presso la sede della CRUI, una delegazione del Coordinamento Nazionale dei Ricercatori Universitari (CNRU), guidato da  Marco MERAFINA, Coordinatore Nazional (Universita' di Roma La Sapienza - Coordinatore Nazionale) ha incontrato il Presidente della CRUI, Marco MANCINI, accompagnato dal Rettore dell'Universita' Mediterranea di Reggio Calabria Massimo GIOVANNINI, membro della Giunta. L'incontro e' stato articolato in due momenti: nel primo il Presidente della CRUI ha informato la delegazione del CNRU sul recente incontro con il Ministro PROFUMO e su alcuni contenuti discussi in quella sede; nel secondo sono stati affrontati diversi argomenti aventi per oggetto:
- la situazione del finanziamenti al sistema universitario,
- la questione dei finanziamenti alla ricerca,
- il piano straordinario di reclutamento dei professori associati e le problematiche ad esso connesse, - la questione dei ricercatori e del loro stato giuridico,
  - alcuni aspetti critici riguardanti la normativa relativa alle retribuzioni in connessione con le progressioni di carriera, - la questione del finanziamento della "tenure track" per i ricercatori a tempo determinato (da approfondire in futuro).

   E' stata inoltre consegnata al Presidente Mancini una versione aggiornata della proposta del CNRU sulla questione del riconoscimento del ruolo di professore ai ricercatori meritevoli, con un'analisi della sua sostenibilita' finanziaria, in merito alla quale il Presidente ha assunto l'impegno di sottoporre il testo ad una valutazione in seno alla Giunta della CRUI.
   Al termine della riunione, le parti si sono impegnate a prevedere una serie di incontri periodici per garantire un confronto costruttivo sulle tematiche oggetto dei prossimi interventi normativi.

  Sintesi dei punti affrontati, rispetto ai quali e' stata riscontrata una convergenza tra le due parti:
(a) I fondi previsti dal piano di finanziamento straordinario per il reclutamento in II fascia (Legge di stabilita' del 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 24) devono essere considerati aggiuntivi a quelli ordinari e devono poter essere spesi anche negli anni successivi a quelli di dotazione. Su questo punto si e' registrata una convergenza nella richiesta di trasferire al 2012 la quota di 13 milioni di euro prevista nel 2011 e non ancora utilizzabile per le future abilitazioni.
  (b) Accordo sulla necessita' di dare la massima priorita' all'emanazione delle procedure per l'abilitazione nazionale la cui mancanza, tra l'altro, rende appunto inutilizzabili i finanziamenti straordinari previsti dalla suddetta legge di stabilita'.
(c) Per quanto riguarda gli scatti stipendiali previsti da specifiche norme di legge per i ricercatori nel primo triennio, le parti concordano sul fatto che esso debba essere riconosciuto. Inoltre, si e' convenuto sulla necessita' che gli organi competenti chiariscano in modo definitivo e per tutto il personale universitario come deve essere considerata la ricostruzione di carriera all'atto della conferma.
  (d) Si e' riscontrata un'identita' di vedute nel prevedere un recupero del blocco degli scatti stipendiali (art. 9 del DL 78/2010) dal punto di vista giuridico, analogamente a quanto previsto per altre categorie di lavoratori non contrattualizzati.
(e) Si e' sottolineata la necessita' che tutti gli Atenei, in modo uniforme, mantengano comunque ben distinte le attivita' di didattica integrativa (affidate ai ricercatori ai sensi della legge n. 382 del 1980) dalle attivita' di didattica frontale anche ai fini della retribuzione prevista dall'art. 6, comma 4, della Legge 240/2010.
  (f) Si e' convenuto sulla necessita' che venga garantita, pur nel rispetto delle autonomie, l'omogeneita' dei criteri previsti dai regolamenti per le chiamate o concorsi locali (art. 18 della Legge 240/2010) e che si apra un canale di dialogo con i ricercatori sugli aspetti specifici legati ai criteri di valutazione.
  (g) Su nostra sollecitazione, e' stata rilevata la necessita' di avviare una discussione in merito alla "tenure track" e ai relativi meccanismi di finanziamento. Su questo il Presidente ha dato ampia disponibilita' ad approfondire la questione.
  (h) Si e' riscontrata un'identita' di vedute nel prevedere che i finanziamenti della ricerca per i giovani ricercatori siano garantiti ed erogati secondo scadenze certe.
  (i) Infine, si e' convenuto sulla necessita' di chiedere per il prossimo esercizio un cofinanziamento alla mobilita' dei ricercatori.

   Sulla questione del riconoscimento del merito in un'ottica disgiunta dalle disponibilita' finanziarie degli Atenei si e' registrata una differenza di vedute e pertanto si e' convenuto di approfondire l'argomento nei prossimi incontri.

.

Curriculum Vitae, Nino Luciani
Professore Ordinario
Full professor
.
Università di Bologna - Dipartimento di Scienze Economiche (2009).
University of Bologna - Department of Economic Sciences.
Gia Professore Associato di Finanza degli Enti Locali alla Università di Roma "La Sapienza".
Già Professore all' Accademia Militare di Modena

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Nino Luciani

E-mail
Contacts:
nino.luciani@unibo.it , nino.luciani@libero.it
Telefono
Phone
+39 051 6233282 - 347 9470152
+39 051 6233282 - 347 9470152
Settore Scientifico
Scientific Sector
Scienza delle Finanze (Economia della Finanza Pubblica)
Science of Public Finance (Economy of Public Finance)
Insegnamenti
Teachings
pallino-gif.gif (1014 byte) Economia della Finanza Pubblica
   
 Economy of Public Finance
LIBRI pallino-gif.gif (1014 byte)   Libro: ECONOMIA GENERALE, Franco Angeli, Milano 2005
Textbook: General Economy ( in Italian), Franco Angeli, Milano 2005

pallino-gif.gif (1014 byte)  Libro: ECONOMIA DELLE SCELTE PUBBLICHE DI BENI E SERVIZI, Franco Angeli, Milano 1992.
Textbook: Public Economy ( in Italian), Franco Angeli, Milano 2005.  Clicca su: http://amsacta.unibo.it/3417/

Prof. NINOLUCIANI
POSIZIONE: Professore ordinario di Scienza delle Finanze, nell'Università di
Bologna.
Present Status: Full professor of Science of Public Finance at the University of Bologna.

DATA DI NASCITA: 30 aprile 1937 a Comacchio (Italy)
Birth Date: April 30, 1937, Comacchio (Ferrara, Italy)

RESIDENZA: via Titta Ruffo 7, 40141 Bologna
Home: via Titta Ruffo 7, 40141 Bologna

EDUCAZIONE: Laurea in Scienze politiche, 1960; Diploma di Specializzazione sullo Sviluppo Economico, 1961.
EDUCATION: Degree of Political Sciences, 1960, Rome, University “ La Sapienza ”; Master of Economic Development, 1961, Roma, Italian Union of Trade Chambers.

CARRIERA ACCADEMICA: 1967 Assistente Ordinario (1967 e Professore Associato di Finanza degli Enti Locali (1983) presso l'Università di Roma " La Sapienza"; Professore Incaricato nelle Università di Venezia, Parma, nell’Accademia Militare di Modena. Professore ordinario di Scienza delle Finanze nell'Università di Bologna.
ACADEMIC CAREER: Assistant Professor (1967 at the University " La Sapienza"of Rome); Associate Professor (1983 at the University ".La Sapienza" of Rome); Professor at the Universities of Venise and Parma, and at the  Military Academy of Modena. Full Professor at the University of Bologna.

DOCENZE: Scienza delle Finanze, Finanza degli Enti Locali, Economia Politica, Economia dell’Ingegneria, Economia pubblica dell’Energia.
COURSES GIVEN:  Science of Public Finance, Local Public Finance, Political Economy, Engineering Economy, Public Economy of Energy.

ATTIVITA' SCIENTIFICA. Allievo di Ernesto d’Albergo, uno degli studiosi italiani più rappresentativi della scienza delle finanze degli ultimi 50 anni, l'attività scientifica svolta ha consentito al Prof. Nino Luciani la produzione di un centinaio di pubblicazioni e di 5 libri.
I principali temi di ricerca sviluppati riguardano il concetto di reddito, la pressione fiscale internazionale, l'efficacia della manovra dei prezzi pubblici nel controllo dell'inflazione da costi, l’economia delle scelte pubbliche di beni e servizi, l’uso del "rate of return" nella valutazione degli investimenti", l’ottimizzazione della finanza pubblica per ‘welfare state’, l’importanza della comunicazione interattiva per la public choice e la democrazia diretta, la misurazione economica dell’efficienza della Pubblica Amministrazione, la misurazione del progresso tecnologico, l’impostazione delle "due" equazioni del cambio.
RESEARCH: , A pupil of Ernesto d’Albergo, one of the most relevant Italian scholars of Science of Finance over the last 50 years, , a fallout of the research carried out by this author is over one hundred publications and five textbooks.
Main research topics were the concept of income, the international fiscal burden, the efficiency of the adjustment of public prices aimed to control “cost inflation”, the economy of the public choices of goods and services, the correct use of the "rate of return" to evaluate the investments, the optimization of the public finance aimed to the ‘welfare state’, the relevance of the interactive communication in the public choice and in direct democracy, the economic measurement of the efficiency of the Public Administration, the quantification of the technological progress, the formulation of the "two" international exchange equations.

ATTIVITA' EXTRA-SCIENTIFICA.
- "Esperto" per la finanza pubblica presso il Comitato Interministeriale per la Ricostruzione, e presso di Uffici per la programmazione economica del Ministero del Bilancio e della Programmazione economica, dal 1961 al 1965.
    In questo ambito ha collaborato:
    a)  per la Nota Aggiuntiva al bilancio dello Stato: "Problemi e prospettive dello sviluppo economico italiano" del Ministro del Bilancio Ugo La Malfa, 1962;
    b) al Rapporto del Vicepresidente (prof. Pasquale Saraceno) della Commissione Nazionale per la programmazione economica, Ministero del bilancio, 1964       (in particolare il capitolo XI :  "Efficienza della Pubblica Amministrazione.
- Membro del Gruppo di lavoro per lo studio comparato della contabilità nazionale dei Paesi della Comunità Europea, a Bruxelles dal 1961 al 1963, per il Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica Nazionale.
- Membro della Commissione per la sperimentazione didattica e organizzativa dell'Università " La Sapienza" di Roma dal 1985 al 1987.
- Membro elettivo del Senato Accademico Integrato dell'Università di Bologna dal 1990 al 1993.
- Consigliere di Amministrazione dell’Università di Bologna dal 1996 al 1999.
- Magistrato tributario della Commissione Tributaria Regionale dello Stato per l'Emilia Romagna.
COMMITTEE AND WORKING MEMBERSHIP
- Expert for the Public Finance at the Inter-ministerial Committee for Italian Recovery) and at the Office for the Economic Programming of the Ministry of the Budget and of Economic Programming from 1961 to 1965.
- Member of the Workgroup for the comparative study of the national accoubts of EEC countrie), Bruxelles, from 1961 to 1963.
- Member of the Commission for the didactic and organizational experimentation of the University " La Sapienza" of Rome from 1985 to 1987.
- Elected member of the Integrated Academic Senate of the University of Bologna from 1990 to 1993 .
- Member of the Administration Council of the University of Bologna from 1996 to 1999.
- Magistrate of the Fiscal Commission of Central Government for Emilia Romagna region.


ATTIVITA’ EXTRA-UNIVERSITARIE
- "Consigliere Comunale" per la DC. nel Comune di Comacchio nel 1975-80.
- Già Vice Presidente Nazionale del CIPUR (Coordinamento InterSedi Professori Universitari di Ruolo, Sindacato Nazionale Universitario).
- Già Responsabile del Settore "Finanza Locale" della DC della Regione Emilia Romagna, 1983.
- Direttore del Foglio elettronico "UNIVERSITAS - Notizie", in: http://www.universitas.bo.it
- Presidente Nazionale del SUN - Sindacato Universitario Nazionale, membro della Intersindacale nazionale universitaria (cessato).

EXTRA-ACADEMIC ACTIVITIES
- Councillor of the Comacchio Municipality in 1975-80.
- Formerly National Vice President of the trade union CIPUR (Coordinamento InterSedi Professori Universitari di Ruolo).
- Director of the Electronic Newspaper "UNIVERSITAS - News",  http://www.universitas.bo.it.


PUBBLICAZIONI PRINCIPALI

MOST RELEVANT PUBLICATIONS
1 - Intorno alle proposizioni Fisheriane sul concetto di reddito (About
I. Fisher's propositions on the concept of income),  Giuffrè, Milano 1971, pp. 122 (textbook)
2 - "Incrementi di valore e loro posizione in un sistema di imposta sul reddito" (Capital gains and their position in a system of income tax), Rome, Tributi 1970, pp. 60
3.- "Reddito, introito lordo, valore aggiunto e tassazione secondo il criterio del beneficio" (Income, gross income, added value and taxation by application of the criterion of benefit), Rome, Rivista della Guardia di Finanza 1970, pp. 37
4 - "Pressione fiscale internazionale e sua interpretazione" (International fiscal burden and its interpretation), Rome, Tributi 1973, pp. 36
5 - "Le condizioni per l'impiego 'specializzato' delle leve monetaria e fiscale per gli equilibri interno ed esterno" (The conditions for the ‘detaileduse of the monetary and fiscal levers for the internal and external equilibria), Rome, Rivista Bancaria - Minerva Bancaria 1974, pp. 71
6 - "Scelta dell'investimento in rapporto al rischio e imposte sul reddito e sul patrimonio" (Selection of the investment with relation to risk, and taxation of income and property), Rome, Rivista di Politica Economica 1978, pp. 57
7.- "Effetti dell'imposta sull'offerta individuale di lavoro" (effects of taxation on individual workforce supply), Rome, Tributi 1975, pp. 21
8 - "Problemi di efficienza della spesa pubblica locale" ( Problems of efficiency of local public expenditure), Rome, Rivista della Guardia di Finanza 1984, pp. 39
9 - "Condizioni per la parità del gettito delle imposte diretta e indiretta e applicabilità di un noto teorema alla politica finanziaria" (Conditions for the balance of direct and indirect taxation and applicability of a “well-knowntheorem to financial policy), Rome, Tributi 1985, pp. 11
10 - Teoria economica della finanza locale (Economic theory of local public finance). Lectures on the finance of local authorities, at the University of Rome, Rome 1984, pp. 209
11 - "Efficacia della regolazione dei prezzi pubblici nel controllo dell’inflazione da costi” (The efficiency of the adjustment of public prices aimed to control of “inflation from cost), Rome, Rivista di Politica Economica 1987, pp. 42
12 - " Scelta degli investimenti di diversa durata e imposta sui profitti" (Choice of investments of different times, and income taxation), Rome, Tributi 1988, pp. 8
13 - "Influenza dell'imposta sulla scelta della fonte di finanziamento dell'investimento" (Effects of taxation on the selection of financing of the investment), Roma, Rivista di Politica Economica 1988, pp. 12
14 - "Ritiro e innovazione degli impianti industriali: calcolo di convenienza considerando l'imposta sui profitti" (Retirement and innovation of industrial installations: evaluation of convenience in relation to income tax), Rome, Rivista di Impiantistica Italiana, 1990, pp. 8
15 - Economia delle scelte pubbliche di beni e servizi (Economy of the public choice of goods and services), Franco Angeli, Milano 1992, pp. 142 (textbook)
16 - "Il "rate of return" nella valutazione degli in vestimenti" (The rate of return in the evaluation of investments), Rome, revew “Economia, società istituzioni", LUISS, Rome, 1992, pp. 21
17 - "L'activity based costing e il principio di non distorsione dei costi comparati" (Activity based costing and the principle of non-distortion of comparative costs), revew “Economia, società istituzioni", LUISS, Roma 1995, pp. 27
18. "Finanza pubblica e ‘welfare state’ nel modello Pareto-d'Albergo e sviluppi dinamici del modello” (Public finance and welfare state in the Pareto-d'Albergo model, and dynamic developments of the model), in the book “Verso un nuovo stato sociale” (Towards a new social state), D. da Empoli and G. Muraro, Eds., Franco Angeli, Milano 1997, pp. 27
19. "Federalismo fiscale concorrenziale: Regioni o Comuni? " (Competition in fiscal federalism: Regions or Municipalities?), in revew TRIBUTI, n. 7, 1997, Ministero delle Finanze, pp. 13. Discussed at the SIEP meeting of 1997
20. "Comunicazione interattiva, scelte pubbliche e democrazia diretta” (Interactive Communication, public choice and direct democracy"), Scientific Communication at Session 5.B: “Constitutional Rules of Direct Democracy” of the international meeting “Constitutional Issues in Modern Democracies”, University of Messina, Sept. 25-27, 1997. Published in revew “Economia, Società Istituzioni", LUISS, Rome 1998, pp. 42
21.- Economia generale e applicata (Economy, general and applie
d), Progetto Leonardo, Bologna 1999. (textbook, 3rd edition)
22.- "Proposte per un riordino territoriale dei Comuni prima del decentramento dei poteri" (Proposals for a territorial rearrangement of Municipalities prior to decentering of powers), TRIBUTI, n. 5, 1999, Rome, Ministero delle Finanze, pp. 35.
23.- "La figura e l’opera scientifica di Ernesto d’Albergo" (Character and scientific work of Ernesto d’Albergo), Communication at the Meeting "Ernesto d’Albergo e l’evoluzione della scienza delle finanze italiana" (Ernesto d’Albergo and the evolution of the Italian Science of Finance), University of Rome "La Sapienza", 25 giugno 1998, Minutes of the Meeting, Gangemi, Roma 2003, pp. 39.
24 - "L’efficienza della Pubblica Amministrazione misurata dal saldo di bilancio? Idee a partire da una recente riforma del bilancio dello Stato in Italia (The balance of accounts as a measure of the efficiency of the Public Bodies New ideas starting from a recent reform of the State Budget in Italy), revew “Economia, Società Istituzioni", LUISS, Rome 2002, pp. 27.
25 - "Progresso tecnologico: nuovo metodo di misurazione e applicazioni per l’Italia. Su un possibile ruolo dell’I.V.A. nell’incentivare il progresso "labour using." (Technological progress: a new methodology for its evaluation and applications to the case of Italy. On a possible role of IVA [Added value taxation] to favor the progress “labour using”), rev. “Economia, società istituzioni", ed. LUISS, Roma 2002, pp. 28.
26 - "Un'assicurazione pubblica contro il rischio di disoccupazione, come contropartita "uniforme" in Europa alla flessibilità del mercato del lavoro" (Public insurance against the risk of unemployment as a “uniformcompensation to the flexibility of workforce market in Europe), ATTI Convegno SIEP su "Il futuro dei sistemi di welfare nazionali tra integrazione europea e decentramento regionale" (Minutes of the SIEP Meeting on “The future of the welfare systems between European integration and regional decentering”) , 2002 (Pavia, 4 - 5 ottobre 2003), pp. 20.
27 - "Pionieri della Scienza delle Finanze italiana negli anni ‘30 (Pioneers of Italian Science of Finance in the Thirties): Attilio da Empoli ed Ernesto d’Albergo sugli"sgravi fiscali” (fiscal deductions), Minutes of the XVI Scientific Meeting of SIEP, Public policies, development and growth", Pavia 2004.

28 - Ernesto d'Albergo, la Scienza delle Finanze e il problema di una regola sicura di decisione collettiva, a supporto del "II teorema dell'economia del benessere" (Ernesto d'Albergo, the Science of Public Finances and the problem of finding a sure rule of public choice, to help the "The second theorem of economic welfare"), rev. "Economia, società istituzioni", ed. LUISS, Roma 2003, pp. 22.
29 - ECONOMIA GENERALE (General Economy -  in Italian), Franco Angeli, Milano 2005. pp. 520.
30.
Ernesto d'Albergo, Economia della finanza pubblica. Edizione digitalizzata a cura di Nino Luciani. Libro. Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Bologna, 2009. Clicca su http://amsacta.cib.unibo.it/archive/00002571/,   Documento PDF , pp. 446
31.
"Il "2° criterio Paretiano", d'Albergo e la Scienza delle finanze" (The "2d Pareto's criterion", d'Albergo and the Science of public finance), 2009, Saggio annesso al Libro di Ernesto d'Albergo, Economia della finanza pubblica, 2009. Edizione digitalizzata a cura di Nino Luciani: Clicca su http://amsacta.cib.unibo.it/archive/00002571/,   Documento PDF , pp. 408-446.

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Tribunale di Perugia
Sentenza n. 109/11, in data 27/1/11, depositata il 28/1/11

Nella causa del Prof. Nino Luciani contro il CIPUR

IL PROF. NINO LUCIANI REINTEGRATO NEL CIPUR
Tribunale: "Illegittimo il provvedimento del Presidente CIPUR 3/6/2005"

  1.-  La premessa è che, nel 2005, il Prof. Luciani era Vice Presidente nazionale del Cipur, con Delega per i rapporti politici (escluso per la CRUI), ed   era Presidente del Cipur della sede di Bologna.
   Allora, il Cipur nazionale lo espulse, senza una motivazione, pubblicamente dichiarata, salvo che nel corso di una riunione del Consiglio nazionale del CIPUR *.
   Sullo sfondo c'era la battaglia dei sindacati universitari contro la "riforma Moratti".  Il prof. Luciani aveva organizzato un "referendum contro la Moratti"*, ma una parte della "cupola" del Cipur era "trattativista" con la Moratti.
   Per memoria  Luciani era direttore, già allora, di un giornale on   line molto letto (questo stesso, che dà la notizia della sentenza), che finiva per mettere in ombra la componente "trattativista".
   Ancora per memoria, successivamente, il Presidente di allora, in seguito al fallimento delle dette  "trattative" con la ministro Moratti, dichiarerà di "essere stato raggirato" . Ma per Luciani, in generale, tutti gli avamposti, senza le spalle coperte dai compagni di viaggio (vale dire dagli altri sindacati), sono soggetti a rischio, pur se forse da ammirare per il coraggio (se proprio non è velleità).
   Per ulteriore memoria, successivamente, il prof. Luciani fonderà il SUN - Sindacato Universitario Nazionale  On Line ( con gli stessi obiettivi sindacali che, 20 anni prima, avevano determinato la fondazione de Cipur). Il SUN sarà, poi, accolto nella Intersindacale nazionale universitaria.
 
  2.- Lo Statuto del Cipur prevede che, in caso di contenzioso interno, sia ammesso il ricorso al Collegio dei Probiviri, eletto dal Consiglio Centrale del Cipur, in base allo Statuto medesimo.
    Il Collegio accolse il ricorso, per mancanza di motivazione ed il prof. Luciani fu reintegrato.  Ma poco dopo, pur non essendo avvenuto alcun fatto nuovo, il Cipur modificò lo Statuto, ed espulse nuovamente il prof. Luciani.
    Di nuovo ci fu un ricorso al Collegio dei Probi Viri, che di nuovo annullo' la decisione e reintegrò il prof. Luciani.
    A quel punto, però, il Cipur non riconobbe la nuova decisione, anzi la dichiarò nulla (in data 3/6/2005).
    Nella nuova situazione, il prof. Luciani ricorse alla Magistratura ordinaria, chiedendo di dichiarare la illegittimità della decisione di non riconoscere quanto stabilito dal Collegio dei Probiviri. Infatti, poichè, per Statuto, il Collegio ha il compito di decidere sulle controversie, il Cipur non poteva non riconoscerne le decisioni.
    In linea di diritto, gli effetti della sentenza  sono che il prof. Luciani si trova reintegrato nelle funzioni, con validità ex-ante, ossia fin dall'origine.
   Però, cosa succederà davvero è tutto da vedere.
Bologna, feb. 2011

__________
* P.S. del 12 nov. 2014
  In quella sede, Manzini dichiaro' di avere autorizzato Luciani ad indire un referendum sulla Moratti, sulla base di una PRIMA LETTERA che Luciani gli aveva scritto, ma non sulla base di una SECONDA LETTERA.
  La verità è che Manzini autorizzò Luciani sulla base della SECONDA LETTERA (ma che non emerse al momento).
  Ma non esiste DELITTO PERFETTO. E infatti Manzini aveva inviato, per concoscenza ad alcuni iscritti di Bologna, la lettera autorizzativa, i quali la girarono successivamente a Luciani. Queste furono la mia e la sua lettera:

At 13.03 26/12/03 +0100, you wrote:

Caro Manzini,
salto le motivazioni. Nel mese di gennaio (prima della verifica di governo)
intendo organizzare il REFERENDUM, di cui all'ATTACH.
Siccome è molto lungo e duro costruire, ma facile distruggere,
e siccome questo REFERENDUM ha rilevanza nazionale,
sento il dovere di chiederti se NULLA OSTA, da parte tua, nella tua qualità
di PN.
Ti chiederei di rispondermi "solo" in piena scienza e coscienza, ossia
senza chiedere il
pare di fannulloni e invidiosi del lavoro altrui.
Saluti cari. NINO LUCIANI


Nino è OK, vai avanti, ma
1. nella facciata del Referendum, non sarebbe accademicamente più corretto chiamarla d.ssa MORATTI anziché sig.a MORATTI?
2. Copia delle lettere arriva anche a te, vero?
Mi resta solo un dubbio, ma solo e proprio un dubbio: siamo tranquilli che il numero di risposte sarà rilevante?

Ti allego il testo che mi hai inviato come secondo, con alcuni suggerimenti di correzioni: vado bene come correttore di bozze, vero?
Dato che sono ancora in tempo al momento dell'invio, BUON ANNO!!!!
Paolo

Paolo Manzini
Presidente Nazionale del  CIPUR
Direttore Responsabile di "Università Oggi"
Professore di Ruolo di Seconda Fascia
Titolare della Cattedra di Analisi dei Medicinali I
Univ. di Padova - Dip. Scienze Farmaceutiche
Via Marzolo 5     35131 Padova (PD) - Italy
Tel ++39 049 8275323   Fax ++39 049 8275366

Attachment Converted: "C:\EUDORA\Attach\referendum Luciani.doc"